Quale sicurezza per quali diritti?
Ernesto U. Savona
Ordinario di Criminologia - Direttore di
Transcrime (Centro di ricerca sulla criminalità internazionale) -
Università di Trento
1. Premessa
C’è stata una evoluzione del
problema "sicurezza" nel corso di quest’ultimo anno con tre
passaggi fondamentali: il dibattito elettorale misurato sul bilancio della
passata legislatura e sulle promesse per la nuova, i fatti di Genova del
luglio scorso in occasione della Conferenza dei G8 e l’attacco
terroristico alle Torri gemelle di New York dell’11 settembre. La
sicurezza é un servizio la cui domanda é molto influenzata
dall’offerta e mai come in questo periodo il dibattito sul che fare e
come farlo ha prodotto insicurezza. Se al rumore della passata legislatura
si aggiunge il chiasso delle promesse elettorali di ambedue le coalizioni
ed il dibattito sui fatti di Genova con il seguito della Commissione
d’inchiesta, un primo bilancio potrebbe essere riassunto nella frase
"tanto rumore per nulla". Se a questo rumore si aggiunge il
tuono dell’attacco terroristico e le conseguenze in termini di guerra
dichiarata, non dobbiamo stupirci se la domanda di sicurezza é la massimo
della sua espressione. Il problema sicurezza é un termometro che misura
diverse cose e tra queste: il livello di allarme sociale, la fiducia
dell’opinione pubblica nelle istituzioni e la capacità della politica
di dare risposte di lungo periodo ai problemi sociali indipendentemente
dai ritorni immediati di consenso elettorale. Inoltre, il problema
"sicurezza" é il problema delle sue soluzioni e delle scelte su
quanta democrazia e diritti siamo disposti a "cedere" per vedere
garantito un adeguato controllo sulla criminalità. Le vicende di Genova
mostrano che l’opinione pubblica é attenta al problema dei diritti
umani e che non é disposta a scambiarli per prevenzione e repressione
inefficaci ed inefficIenti e, per questo, non giustificate. L’attacco
terroristico pone gli stessi problemi su scala planetaria: quanto dei
nostri diritti civili, conquistati faticosamente in questi anni, siamo
disposti a scambiare per difenderci dal terrorismo e dalla criminalità
internazionale? E poi siamo sicuri che scambiamo diritti per una maggiore
difesa? Questi sono i problemi che vengono alla mente considerando la
questione "sicurezza" nell’ultimo anno. Su questi problemi si
dovranno necessariamente posizionare gli attori politici con responsabilità
di maggioranza e di opposizione e quelli istituzionali che si occupano
della sicurezza dei cittadini. A tutti si chiede di dare risposte
credibili alla domanda di sicurezza dei cittadini con meno rumore e più
sostanza. Questo capitolo segue lo svolgersi degli avvenimenti sviluppando
i problemi secondo un filo conduttore, quello di guardare agli eventi ed
ai loro effetti e di ragionare ponendosi e ponendo domande su che cosa si
é fatto e su che cosa si potrebbe fare per migliorare la sicurezza dei
cittadini. Non é la proposta di una lista di interventi, quanto più la
proposta di un metodo. Per questo si analizzeranno i dati più rilevanti
che definiscono il quadro nazionale ed internazionale, se ne coglieranno i
cambiamenti e su di loro si considereranno le iniziative della passata
legislatura e di quella attuale guardando a che cosa oggi si vuole
cambiare e come. Una proposta di metodo conclude queste riflessioni.
2. La criminalità in numeri
Per la prima volta il Ministero
dell’Interno ha prodotto nel febbraio di quest’anno il primo rapporto
sulla sicurezza in Italia. Relativamente al tempo breve per prepararlo e
rispetto a prodotti precedenti e simili, questo rapporto é certamente un
passo avanti e costituisce una fonte di informazione ufficiale, ma per
questo non meno interessante, dello stato della sicurezza in Italia.
Vediamone i dati e il commento dalla relazione di sintesi:
..... gli anni novanta hanno
mostrato chiari segni di un progressivo ridimensionamento del numero
dei reati commessi, con una tendenza, rispetto al decennio precedente,
ad una diminuzione delle relative frequenze, che restano ancora, però,
su livelli più elevati rispetto a quelli registrati agli inizi degli
anni settanta. In particolare, le statistiche indicano che, per alcuni
tipi di reato dalla forte visibilità sociale e dalla significativa
valenza culturale (gli omicidi, i furti e le rapine), gli anni novanta
hanno rappresentato un periodo di relativa flessione o stasi dopo
l’esplosione generalizzata e dirompente del 1991. Per altri reati
(lesioni personali, truffe, violenze carnali o sfruttamento della
prostituzione) nel corso del decennio si é assistito, invece, ad un
aumento, più o meno continuo rispetto a quello avvenuto nei due
decenni precedenti. Tutti i reati considerati mostrano, comunque, di
essere più frequenti nei comuni capoluogo; ciò sarebbe da ricondurre
alle differenti opportunità (di compiere un reato, di essere
scoperti, ecc.) che le città più grandi e più ricche offrono
rispetto a quelle più piccole. Si cerca anche di individuare i
fattori che hanno determinato, negli anni novanta, la contrazione di
alcuni reati: essi sono l’azione di contrasto delle Forze di
polizia, specie contro la criminalità organizzata ed i mutamenti
demografici nella composizione della popolazione italiana (soprattutto
l’età). Per altro verso, l’immigrazione clandestina é
annoverata, invece, tra i processi che hanno avuto effetti opposti.
