Lepelletier: “Considerando a qual punto la specie umana è degradata, io mi sono convinto della necessità di operare una intera rigenerazione, e, se così posso esprimermi, di creare un nuovo popolo ».
Si vede bene, gli uomini non sono che vile materiale; non tocca a loro volere il bene – infatti ne sono incapaci – tocca al legislatore, secondo Saint-Just. Gli uomini non sono altro che ciò che si vuole essi siano. Seguendo Robespierre, che ripete alla lettera Rousseau, il legislatore comincia assegnando lo scopo della istituzione della nazione. Poi i governi non hanno da fare che dirigere verso questo obiettivo tutte le forze fisiche e morali. La nazione stessa rimane sempre passiva in tutto questo, e Billaud-Varennes ci insegna che essa non deve possedere che quei pregiudizi, quelle abitudini, quelle passioni e quei bisogni che il legislatore autorizza. Egli si spinge fino ad affermare che l’inflessibile austerità di un uomo è la base della repubblica.
Si è visto che, nel caso che il male sia così grande che i magistrati ordinari non vi possano rimediare, il Mably consigliava la dittatura per far fiorire la virtù. “Ricorrete, dice, ad una magistratura straordinaria, dai tempi rapidi e dal potere considerevole. L’immaginazione dei cittadini deve allora essere colpita”. Questa dottrina non è andata perduta. Ascoltiamo Robespierre: “Il principio del governo repubblicano, è la virtù, ed il suo mezzo, finché non sia stabilita, il terrore. Noi vogliamo sostituire, nel nostro paese, la morale all’egoismo, l’onestà all’onore, i principi agli usi, il dovere alle buone maniere, l’impero della ragione alla tirannia della moda, il disprezzo dei vizi al disprezzo della sfortuna, la fierezza all’insolenza, la grandezza d’animo alla vanità, l’amore della gloria all’amore del denaro, la buona gente alla buona compagnia, il merito all’intrigo, il genio al bello spirito, la verità allo scandalo, il fascino della felicità alle noie dei piaceri, la grandezza dell’uomo alle piccolezze dei grandi, un popolo magnanimo, potente e felice ad un popolo amabile, frivolo e miserabile; vale a dire tutte le virtù e tutti i miracoli della repubblica a tutti i vizi e a tutto il ridicolo della monarchia”. A quale altezza al di sopra dell’umanità si pone qui Robespierre! E prestate attenzione alla circostanza nella quale parla. Non si limita ad esprimere il voto di un grande rinnovamento del cuore umano; non si aspetta neppure che ciò possa mai risultare da un governo normale. No, vuole farlo lui stesso e con il terrore. Il discorso, dal quale è estratto questo puerile e laborioso ammasso di antitesi, aveva per oggetto di esporre i principi di morale che devono dirigere un governo rivoluzionario. Prestate attenzione anche a questo: quando Robespierre si presentò a chiedere la dittatura, non era soltanto per respingere lo straniero e combattere le fazioni; era bene per far prevalere con il terrore, e prima del gioco costituzionale, i suoi propri principi di morale. La sua pretesa era niente di meno che estirpare dal paese, con il terrore, l’egoismo, l’onore, i costumi, le buone maniere, la moda, la vanità, l’amore per il denaro, la buona compagnia, l’intrigo, il bello spirito, i piaceri e la miseria. Non è che dopo che lui stesso, Robespierre, avrà compiuto questi miracoli – come lui stesso li chiama a ragione – che egli permetterà alle leggi di prendere il loro comando.
- Ehi, voi miserabili, voi che vi credete così grandi, voi che giudicate l’umanità così piccola, voi che volete riformare tutto, riformate voi stessi: questo compito vi sia sufficiente.
