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I) La scuola tra sospensione e cambiamento

II) L'universita tra sperimentazione e verifica

Stefania Fustagni
Ordinario di Storia Antica - Università di Firenze

Luciana Lepri
Responsabile Scuola Fondazione Internazionale Nova Spes

 

Introduzione.

Il titolo della prima parte di questo intervento "La scuola tra sospensione e cambiamento" ci sembra fotografi con sufficiente chiarezza una situazione per certi versi paradossale, che riflette le vicende politiche della XIII legislatura e quelle iniziali della XIV. La riforma di sistema, radicale nei propositi e negli esiti, attuata dai Ministri Berlinguer e De Mauro é stata sospesa dall’attuale maggioranza. C’é quindi un provvisorio ritorno al passato con il fermo proposito, più volte ribadito dal Ministro della Pubblica Istruzione, Letizia Moratti, di un’apertura verso il futuro che si concretizzerà in una nuova riforma più partecipata e foriera, almeno nei propositi, di più ampi spazi di libertà. La valutazione del processo di liberalizzazione della scuola non può quindi che partire dall’analisi della riforma sospesa per individuare nei tratti che la caratterizzano: grado e qualità dell’autonomia, libertà di insegnamento, flessibilità di curricoli e integrazione dei sistemi, assunti quali parametri di riferimento, e per verificare a che livello essi abbiano avviato un processo di liberalizzazione nella scuola o, al contrario, abbiano frenato tale processo introducendo ulteriori elementi illiberali, poiché é da qui che l’attuale maggioranza deve ripartire. Il passo successivo, cioè una scuola ben definita in tutti i suoi aspetti, nelle sue finalità e nei suoi livelli, non é stato ancora fatto. Al momento abbiamo solo i propositi programmatici del Ministro Moratti, le interviste alla stampa e le dichiarazioni rilasciate in occasioni pubbliche. Da questo materiale, per un verso insufficiente ma per altri versi molto significativo, é possibile elaborare un’ipotesi sull’avvio di un processo di liberalizzazione per la nostra scuola. Diversa é la situazione delle Università. Qui si sta conducendo una sperimentazione che si concluderà fra trentasei mesi: solo allora sarà possibile valutare in quali forme e in che misura tale processo si sia realizzato. Ai fini di tracciare un quadro della situazione abbiamo elementi quantitativi (investimenti nella ricerca, indici di competitività, numero degli studenti e dei docenti) che ci permettono un’analisi comparativa con le università europee, nella maggior parte delle quali il processo di liberalizzazione é in uno stato di soddisfacente avanzamento. Una riflessione argomentativa che affronta le caratteristiche della nostra università, sul versante formale delle norme e su quello concreto del costume che vi si é radicato e che é diventato anch’esso norma, se pure non scritta, permette di cogliere gli elementi favorevoli e quelli frenanti di una possibile e progressiva liberalizzazione dell’Università come istituzione, della vita accademica e dei percorsi di studio. "L’Università tra sperimentazione e verifica" costituisce, quindi, l’oggetto di analisi della seconda parte dell’intervento.

I) LA SCUOLA TRA SOSPENSIONE E CAMBIAMENTO

1. Premessa

I criteri assunti per valutare il processo di liberalizzazione nella scuola sono:

1. Grado e qualità dell’autonomia degli istituti scolastici.

2. Libertà di insegnamento dei docenti.

3. Flessibilità dei curricoli per gli studenti e integrazione dei sistemi (scolastico formale e della formazione professionale/apprendistato).

2. Descrizione della situazione

La sospensione della attuazione della L. 30/20001 sul riordino dei cicli scolastici ha riportato la scuola italiana, almeno negli aspetti fondamentali, al periodo antecedente la riforma Berlinguer De Mauro. Per fare il punto della situazione e valutare le tendenze in atto é necessario focalizzare i tratti essenziali di tale riforma, soprattutto quelli maturati dopo il precedente rapporto. L’attuale maggioranza - che ha determinato la sospensione - non potrà, infatti, che ripartire (per confermare, modificare, abrogare) da quanto deciso nella precedente Legislatura. La riforma Berlinguer De Mauro é la prima riforma di sistema della scuola statale dopo quella Gentile Bottai e, quindi, la prima in assoluto dell’Italia Repubblicana. La complessità del disegno riformatore richiede un’analisi da effettuarsi su diversi livelli di lettura:

1) Il metodo;

2) La normativa;

3) L’intenzione (finalità) educativa, di istruzione e di formazione del sistema scolastico.