Circa il secondo fattore, si evidenzia il progressivo invecchiamento
della popolazione italiana, mentre la tendenza a delinquere é tipica
delle classi d’età più giovani (le quote più elevate di
condannati per gravi reati predatori si registrano tra i 18 e i 24
anni). Per il reato più violento di tutti, l’omicidio, ne viene
rappresentato l’andamento della serie storica sin dal 1880. Questo
mostra chiaramente che, a parte i picchi corrispondenti ai due periodi
di guerra, la curva é andata progressivamente calando nel corso
dell’ultimo secolo, passando da un tasso di quasi 20 casi ogni
centomila abitanti all’attuale 5. Nel 1968 si é toccato il punto più
basso; poi anche la curva degli omicidi, come quella in generale degli
altri delitti, ha ripreso a crescere, per diminuire nuovamente dopo la
punta del 1991. La rilevanza dell’attività delle Forze di polizia
per contrastare tale reato é dimostrata dal fatto che negli anni
novanta vi é stata un’accentuata riduzione degli omicidi
ascrivibili alla criminalità organizzata ed a quella comune, mentre
sono rimaste pressoché stabili le altre tipologie di tale reato non
direttamente collegate allo svolgimento di attività criminali, ma
dovute a motivi passionali o futili. Gli anni novanta hanno visto,
anche per le rapine, una relativa contrazione dei tassi di occorrenza.
Nell’ambito di questo reato il rapporto evidenzia, però, una
particolarità: é il caso delle rapine in banca, che nell’ultimo
decennio hanno fatto registrare una forte crescita ed interessanti
mutamenti nelle loro caratteristiche esecutive. La tendenza al loro
aumento iniziata in Italia nel 1987, é continuata anche negli anni
‘90, con un primo picco nel 1991 ed un nuovo ennesimo picco nel
1998. Stante questa peculiarità, le rapine in banca sono state
esaminate come fenomeno particolare ed é stato cosÏ riscontrato che,
a fronte dell’accresciuta frequenza del reato, vi é stata una
decrescente remunerabilità. Sono cambiate anche le caratteristiche
degli autori, i quali, in linea di massima, non sono più
professionisti del settore ma spesso agiscono d’impulso, senza una
accorta pianificazione. Diversa la situazione delle rapine negli
uffici postali, reato meno diffuso delle rapine in banca ma che negli
anni novanta ha visto aumentare la propria redditività media. Anche
per altri reati predatori viene indicata la linea di tendenza generale
e ne vengono compiuti degli approfondimenti specifici per meglio
evidenziarne alcune particolarità. In generale, per loro gli anni
novanta hanno registrato un moderato declino o, in alcuni casi,
arresto dopo la lunga fase crescente iniziata negli anni ‘70. Le
dinamiche particolari, però, divergono: i furti in appartamento, dopo
un breve periodo di calo, ricominciano a salire dal 1994 raggiungendo
il picco nel ‘98. Nel 1999, invece, si registra una loro forte
contrazione, confermata anche dai dati del 2000, frutto dell’intenso
lavoro specifico di controllo del territorio, effettuato soprattutto
fuori dai grandi centri urbani che restano il luogo prediletto per la
loro consumazione. I furti di autoveicoli, invece, dopo il picco del
‘91 hanno stabilizzato la tendenza al decremento fino al 2000, con
un indice che rappresenta il valore più basso degli ultimi dieci
anni. Gli scippi, invece, calano vistosamente senza soluzione di
continuità, mentre i borseggi, dopo un periodo di calo dal 1992 al
1995, ricominciano a crescere, superando nel ‘99 il picco del 1991.
In poche parole la situazione
italiana segna un andamento stabile della criminalità nel suo complesso
senza particolari preoccupazioni per categorie di reato. E’ una analisi
di tendenza che riduce al massimo, perché la assume come costante,
l’influenza del numero oscuro, cioè il differenziale tra reati
denunciati e reati effettivamente commessi. Siamo quindi di fronte ad uno
scenario che non desta particolari preoccupazioni, almeno nelle sue linee
generali. Approfondimenti sarebbero necessari a livello degli aggregati
urbani ma purtroppo i dati ufficiali sono ancora inadeguati a produrre
fotografie dettagliate della situazione della criminalità a livello
urbano. Proprio questa assenza ci impedisce di osservare se e come la
distribuzione della criminalità in Italia avvenga a pelle di leopardo,
con concentrazioni maggiori in alcune zone urbane e minori in altre. Sono
proprio queste le "zone" dove la percezione della criminalità
produce gli effetti della preoccupazione e della paura. Se a questa
assenza si aggiunge che in Italia le indagini di vittimizzazione, quelle
cioè dirette a quantificare la criminalità reale, sono partite soltanto
di recente, si può comprendere come l’apparato dei dati sia del tutto
inadeguato per riflessioni sulle dinamiche particolari di certi reati in
specifiche aree del Paese. Contentiamoci comunque di una valutazione
sommaria sull’andamento stabile della criminalità come quella
illustrata dal Rapporto ministeriale. Un giudizio sommario affrontabile,
però, con quello di Paesi e di aggregati di Paesi (media paesi Unione
Europea) con i quali ci confrontiamo spesso. Figure I grafici confermano
che la situazione italiana rispetto a quelle di altri paesi non desta
particolari preoccupazioni in termini di reati denunciati e di tendenza.
Anzi sia nel complessivo dei reati denunciati che per singole categorie di
reati la situazione italiana é migliore della media dei paesi
dell’Unione Europea e degli USA e peggiore di quella giapponese che da
tempo mantiene il record di bassa criminalità.
