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La Legge.

(Giugno 1850)

La Legge pervertita ! La Legge – e dietro di lei tutte le forze collettive della nazione, la Legge, dico io, non solo deviata dal suo scopo, ma applicata ad ottenere un obiettivo del tutto opposto! La Legge divenuta strumento di tutte le cupidigie, anziché esserne il freno! La Legge che realizza essa stessa quella iniquità che avrebbe come missione di punire! Certo, questo è un fatto assai grave, se esiste, e sul quale mi deve essere consentito di attirare l’attenzione dei miei concittadini.

Noi riceviamo da Dio il dono che racchiude tutti gli altri, la vita – la vita fisica, intellettuale e morale. Ma la vita non si sostiene da sola. Colui che ce la ha data ci ha lasciato il compito di mantenerla, di svilupparla, di perfezionarla. A questo scopo, ci ha provveduto di un insieme di facoltà meravigliose e ci ha immersi in un ambiente di elementi differenti. L’applicazione delle nostre facoltà a questi elementi realizza i fenomeni della assimilazione e della appropriazione, per mezzo dei quali la vita percorre il cerchio che le è stato assegnato.

Esistenza, facoltà, assimilazione – in altri termini, persona, libertà, proprietà. Ecco l’uomo. Di queste tre cose si può dire, al di fuori delle sottigliezze demagogiche, che esse siano anteriori e superiori a qualunque legislazione umana. Ciò non perché gli uomini abbiano redatto delle Leggi che formino l’esistenza della persona, della libertà e della proprietà. Al contrario, persona, libertà e proprietà preesistono all’uomo che fa le Leggi.

Che cosa è dunque la Legge ? Così come ho detto altrove, è l’organizzazione collettiva del diritto individuale di legittima difesa.

Ognuno di noi deriva certamente dalla natura, o da Dio, il diritto di difendere la propria persona, la propria libertà, la propria proprietà, dal momento che questi sono i tre elementi costitutivi o conservatori della vita, elementi che si completano reciprocamente e che non possono essere compresi separatamente. Infatti, che cosa sono le nostre facoltà se non un prolungamento della nostra personalità, e che cosa è la proprietà se non un prolungamento delle nostre facoltà? Se ogni uomo ha il diritto di difendere, anche con la forza, la sua persona, la sua libertà e la sua proprietà, più uomini hanno il diritto di concertare, accordarsi ed organizzare una forza comune destinata a provvedere regolarmente a tale difesa.

Il diritto collettivo ha perciò il suo principio, la sua ragione di essere, la sua legittimità, nel diritto dell’individuo; e la forza comune non può razionalmente avere altro scopo, altra missione, che non quelle delle forze individuali alle quali si sostituisce. Così, come la forza di un individuo non può legittimamente attentare alla persona, alla libertà e alla proprietà di un altro individuo, per la stessa ragione una forza comune non potrebbe essere legittimamente usata per distruggere la persona, la libertà o la proprietà degli individui o delle classi. Perché questa perversione della forza sarebbe, in entrambi i casi, in contraddizione con le nostre premesse. Chi oserebbe dire che la forza ci è stata data non per difendere i nostri diritti, ma per annullare i diritti uguali dei nostri fratelli? E se ciò non è vero di ogni forza individuale, che agisca isolatamente, come lo sarebbe di una forza collettiva, che non è che c’unione organizzata delle forze singole?

Allora, se c’è una cosa evidente, è questa: la Legge, è l’organizzazione del diritto naturale alla legittima difesa; è la sostituzione della forza collettiva alle forze individuali, per agire in quel cerchio nel quale quelle abbiano il diritto di agire, per fare quello che abbiamo il diritto di fare, per garantire le persone, le libertà, le proprietà, per mantenere ciascuno nel suo diritto, per fare regnare tra tutti la Giustizia. 