Tuttavia, in generale, i signori riformatori, legislatori e intellettuali, non chiedono di esercitare sull’umanità un dispotismo immediato. No, sono troppo moderati e troppo filantropi per quello. Essi non reclamano che il dispotismo, l’assolutismo, l’onnipotenza della Legge. Solo che essi aspirano a fare le leggi. Per mostrare come questa strana disposizione di spirito sia stata universale, in Francia, come mi sarebbe stato necessario copiare tutto Malby, tutto Raynal, tutto Rousseau, tutto Fénelon, e dei lunghi estratti di Bossuet e Montesquieu, avrei anche dovuto riprodurre i verbali interi delle sedute della Convenzione. Me ne guarderò bene e vi rinvierò il lettore. Si pensa che questa idea avrebbe dovuto sorridere a Bonaparte. Egli l’abbracciò con ardore e la mise energicamente in pratica. Considerandosi come un chimico, non vide nell’Europa che un materiale per esperimenti. Ma ben presto quella materia si manifestò come un potente reagente. A tre quarti disilluso, Bonaparte, a Sant’Elena, sembrò riconoscere che ci fosse qualche iniziativa nel popolo, e si mostrò meno ostile verso la libertà. Ciò non gli impedì, comunque, di lasciare con il suo testamento questa lezione al figlio: “Governare, è diffondere la moralità, l’istruzione ed il benessere”.
E’ ancora necessario di mostrare con fastidiose citazioni da dove muovono Morelly, Babeuf, Owen, Saint-Simon, Fourier ? Mi limiterò a sottoporre al lettore alcuni estratti del libro di Louis Blanc sull’organizzazione del lavoro. “Nel nostro progetto, la società riceve l’impulso del potere” Ma in che cosa consiste l’impulso che il potere da alla società? Nell’imporre il progetto del Blanc. D’altra parte, la società è il genere umano. Perciò, alla fine, il genere umano riceve l’impulso del Blanc. Libero di pensarlo, si dirà. Senza dubbio il genere umano è libero di seguire i consigli di chicchessia. Ma non è così che il Blanc interpreta la faccenda. Egli vuole che il suo progetto sia convertito in Legge, e di conseguenza imposto con la forza dal potere. “Nel nostro progetto, lo stato non fa che dare al lavoro una legislazione (scusate se è poco), in virtù della quale il movimento industriale può e deve compiersi in tutta libertà. Esso (lo stato) non fa che mettere la libertà su una discesa (niente di meno) che essa scende, una volta che vi sia stata posta, per la sola forza delle cose e per un effetto naturale del meccanismo stabilito.” Ma quale è questa discesa? – Quella indicata dal Blanc. – Ma non conduce a qualche abisso? .- No, essa conduce alla felicità – Come mai allora la società non ci si mette da sola? – Perché essa non sa quello che vuole ed ha bisogno di un impulso. – Chi le darà questo impulso? – Il potere – E chi darà la spinta al potere? – L’inventore del meccanismo, il Blanc. Non usciamo mai da questo circolo: umanità passiva e un grand’uomo che la muove per mezzo dell’intervento della Legge.
Una volta su quella discesa, la società godrà almeno di qualche libertà? – Senza dubbio – E che cosa è la libertà? “Diciamolo una volta per tutte: la libertà consiste non solo nel diritto accordato, ma nel potere dato all’uomo di esercitare, di sviluppare le sue facoltà, sotto il governo della giustizia e sotto la protezione delle leggi”. .. “E questa non è una distinzione vana: il suo senso è profondo, le conseguenze sono immense. Perché dal momento che si ammette che all’uomo sia necessario, per essere veramente libero, il potere di esercitare e di sviluppare le sue facoltà, ne risulta che la società deve a ciascuno dei suoi membri l’istruzione conveniente, senza la quale lo spirito umano non può realizzarsi, e gli strumenti di lavoro, senza i quali l’attività umana non può darsi sviluppo. Ora, per l’intervento di chi la società darà a ciascuno dei suoi membri l’istruzione conveniente e gli strumenti di lavoro necessari, se non per l’intervento dello stato?”. Così, la libertà è il potere – In cosa consiste questo potere ? – Nel possedere l’istruzione e gli strumenti di lavoro – Chi fornirà l’istruzione e gli strumenti di lavoro? – La società, che ne è obbligata. – Per mezzo dell’intervento di chi la società fornirà strumenti di lavoro a coloro che non ne hanno? – Per mezzo dello stato – E a chi lo stato li prenderà? Al lettore di dare la risposta e vedere dove vada a finire tutto questo.