3. La domanda di sicurezza
Ci sarebbe da chiedersi con questi
dati: ma allora perché tutta questa preoccupazione per la criminalità,
perché un aumento della paura? La risposta é che la preoccupazione per
la criminalità riguarda la percezione di insicurezza che dipende anche
dall’andamento della criminalità, dalle sue trasformazioni e
concentrazioni, ma dipende pure da tante altre cose. C’é un dibattito
aperto sulla preoccupazione e paura per la criminalità che si dice siano
in crescita in Italia e in molti altri Paesi. Figure Si tratta, forse di
affermazioni semplicistiche ma comunque utili a registrare un fenomeno.
Andiamo con le parole della relazione di sintesi del rapporto del
Ministero dell’Interno sullo stato della sicurezza in Italia che
riguardano la percezione della sicurezza caratterizzate forse da un certo
ottimismo pre-elettorale.
..... Probabilmente anche in
Italia, come in altri Paesi occidentali, la paura personale della
criminalità é fortemente aumentata negli anni ‘70 ed ‘80, quando
è iniziato a crescere il tasso annuale di furti, rapine ed omicidi.
Stando, però, ai dati disponibili, nell’ultimo decennio non é
riscontrabile un aumento della paura di vittimizzazione. Questa,
d’altronde, é determinata non da reati ascrivibili alla grande
criminalità organizzata, bensì dalla criminalità predatoria (furti
e rapine). La paura della criminalità si distribuisce in modo
disomogeneo tra la popolazione, variando con l’età, il sesso e la
collocazione geografica: essa é più forte tra i giovanissimi e gli
anziani, tra le donne, in alcune regioni meridionali (anche se la
percezione di un aumento dell’attività illegale penalmente
rilevante é più forte al Nord), nei grandi centri metropolitani. Ma
non sono solo i gravi reati ad influenzare la paura della
vittimizzazione, concorrendovi anche i cosiddetti reati
"morbidi", che altro non sono che atteggiamenti di inciviltà
indicanti la rottura di un ordine sociale condiviso e la perdita di
controllo da parte delle comunità sul proprio territorio, con
conseguente percezione di insicurezza da parte dei cittadini. Circa la
percezione di sicurezza, sono poi presentati i risultati di alcune
rilevazioni svolte nel secondo semestre del 2000 dal CIRM per conto
del Ministero dell’Interno, su un campione di persone
ultradiciottenni residenti in Italia. La sicurezza viene citata dagli
italiani come terza questione, in ordine di importanza, dopo
l’occupazione e le pensioni, ed é descritta come una dimensione
individuale legata più al rischio di interventi negativi di forze
estranee ed accidentali che all’azione specifica di figure e
personaggi fisici (una sorta di sentimento la cui messa in pericolo
non é immediatamente collegata alla altrui azione criminale).
Sostanzialmente i cittadini si sentono sicuri nel proprio quartiere,
si sentono protetti ed hanno fiducia nell’attività delle Forze di
polizia, del cui operato sono abbastanza soddisfatti. Le forme
criminali che incidono maggiormente sul senso di sicurezza sono in
ordine decrescente: i furti in appartamento, la criminalità
organizzata, lo spaccio di droga, gli scippi, le aggressioni, le
rapine, le violenze sessuali, il terrorismo ed il racket della
prostituzione. Il contesto urbano é generalmente vissuto come più
pericoloso, e pertanto i cittadini vorrebbero più prevenzione e più
visibilità delle Forze di polizia. La presenza di immigrati, invece,
non é vissuta, nella maggioranza dei casi, come fattore incidente
negativamente sul senso collettivo di sicurezza.
Anche qui qualche perplessità sui
dati utili a misurare le preoccupazioni e le paure dei cittadini italiani
rispetto alla criminalità. Purtroppo al di là dell’indagine nazionale
ISTAT di vittimizzazione niente di niente sul piano dei confronti
internazionali. L’Italia infatti brilla per la sua assenza tra più
settanta Paesi che partecipano periodicamente alla International Crime
Victim Survey. Il primo ed unico contributo italiano é del 1992,
mentre l’indagine é arrivata già alla quarta somministrazione nel
2000. Ci sono stati ripetuti solleciti all’ISTAT e ad altri enti per
coinvolgere l’Italia in questa analisi periodica ma non c’é stato
niente da fare. Nessuna tra le istituzioni ha pensato che saperne di più
in termini di analisi comparata poteva essere utile. Per tutti bastava
quella nazionale che ha mosso da recente i primi passi.
4. L’offerta di sicurezza
L’Italia non ha alcuna tradizione
di studi di policing. Gli apparati di Polizia non sono, come in
molti altri Paesi, oggetto di studio e pertanto si collocano al di fuori
del dibattito sul che fare in termini di sicurezza. Dati ce ne sono pochi
e non sempre attendibili su quanto costa l’apparato di repressione e
sulle sue performances. Un rapporto svolto nell’ambito della
Commissione della spesa pubblica del Mistero del Tesoro dovrebbe dire
qualcosa in più su questo aspetto. Nell’assenza di dati una valutazione
seria di efficacia ed efficienza dei nostri apparati di Polizia con
indicatori comparabili con altri Paesi rischia semplificazioni.