Se esistesse un popolo costituito su questa base, mi sembra che l’ordine vi prevarrebbe nei fatti come nelle idee. Mi sembra che quel popolo avrebbe il governo più semplice, più economico, meno pesante, meno avvertibile, meno responsabile; ed il più giusto e, di conseguenza, il più solido che si possa immaginare, e quel popolo ne farebbe per sempre la sua forma politica. Perché, sotto un tal regime, ognuno comprenderebbe bene che vi è tutta la pienezza come tutta la responsabilità della sua propria esistenza. Presupposto che la persona sia rispettata, il lavoro libero e i frutti del lavoro garantiti contro ogni ingiusta pretesa, nessuno avrebbe nulla a che vedere con lo stato. Se felici, è vero, non dovremmo ringraziarlo per il nostro successo; ma sfortunati, non gli attribuiremmo delle nostre disgrazie più di quanto i contadini non gli addebitino la grandine o il gelo. Non lo conosceremmo che per l’inestimabile benessere della sicurezza. Si potrebbe ancora affermare che, grazie al non-intervento dello stato negli affari privati, i bisogni e le soddisfazioni si svilupperebbero secondo l’ordine naturale. Non si vedrebbero più le famiglie povere ricercare l’istruzione letteraria prima del pane. Non vi vedrebbe più la città popolarsi a spese della campagna, o la campagna a spese della città. Non si vedrebbero più quei grandi spostamenti di capitali, di lavoro, di popolazione, provocati dalle misure legislative, spostamenti che rendono così incerte e così precarie le fonti stesse dell’esistenza, e che aggravano, in così grande misura, le responsabilità dei governi.

Per disgrazia, la Legge non si è chiusa nel suo ruolo. Ugualmente non si è allontanata dal suo ruolo che in questioni neutrali e discutibili. La Legge ha fatto di peggio: ha operato contro ai propri fini; ha distrutto il suo scopo; si è applicata ad annullare quella Giustizia che avrebbe dovuto far regnare, a cancellare, tra i diritti, quel limite che era sua missione far rispettare; la Legge ha messo la forza collettiva al servizio di coloro che vogliono sfruttare, senza rischi e senza scrupoli, la persona, la libertà o la proprietà altrui; ha convertito la spogliazione in diritto, per proteggerla, e la legittima difesa in crimine, per punirla.

Come è potuto accadere che si sia realizzata una tale perversione? Quale ne sono state le conseguenze? La Legge si è pervertita per l’effetto di due cause ben differenti: l’egoismo stupido e la falsa filantropia.

Parliamo del primo. Conservarsi, svilupparsi, è l’aspirazione comune e tutti gli uomini, in modo tale che se ognuno godesse del libero esercizio delle sue facoltà e della libera disponibilità di ciò che produce, il progresso sociale sarebbe necessario, ininterrotto, infallibile. Ma vi è un’altra disposizione anch’essa assai comune. E’ quella di vivere e svilupparsi, quando si può, a spese gli uni degli altri. Non è una accusa azzardata, proveniente da uno spirito triste e pessimista. La storia ne rende testimonianza con guerre incessanti, migrazioni di popoli, oppressioni sacerdotali, universalità della schiavitù, frodi industriali e monopoli: fatti dei quali gli annali sono ben colmi. Questa funesta disposizione nasce dalla costituzione stessa dell’uomo, in quel sentimento primitivo, universale, invincibile, che lo spinge verso il benessere e lo fa sfuggire al dolore. L’uomo non può vivere e gioire che per mezzo di una assimilazione, una appropriazione perpetua, vale a dire attraverso una perpetua applicazione delle sue facoltà sulle cose, o attraverso il lavoro. Da qui proviene la proprietà. Ma, di fatto, l’uomo può vivere e gioire assimilando per se stesso, appropriando per se stesso, i prodotti delle facoltà dei suoi simili. Di qui proviene la spogliazione. Ora, poiché il lavoro è in stesso una pena, e poiché l’uomo è portato per natura a sfuggire alle pene, ne consegue, e la storia è là per provarlo, che dovunque la spogliazione è meno faticosa del lavoro, essa prevale; e prevale senza che nessuna religione e nessuna morale possano impedirlo. 

Quando si ferma la spogliazione? Quando diviene più onerosa o più pericolosa del lavoro. E’ ben evidente che la Legge dovrebbe avere come scopo quello di opporre il potente ostacolo della forza collettiva a questa tendenza funesta; ovvero, che essa dovrebbe prendere parte per la proprietà contro la spogliazione. Ma la Legge è fatta, nella maggior parte dei casi, da un uomo o da una classe di uomini. E poiché non esiste senza sanzione, senza l’appoggio di una forza preponderante, non è possibile che non metta questa forza nelle mani di coloro che fanno la Legge.