2.1 Il metodo

Gli antecedenti di riforme scolastiche globali (Casati, Gentile, Bottai) risalgono all’epoca pre-repubblicana e in regime di pieni poteri. In epoca repubblicana il ministro Berlinguer si é assicurato un’analoga situazione adottando un metodo che gli ha permesso: a) di procedere "a mosaico" impedendo all’opinione pubblica e, spesso, anche agli addetti ai lavori, di avere un quadro chiaro e compiuto della riforma del sistema scolastico. La prima riforma di sistema in età repubblicana é stata attuata attraverso una caterva di norme sparpagliate nei più disparati provvedimenti legislativi. b) di avere un ampio potere di delega assicurato da leggi blindate che gli hanno, tra l’altro, agevolato il rifiuto totale e aprioristico degli emendamenti dell’opposizione. c) di definire gli aspetti strutturali e organizzativi del sistema (riordino dei cicli) prima dei contenuti di insegnamento e in modo tale che fosse la struttura stessa a condizionare il tipo e la qualità dei contenuti. d) di avere uno stretto controllo sull’autonomia delle istituzioni e dei docenti (casi eclatanti il decreto sull’insegnamento della storia e quello sull’adozione dei libri di testo). f) di imporre di fatto (attraverso lo spostamento delle decisioni di carattere didattico e culturale dai singoli insegnanti al collegio dei docenti) una didattica e una metodologia di Stato.

2.2 La normativa

Il fulcro centrale della riforma Berlinguer De Mauro (d’ora innanzi nominata semplicemente Riforma) é l’autonomia scolastica, richiesta, a partire dagli anni ‘90, soprattutto dai Capi di istituto che aspiravano alla qualifica di dirigenti. Tali fermenti furono raccolti dall’allora ministro della funzione pubblica, Franco Bassanini, che nell’ampio disegno sulle autonomie (L. 59/97) dedicò uno spazio anche alle scuole (art. 21). L’autonomia degli istituti scolastici nasce nell’ambito della riforma della pubblica amministrazione e non in quello del Ministero della Pubblica Istruzione e ciò, a nostro avviso, ha contribuito a darle una connotazione più vicina al decentramento amministrativo che non ad una forma di autonomia fondata sul principio di sussidiarietà pur esplicitamente richiamato dall’articolo 21 della L. 59/97. Il regolamento dell’autonomia delle istruzioni scolastiche (Dpr. 8 marzo 1999, n. 275) in 17 articoli disegna, fin nel dettaglio, il profilo delle scuole autonome. Non é il caso di prendere in esame i singoli articoli, ci fermiamo solo all’art. 8 (Definizione dei curricoli) perchè regolamenta la vita della scuola nella sua dimensione più importante: culturale ed educativa.

Capo III

CURRICOLO NELL’AUTONOMIA

Art. 8 (Definizione dei curricoli)

1. Il Ministro della pubblica istruzione, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari sulle linee e sugli indirizzi generali, definisce a norma dell’articolo 205 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, per i diversi tipi e indirizzi di studio:

a) gli obiettivi del processo formativo;

b) gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni;

c) le discipline e le attività costituenti la quota nazionale dei curricoli e il relativo monte ore annuale;

d) l’orario obbligatorio annuale complessivo dei curricoli comprensivo della quota nazionale obbligatoria e della quota obbligatoria riservata alle istituzioni scolastiche;

e) i limiti di flessibilità temporale per realizzare compensazioni tra discipline e attività della quota nazionale del curricolo;

f) gli standard relativi alla qualità del servizio;

g) gli indirizzi generali circa la valutazione degli alunni, il riconoscimento dei crediti e dei debiti formativi;

h) i criteri generali per l’organizzazione dei percorsi formativi finalizzati all’educazione permanente degli adulti, anche a distanza, da attuare nel sistema integrato di istruzione, formazione, lavoro, sentita la Conferenza unificata.

2) Le istituzioni scolastiche determinano, nel Piano dell’offerta formativa il curricolo obbligatorio per i propri alunni in modo da integrare, a norma del comma 1, la quota definita a livello nazionale con la quota loro riservata che comprende le discipline e le attività da esse liberamente scelte. Nella determinazione del curricolo le istituzioni scolastiche precisano le scelte di flessibilità previste dal comma 1, lettera e).