I dati di ricerca (1) riportati nel
rapporto di Società Libera dello scorso anno ci dicono che gli apparati
di Polizia italiani sono al primo posto tra i Paesi europei con 488
addetti per 100.000 abitanti. E’ un dato che ci dice quanti sono, ma per
sapere cosa fanno e quanto costano occorre altro. Sempre il Rapporto sullo
stato della sicurezza in Italia del Ministero dell’Interno, al capitolo
XI, ci da qualche informazione a riguardo. I due grafici, riportati di
seguito, ci dicono che nel corso degli ultimi anni gli apparati di Polizia
hanno denunciato ed arrestato di più. Questi dati confrontati con la
stabilità della curva della criminalità fanno pensare ad una maggiore
attività delle Forze di polizia nei confronti della criminalità. Con il
termine "maggiore" indichiamo una valutazione complessiva di
maggiore efficacia ma non di efficienza per la quale occorrerebbero almeno
dati affidabili sul numero degli addetti e sui costi del sistema.
5. Quando domanda ed offerta di
sicurezza non si incontrano
Credo non ci sia cosa più difficile
di quella di soddisfare la domanda di sicurezza, anche perché spesso non
si capisce cosa sia, e si dà per scontato che sia una richiesta di
maggiore repressione. Se iniziamo ad analizzarne la composizione possiamo
dire che la domanda di sicurezza é l’espressione ‘spuria’ (perché
per lo più filtrata dai mass media) di una serie di opinioni,
preoccupazioni e paure che si riferiscono alla criminalità ma che non
necessariamente sono dovute alla criminalità. E, infatti, se cominciamo a
distinguere all’interno del concetto, un po’ troppo ampio, di
‘percezione di insicurezza’ le variabili che lo costituiscono, si
arriva a comprendere che il fatto di aver subito un reato spiega solo in
parte la domanda di sicurezza. Un quadro sinottico preparato da Roberto
Cornelli, ricercatore a Transcrime-Università di Trento, può riassumere
problemi e concetti sulla percezione d’insicurezza e ha costituito il
punto di partenza dell’indagine sulla percezione di insicurezza dei
trentini, riportata nel Terzo rapporto sulla sicurezza nel Trentino
dell’ottobre di quest’anno. Figure Questo quadro sinottico considera
varie forme di percezione, distinguendole per dimensioni
(cognitive/emozionali) e per ambito di riferimento (generale/zona di
vita/personale). La percezione del rischio di criminalità (in generale e
a livello locale) é un giudizio di valutazione della gravità del rischio
criminale, che non tocca aspetti emozionali, quali paura, preoccupazione o
ansia, che eventualmente sono alla base di tale valutazione.
L’attenzione é posta sugli aspetti cognitivi della percezione
d’insicurezza. Anche la percezione della propria vulnerabilità ha che
fare con la dimensione cognitiva della percezione, trattandosi di un
calcolo probabilistico di subire un reato. La preoccupazione per la
criminalità (in generale e nella zona di abitazione) esprime una
dimensione emotiva della percezione: la preoccupazione é quel sentimento
d’inquietudine che, pur non toccando personalmente chi lo esprime,
influisce sul suo stile di vita e sulla sua visione del mondo. A livello
personale, l’inquietudine si esprime in ansia per la criminalità quando
si crede di essere a rischio di subire un reato, e, quindi, si teme che
prima o poi questo potrà accadere. La paura del crimine, invece, é una
reazione emotiva che nasce dalla percezione di una minaccia imminente
messa in atto da altre persone.
Ambito di riferimento della percezione
|
Dimensioni della percezione
|
Componenti cognitive
|
Componenti emozionali
|
Giudizio di carattere generale
|
a livello generale
|
Percezione generale del rischio criminalità
(valutazione generale del rischio criminalità)
|
Preoccupazione per la criminalità
(sentimento di inquietudine rispetto alla criminalità in
generale).
|
nella zona di abitazione
|
Percezione del rischio criminalità a
livello locale (valutazione del rischio criminalità nella zona di
abitazione).
|
Preoccupazione per la criminalità nella
zona di abitazione (sentimento di inquietudine verso il rischio di
criminalità nella zona di abitazione).
|
Giudizio di carattere personale
|
Percezione della propria vulnerabilità
(valutazione della probabilità di subire un reato)
|
Ansia per la criminalità (sentimento di
inquietudine rispetto al rischio di subire un reato).
|
Paura della criminalità (reazione emotiva
di fronte ad una minaccia imminente).