Uno dei fenomeni più strani dei nostri tempi, e che stupirà probabilmente molti dei nostri nipoti, è che la dottrina che si fonda su questa tripla ipotesi: l’ignavia radicale dell’umanità, l’onnipotenza della Legge e l’infallibilità del legislatore, quella dottrina sia proprio il simbolo sacro del partito che si proclama esclusivamente democratico. E’ vero che si definisce anche sociale. In quanto democratico, ha una fede illimitata nell’umanità; in quanto sociale, la mette al di sopra del fango. Se si tratta di diritti politici, se si tratta di fare uscire dal suo seno il legislatore, oh sì, allora, secondo lui, il popolo ha la scienza infusa, è dotato di un tatto ammirevole, la sua volontà è sempre retta, la volontà generale non può errare. Il suffragio non sarà mai troppo universale. Nessuno deve alla società alcuna garanzia. La volontà e la capacità di ben scegliere sono sempre presupposte. Può il popolo sbagliarsi? Non siamo forse nel secolo dei lumi? Che dunque? Il popolo resterà eternamente sotto tutela? Non ha forse conquistato i suoi diritti con abbastanza sforzo e sacrifici? Non ha forse dato prove sufficienti della sua intelligenza e della sua saggezza? Non è forse giunto alla sua maturità? Non è forse in grado di giudicare per se stesso? Non conosce i suoi interessi? C’è forse un uomo o una classe che osi rivendicare il diritto di sostituirsi al popolo, di decidere e di agire per lui? No, no, il popolo vuole essere libero, e lo sarà. Vuole dirigere i suoi propri affari, e li dirigerà.
Ma non appena il legislatore si è liberato dai comizi con le elezioni, ah sì, allora il linguaggio cambia. La nazione rientra nella passività, nell’inerzia, nel nulla, ed il legislatore prende possesso dell’onnipotenza. A lui l’invenzione, a lui la direzione, a lui l’impulso, a lui l’organizzazione. L’umanità deve solo più lasciarsi fare; l’ora del dispotismo è suonata. E attenzione, perché ciò è fatale: il popolo, sempre così illuminato, così morale, così perfetto, non ha più alcuna tendenza, o se ne ha, tutte lo conducono alla degradazione. E gli si vorrebbe lasciare un poco di libertà! Ma non sapete forse che, secondo il Considérant, la libertà conduce fatalmente al monopolio? Non sapete che la libertà è la concorrenza? E che la concorrenza, secondo il Blanc, è per il popolo un mezzo di sterminio e per la borghesia una causa di rovina? Che è per questo che i popoli sono tanto più sterminati e rovinati quanto più sono liberi, come testimoniano la Svizzera, l’Olanda, l’Inghilterra e gli Stati Uniti? Non sapete che, sempre secondo il Blanc, la concorrenza porta al monopolio e che, per la stessa ragione, il bassi prezzi conducono alla esagerazione dei prezzi? Che la concorrenza forza la produzione ad accrescersi ed il consumo a decrescere, dal che segue che i popoli liberi producono per non consumare, che essa è insieme oppressione e demenza, e che bisogna assolutamente che il Blanc ci abbia a che fare?
Quale libertà, allora, potrà essere lasciata agli uomini ? Sarà la libertà di coscienza? Ma li si vedrà tutti approfittare del permesso per farsi atei. La libertà di insegnamento? Ma i padri si affretteranno a pagare dei professori per insegnare ai loro figli l’immoralità e l’errore; in più, se diamo credito al Thiers, se l’insegnamento fosse lasciato alla libertà nazionale, cesserebbe di essere nazionale e noi alleveremmo i nostri giovani nelle idee dei Turchi o degli Indù, invece che, grazie al dispotismo legale dell’università, dare loro la felicità di essere allevati nelle nobili idee dei Romani. La libertà di lavoro? Ma è la concorrenza, che ha come effetto quello di lasciare tutti i prodotti non consumati, di sterminare il popolo e di rovinare la borghesia. La libertà di commercio? Ma si sa bene, ed i protezionisti lo hanno dimostrato a sazietà, che un uomo si rovina quando commercia liberamente e che, per arricchirsi, bisogna commerciare senza libertà. La libertà di associazione? Ma, secondo la dottrina socialista, libertà ed associazione si escludono, poiché precisamente non si aspira a strappare agli uomini la loro libertà che per forzarli ad associarsi. Vedete perciò bene che i democratico-socialisti non possono, in buona coscienza, lasciare agli uomini alcuna libertà, poiché, per natura propria, e se questi signori non ci mettono ordine, essi tendono, da ogni parte, a ogni genere di degradazione e di demoralizzazione. Resta a divinare, in questo caso, su quale fondamento si reclama per essi, con tanta forza, il suffragio universale.