Questo fenomeno inevitabile, combinato con la funesta inclinazione che abbiamo constatato nel cuore dell’uomo, spiega la perversione quasi universale della Legge. Si comprende come, anziché essere un freno all’ingiustizia, la Legge divenga uno strumento, il più invincibile strumento, dell’ingiustizia. Si comprende come, secondo il potere del legislatore, la Legge distrugga, a proprio profitto, ed in grado diverso, presso il resto dell’umanità, la personalità per mezzo della schiavitù, la libertà per mezzo dell’oppressione, la proprietà per mezzo della spogliazione.

E’ nella natura degli uomini reagire contro le iniquità delle quali sono vittime. Quando dunque la spogliazione è organizzata dalla Legge, a profitto delle classi che la esercitano, tutte le classi spogliate tendono, per strade pacifiche o per strade rivoluzionarie, a entrare in qualche modo nella fabbricazione delle Leggi. Queste classi, secondo il grado di saggezza al quale sono pervenute, possono proporsi scopi ben differenti quando perseguono in tal modo la conquista dei loro diritti politici: o vogliono far cessare la spogliazione legale, o aspirano a prendervi parte. Disgrazia, tre volte disgrazia alle nazioni nelle quali questa ultima idea domina nelle masse, nel momento in cui quelle imparino a loro volta quale sia la potenza delle Legge! Fino a questa epoca la spogliazione legale si esercitava da parte del piccolo numero a carico del grande numero, come si vede presso i popoli nei quali il diritto legislativo è concentrato in poche mani. Ma, ecco il diritto legislativo divenuto universale, ed ecco che l’equilibrio è cercato nella spogliazione universale. Anziché estirpare ciò che la società conteneva di ingiustizia, si generalizza l’ingiustizia. Non appena le classi diseredate hanno recuperato i loro diritti politici, il primo pensiero che le tormenta non è quello di liberarsi dalla spogliazione (ciò supporrebbe in esse una saggezza che non possono avere), ma quello di organizzare, contro le altre classi ed a loro proprio detrimento, un sistema di rappresaglie – come se fosse necessario, prima che arrivi il regno della Giustizia, che una crudele retribuzione venga a colpire tutti, gli uni a causa della loro iniquità, gli altri a causa della loro ignoranza. Non si poteva perciò introdurre nella società un più grande cambiamento ed una più grande disgrazia che non quella: la Legge convertita in strumento di spogliazione.

Quali sono le conseguenze di una tale perturbazione? Ci vorrebbero volumi per scriverle tutte. Accontentiamoci di indicare le più importanti.

La prima, è quella di cancellare nelle coscienze la nozione di giusto e di ingiusto. Nessuna società può esistere se il rispetto della Legge non vi regna in qualche grado; ma ciò che è più sicuro, affinché le Leggi siano rispettate, è che devono essere rispettabili. Quando la Legge e la morale sono in contraddizione, il cittadino si trova nella crudele alternativa o di perdere la nozione di morale o di perdere il rispetto della Legge, due disgrazie ugualmente grandi, e tra le quali è difficile scegliere. E’ talmente nella natura della Legge di fare regnare la Giustizia, che Legge e Giustizia sono tutt’uno, nella mente delle masse. Noi tutti abbiamo una forte predisposizione a considerare quello che è legale come legittimo, al punto che ve ne sono molti che fanno discendere falsamente tutta la Giustizia dalla Legge. E’ dunque sufficiente che la Legge ordini e consacri la spogliazione, perché la spogliazione stessa appaia giusta e sacra a molte coscienze. La schiavitù, la restrizione, il monopolio, trovano difensori non solo tra quelli ne traggono profitto, ma anche tra quelli che ne soffrono. Provate a proporre qualche dubbio sulla moralità di queste istituzioni. “Voi siete, vi si dirà, un pericoloso innovatore, un utopista, un teorico, un disprezzatore delle leggi; voi distruggete la base sulla quale poggia la società”. Tenete un corso di morale o di economia politica? Saranno trovati delle vie ufficiali per far giungere al governo questo auspicio: “Che la scienza sia ormai insegnata, non più dal solo punto di vista del libero scambio (della libertà, della proprietà e delle Giustizia), così come è avvenuto fino ad oggi; ma anche e soprattutto dal punto di vista dei fatti e della legislazione (contraria alla libertà, alla proprietà e alla Giustizia) che governa l’industria francese”…. “Che, nelle cattedre pubbliche pagate dal Tesoro, il professore si astenga rigorosamente dal portare il minimo attacco al rispetto delle leggi in vigore, ecc”. In modo che, se esiste una Legge che sanziona la schiavitù o il monopolio, l’oppressione o la spogliazione in qualunque forma, non se ne dovrà neppure parlare; perché parlare, senza scuotere il rispetto che la Legge ispira? Ben di più, sarà necessario insegnare la morale e l’economia politica dal punto di vista di questa Legge, vale a dire sulla base della supposizione che sia giusta solo perché è una Legge.

