Un deficit di liberalismo
Vincenzo Olita*
Il 4° Rapporto di Società Libera viene presentato in un momento significativo per l'immediata comprensione e la conseguente valutazione dello stato delle liberalizzazioni nel Paese.
Le vicende relative al ruolo della Banca d'Italia, alle attività finanziarie di soggetti pubblici e privati, tese al mutamento degli assetti proprietari di Istituti bancari ed organi di stampa, sono l'evidente dimostrazione di quante difficoltà, ostacoli e criticità occorre superare per assicurare alla società italiana un lineare ed organico processo di liberalizzazione.
Al di là della dialettica politica, gli avvenimenti di queste settimane evidenziano, ancora una volta, che il Paese sconta un deficit di liberalismo, una povertà di cultura liberale ascrivibile alla classe dirigente, non solo politica, nel suo complesso.
Il problema non è dissertare sul livello di onestà e di eticità di questa o quella parte politica, bensì individuare, promuovere ed avviare procedure e meccanismi atti a favorire l'esistenza e lo sviluppo di un libero mercato che, non ci stancheremo mai di segnalarlo, per essere tale ha bisogno di assoluta trasparenza, di poche regole e molte certezze. Così come è indispensabile un arretramento della politica da tutti gli ambiti non riconducibili ad un necessario intervento pubblico.
E' evidente che, prima di tutto, occorre un profondo cambiamento culturale capace di frenare la voglia di statalismo e di monopoli che accomuna larghi strati della nostra classe dirigente.
Condividere questa riflessione ci aiuta a comprendere il fenomeno di privatizzazioni che non producono sostanziali liberalizzazioni, intese come pluralità di offerta in cui la qualità di servizi, merci e prodotti si innalza mentre i costi tendono a ridursi.
Non è difficile capire che l'interesse ed il consenso pubblico non è rivolto alle enunciazioni di principio, ma ad un servizio postale che funzioni, ai bassi costi dell'energia, all'efficienza delle telecomunicazioni, dei trasporti, all'efficacia del sistema giudiziario e scolastico, alla concreta pluralità dell'informazione, al superamento di vincoli (quali gli ordini professionali, i monopoli pubblici e privati, il valore legale dei titoli di studio), in una parola, alla concorrenza intesa come interesse generale.
Il quadro che scaturisce dal Rapporto non è dei più rassicuranti, dalla mancata liberalizzazione dei servizi pubblici locali - in molti casi si è intrapreso un percorso inverso, vedi l'Amministrazione provinciale di Milano con l'acquisizione della società Serravalle - alla non ristrutturazione del sistema finanziario, al mantenimento della golden share.
L'innegabile declino competitivo del Paese si accompagna alle perplessità sul sistema giudiziario, così come il moltiplicarsi dei livelli di governo, competenti in tema di regolazione, non agevola certo l'impegno di chi si adopera per una società libera e competitiva.
Il Rapporto, in sintesi, evidenzia preoccupazione per lo stato del liberalismo, preoccupazione accresciuta se si considera l'estemporaneità di alcuni ambienti “liberali” che non esitano a prospettare stravaganti e fantasiose “privatizzazioni” a discapito del consenso verso un'immagine rigorosa e ponderata del liberalismo.
Ma questa è un'altra storia.
* Direttore di Società Libera
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