Le pretese degli organizzatori sollevano un’altra questione, che io ho spesso indirizzato loro, ed alla quale, che io sappia, non hanno mai risposto. Poiché le tendenze naturali dell’uomo sono così malvagie perché si debba togliergli la libertà, come è che le tendenze degli organizzatori sono invece buone? Il legislatore ed i suoi agenti, non fanno essi parte dell’umanità? Si credono impastati di un altro fango che non il resto degli uomini? Essi dicono che la società, abbandonata a se stessa, corre fatalmente verso l’abisso perché i suoi istinti sono perversi. Essi pretendono di arrestarla su questa china ed imprimerle una direzione migliore. Essi hanno dunque ricevuto dal cielo una intelligenza e delle virtù che li pongono al di fuori e al di sopra dell’umanità; che mostrino i loro titoli, allora. Loro vogliono essere pastori, e noi vogliono che siamo le loro greggi. Questa sistemazione presuppone in loro una superiorità per natura, della quale abbiamo bene il diritto di chiedere la prova preventiva.
Vogliate notare che ciò che io contesto, non è il diritto di inventare delle combinazioni sociali, di propagarle, di consigliarle, di sperimentarle su loro stessi o sui loro adepti, a loro spese e rischio ; ma solo il diritto di imporle a noi attraverso l’intermediazione della Legge, cioè delle forze e dei contributi pubblici.
Io chiedo che i Cabétisti, i Fourieristi, i Proudhoniani, gli universitari, i protezionisti, rinuncino non alle loro idee particolari, ma a questa idea che è comune a tutti loro, di assoggettarci di forza alle loro classificazioni, alle loro officiane sociali, alle loro banche gratuite, alla loro moralità greco-romana, ai loro vincoli commerciali. Ciò che io chiedo loro, è di lasciarci la facoltà di giudicare loro piani e di non associarci a quelli, direttamente o indirettamente, se scopriamo che danneggiano i nostri interessi, o che ripugnano alla nostra coscienza. Perché la pretesa di far intervenire il potere e le imposte, oltre che oppressiva e spogliatrice, implica anche una ipotesi pregiudiziale : l’infallibilità degli organizzatori e l’incompetenza dell’umanità. E se l’umanità è incompetente a giudicare da sola, perché ci si viene a parlare di suffragio universale? Questa contraddizione nelle idee si è sfortunatamente riprodotta nei fatti, e mentre il popolo francese ha superato tutti gli altri nella conquista dei suoi diritti, o piuttosto delle sue garanzie politiche, nondimeno è rimasto il più governato, diretto, amministrato, caricato di imposte, ostacolato e sfruttato, di tutti i popoli. Ed è anche quello dove le rivoluzioni sono le più vicine, e così deve essere.
Dal momento che si parte da queste idee, ammesse da tutti i nostri intellettuali e così energicamente espresse dal Blanc con le parole « La società riceve l’impulso dal potere »; dal momento che gli uomini si considerano essi stessi come sensibili ma passivi, incapaci di elevarsi con il loro proprio discernimento e con la loro propria energia ad alcuna moralità, ad alcun benessere, e ridotti ad attendersi tutto dalla Legge; in una parola, dal momento che ammettono che i loro rapporti con lo stato sono quelli del gregge con il pastore, allora è chiaro che la responsabilità del potere è immensa. I beni ed i mali, le virtù ed i vizi, l’uguaglianza e l’ineguaglianza, l’opulenza e la miseria, tutto proviene da lui. Esso è incaricato di tutto, esso intraprende tutto, esso fa tutto; perciò risponde di tutto. Se noi siamo felici, esso richiede a buon diritto la nostra riconoscenza; ma se noi siamo miserabili, noi non possiamo prendercela che con lui. Forse che egli non dispone, in linea di principio, delle nostre persone e dei nostri beni? La Legge, non è essa onnipotente? Creando il monopolio universitario, esso si è fatto forte di rispondere alle speranze dei padri di famiglia privati della libertà; ma se queste speranze falliscono, di chi è la colpa? Regolamentando l’industria, si è fatto forte di farla prosperare, altrimenti sarebbe stato assurdo togliergli la libertà; ma quella soffre, di chi è la colpa? Intromettendosi nel ponderare il bilancio commerciale con il gioco delle tariffe, si è fatto forte di farlo fiorire; e se, invece di fiorire, muore, di chi è la colpa? Accordando agli armatori marittimi la sua protezione in cambio della loro libertà, si è fatto forte di renderli lucrativi; ma se sono in perdita, di chi è la colpa?