Un altro effetto di questa deplorevole perversione della Legge, è quello di dare alle passioni e alla lotta politica, ed in generale alla politica propriamente detta, una preponderanza esagerata. Potrei provare questa affermazione in mille modi. Mi limiterò, come esempio, ad avvicinarla all’argomento che di recente ha preso ad occupare tutte le menti: il suffragio universale. Checché ne pensino gli adepti della scuola del Rousseau, la quale si dice molto avanzata, e che io giudico arretrata di venti secoli, il suffragio universale (prendendo questa parola nel suo significato stretto) non è uno di quei dogmi sacri, al cui riguardo l’esame o il dubbio siano dei crimini. Gli si possono opporre gravi obiezioni. Innanzitutto il termine universale nasconde un sofismo grossolano. In Francia ci sono trentasei milioni di abitanti. Affinché il diritto di voto sia universale, dovrebbe essere riconosciuto a trentasei milioni di elettori. Nel sistema più ampio, non se ne riconoscono che nove milioni. Tre persone su quattro ne sono dunque escluse e, in più, sono escluse da questa quarta persona. Su quale principio si fonda questa esclusione? Sul principio di incapacità. Suffragio universale significa: suffragio universale dei capaci. Restano le questioni di fatto: chi sono i capaci? L’età, il sesso, le condanne giudiziarie, sono i soli segni dai quali si possa riconoscere l’incapacità? Se si osserva da vicino, ci si accorge ben presto del motivo per il quale il diritto di voto si basa sulla presunzione di capacità, laddove un sistema più ampio differisce da un altro più ristretto in questo solo punto, nella valutazione dei segni per mezzo dei quali questa capacità possa essere riconosciuta; cosa che non costituisce una differenza di principio, ma una differenza di grado. Questa ragione, deriva dal fatto che l’elettore non decide per se, ma per tutti. Se, come pretendono i repubblicani dallo stile greco e romano, il diritto di voto ci è toccato con la vita, sarebbe iniquo per gli adulti impedire alle donne ed ai bambini di votare. Perché lo si impedisce? Perché li si presume incapaci. E perché l’incapacità è una causa di esclusione? Perché l’elettore non raccoglie solo la responsabilità del proprio voto; perché ogni volta impegna e colpisce la comunità tutta intera; perché la comunità ha ben il diritto di esigere qualche garanzia, per quanto riguarda gli atti dai quali dipendono il proprio benessere e la propria esistenza. 

So che cosa si può rispondere; so anche che cosa si potrebbe replicare; ma non è questo il luogo per esaurire una tale controversia. Ciò che io vorrei far osservare, è che questa stessa controversia (così come la maggior parte delle questioni politiche) che agita, appassiona e sconvolge i popoli, perderebbe quasi tutta la sua importanza, se la Legge fosse sempre stata quella che dovrebbe essere. In effetti, se la Legge si limitasse a far rispettare tutte le persone, tutte le libertà, tutte le proprietà, se essa non fosse che l’organizzazione del diritto individuale di legittima difesa, l’ostacolo, il freno, il castigo, opposti a tutte le oppressioni, a tutte le spogliazioni, credete forse che discuteremmo molto, tra cittadini, a proposito del suffragio più o meno universale? Credete forse che metteremmo in gioco il più grande dei beni, la pubblica pace? Credete forse che le classi escluse non attenderebbero pacificamente il loro turno? Credete forse che le classi ammesse sarebbero molto gelose dei loro privilegi? E non è ben chiaro che, essendo comune e identico l’interesse, gli uni agirebbero, senza grandi inconvenienti, per gli altri? Ma che si introduca questo principio funesto; che, con il pretesto di organizzare, regolamentare, proteggere, incoraggiare, la Legge possa prendere agli uni per dare agli altri, pescare nella ricchezza acquisita da tutte le classi per aumentare quella di una classe, talora quella degli agricoltori, talora quella dei fabbricanti, dei commercianti, degli armatori, degli artisti, dei commedianti; certo, in questo caso non c’è classe che non pretenda, a ragione, di mettere anch’essa le mani sulla Legge, che non rivendichi con furore il suo diritto di elettorato attivo e passivo; che non sconvolga la società piuttosto che di non ottenere alcunché.

