Le ragioni della politica - dieci temi di ragionamento e di ricerca
(NATURA E GENESI DEL LEGAME SOCIALE)
Al di là degli aspetti meramente sociologici e descrittivi, ci sono due modi, radicalmente contrapposti, di intendere la natura dei rapporti che intercorrono tra gli individui all'interno di una realtà sociale.
Il primo modo, sicuramente il più antico, si fonda sull'idea che la società nel suo insieme sia una totalità le cui parti costitutive sono i gruppi sociali prima ancora che gli individui singolarmente presi. Da questo punto di vista è chiaro che il tutto precede le singole parti, nel senso che ne determina la natura, le funzioni, la stessa possibilità di esistenza. Gli individui sono solo una variabile dipendente rispetto alla società nella sua totalità.
Di questa concezione totalitaria esistono almeno due varianti significative: quella più antica, di tipo organicistico, quella più recente, di tipo tecnologico. L'organicismo assume in modo metaforico la tesi che la società sia un vero organismo vivente e che gli individui ne siano i piedi, le mani, la testa. Se la società vive, vivono i suoi organi ma se l'organismo muore non vivranno più né piedi né mani. Organicistico è il punto di partenza aristotelico ma ancor di più lo è quello di Platone, per il quale l'intero universo, e non solo la società, costituisce un grande organismo vivente. Nel pensiero cristiano delle origini gli spunti organicistici del Vangelo che descrivono il legame dei credenti con Cristo come quello dei tralci con la vite, vengono amplificati ed estremizzati da San Paolo. Per lui la Chiesa è un unico corpo di cui Cristo è la testa ed i cristiani sono le membra. Siamo nel campo del più assoluto organicismo. In alcuni autori medioevali, ad esempio John di Salisbury, la rappresentazione antropomorfica della società si spinge anche oltre lo schema tripartito di origine platonica (classi dirigenti-testa; soldati-cuore; lavoratori-intestino) fino a vedere nel principe il capo, nel senato il cuore, nei giudici e negli altri funzionari gli occhi, le orecchie e la lingua, nei soldati le mani, nei consulenti i fianchi, negli ispettori l'intestino, nei contadini i piedi, sempre a contatto con la terra. Agli schemi dell'organicismo platonico si richiamano anche il pensiero rinascimentale (Ficino) ed in tempi più recenti quello romantico (Schelling). L'organicismo ha trovato, in tempi a noi più vicini, molti sostenitori tra i biologi, sempre sulla base di una estensione metaforica degli studi specifici compiuti sugli organismi viventi; e ha trovato sostenitori tra i sociologi, anche se la maggior parte di essi ha avvertito il carattere meramente analogico, e perciò in qualche misura inadeguato, di tale modello esplicativo. Tuttavia "tutti i progressi intellettuali sono compiuti con l'aiuto di metafore ed anche i nostri concetti astratti sono creati da immagini metaforiche, ed anche nella scienza è lecito servirsi della metafora". (O. V. Gierke, 1902).
In una versione che possiamo definire totalitario-tecnologica la teoria della società come totalità si definisce compiutamente all'interno della teoria generale dei sistemi. Alla base di questa teoria, come la formulava L. von Bertalanffy nel 1950, c'era una esplicita critica delle concezioni meccanicistiche e dunque individualistiche, assunte dal pensiero sociale e politico moderno, da Hobbes in poi. Si parte dalla considerazione relativa alla società tecnologica avanzata e dal ruolo che in essa giocano l'automazione, la cibernetica o la biologia per scoprire l'enorme complessità della società e la quantità sterminata di interazioni che si sviluppano al suo interno. Interpretare una società come sistema significa assumerla non come una realtà a sé stante, spiegabile secondo i principi della causalità lineare, ma come una totalità risultante dalla interazione dinamica delle sue parti. E quando von Bertalanffy deve trovare un termine tradizionale per definire una tale visione della realtà, allora è egli stesso a parlare di organicismo. Nella sua formulazione generale la teoria dei sistemi si applica ai campi più svariati, dalla meccanica, all'elettronica, alla biologia. Utilizzando gli strumenti raffinati della analisi matematica le interazioni sistemiche vengono misurate e valutate in modo semplice con formule applicabili ai fenomeni più diversi. Né la teoria si presenta diversa quando viene specificatamente applicata in campo sociale. Talcott Parsons definisce il sistema sociale come un organismo sostanzialmente in equilibrio che tende autonomamente a riprodursi così come è, se non intervengano dall'esterno elementi a determinare reazioni a catena lungo tutta la struttura del sistema. Naturalmente il grado di modificazione del sistema dipende soprattutto dalla sua elasticità, cioè dal suo carattere aperto o chiuso. La prospettiva sistemica in campo sociale ha raggiunto il suo punto più elevato nella ricerca di N. Luhmann, allievo di Parsons. Dal suo punto di vista la società è un sistema che opera in un ambiente difficile che ne mette costantemente in discussione la stessa sopravvivenza. Le difficoltà maggiori discendono dal grado crescente di complessità sociale. Più che dal suo carattere chiuso o aperto, la capacità di un sistema sociale di sopravvivere o di modificarsi dipende soprattutto dalla attitudine a ridurre la complessità, selezionando elementi rilevanti per i primi fini e trasformando la complessità esterna al sistema in complessità interna. Laddove vi sia questa attitudine l'evoluzione del sistema si apre verso possibilità infinite. All'interno delle concezioni organicistiche, comunque formulate, l'individuo come singolo è solo l'ultimo anello della catena sociale; la società esiste prima di lui ed ogni individuo già dalla nascita è inserito in una società data. Nel corso della sua vita il legame personale assume le forme e le valenze del legame sociale. In una concezione siffatta è difficile assumere come base di partenza la libertà naturale dell'individuo. Ogni interpretazione del legame sociale che partisse ignorando la priorità del tutto rispetto alla parte e cominciasse dalla parte dell'individuo, sarebbe anacronistica ed assurda, cioè una robinsonata.
