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VII RAPPORTO
SUL PROCESSO DI LIBERALIZZAZIONE
DELLA SOCIETÀ ITALIANA

Introduzione

di Salvatore Carrubba
Presidente Società Libera.

Questa settima edizione rappresenta una sorta di prova del fuoco per l’annuale rapporto sulle liberalizzazioni.
Esso cade infatti nel pieno della grande crisi finanziaria, alla quale del resto fanno riferimento molti degli interventi di questa edizione.
La crisi, esplosa al declinare dell’estate, non manifesta ancora quando scrivo – al declinare dell’inverno – segni di rientro e, quel che è peggio, non offre ragionevoli previsioni sul suo possibile sviluppo, la durata e le conseguenze effettive.
Con la conseguenza di dare adito a un diffuso e inossidabile sentimento di sfiducia che si manifesta nei comportamenti di consumo non meno che nelle politiche degli istituti di credito, con pesanti ripercussioni dell’economia reale.
E che trova origine anche in molte analisi dei media, irresponsabilmente portati, per esempio, a generalizzare il paragone tra la crisi del 2008-2009 e quella, sideralmente lontana, di ottant’anni prima.
A tradire l’opinione pubblica c’è anche la frequente, martellante, morbosa attribuzione di ogni responsabilità della crisi attuale al processo recente di globalizzazione: essa manifesta, più che lo sforzo di un’analisi seria, la convinta soddisfazione di chi ritiene definitivamente colpiti i presupposti di politiche (da quegli stessi osservatori) mai accettate.
Da qui l’insistenza, sui media di tutto il mondo, sui fallimenti del mercato; il ritorno della fiducia nell’interveto salvifico dello stato; la liquidazione definitiva del “liberismo”: e metto la parola tra virgolette, proprio per sottolinearne la specificità del nostro Paese che ha dovuto ricorrere a un termine non presente altrove appunto per offrire dell’economia di mercato una visione deformata che lo rende necessariamente “selvaggio” e “sregolato”.
Quel mercato, dice la vulgata di oggi, ha prodotto la catastrofe che stiamo affrontando.
Che credibilità ulteriore attribuirgli, dunque? Che speranza di uscire dalla crisi se non abbandonandone i presupposti anche teorici e ritornando precipitosamente all’ortodossia keynesiana, ridotta anch’essa alla caricatura deformata di uno stato che spende a più non posso? Non è questa la sede per entrare nel merito della questione, dalla quale, pure, dipende, in larga misura, il futuro che in questi mesi ci stiamo apparecchiando.
Ma questo rapporto, con la serietà dei suoi contributi e l’ampiezza dei temi considerati, offre già una prima risposta: che è soprattutto una risposta di non resa all’imperversare dei nuovi luoghi comuni.
E di fiducia non scalfita nei meccanismi della competizione e della libertà.
Non dubito che questa ribadito atto di fiducia farà sorridere i neo-statalisti oggi tornati alla ribalta del dibattito economico.
“Vecchi ruderi liberisti”: già li sento apostrofare.
Ma questo rapporto, come tutti quelli che lo hanno preceduto, non è un saggio ideologico: è una ricerca scientifica su alcuni settori dell’economia e della società italiana dalla quale risultano incontrovertibili i vantaggi che deriverebbero dall’apertura a una maggiore concorrenza.
Lo fa con un’efficacia tale da far concludere che, piuttosto, risulta di natura puramente ideologica, cioè fasciata dai paraocchi e sorda alla verifica empirica, la posizione contraria, statalista e iperregolatoria.
Naturalmente, parlo col rispetto che si deve alle idee diverse dalle nostre di questa ideologia contraria al mercato, radicata nella tradizione delle maggiori famiglie politiche italiane.
Ma non c’è solo l’ideologia: non meno penetranti, ed efficaci, e non altrettanto degne di rispetto, risultato le corpose aggregazioni di interessi che, formatesi negli anni, si oppongono pervicacemente a ogni tentativo di scalfire rendite di posizione e logiche di cartello.
Proprio quelle che penalizzano più duramente i consumatori finali, ai quali poi si fa balenare l’intervento pubblico come possibile baluardo di tutela, magari affidata a curiose e inedite figure quale il misterioso (con tutto il rispetto personale dovuto a chi ha coperto e copre quella carica) “Mister Prezzi”, il cui intervento non potrà mai rivelarsi più efficace dell’implacabile (per i profittatori) “Mister Mercato”.
Per questo rapporto, considero perciò superata la prova del fuoco di quest’anno difficile e straordinario: sottolineandone l’apporto prezioso a un rinnovato dibattito che tanto più sarà utile, con l’analisi e l’indicazione di azioni possibili, quanto più capace di partire dai fatti.
Risulterà chiara, allora, l’indimenticabile lezione dei grandi liberali, a partire dal nostro insuperato Luigi Einaudi: che la libertà economica combatte il privilegio di pochi e tutela l’interesse di tutti.

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