Gli stessi mendicanti e vagabondi vi dimostreranno di possedere titoli incontestabili. Vi diranno “Noi non acquistiamo mai del vino, del tabacco, del sale, senza pagare le imposte; ed una parte delle imposte è data per Legge in premi o sovvenzioni ad uomini più ricchi di noi. Altri fanno sì che la Legge serva ad aumentare artificialmente il prezzo del pane, della carne, del ferro, dei tessuti. Poiché ognuno sfrutta la Legge a proprio profitto, anche noi vogliamo sfruttarla. Noi vogliamo farne uscire il diritto all’assistenza, che è la parte di spogliazione del povero. Per questo motivo, occorre che anche noi si divenga elettori e legislatori, affinché anche a noi sia possibile organizzare in grande l’elemosina per la nostra classe, così come voi avete organizzato alla grande la protezione per la vostra. Non diteci che ci darete la nostra parte, o che ci getterete, secondo la proposta di Mimerel, una somma di 600.000 franchi per farci tacere e come un osso da rosicchiare. Noi abbiamo altre pretese e, in ogni caso, noi vogliamo decidere per noi stessi così come le altre classi hanno deciso per se stesse”.

Che cosa si può rispondere a questo argomento? Eh si, finché sarà accettato per principio che la Legge possa essere deviata dalla sua vera missione, che la Legge può violare le proprietà anziché garantirle, ogni classe vorrà fare la Legge, sia per difendersi contro la spogliazione, sia per organizzarla a proprio profitto. La questione politica sarà sempre pregiudiziale, dominante, assorbente; in una parola, ci si batterà sulla porta del palazzo della Legge. Ma la lotta non sarà meno dura all’interno. Per esserne convinti, non è neppure necessario osservare che cosa accada nei Parlamenti in Francia ed in Inghilterra; è sufficiente sapere come si pone la questione.

E’ forse necessario provare che questa odiosa perversione della Legge sia una causa perpetua di odio e di discordia, capace di arrivare fino alla disorganizzazione sociale? Gettate una sguardo sugli Stati Uniti. E’ il paese nel mondo nel quale la Legge rimane di più entro il proprio ruolo, che è quello di garantire a ciascuno la sua libertà e la sua proprietà. Ed è così che è il paese nel mondo nel quale l’ordine sociale sembra posare sulle più stabili basi. Tuttavia, persino negli Stati Uniti, ci sono due questioni, solo due, che fin dal principio hanno posto in pericolo l’ordine politico. Quali sono? Quella della schiavitù e quella delle tariffe doganali, vale a dire le due sole questioni precisamente nelle quali, contrariamente allo spirito generale di quella repubblica, la Legge ha assunto i tratti dello spogliatore. dall’altro più ristretto La schiavitù è una violazione, sanzionata dalla Legge, dei diritti della persona. Il protezionismo è una violazione, perpetrata dalla Legge, del diritto di proprietà; e certamente, è ben rimarchevole che nel mezzo di tanti altri dibattiti, questo doppio flagello legale, triste eredità del mondo antico, sia il solo che possa condurre e forse condurrà alla rottura dell’Unione. Il fatto è che non si riesce ad immaginare, nel seno di una società, un fenomeno più considerevole di questo: la Legge divenuta strumento di ingiustizia. E se questo fenomeno genera conseguenze formidabili negli Stati Uniti, ove non è che una eccezione, che dovrebbe essere qui in Europa, dove è un principio, un sistema?

Il de Montalembert, facendo proprio il pensiero di un famoso proclama del Carlier, diceva: “Bisogna far la guerra al socialismo”. E per Socialismo, occorre credere che, secondo la definizione del Dupin, intendeva la spogliazione. Ma di quale spogliazione voleva parlare? Perché ce ne sono due tipi. C’è la spogliazione legale e quella extra-legale. Quanto alla spogliazione extra-legale, quella che si chiama furto, ruberia, quella che è definita, prevista e punita dal Codice Penale, in verità, io non credo possa meritare il nome di Socialismo. Non è quella a minacciare sistematicamente la società alle sue basi. D’altro canto, la guerra contro questo genere di spogliazione non ha atteso il segnale del de Montalembert o del Carlier. Essa prosegue fin dall’inizio del mondo; la Francia stessa vi avrebbe provveduto, assai prima della rivoluzione di febbraio, assai prima della apparizione del socialismo. Per mezzo di tutto un apparato di magistratura, di polizia, di gendarmeria, di prigioni, di bagni penali e di patiboli. E’ la Legge stessa che conduce questa guerra; e quello che sarebbe desiderabile, secondo me, è che la Legge conservasse sempre questa attitudine verso la spogliazione.