Contrariamente la maggior parte del pensiero moderno parte proprio da una robinsonata: ossia che i singoli individui, in quanto tali, rappresentino un prius reale e logico rispetto alla società, la quale risulterebbe determinata proprio dal modo in cui le volontà dei singoli si incontrano, si scontrano, si compongono. Lo stesso concetto viene espresso evidenziando che solo gli individui, in quanto tali, appartengono alla natura, mentre tutto il resto, società compresa, è artificio.
Il primo a formulare in modo esplicito e completo un tale modello individualistico-meccanicistico fu T. Hobbes. In un ipotetico stato di natura gli individui isolati sono in condizione di libertà naturale, possono esercitare un diritto illimitato su tutti e su tutto. Di conseguenza la condizione di libertà naturale determina necessariamente la guerra di tutti e contro tutti, fino al limite dell'autodistruzione. Proprio per evitare ciò gli individui, dotati di potere razionale, decidono di ricorrere all'artificio, stipulando un patto con cui conferiscono tutti i poteri e tutti i diritti della condizione naturale, tranne quello della vita, che rappresenta la finalità primaria del patto, ad un sovrano politico. Nel suo schema, dunque, il legame sociale o è guerra o è sottomissione al potere politico. Una analoga struttura contrattualistica, che partendo dalla autonomia degli individui e dalla multiformità del suo esplicarsi, ne compone meccanicamente le risultanze sociali, è presente anche in autori come Locke o Rousseau, che pure non condividono la totale sottomissione hobbesiana del sociale al politico. L'interpretazione individualistica della società, aldilà delle proiezioni politiche esplicite sul terreno del liberalismo e della democrazia, sta alla base di larga parte del pensiero moderno in tutte le sue valenze, storiche e filosofiche. Individualistiche sono, alle origini della modernità, la logica del mercante ma anche il tema rinascimentale della dignità umana. Individualistica è la nuova collocazione, nella riforma protestante, dell'uomo rispetto a Dio, una volta eliminate le varie forme di intermediazione sociale. Individualistico è l'assunto cartesiano del dubbio metodico e della successiva accettazione di certezze, solo se evidenti alla mente del singolo. Individualistica è pure l'istanza dell' io come viene impostata presso le correnti di pensiero esistenzialistico, e così via...
A questo punto non ci si può esimere da qualche considerazione critica in ordine ai due modi anzidetti di intendere la natura del legame sociale. Ciò che abbiamo chiamato organicismo presenta indubbiamente notevoli pregi sul piano descritto. È difficile, infatti, negare che il processo di formazione dell'io avvenga prevalentemente sotto la spinta di istanze esterne e che la socializzazione, quale si realizza negli anni dell'infanzia e della formazione sia il risultato di dati sistemici determinati o che i ruoli sociali risultino definiti a priori rispetto ai singoli individui che vanno preparandosi a ricoprirli. Tuttavia i rischi che si corrono accettando le posizioni organicistiche sono enormi: in questo caso vale tutta intera l'accusa che Marx rivolgeva al materialismo volgare di fare dell'uomo un soggetto passivo rispetto alla realtà, data in modo deterministico, piuttosto che l'artefice attivo della propria condizione. Così le forme storicamente date della organizzazione sociale sono consegnate o ad una antistorica fissità o ad un dinamismo che prescinde dalla volontà degli individui. Insomma, può facilmente accadere che le filosofie sociali organicistiche forniscano i presupposti culturali che favoriscono il passaggio dal totalitarismo in campo sociale a quello in campo politico. Difetti e pregi del modello individualistico-meccanicistico sono simmetricamente opposti rispetto a quello organicistico. Ricorrendo ad esso si evidenziano notevolmente le difficoltà di descrivere la natura della società. L'io si gonfia smisuratamente di sé, amplificando oltre il lecito la sfera della libertà, fino a comprendervi tutti i comportamenti dei quali si ignora la causa. Il modello individualistico risulta comunque sicuramente preferibile sul piano normativo o prescrittivo per la sua interpretazione attiva della possibilità dei singoli e per la sua facile proiezione verso un sistema di valori liberi ed egualitari. Insomma, è su questo scenario che si intravedono i lineamenti della popperiana società aperta, mentre su quello organicistico-olistico ci sono tutti i suoi nemici.
