LIBERALIZZAZIONI.
CRISI DI UN MODELLO IN UN PAESE IN CRISI
11° Rapporto sul processo di liberalizzazione della società italiana
Introduzione
Stefania Fuscagni
Presidente Società Libera
Se dovessi definire questo lavoro con un’unica
parola capace di tenere insieme coerentemente tutti
i contributi direi che il termine giusto è
“coraggio”. Questo è un rapporto coraggioso perché
ha la forza di descrivere le cose che vediamo senza
infingimenti ma anche con speranza. Cosa vediamo?
Vediamo un’Italia che arranca, che perde tempo, che
non trova la barra. Un’Italia assediata dalla
burocrazia, dalla non responsabilità, ostaggio di
riti antichi che sono figli e al tempo stesso padri
di conservatorismi di rendita, un’Italia in cui la
corruzione non è solo mal costume ma è anche freno
alla crescita. Si ha quasi il senso di soffocamento
e di mancanza di parole nel tentare di descrivere
tutto questo.
Non ha senso, almeno in questo lavoro, dire di chi
sia la colpa anche se qualche idea innegabilmente
l’abbiamo. Ha senso per noi, al contrario, dire come
è possibile uscire da questa spirale. La parola
chiave per noi è cultura liberale. Sì, liberalismo:
questa è la seconda ragione del perché credo che si
possa dire che abbiamo coraggio. Abbiamo coraggio
perché diciamo, sfidando tanta retorica di “regime”
culturale, che l’origine dei molti mali che viviamo
è il sodalizio tra lo statalismo ed il falso
liberalismo.
Lo statalismo che in Italia si è fatto burocratismo
o meglio burocrazia nel senso stretto del termini e
cioè “potere dell’apparato” e il falso liberalismo
che ha prodotto un doppio male: le liberalizzazioni
di facciata che hanno rafforzato le propaggini del
potere politico a sua volta ostaggio colpevole di
quello finanziario e la declinazione verso l’etica
relativista propria di un liberalismo ridotto a
deregolazione valoriale. Ne è venuta fuori una
società attardata, che vive di rendita, attratta più
dalla “morte” che dalla vita, che soffoca talenti,
che nega le evidenze pur di non cambiare rotta, che
ha una percezione altissima di sfiducia, di
corruzione, di disfacimento. Una società
deresponsabilizzata, triste, cupa. Cioè non
veramente libera.
Il senso di afflizione e di impotenza sono i primi
sapori che avvertiamo nello scorrere i singoli
contributi. Si scopre così che in questo Paese
abbiamo perso ogni treno per vere liberalizzazioni
tanto che la prima cosa che verrebbe da dire è che,
purtroppo, sul tema non c’è proprio più nulla da
dire. Non c’è più nulla da dire sulla scuola
diventata ormai un mondo a sé a metà strada tra
miseria ed eroismo; non c’è più nulla da dire sulle
infrastrutture oggi vittime di tendenze opposte e
quindi ora ostaggio del non fare a tutti i costi e
ora prigioniere del farle ad ogni costo; non c’è più
nulla da dire su un Paese che sta morendo di
malcostume e corruzione frutto non solo di
comportamenti singolari ma spesso di meccanismi
criminogeni che possono indurre a comportamenti non
propri; c’è poco da dire su uno Stato predatorio che
spreme il contribuente fino a renderlo esanime a
svantaggio di tutti.
Se ci fermassimo qui potremmo recitare un de
profundis, ma la cultura liberale ha – accanto al
diritto di dire in maniera scabra ciò che vede-
anche il dovere di pensare che sia necessario fare
proposte concrete. Questo perché, ne siamo certi, le
persone avvertono un insopprimibile bisogno di stare
bene e di costruire intorno a sé condizioni di
benessere e non solo economico. Ecco perché oltre a
monitorare il declino di un Paese senza vero
liberalismo, ci siamo posti nella prospettiva di
suggerire - con umiltà -anche strade di svolta.
Perché ci crediamo? Semplicemente perché si può fare
e si può fare perché in altri Paesi lo fanno; ma non
solo, si può fare perché oltre all’Italia come
sistema che non ci piace ci sono tanti, tantissimi
italiani che invece ci piacciono. Uomini e donne
libere che pensano “liberale” e vivono “liberale”,
che non si fermano a ciò che non va, ma che provano
a costruire nel loro stretto perimetro regole
diverse; persone che hanno voglia di ragionare e
confrontarsi molto al di là del politicamente
corretto - che anzi sentono come ormai intollerabile
e sfottente - e che non hanno nulla a che fare con i
partigiani del vecchio né con i profeti del nuovo di
stagione.
Queste sono persone perbene che lavorano nel
pubblico e nel privato e che sanno bene che a loro
basterebbe che le cose funzionassero e che ci fosse
un po’ di merito, un po’ di concorrenza, un po’ di
competitività e un po’ di solidarietà non buonista
per avere le carte in regola per fare grandi cose.
Sono persone che stanno fuori dai circuiti di
potere, che non hanno né padri né padrini, né lobby
né protettori: hanno solo la loro intelligenza e la
loro volontà.
A loro basta così, perché non cercano
raccomandazioni né spintarelle cercano solo
opportunità giuste. Sono disposti a perdere e a
vincere, ma non sono più disposti a regole
“drogate”. A queste persone “libere”, che hanno
tutto l’interesse legittimo e la giusta aspirazione
a farcela non andando via dall’Italia ma
rimanendoci, noi ci rivolgiamo. Siamo consapevoli
che basti poco per far comprendere che davvero il
“re è nudo” che la via del declino si vince e si
inverte se sapremo trovare la giusta formula tra
concorrenza, liberalizzazioni, personalismo,
rispetto delle regole e prima ancora delle persone,
di tutte.
Con questo Rapporto è vero che parliamo un po’ male
dell’Italia, ma è altrettanto vero che abbiamo
fiducia in tanti, tantissimi italiani che possono
dare una “spallata di libertà”. Di loro, di ognuno
di loro, parliamo benissimo. |
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