Ma non è così. La Legge prende partito, qualche volta, per quella. Qualche volta la compie persino con le proprie mani, allo scopo di risparmiare al beneficiario l’offesa, il pericolo e lo scrupolo. Qualche volta mette tutto quell’apparato di magistratura, polizia, gendarmi e prigioni, al servizio di chi spoglia e tratta da criminale lo spogliato che si difende. In una parola, vi è spogliazione legale, ed è certamente di quella che parla il de Montalembert. Questa spogliazione non può essere, nella legislazione di un popolo, che una macchia straordinaria ; in questo caso, ciò che vi è di meglio da fare, senza tante declamazioni e geremiadi, è di cancellarla il più presto possibile, malgrado il clamore degli interessati. Come riconoscerla? E’ ben facile. Occorre esaminare se la Legge prenda a qualcuno ciò che gli appartiene per dare a qualcun altro ciò che non gli appartiene. Occorre esaminare se la Legge compie, a profitto di un cittadino e a danno di un altro, un atto che questo cittadino non potrebbe compiere da solo senza commettere un reato. Affrettatevi ad abrogare quella Legge; essa non solo è una iniquità, ma è una fonte feconda di iniquità; perché chiama le vendette; e se non ci fate attenzione, il fatto eccezionale si estenderà, si moltiplicherà e diverrà sistematico. Senza dubbio, il beneficiario alzerà grandi grida e invocherà i diritti acquisiti. Dirà che lo stato deve protezione e incoraggiamento alla sua industria; aggiungerà che è giusto che lo stato lo arricchisca, perché essendo più ricco spende di più e sparge così una pioggia di salari sui poveri operai. State attenti ascoltando questo sofista: è proprio con la diffusione di argomenti come questi che si diffonderà la spogliazione legale.

E’ quello che è accaduto. La chimera del giorno è quella di arricchire tutte le classi a spese le une delle altre; è quella di generalizzare la spogliazione con il pretesto di organizzarla. Ora, la spogliazione legale può esercitarsi in un numero infinito di modi; da ciò ecco una infinità di piani di organizzazione: tariffe, protezioni, aggi, sovvenzioni, incentivi, imposta progressiva, istruzione gratuita, diritto al lavoro, diritto al profitto, diritto al salario, diritto all’assistenza, diritto agli strumenti di lavoro, gratuità del credito, eccetera. L’insieme di tutti questi piani in ciò che hanno in comune, cioè la spogliazione legale, prende il nome di socialismo. Ora, al socialismo, così definito, che forma un corpo di dottrine, quale guerra vorreste fare, se non una di dottrina? Voi troverete questa dottrina falsa, assurda, abominevole. Rifiutatela. Ciò vi sarà tanto più facile quanto è più falsa, più assurda, più abominevole. Soprattutto, se vorrete essere forti, cominciate con l’estirpare dalla vostra legislazione tutto ciò che abbia potuto scivolarvi di socialismo – e il lavoro non è piccolo.

Si è rimproverato al de Montalembert di voler impiegare contro il socialismo la forza bruta. E’ un rimprovero dal quale deve essere esonerato, perché ha detto formalmente: bisogna fare al socialismo quella guerra che sia compatibile con la Legge, l’onore e la giustizia. Ma come può il de Montalembert non accorgersi di essersi messo in un circolo vizioso ? Volete opporre la Legge al socialismo? Ma è proprio il socialismo che invoca la Legge. Non aspira alla spogliazione illegale, ma alla spogliazione legittima. E’ della Legge stessa, ad imitazione dei monopolisti di ogni sorta, che pretende di farsi uno strumento; ed una volta che avrà la Legge a suo favore, come volete girargli la Legge contro? Come vorreste metterlo sotto i colpi dei vostri tribunali, dei vostri gendarmi, delle vostre prigioni? Così, che cosa fate? Voi volete impedirgli di mettere le mani alla redazione delle leggi. Voi volete tenerlo fuori del palazzo della Assemblea Legislativa. Non ci riuscirete, oso predire, finché all’interno si legifererà sul principio della spogliazione legale. Troppo iniquo, troppo assurdo.

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