|
Poniamo il caso di una persona che
sente rumori insoliti in casa propria: se reagisce a questa percezione
pensando che si tratti di un ladro o un assassino, allora può parlarsi
correttamente di paura della criminalità. Questo nonostante la causa del
rumore sia totalmente diversa, come ad esempio i movimenti di un gatto. La
paura svanisce nel momento in cui il pericolo concreto ed immediato si
dimostra infondato. Proprio la concretezza del segnale di pericolo
(nell’esempio il fatto di udire effettivamente dei rumori insoliti) e la
temporaneità della reazione (la paura svanisce nel momento in cui si
riconosce l’assenza di pericolo) permettono di distinguere la paura
dall’ansia (in questo senso si riprende la concettualizzazione operata
da Garofano) (2). Anche se non prevista dal quadro sinottico,
un’ulteriore dimensione della percezione della sicurezza é
rappresentata dall’ansietà, da alcuni indicata come paura senza forma (formless
fear), che costituisce un sentimento d’insicurezza generico, non
riferito necessariamente al fenomeno criminale. Queste distinzioni
teoriche hanno permesso di studiare a fondo la percezione d’insicurezza
dei trentini, e di considerare attentamente quale domanda di sicurezza
questa percezione esprime. I risultati dell’indagine trentina, infatti,
mostrano che la criminalità subita non é il fattore-chiave per
comprendere l’insicurezza: infatti, questa influisce sulle percezioni di
carattere personale (percezione della propria vulnerabilità e ansia per
la criminalità), ma per nulla su quelle di carattere generale
(preoccupazione e valutazione del rischio in generale). Il motivo per cui
spesso le persone ritengono che la criminalità sia un problema
preoccupante non va, dunque, ricercato nell’andamento della criminalità,
ma piuttosto nella scarsa fiducia nelle istituzioni: i dati della ricerca
trentina, infatti, mostrano che la fiducia nelle istituzioni e nelle forze
dell’ordine costituisce l’elemento attorno a cui si costruisce la
domanda di sicurezza. Non é strano, per esempio, che il 63% degli
intervistati nell’indagine CIRM, condotta per conto di Repubblica e
pubblicata il 27 settembre, si senta meno sicuro dopo l’attentato
terroristico alle Torri gemelle di New York. Sicuramente questa
percentuale é destinata a riassorbirsi lentamente con il passare del
tempo, ma un contributo rilevante della sua riduzione é dato dal gioco di
due variabili: la capacità delle istituzioni di governo e controllo della
criminalità di offrire soluzioni credibili affinché ciò che é accaduto
a New York non si debba più ripetere, e la convinzione dei cittadini che
eventi di questa portata non si verifichino più. Trasferendo questo
concetto al rapporto tra domanda ed offerta di sicurezza possiamo
concludere in questo modo: la domanda di sicurezza tende a diminuire
quanto maggiore é la fiducia nelle istituzioni preposte al controllo
degli eventi che producono insicurezza, tra cui la criminalità, e questa
fiducia é a sua volta il risultato del riconoscimento e della
legittimazione di queste istituzioni ad essere capaci di soddisfare le
aspettative di sicurezza dei cittadini. Semplificando si può dire che
domanda di sicurezza e fiducia nelle istituzioni sono quasi inversamente
proporzionali: cresce l’una quando diminuisce l’altra e viceversa e,
semplificando ulteriormente, i cittadini si sentono più sicuri se credono
che le istituzioni che li governano siano capaci di governare. Questa
condizione si verifica quando l’opinione pubblica riceve segnali chiari
in questa direzione: ma quali sono questi segnali?
6. Le politiche della sicurezza in
Italia
Politiche della sicurezza devono
intendersi tutte quegli interventi che toccano direttamente o
indirettamente il sistema dell’ordine pubblico e quindi il funzionamento
delle polizie e degli apparati di giustizia che a quel sistema fanno
riferimento per le decisioni che prendono. Politiche della sicurezza sono
anche quelle che tutelano le vittime. Queste politiche sono indirizzate
alle tre componenti del sistema "sicurezza": apparati di
polizia, di giustizia e tutela delle vittime. Ho esaminato tutti gli
interventi legislativi maturati nell’ultima legislatura raccolti nella
classificazione dell’archivio della Camera dei Deputati nei due settori
di ordine pubblico e polizia e di giustizia e diritto e ne ho raccolto
alcune sensazioni a caldo che si possono così riassumere: - Una
prevalenza di disposizioni limitate alla organizzazione normativa degli
apparati di polizia e di giustizia con scarsa attenzione al problema della
loro funzionalità. - Una assenza di interventi sostanziali per il
miglioramento dei livelli di efficienza dell’amministrazione della
Giustizia se non quelli limita- ti all’aumento degli organici. - Una
assenza di disposizioni a favore della vittime della criminalità, se si
esclude la concentrazione di interventi per vittime di criminalità
organizzata e reati connessi come usura. - Una concentrazione di
interventi nell’ultimo anno della legislatura che si conclude con
l’approvazione del pacchetto "sicurezza" (Legge n. 128 del 26
Marzo 2001, G.U. n. 91 del 19 Aprile 2001) a ridosso della scadenza
elettorale. Si tratta di un bilancio non entusiasmante se si guarda ai
risultati ma certamente preoccupante se si guarda alle assenze. La
filosofia che emerge dai provvedimenti approvati é quella di una politica
della sicurezza orientata all’assetto degli apparati e non alle finalità
che questi devono perseguire, ambigua per necessità di mediazione
politica sul problema dei diritti e dell’efficienza degli apparati e
spesso declamatoria per finalità elettorali. L’assenza di una qualche
politica di tutela delle vittime della criminalità, se non quella di
prevedere che gli agenti raccolgano le denunce a casa di persone
inabilitate a presentarle, nasconde l’ignoranza e la sottovalutazione di
come una seria politica di tutela delle vittime costituisca un tassello
importante per la ricostruzione di un rapporto di fiducia tra cittadini ed
istituzioni. Forse ci si aspettava di più in termini di efficienza e di
tutela dei diritti. 367 condanne dell’Italia ricevute dal Consiglio di
Europa in un anno per violazioni di diritti umani (legati principalmente