Tra coloro che cercano di sfuggire, con aggiornate forme di pensiero, a quella schematica contrapposizione di modelli, si collocano oggi alcuni studiosi, soprattutto antropologi, come M. Douglas o C. Castoriadis, che affrontano il problema a partire dal ruolo e dalla funzione delle istituzioni sociali. Riprendendo da Durkeim la convinzione che la sociologia sia la scienza delle istituzioni, Douglas sa che i fatti sociali non possono esaurirsi nella sfera della motivazioni e delle rappresentazioni proprie della coscienza dell'individuo; le istituzioni, in quanto nate con il preciso scopo di garantire la continuità sociale, sono precedenti e prioritarie rispetto agli individui. Le istituzioni, pur non essendo riconducibili agli schemi della cultura organicistica, vengono considerate come svolgenti funzioni umane, quali vedere, pensare, decidere... Il modo in cui gli individui interiorizzano norme, credenze e valori propri delle istituzioni, costituisce lo scopo specifico delle scienze sociali.
La ricerca di Castoriadis si muove in aperta rottura con il pensiero ereditato dalla tradizione: contro l'individualismo, soprattutto, laddove esso si connota di componenti utilitaristiche ma anche contro le visioni totalizzanti dei sistemi sociali che riducono l'individuo a mera conseguenza di logiche strutturaliste. Egli mette in discussione la distinzione tradizionale tra natura e cultura, tra bisogni naturali e storia, che domina tutto il pensiero contemporaneo, e prende le distanze da tutte quelle concezioni antropologiche che cercano di spiegare il legame sociale come un passaggio da una condizione biologica naturale alla organizzazione sociale. Tale è anche, secondo Castoriadis, la posizione antropologica di Gehlen. Per l'antropologo tedesco l'uomo è una mostruosità biologica, non essendo egli fornito alla nascita degli organismi necessari alla sua stessa sopravvivenza. La vita dell'uomo è messa costantemente a repentaglio dall'uomo stesso che rappresenta un errore intenzionale della natura. Animale mancante o animale malato, l'uomo è costretto per sopravvivere a sviluppare tutta la sua artificiosità. Così la cultura, la scienza, la tecnica, le istituzioni, sono delle vere e proprie protesi che consentono all'uomo di uscire dalla sua condizione naturale. L'istituzione, smorzando la plasticità delle pulsioni (paura, desideri..) seleziona le regole utili alla sopravvivenza e fornisce alla esistenza un minimo di certezze. Ma neppure l'antropologia di Gehlen sfugge, secondo Castoriadis, al determinismo e l'uomo viene così condannato alla prigione di schemi totalizzanti, come accade nella teoria sistemica di Luhmann. Insomma, non si può parlare di società escludendo gli individui: l'opposizione individuo-società è falsa.
Tra l'animale e l'uomo c'è una differenza radicale: solo la psiche umana è fornita di una capacità di immaginazione e di rappresentazione che si dirige, a differenza di altri animali, verso funzioni totalmente libere dal determinismo della sopravvivenza. Negli esseri umani agisce il piacere della rappresentazione libera e solo negli uomini c'è la possibilità di muoversi verso quelle direzioni creative che Freud riconduceva al concetto di sublimazione. Per Castoriadis vi è dunque una rottura radicale dell'animalità, proprio perché la psiche è fornita di una immaginazione creatrice di sensi e di significati. Se la psiche si radica nel desiderio e se il desiderio si alimenta della mancanza, allora l'oggetto verso cui si proietta non può essere un puro dato biologico ma costituisce una creazione originale.
L'insieme di queste creazioni si rapporta al singolo, configurando così una rappresentazione di sé come ciò a cui non manca nulla. Già il seno materno non è per il bambino una mera fonte di alimentazione ma la prima apertura al mondo, la prima creazione di senso, la prima istituzione. Se la società istituita è il punto di partenza già dato che entra in rapporto con la psiche del bambino, non si può negare che la forza istituente risiede nella psiche che è la fonte vera di ogni significato sociale. Il processo di significazione di cui la psiche è portatrice fa nascere le rappresentazioni immaginarie di senso e rappresenta la forza istituente della società.
Così il sociale è creazione libera; libera è pure la storia nel suo insieme: essa non discende da leggi naturali, né da leggi storiche oggettive. Quando si parla di istituzioni, dunque, bisogna distinguere la società istituita con i suoi significati determinati e conclusi, dalla società istituente che è creazione di individui sociali e di tutto il mondo umano ad essi connesso: il linguaggio, le norme, i valori, la vita e la morte.
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