Garanzie e poteri regolatori
Giuseppe De Vergottini*
1. Premessa
Negli ultimi anni una serie clamorosa di episodi ha dato la sensazione della incapacità delle autorità di garanzia a esercitare alcune importanti competenze loro affidate, soprattutto quanto ai poteri di vigilanza nell'interesse di soggetti deboli. Nel settembre 2002 emerge la crisi Cirio; nel dicembre 2003 quella Parmalat; nell'autunno 2005 quella della Banca popolare italiana. In tutti questi casi è sotto accusa il sistema di vigilanza che avrebbe dovuto far da schermo agli interessi dei risparmiatori. Consob e Banca d'Italia hanno dimostrato vistose falle nei loro meccanismi di controllo.
La Indagine conoscitiva sui rapporti fra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio (Camera dei deputati, 2004) ha messo in luce le inadeguatezze del sistema anche se la soluzione parziale dei problemi emersi avrebbe dovuto attendere la legge di tutela del risparmio adottata a fine 2005, dopo che l'indipendenza della Banca d'Italia dal potere politico è stata lo schermo dietro il quale il governatore ha condotto una battaglia di retroguardia che ha provocato danni inimmaginabili alla credibilità del Paese a livello internazionale, oltre che a confermare una generalizzata sfiducia dei risparmiatori nel sistema bancario nazionale.
La Consob, poi, non è stata in grado di evitare il tracollo delle società calcistiche che ha portato al tentativo di salvataggio, contestato in sede comunitaria, tramite il c.d. decreto salvacalcio (D.L. 27/2003). In generale, poi, la Consob non ha dimostrato particolare efficienza e incisività nel tutelare i risparmiatori, come dimostra il caso portato all'esame della Corte di Cassazione (Sez. I, sentenza 3132 del 2001) circa la omissione del controllo sulla completezza e veridicità del prospetto informativo relativo al collocamento presso il pubblico di titolo atipici collegati a una operazione immobiliare.
L'Autorità per l'energia non è stata in grado di monitorare la fornitura di energia elettrica con conseguente black-out del 26 giugno e 28 settembre 2003.
Questi fatti hanno contribuito a metter in discussione l'intero disegno che ha condotto in passato a introdurre nel nostro Paese la costellazione delle autorità indipendenti dal potere politico. Nel corso degli anni Novanta del secolo scorso uno dei fenomeni che hanno maggiormente attirato l'attenzione degli specialisti è stato, infatti, quello del proliferare delle c.d. autorità amministrative indipendenti. Si è trattato di un evento collegato all'affermarsi dell'esigenza di rafforzare il sistema delle garanzie, toccante un tema in realtà per niente nuovo nel panorama politico-istituzionale italiano, in cui alle tutele per l'ampia gamma dei diritti e libertà previste dall'ordinamento è sempre stata dedicata una particolare attenzione, anche se spesso strumentale alle politiche di parte che in molteplici circostanze hanno finito di fatto per limitare le garanzie a precise aree, finendo per creare situazioni oggettivamente discriminatorie.
L'innovazione era rappresentata dalla istituzione di formule organizzatorie originali, dedicate, appunto, alla assicurazione di particolari forme di garanzia nella amministrazione di interessi pubblici, che venivano sottratti alla gestione delle pubbliche amministrazioni legate da dipendenza gerarchica al Governo della Repubblica e assegnate ad apposite “autorità” definite abitualmente “indipendenti”1.
La funzione di garanzia di interessi è in qualche modo riconducibile al vasto movimento che in molti ordinamenti ha tentato di superare l'insoddisfazione per i meccanismi di tutela amministrativi e giurisdizionali tramite l'istituzione dei “fiduciari” parlamentari (ombudsman), nominati dal Parlamento, abitualmente definiti come indipendenti (da Governo e Parlamento), dotati di poteri ispettivi e di poteri di persuasione verso le amministrazioni, esercitanti il controllo dell'attività amministrativa globalmente considerata e non di puntuali provvedimenti amministrativi.