alla durate dei processi) sono un primato che purtroppo continua. In un
contesto più ampio sembrerebbe che nella scorsa legislatura sia stato
operato tra maggioranza ed opposizione uno scambio imperfetto tra
efficienza e diritti. La prima aveva idee non sempre chiare su che cosa
occorreva fare per dare efficienza all’organizzazione degli apparati di
polizia e di giustizia perché questi apparati sensibilizzavano i partiti
con le loro richieste corporative. La seconda aveva idee chiare su come
usare la bandiera dei diritti per minimizzare i rischi di condanne per
reati di criminalità economica ed organizzata. Alcune riforme, come
quella del giusto processo o sui pentiti di mafia, forse si potevano fare
meglio ottimizzando giustizia ed efficienza se solo si fosse capito che
queste riforme andavano bene in una giustizia riformata ed efficiente
capace di accettare, per questo, ampie dosi di garantismo. Il rischio che
il garantismo diventi l’iniezione "letale" per la giustizia
inefficiente c’é e si vede. La stessa filosofia che ha caratterizzato
il dibattito sulla sicurezza nella passata legislatura ha determinato
l’agenda dei temi del dibattito elettorale per tutte e due le coalizioni
dove la sicurezza ha brillato per la ricchezza di manifesti e slogan, e
per la povertà di idee e proposte. Queste sembrano mancare nella
legislatura che iniziata da poco, se come unici provvedimenti in materia
di giustizia/sicurezza che hanno terminato il loro iter, vanno ascritti
l’eliminazione del reato di falso in bilancio e la modifica della legge
sulle rogatorie attraverso l’introduzione di elementi formali destinati
ad allungare ulteriormente i tempi delle risposte. Con i prevedibili
effetti negativi sul piano della cooperazione internazionale di polizia
giudiziaria e bancaria che si possono immaginare. Erano provvedimenti
iniziati nella passata legislatura che sono stati colorati da un nuovo
garantismo "processuale" della maggioranza se si guardano a
quali effetti e per chi questi provvedimenti aspirano. Vedremo i prossimi
mesi di governo! Se questi sono i segnali che le nostre istituzioni
preposte al governo del Paese mandano ai cittadini, non possiamo fare a
meno di considerare che la domanda di sicurezza tenderà ulteriormente a
crescere, dal momento che la legittimazione delle istituzioni della
sicurezza e la fiducia tenderanno a diminuire. Questo perché mancano
cultura, strategie, progetti, capacità di realizzazione. Se l’attuale
Governo, che gode di un’ampia maggioranza, non sarà capace di fare
crescere tutti questi quattro aspetti allora le speranze di ricostruire un
rapporto di fiducia tra cittadini ed istituzioni si affievoliscono. Un
rapporto ancor più necessario per superare gli avvenimenti di questo
inizio di secolo che portano davanti ai nostri occhi scenari di violenza
urbana e terroristica, mai visti prima d’ora. Proprio in questi tempi si
chiede a noi tutti di scambiare diritti (privacy, informazione, garanzie
in genere) con sicurezza. Meno diritti per più sicurezza sembra essere un
messaggio ricorrente sul quale dobbiamo riflettere per due ragioni, una di
principio ed una pratica. Quella di principio é che i diritti umani
conquistati a fatica non si scambiano o, se lo si fa, si comprimono per
una ragione specifica e per un periodo di tempo limitato. Quella pratica,
e forse più rilevante, é la domanda: scambiare per che cosa? Se i
"segnali" inviati dalla classe politica italiana in materia di
sicurezza sono quelli della passata legislatura e di quella che é
iniziata allora credo che tutti preferiscano tenersi stretti i loro
diritti. In poche parole, se l’attuale Governo vuole accrescere i
livelli di sicurezza dei cittadini deve costruire una strategia e fissare
una agenda politica della sicurezza fatta di cultura, progetti, capacità
di realizzazione, e se per ottenere questo obiettivo deve comprimere
diritti ne spieghi le ragioni, nei indichi quali e ponga delle scadenze
precise. Proviamo a indicare alcuni punti di questa agenda.
7. Un programma che faccia crescere
la cultura delle sicurezza, che disegni una strategia di breve, medio e
lungo periodo di riduzione della criminalità, che attivi progetti
concreti e li renda applicabili, valutandone periodicamente i risultati
Più che un titolo di paragrafo
sembra un manifesto ed in un certo senso lo é. Gli elementi sono due:
cultura e strategia, dove strategia sottintende la costruzione teorica e
l’applicazione di progetti, che prevedano una rigorosa valutazione anche
dei loro risultati. Sono gli ingredienti di un programma diretto ad
accrescere l’efficacia delle istituzioni cioè a produrre più sicurezza
diminuendo la criminalità e a farlo in modo efficiente cioè diminuendone
i costi. Vediamone alcune componenti. 7.1
Cultura della sicurezza
Il termine va visto in due sensi:
quello antropologico di cultura, come sistema di valori, e quello
dell’apprendimento di nozioni e comportamenti, diretti a migliorare i
livelli di sicurezza. Nel primo caso, cultura della sicurezza coincide con
cultura della legalità ed etica pubblica, cioè con valori. Significa
rispetto delle leggi, ma anche leggi che si fanno rispettare dai
cittadini; significa efficienza nella allocazione delle risorse ed equità
nella loro distribuzione. Significa più autorevolezza che autorità delle
persone ed istituzioni che ci governano. Significa comportamenti coerenti
e non parole al vento, che durano lo spazio di una campagna elettorale.
Significa correttezza nelle relazioni e non opportunismo, significa premio
al merito ed attenzione al bisogno e non nepotismo e clientelismo nella
allocazione di opportunità di lavoro. Significa promuovere
l’integrazione degli immigrati e la loro legalizzazione, chiedendo prima
a noi stessi di imparare a convivere in una società multi-etnica e poi a
loro di adeguarsi alla nostra società senza rinunciare alla loro cultura.
Significa tante cose ancora. Nel secondo caso, cultura della sicurezza
significa un grande investimento di formazione degli addetti alla
sicurezza pubblica e privata e attenzione al contributo che i cittadini
possono dare in questo settore insegnando loro a collaborare con le
istituzioni e a riconoscere, ed evitare, situazioni di insicurezza.
