VI Rapporto sul Processo di Liberalizzazione della Società Italiana
Il sistema dell’informazione.
Specchio e complice della crisi italiana
di Luca Ostellino*
* Inviato politico de «Il Sole24Ore».
Se è vero che la libertà, la qualità, la vivacità e l’autorevolezza
dell’informazione rappresentano un valido, se non il migliore, strumento
per misurare lo stato di salute di un Paese, l’Italia assomiglia sempre
più a un malato terminale.
Non credo di esagerare. La situazione è sotto gli occhi di tutti. La
qualità della vita continua a peggiorare. Gli spazi di libertà si stanno
restringendo e diminuiscono le opportunità per i cittadini, oppressi da
un’amministrazione pubblica e da un sistema fiscale e “parafiscale” a
dir poco vessatori.
Il sistema dell’informazione è lo specchio e, al tempo stesso, il
“complice” di questa profonda crisi.
Esiste infatti una stretta relazione tra il processo di sviluppo civile
e politico e lo sviluppo delle comunicazioni.
Così come lo Stato con i cittadini, i giornali (in particolare la stampa
quotidiana, cui intendo fare soprattutto riferimento in queste pagine)
hanno dimenticato che i veri destinatari – o come ha detto qualcuno i
“veri padroni” – del veicolo e del messaggio giornalistico sono i
lettori.
Nel produrre e confezionare i quotidiani, editori e giornalisti sembrano
al contrario tenere in pochissimo conto le persone che si recano ogni
giorno in edicola a comprare il giornale.
Invece di rafforzarsi, il rapporto tra giornalismo e società civile
continua a risultare assente, mentre la danza a tre tra editori, classe
dirigente giornalistica e classe politica, va avanti in modo sempre più
evidente, a danno della libertà di stampa, della qualità e della
correttezza dell’informazione.
Rispetto agli altri Paesi liberal-democratici, in Italia l’esclusione da
questo quadro della variabile opinione pubblica non consente di creare
quella difesa naturale della libertà di informazione rappresentata dal
consumatore “diretto” del messaggio giornalistico e non solo dai suoi
fruitori “mediati”, gli interessi economici e quelli politici (per
quanto legittimi).
I giornalisti, l’anello debole della catena, sono così maggiormente
esposti alle pressioni sia degli editori, sia della classe politica.
E vi si adeguano senza opporre grandi resistenze, al punto da risultare,
spesso, “più realisti del Re”.
Sono in particolare i redattori ed i capiservizi più giovani ad aver
capito l’antifona e ad essersi “fatti furbi”.
I capiservizi ed i loro vice sembrano sempre più dei piccoli burocrati,
attenti a compiacere chi è opportuno compiacere e a misurare con il
bilancino citazioni e proposte degli esponenti delle diverse forze
politiche riportate negli articoli.
Ogni tentativo di andare oltre la semplice parafrasi delle agenzie, di
individuare i nessi causali tra i vari fatti e offrire al lettore un
interpretazione delle notizie, dare cioè al servizio il valore aggiunto
che deriva dalla cultura politica, dalle competenze, l’esperienza e la
possibilità di accesso alle fonti di chi scrive, viene attentamente
scoraggiato.
Perché crearsi problemi?
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