Così, non c’è un dolore nella nazione del quale il governo non si sia volontariamente reso responsabile. Bisogna stupirsi se ogni sofferenza è una causa di rivoluzione? E quale è il rimedio che ci viene proposto? Quello di allargare indefinitamente il dominio della Legge, cioè la responsabilità del governo. Ma se il governo si fa carico di accrescere e di regolare i salari e non lo può; se si fa carico di assistere tutti gli infortunati e non lo può; se si fa carico di assicurare delle pensioni a tutti i lavoratori e non lo può; se si fa carico di fornire a tutti gli operai degli strumenti di lavoro e non lo può; se si fa carico di aprire a tutti gli affamati di prestiti dei crediti gratuiti e non lo può; se, secondo le parole de abbiamo visto con dispiacere sfuggire alla penna del de Lamartine “lo stato si da la missione di illuminare, di sviluppare, di ingrandire, di fortificare, di spiritualizzare e di santificare l’anima dei popoli” e non ci riesca; non si vede che, al termine di ogni scacco, ben probabile comunque, vi è una non meno inevitabile rivoluzione?
Io riprendo la mia tesi e sostengo che: immediatamente dopo la scienza economica e all’ingresso della scienza politica, si presenta una questione dominante. Che è: Che cosa è la Legge? Che cosa deve essere? Quale è il suo campo? Quali sono i suoi limiti? Dove si fermano, di conseguenza, gli attributi del legislatore?
Io non esito a rispondere : la Legge, è la forza comune organizzata per ostacolare la non-giustizia ; per abbreviare, la Legge è la Giustizia.
Non è vero che il legislatore abbia sulle nostre persone e sulle nostre proprietà una potenza assoluta, poiché esse preesistono e la sua opera non è che quella di circondarle di garanzie. Non è vero che la Legge abbia come missione di governare le nostre coscienze, le nostre idee, le nostre volontà, la nostra istruzione, i nostri sentimenti, i nostri lavori, i nostri commerci, i nostri doni, le nostre gioie. La sua missione è di impedire che in qualcuna di queste materie il diritto di qualcuno usurpi il diritto di qualcun altro. La Legge, poiché essa ha come sanzione necessaria la forza, non può avere come campo legittimo che il solo legittimo campo della forza, vale a dire: la Giustizia. E come nessun individuo ha il diritto di ricorrere alla forza che nei casi di legittima difesa, la forza collettiva, che non è altro che la riunione delle forze individuali, non potrebbe essere razionalmente applicata ad alcun altro fine. La Legge, perciò, è solo l’organizzazione del diritto individuale preesistente della legittima difesa.
La Legge, è la Giustizia. E’ falso che la Legge possa opprimere le persone o spogliare le proprietà, anche a scopo filantropico, mentre la sua missione sarebbe di proteggerle. E che non si dica neppure che essa può almeno essere filantropica, premesso che si astenga da qualunque oppressione e da qualunque spogliazione; ciò è contraddittorio. La Legge non può non agire sulle nostre persone o sui nostri beni; se essa non li garantisce, li viola per il fatto stesso di agire, per il fatto stesso di esistere.
La Legge è la Giustizia. Ecco che cosa è chiaro, semplice, perfettamente definito e delimitato, accessibile a tutte le intelligenze, visibile ad ogni occhio, perché la Giustizia è un dato, immutabile, inalterabile, che non ammette un più o un meno. Uscite di lì, rendete la Legge religiosa, fraterna, egualitaria, filantropica, industriale, letteraria, artistica: immediatamente vi troverete nell’infinito, nell’incerto, nello sconosciuto, nell’utopia imposta, o, il che è peggio, nella moltitudine delle utopie che combattono per impadronirsi della Legge e imporsi; perché cose come la fraternità e la filantropia non hanno, come la giustizia, dei confini definiti. Dove vi fermerete? Dove si fermerà la Legge? Uno, come il de Saint-Cricq, non allargherà la sua filantropia che su alcune classi di industriali, e chiederà alla Legge che disponga dei consumatori in favore dei produttori. Un altro, come il Considérant, prenderà in mano la causa dei lavoratori e chiederà per loro dalla Legge un minimo assicurato, gli abiti, l’alloggio, il nutrimento e tutte le cose necessarie al mantenimento della vita. Un terzo, il Blanc, dirà, con ragione, che quella non è che una fraternità abbozzata e che la Legge deve dare a tutti gli strumenti del lavoro e l’istruzione. Una quarto farà osservare che una tale sistemazione lascia ancora posto all’ineguaglianza e che la Legge deve far penetrare fine nelle frazioni più sperdute, il lusso, la letteratura e le arti. Voi sarete così condotti fino al comunismo, o piuttosto la legislazione sarà quella che già è: il campo di battaglia di tutti i sogni e di tutte le cupidigie.