Significa studio e preparazione, ma anche ricerca di base ed applicata nel
settore della sicurezza che ci permetta di capire i problemi per ricercare
le soluzioni più adeguate a risolverli.
7.2 Una strategia per la riduzione
della criminalità
La passata legislatura non ha
sviluppato una strategia per la sicurezza, ma ha messo insieme una serie
di provvedimenti legati da una tattica prevalentemente elettorale. Quella
che é iniziata non promette bene almeno dai suoi primi provvedimenti.
Occorre una strategia complessiva che tenda ad ottimizzare efficienza
degli apparati e delle loro funzioni da una parte e diritti umani
dall’altra, sia nel caso degli apparati di sicurezza che in quelli di
giustizia. L’attuale situazione é caratterizzata da bassi livelli di
efficienza e quindi sprechi e da basso livello di rispetto per i diritti
umani. Il sotto-sistema penitenziario rappresenta con maggiore evidenza
l’inefficienza della gestione, l’inefficacia nel raggiungimento di
obiettivi di deterrenza e custodialistici, e lo spreco di diritti umani
che lo caratterizza.
8. Una strategia dalla quale
imparare: l’esperienza inglese del Crime Reduction Programme (CRP) (3)
Le origini del Crime Reduction
Programme (CRP) risalgono alla decisione del Governo britannico di
affidare all’ Home Office Research Development and Statistics
Directorate, centro di ricerca del Ministero dell’Interno, la
redazione di un rapporto che, sulla base delle esperienze britanniche e
straniere, fosse in grado di evidenziare cosa, fino ad allora, avesse
funzionato nelle politiche di riduzione della criminalità. Il rapporto,
pubblicato nel 1998, si é concentrato su: - interventi in grado di
promuovere una società meno criminale, attraverso la prevenzione della
criminalità tra i giovani e la prevenzione situazionale della criminalità;
- la prevenzione del crimine nella comunità incidendo sulle condizioni
sociali che inducono al reato ed il miglioramento dell’efficacia della
polizia; - interventi sul sistema di giustizia, attraverso un uso più
diffuso della giustizia riparativa, un mutamento nelle politiche
carcerarie, e misure più efficaci su autori di reato e tossicodipendenti.
I risultati di questo studio hanno costituito la base per l’elaborazione
del CRP del 1999. Il CRP si propone di sviluppare strategie efficaci di
prevenzione della criminalità in Inghilterra ed in Galles, attraverso un
approccio innovativo, l’ evidence-based approach. Dall’aprile
1999 e per i tre anni successivi, il CRP finanzia progetti di prevenzione
della criminalità considerati meritevoli di supporto pubblico. La novità
e l’elemento cardine di questo approccio stanno nel fatto che il
triennio in questione rappresenta una palestra per individuare la futura
strategia governativa di riduzione della criminalità. Tutti i progetti
finanziati durante questo periodo, infatti, nel corso della loro
realizzazione, vengono sottoposti ad un’accurata valutazione. Quelli più
meritevoli, in termini di efficacia e di efficienza, formeranno
l’ossatura della politica di prevenzione britannica degli anni a
seguire. Il Governo, per il triennio, ha stanziato 250 milioni di sterline
per individuare quali, tra le politiche di prevenzione della criminalità
finanziate, funzionano (efficacia) e a quali costi (efficienza).
L’esperienza acquisita dalla valutazione dei progetti finanziati e
valutati in termini di efficacia e costi-benefici rappresenterà un
bagaglio di conoscenza capace di indirizzare ed orientare i futuri
finanziamenti governativi nel campo della prevenzione del crimine.
L’idea di fondo é che ogni tipo di politica finalizzata a prevenire la
criminalità incida su risorse pubbliche limitate e che per questo sia
necessario studiare metodi capaci di valutarne l’efficacia e
l’efficienza, in modo da guidare l’azione dei policy makers in
una scelta consapevole di ottimale allocazione delle risorse. Sette sono
le priorità del programma all’interno delle quali il Governo si
ripropone di finanziare e valutare progetti specifici:
- miglioramento delle performance della polizia e
delle partnership createsi sulla base del Crime and Disorder Act
del 1998;
- riduzione dei furti e dei crimini contro la
proprietà;
- riduzione dei furti d’auto;
- lotta al disordine ed al comportamento
antisociale;
- maggiore efficacia nel contrasto della
delinquenza giovanile;
- maggiore efficacia nel contrasto della
delinquenza adulta;
- aiuto alle vittime e ai testimoni di atti
criminali.
Il 10% dell’intero budget dedicato
al CPR é destinato all’attività di ricerca e di valutazione dei
progetti finanziati: questo a testimonianza della centralità di un
processo che permette di giudicare le politiche preventive, al fine di
decidere tra più opzioni alternative quella più efficace e meno costosa.
I metodi scelti per intraprendere questo tipo di valutazioni sono stati
tre (4):
- Performance Indicators (PIs). Si
tratta di un approccio che si propone di comparare gli output che
seguono l’implementazione di una politica con parametri target che
indicano cosa dovrebbe essere raggiunto attraverso una certa attività/opzione.