E' in questo quadro che si collocano anche le c.d. autorità amministrative indipendenti la cui funzione di garanzia ha avuto, e continua ad avere, una sua significativa influenza nel valutare il loro ruolo, pur essendo intervenute molte diversificazioni legislative da quando la Commissione per la modernizzazione delle istituzioni (Relazione sulla riforma dell'Amministrazione centrale - 18 giugno 1985) individuava strutture atipiche destinate “non diversamente da quanto avviene con la funzione giurisdizionale, a tutelare imparzialmente gli interessi dei cittadini”, insistendo quindi sull'assimilabilità della funzione di tali strutture a quella di un giudice 2.
In tal senso a una scelta organizzativa di “indipendenza” si riconnetteva una neutralità rispetto agli interessi considerati con lo scopo di assicurare una effettiva “imparzialità” nell'esercizio delle loro funzioni.
Sull'importanza e sull'interesse per la sperimentazione di queste nuove soluzioni organizzative, destinate ad operare in numerosi settori sensibili - quali quello del credito, delle operazioni finanziarie, delle assicurazioni, della concorrenza, dell'informazione, della tutela dei dati personali - si è per alcuni anni accentrata l'attenzione valorizzando il profilo della espansione delle garanzie per i soggetti “deboli” coinvolti nell'attività di poteri “forti”. Nel far questo si è sovente trascurato sia il particolare, non irrilevante, della radicale divergenza del modello delle autorità da quello previsto dalla Costituzione nel disegnare i rapporti fra potere politico e amministrazione, sia il fatto che le autorità oltre che offrire una protezione per i diritti erano anche titolari di significativi poteri di regolazione di settore. In altre parole, spesso e volentieri alle autorità venivano riconosciuti poteri di gestione di importanti settori amministrativi in sostituzione delle tradizionali amministrazioni ministeriali.
2. La regolazione settoriale
Anche se di solito si è portati ad associare le autorità al loro ruolo di garanzia, non deve trascurarsi l'importanza del ruolo di regolazione settoriale che le varie leggi istitutive riconoscono loro. Le variegate funzioni di gestione settoriale trovano origine in diverse cause sovente messe in risalto: sfiducia nella competenza e efficienza dell'amministrazione tradizionale, riconosciuta carenza di imparzialità della medesima, esigenza di particolari competenze specialistiche, tendenza degli interessi di settore ad autogestirsi e a trovare un referente in una struttura organizzativa svincolata (il più possibile) dall'apparato statale e quindi “indipendente”.
E' generalizzata la sensazione che il processo di liberalizzazione, anche grazie al ruolo svolto dalle autorità indipendenti, sia stato significativo. Ma liberalizzazione non significa affatto carenza di regole e quindi di centri di decisione responsabili della loro fissazione. E, in effetti, è agevole riscontrare come, quasi sempre in parallelo a quanto richiesto dalle normative comunitarie, alle autorità sono state assegnate apposite competenze di regolazione, prevedendosi attribuzioni che davano inevitabilmente adito alla presenza di un ruolo moderatore o regolatore delle stesse nei settori interessati alla loro azione.
Il che, a prima vista, sembrerebbe rivelare il paradosso della introduzione di nuove forme dirigistiche, in un panorama che abbina alla progressiva scomparsa della tradizionale impresa pubblica la presenza di “imprese private regolamentate”3, proprio nel momento in cui si apriva la strada a una liberalizzazione delle regole del mercato. Si aggiunga che l'introduzione del modello organizzativo delle autorità non faceva del tutto scomparire, ma soltanto integrava in molti settori, i tradizionali strumenti di regolazione autoritativa caratteristici dell'azione dei pubblici poteri.
Tuttavia in tempi più recenti è possibile registrare un parziale ridimensionamento delle istituzioni indipendenti laddove si consideri che molte leggi hanno, sotto molteplici aspetti, riallocato compiti e competenze alle tradizionali strutture ministeriali. Ad esempio, in materia di energia elettrica, dopo che il c.d. decreto Bersani (D.Lgs. 79/1999) aveva dato alla autorità rilevanti competenze in tema di rilascio di concessioni e formulazione di indirizzi per la sicurezza ed economicità del settore elettrico, il decreto in materia blackout (D.L. 239/2003) ha stabilito che la competenza a decidere le modalità di importazione dell'energia fosse del Ministero delle attività produttive piuttosto che non dell'Autorità per l'energia.
[segue]
* Professore ordinario di Diritto Costituzionale, Università di Bologna
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