La Legge è la Giustizia. In questo cerchio, si concepisce un governo semplice, irremovibile. Ed io sfido a che mi si dica da dove potrebbe venire il pensiero di una rivoluzione, di una insurrezione, di un semplice moto contro una forza pubblica dedicata a reprimere l’ingiustizia. Sotto un tale regime, ci sarebbe più benessere, il benessere sarebbe ripartito più ugualmente, e per ciò che riguarda le sofferenze inseparabili dall’umanità stessa, nessuno si sognerebbe di accusarne il governo, che sarebbe loro estraneo così come lo è alle variazioni della temperatura. Si è mai visto il popolo insorgere contro la Corte di Cassazione o fare irruzione nel pretorio di un giudice di pace per reclamare il minimo salariale, il credito gratuito, gli strumenti di lavoro, le tariffe favorevoli, o la fabbrica sociale? Il popolo sa bene che queste combinazioni sono fuori dal potere del giudice, ed ugualmente imparerà che sono fuori dal potere della Legge. Ma fate la Legge sul principio fraterno, proclamate che è da essa che provengono il bene ed il male, che essa è responsabile di ogni dolore individuale, di ogni disuguaglianza sociale: voi aprirete la porta ad una serie infinita di lamentele, di odii, di torbidi e di rivoluzioni.
La Legge è la Giustizia. E sarebbe ben strano che potesse essere altra cosa. Forse che la Giustizia non è il diritto? Forse che i diritti non sono uguali? Come interverrebbe dunque la Legge, per sottomettermi ai piani sociali dei Mimerel, dei de Melun, dei Thiers, dei Blanc, piuttosto che per sottomettere questi signori ai miei piani? Credete forse che io non abbia ricevuto abbastanza immaginazione dalla natura per inventarmi, anche io, una utopia? Forse che è ruolo della Legge quello di fare una scelta tra tante chimere e di mettere la forza pubblica al servizio di una di quelle?
La Legge è la Giustizia. E che non si dica, come si fa in continuazione, che, così concepita, la Legge, atea, individualista e senza interiora, farebbe l’umanità a sua immagine. E’ una deduzione assurda, ben degna di questa infatuazione di governo che vede l’umanità nella Legge. Che cosa? Dal fatto che noi saremo liberi, ne segue che smetteremo di agire? Dal fatto che non riceveremo l’impulso della Legge, segue che saremo privi di impulsi? Dal fatto che la Legge si impegnerà a garantire il libero esercizio delle nostre facoltà, ne segue che le nostre facoltà saranno colpite dall’inerzia? Dal fatto che la Legge non ci imporrà forme di religione, modi di associazione, metodi di insegnamento, procedure di lavoro, direzioni di scambio commerciale, piani di carità, ne segue che noi ci affretteremo a tuffarci nell’ateismo, nell’isolamento, nell’ignoranza, nella miseria, nell’egoismo? Ne segue che noi non sapremo più riconoscere la potenza e la bontà di Dio, associarci, aiutarci reciprocamente, amare e soccorrere i nostri fratelli sfortunati, studiare i segreti della natura, aspirare al perfezionamento del nostro essere?
La Legge, è la Giustizia. Ed è sotto la Legge di Giustizia, sotto il regime del diritto, sotto l’influenza della libertà, della sicurezza, della stabilità, della responsabilità, che ogni uomo arriverà a tutto il suo valore, a tutta la dignità del suo essere, e che l’umanità porterà a termine con ordine, con calma, lentamente senza dubbio, ma con certezza, il progresso, che è il suo destino. Mi pare di avere dalla mia parte la teoria; perché qualche qualunque questione io sottoponga al ragionamento, che sia religiosa, filosofica, politica, economica; che si tratti di benessere, di moralità, di uguaglianza, di diritto, di giustizia, di progresso, di responsabilità, di solidarietà, di proprietà, di lavoro, di scambio, di capitale, di salari, di imposte, di popolazione, di credito, di governo, a qualunque punto dell’orizzonte scientifico io ponga il punto di partenza delle mie ricerche, sempre invariabilmente io arrivo a questo: la soluzione del problema sociale è nella Libertà.
