Il declassamento italiano nel campo dell’indipendenza giudiziale
Pier Giuseppe Monateri*
1. La rilevanza economica dell'indipendenza giudiziale e la nuova legge sull'ordinamento giudiziario
Nello scorso anno il panorama giuridico italiano è stato fortemente marcato dalla approvazione della legge di riforma della magistratura(legge 25 luglio 2005, numero 150).
Tale testo, fortemente avversato dalla maggioranza della magistratura, che era già stato approvato dal Parlamento, ma era stato rimandato alle Camere per riesame dal Presidente della Repubblica con il messaggio del 17 dicembre 2004. Il suo stesso iter testimonia quindi sia la centralità che la natura controversa del provvedimento.
La riforma è volta soprattutto a :
1. ripristinare incentivi interni di carriera;
2. aumentare le possibilità di interventi disciplinari sull'attività dei magistrati;
3. aumentare il controllo sull'interpretazione della legge.
La parte che più interessa dal punto di vista di una valutazione comparativa con gli altri sistemi economici occidentali è quella che riguarda l'indipendenza e l'autonomia dei giudici, come variabile economicamente rilevante (Ramseyer 1998).
Si tratta di una variabile di rilevanza globale in quanto come è stato ampiamente dimostrato nella letteratura economica è fra i fattori principali da prendere in considerazione per la performance dei sistemi (North 1990) è proprio la judicial indipendence (Ali 1997).
Peraltro proprio la letteratura liberale standard pone in strettissima relazione l'autonomia del giudice e la difesa dei diritti dei privati contro le ingerenze del governo (Pejovic 2005), onde un governo di ispirazione liberale non potrebbe che favorire un massimo grado di indipendenza giudiziale.
Da questo punto di vista possiamo pensare magistratura, governo, e parlamento come attori di un gioco strategico (Barzel 2002) nel tentare di regolare la società e i comportamenti degli agenti privati. Cioè questi tre fattori interagiscono, anche in modo conflittuale, fra di loro nel dettare norme alla società. Il gioco della loro interazione diventa, pertanto, decisivo nella valutazione comparata dei sistemi giuridici. La questione della indipendenza giudiziale diventa allora un fattore rilevante per assegnare un rating ai sistemi in competizione globale (Zoppini 2004), e, quindi, per stabilire il loro piazzamento relativo nell'epoca della globalizzazione.
Orbene l'indipendenza giudiziale, analizzata da un punto di vista economico standard (Ramseyer 1998), è costituita essenzialmente da due fattori:
1. indipendenza del giudice dalle parti : il giudice è indipendente se non si aspetta che il suo benessere sia influenzato dal risultato delle sue decisioni. Si tratta di un valore ampiamente condiviso, anche se spesso non pensato fino in fondo nelle sue conseguenze operazionali. Naturalmente si vuole che il giudice non decida sulla considerazione di quale delle parti risulta essere quella più in grado di reagire violentemente ad una decisione sfavorevole, o quella meglio in grado di remunerare una decisione favorevole. Da questo punto di vista già la possibilità di una azione in responsabilità civile contro il giudice è vista come potenzialmente lesiva della sua indipendenza, ed, infatti, nessuna azione in Tort è ammessa, nei sistemi anglosassoni, contro il giudice per una sua decisione: esiste in sostanza una judicial immunity per preservarne l'indipendenza (Keeton 1984). Un tale principio è ormai abbandonato nel nostro ordinamento (Monateri 1998), ed ogni ampliamento della responsabilità civile del magistrato tende ovviamente a ridurne l'indipendenza dai fattori concernenti le conseguenze decisionali.
2. indipendenza dal governo: in quanto, più in generale, indipendenza “from elected politicians” (Ramseyer 1998). Anche questo è un valore fortemente condiviso, anche se non viene, spesso, portato alle sue logiche conseguenze. Si vuole, innanzitutto, che i giudici non siano nominati su basi partisan, e che non debbano affrontare carriere provviste di incentivi politici. E' ovvio infatti che se la carriera del giudice dipende da incentivi di natura politica, o politicamente influenzabile, la sua indipendenza dai politici risulti fortemente minata. Le sue decisioni devono quindi restare il più possibile immuni da considerazioni che possano appiattirle sullo schema di preferenze dei politici eletti.
Punti salienti della riforma da considerare rispetto a tale autonomia dei giudici sono quindi quelli che concernono nuove e più ampie possibilità di intervento disciplinare nei loro confronti.
In particolare, rispetto alla nuova riforma, sono da considerare le possibilità di intervento disciplinare per:
1. l'adozione di provvedimenti con motivazioni contraddittorie. Tale regola apparentemente neutrale può in realtà avere vaste conseguenze. Il sistema degli appelli, e dei gravami in Cassazione, è infatti fondato su una critica della motivazione delle sentenze, onde l'accoglimento dell'appello potrebbe sempre potenzialmente scatenare un controllo disciplinare sul magistrato di prima e seconda istanza, diminuendone fortemente l'autonomia.
2. l'adozione di atti e provvedimenti che costituiscono esercizio di una potestà riservata dalla legge ad organi legislativi o amministrativi ovvero ad altri organi costituzionali. In tal modo ogni divergenza di opinioni e di ricostruzione dei principi di ripartizione dei poteri costituzionali - materie ovviamente opinabili - può scatenare potenzialmente un'azione disciplinare1.
3. l'attività di interpretazione di norme di diritto non in conformità ai criteri dell'interpretazione letterale. Si tratta qui, evidentemente, della sponsorizzazione di una interpretazione letterale, intesa come prevalenza della volontà del politico sugli strumenti di analisi e ricostruzione puramente giuridica del giudice, non effettuata mediante i consueti meccanismi di revisione giudiziale delle sentenze(art. 12 pre-leggi c.c.), ma nuovamente con il ricorso agli strumenti della subordinazione disciplinare.
4. l' omissione di comunicazione di fatti di altri magistrati che possono costituire illeciti disciplinari. Si tratta qui evidentemente della creazione di incentivi a sollevare comunque la potenziale responsabilità dei colleghi, per evitare di incorrere in una responsabilità propria. Si tratta quindi di un sistema di incentivi volti a rafforzare la subordinazione disciplinare del magistrato.
[segue]
* Accademia delle Scienze, Bologna; Professore ordinario di Diritto Civile Università di Torino; Scuola Superiore Pubblica Amministrazione.
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