Questo approccio si basa sulla definizione di indicatori misurabili di
successo e mira a comprendere se i target predefiniti di performance
sono stati raggiunti. In altre parole, si misura l’efficacia delle
politiche rispetto a target prestabiliti;
- Cost-effectiveness analysis (CEA). Questo
approccio mira a collegare gli output specifici della politica ai costi
necessari per raggiungerli. Si propone di comparare opzioni di politiche
alternative mettendo in relazione il costo di input necessario per ogni
unità di output prodotto. La scelta sarà orientata verso quella
politica in grado di offrire il massimo output per un dato costo
stabilito;
- Cost-benefit analysis (CBA). Questo
approccio si propone di comparare opzioni di politiche alternative sulla
base dei costi di input relativi all’ammontare totale dei benefici
generati dalla politica. Ogni CBA necessita di una monetizzazione di
tutti gli input, gli output e gli outcome. La differenza, espressa in
termini monetari, tra l’ammontare di input totale e quello di output e
outcome totali misura il beneficio netto di ogni opzione di politica. La
scelta sarà orientata verso quella politica in grado di generare il
beneficio netto più elevato.
Il CRP prevede che l’attività di
valutazione sulla base di questi metodi sia condotta, presso i Government
Offices for the Regions, gli uffici regionali inglesi, da gruppi
distaccati di ricercatori dell’ Home Office, dediti a supportare
e valutare i programmi locali. L’Italia non é l’Inghilterra con la
cultura di analisi e valutazione delle public policies e, tra
queste, di quelle riferite a criminalità e devianza. Ma proprio perché
questa cultura manca, la promozione di un programma di riduzione della
criminalità contribuirebbe a far crescere tale cultura. Un programma con
le finalità che si propone quello inglese potrebbe essere realizzato in
Italia superando alcuni ostacoli di carattere culturale (cultura della
valutazione), politico (valutazione per decidere) e tecnico (la carenza
dei dati). Per fare questo occorrerebbe un salto di qualità della nostra
cultura politica. Mi diceva recentemente un funzionario dell’ Home
Office che dirige il Dipartimento Statistico del Programma che la
decisione di allocare il 10% dell’intero finanziamento inglese a evaluation
studies nel settore sta facendo crescere nelle Università inglesi più
di quattrocento giovani ricercatori esperti in valutazioni di politiche di
riduzione della criminalità. E’ un investimento utile? 250 milioni di
sterline sono tanti e certo far crescere la cultura della sicurezza é un
beneficio, ma un investimento di questo tipo richiede che, nel lungo
periodo, esso sia ripagato ampiamente, non solo, in termini di accresciuta
sicurezza, ma anche, in termini di riduzione dei costi della criminalità.
I primi risultati sono confortanti (il programma é partito nel 1999) e
sembrerebbe che proprio questa strategia sui tempi lunghi possa produrre
effetti positivi. L’apparato indipendente di valutazione ci dirà alla
fine che cosa funziona che cosa non funziona e che cosa promette di
funzionare e questo servirà a perfezionare ulteriormente la strategia ed
i progetti che scaturiranno.
9. Conclusioni
L’esperienza inglese potrebbe
essere trasferita in Italia con gli opportuni adeguamenti e permetterebbe
di parlare di sicurezza in modo più appropriato di quanto si sia fatto
finora. C’é un forte bisogno di razionalità nella politica della
sicurezza che combatta la forte politicizzazione di questo problema in
Italia. Usando la terminologia inglese diciamo che abbiamo più bisogno di
policies che di politics, anche se certamente buone policies
migliorano la politics. Questo ci aiuterebbe a prendere sul serio
il problema del trade/off tra diritti ed efficacia delle politiche
per la sicurezza. Ritorno su questo perché lo ritengo, oggi, un problema
importante. Una politica legittimata dal suo funzionamento può chiedere
ai cittadini una compressione temporanea dei loro diritti per ragioni di
sicurezza. Una politica delegittimata dalla sua stessa incapacità di
progettare soluzioni efficaci non può chiederlo perché a tutti noi
verrebbe il dubbio che per incapacità o calcolo elettorale lo scambio
alla fine produrrebbe il solo effetto di privarci dei diritti, per non
darci niente in termini di miglioramento delle condizioni di sicurezza.
Note
1 J.De Waard, "The Private
Security Industry in International Perspective", in European Journal
on Criminal Policy and Research, Vol. 7, No 2, 1999.
2 J. Garofalo, "The fear of
crime: causes and consequences", in Journal of Criminal Law and
Criminology, vol. 72, n. 2, 1981, pp. 839-857.
3 Dal riquadro preparato da Roberto
Cornelli ed Andrea Di Nicola in: Transcrime - Università di Trento, Terzo
rapporto sulla sicurezza nel Trentino, 2000/01, Trento, ottobre 2001
4 S. Dhiri, S. Brand, Analysis of
Guidance for Evaluators, Crime Reduction Programme, Home Office, Londra,
1999; J.E. Stockdale, C.M.E. Whitedale, P.J. Gresham, "Applying
Economic Evaluation to Policing Activity", in Police Research Series,
Paper 103, Home Office, Londra, 1999; B.C. Welsh, D.P. Farrington, L.W.
Sherman, Costs and Benefits of Preventing Crime, Westview Press, Oxford,
2001. E’ importante, ai fini della comprensione dei tre possibili metodi
che seguono, avere chiari alcuni concetti: input (ogni risorsa umana,
fisica e finanziaria addizionale che é necessaria per l’esecuzione di
un progetto), output (il prodotto diretto, immediato,
dell’implementazione di un progetto), outcomes (tutte le conseguenze
derivanti dall’esecuzione di un progetto, sia durante che dopo
l’esecuzione stessa), costi (il valore monetario dell’input), benefici
(il valore monetario degli outcomes). |
|