Ma non ho dalla mia parte anche l’esperienza? Gettate lo sguardo sul globo. Quali sono i popoli più felici, i più morali, i più pacifici? Quelli dove la Legge interviene il meno possibile nella attività privata; dove il governo si fa meno sentire; dove l’individualità ha più energia e l’opinione pubblica più influenza; dove i percorsi amministrativi sono i meno numerosi e i meno complicati; le imposte le meno pesanti e le meno diseguali; i malcontenti popolari i meno eccitati e i meno giustificabili; dove la responsabilità degli individui e delle classi è la più attiva; dove, di conseguenza, se i costumi non sono perfetti, essi tendono invincibilmente a rettificarsi; dove le transazioni, le convenzioni, le associazioni, sono le meno intralciate; dove il lavoro, i capitali, la popolazione, subiscono il minor spostamento artificioso; dove l’umanità obbedisce di più alla sua inclinazione; dove il pensiero di Dio prevale di più sulle invenzioni degli uomini; quelli, in una parola, che si avvicinano di più a questa soluzione: nei limiti del diritto, tutto provenga dalla libera e perfettibile spontaneità dell’uomo, nulla provenga dalla Legge o dalla forza che non la Giustizia universale.
Bisogna dirlo : ci sono troppi grandi uomini nel mondo ; ci sono troppi legislatori, organizzatori, istitutori di società, conduttori di popoli, padri delle nazioni, eccetera. Troppa gente si mette al di sopra dell’umanità per regolarla, troppa gente si fa mestiere di occuparsi dell’umanità. Mi si dirà: voi ve ne occupate bene, voi che ne parlate. E’ vero. Ma sarete d’accordo che ciò avviene con un senso e da un punto di vista ben diverso, e se io mi mescolo con i riformatori è unicamente per far loro lasciare la presa. Io me ne occupo non come Vaucanson del suo automa, ma come un fisiologo dell’organismo umano: per studiare e ammirare. Io me ne occupo, nello stesso spirito che animava un celebre viaggiatore. Egli arrivò nel mezzo di una tribù di selvaggi. In quel luogo stava per nascere un bambino ed una folla di indovini, di streghe, di praticoni, la circondavano, armati di anelli, uncini, e corde. L’uno diceva: questo bambino non fiuterà mai il profumo di un calumet, se io non gli allungo le narici. Un altro: sarà privo del senso dell’udito, se io non gli faccio scendere le orecchie fino alle spalle. Un terzo: non vedrà la luce del sole, se non do ai suoi occhi una direzione obliqua. Un quarto: non starà mai in piedi, se io non gli curvo le gambe. Un quinto: non penserà, se io non gli comprimo il cervello. Indietro, dice il viaggiatore. Dio fa bene ciò che fa; non pretendete di saperne più di lui; poiché Egli ha dato degli organi a questa debole creatura, lasciate che i suoi organi si sviluppino, si fortifichino con l’esercizio, i tentativi, l’esperienza e la libertà.
Dio ha messo anche nell’umanità tutto ciò che serve perché porti a compimento il proprio destino.
C’è una fisiologia sociale provvidenziale come c’è una fisiologia umana provvidenziale. Gli organi sociali sono così costituiti in modo da svilupparsi armonicamente all’aria aperta della Libertà. Indietro dunque i praticoni e gli organizzatori! Indietro i loro anelli, le loro catene, i loro uncini, le loro tenaglie! Indietro i loro mezzi artificiosi! Indietro le loro fabbriche sociali, i loro falansteri, il loro statalismo, la loro centralizzazione, le loro tariffe, le loro università, la loro religione di stato, le loro banche gratuite o le loro banche monopolizzate, le loro compressioni, le loro restrizioni, la loro moralizzazione o la loro egualizzazione con le imposte! E poiché sono vanamente stati inflitti al corpo sociale così tanti sistemi, che la si finisca là dove si sarebbe dovuto cominciare: che si respingano i sistemi, che si metta alla fine alla prova la libertà – la Libertà che è un atto di fede in Dio e nella sua opera.
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Quello che si vede e quello che non si vede.
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