3) Nell’integrazione tra la quota nazionale del curricolo e quella riservata alle scuole é garantito il carattere unitario del sistema di istruzione ed é valorizzato il pluralismo culturale e territoriale, nel rispetto delle diverse finalità della scuola dell’obbligo e della secondaria superiore.

4) La determinazione del curricolo tiene conto delle diverse esigenze formative degli alunni concretamente rilevate, della necessità di garantire efficaci azioni di continuità e di orientamento, delle esigenze e delle attese espresse dalle famiglie, dagli enti locali, dai contesti sociali, culturali ed economici del territorio. Agli studenti e alle famiglie possono essere offerte possibilità di opzione. 5) Il curricolo della singola istituzione scolastica, definito anche attraverso una integrazione tra sistemi formativi sulla base di accordi con le Regioni e gli Enti locali negli ambiti previsti dagli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, può essere personalizzato in relazione ad azioni, progetti o accordi internazionali.

6) L’adozione di nuove scelte curricolari o la variazione di scelte già effettuate deve tenere conto delle attese degli studenti e delle famiglie in rapporto alla conclusione del corso di studi prescelto.

Interessante ai fini del dibattito suscitato dalla Riforma, é la lettera b) dove appare la parola competenze e il p. 5 laddove si parla di integrazione tra sistemi formativi. Ambedue le espressioni rivelano l’intenzione di una salda interazione tra formazione scolastica e lavoro che doveva nascere da un’ibridazione dei due sistemi, quello scolastico formale e quello della formazione professionale. Inoltre la formulazione dei punti a) e b) impedisce l’indicazione, anche minima, di contenuti che la comunità scientifica ritiene essenziali per il processo formativo e di apprendimento degli studenti. Altro momento importante per il profilo della scuola riformata é il ridimensionamento della rete dei servizi (art. 21 L. 15 marzo 1997 n. 59 e Dpr. n. 223 del 18 giugno 1998) che dà vita all’accorpamento di più scuole dello stesso grado ("razionalizzazione orizzontale") o di gradi integrati (per esempio scuole elementari unite a scuole secondarie di primo grado) con un unico Dirigente. Così nascono gli "istituti comprensivi" (Dpr. 18 giugno 1999, n. 233) nei quali si fondano e si confondono le identità degli Istituti pre-riforma, per es. Licei classici e Istituti Tecnici. Da qui comincia anche a prendere consistenza il "riordino dei cicli scolastici" (L. 30/2000) che prevede, appunto, un unico settennio indistinto o ciclo di base che fonde insieme elementari e medie (2+3+2) con insegnanti distinti nel primo biennio (maestri elementari) e nell’ultimo (professori di scuola media) e con la presenza degli uni o degli altri nel segmento intermedio (3). La L. 20 gennaio 1999, n. 9, cui fa seguito il Regolamento sopra citato, prevede l’innalzamento dell’obbligo scolastico e completa il disegno dei cicli. La scuola secondaria superiore, la cui durata é formalmente di 5 anni (art. 4 comma 1 L. 30/2000), é di fatto ridotta ad un ciclo di 3 anni, poiché il primo biennio rappresenta la conclusione dell’obbligo scolastico e, contemporaneamente, l’inizio della secondaria. Tale palese contraddizione manifesterà i suoi effetti negativi al momento della costruzione di curricoli di studio affidata alla commissione di esperti convocata dall’allora ministro De Mauro: un esempio paradigmatico é il curricolo per l’insegnamento della storia che, dovendo essere conclusivo ed iniziale, ha dato luogo ad una sorta di macchinosa ingegneria contro la quale sono insorti, con un manifesto pubblico, trentatre tra i più illustri storici italiani. Alla riforma del sistema scolastico fa da pendant la riforma del Ministero della Pubblica Istruzione (d’ora innanzi M.P.I.) già prevista dalla Bassanini e regolamentata con Dpr. 6 novembre 2000, n. 347. Il regolamento prevede: due dipartimenti e tre servizi generali di livello dirigenziale generale per il centro, uffici scolastici regionali di pari livello, uno per ogni regione, per la periferia; scompaiono le Sovrintendenze scolastiche regionali e i Provveditorati agli studi che finora operavano in ambito provinciale. Completano la Riforma, nei suoi elementi essenziali la già citata legge 20 gennaio 1999, n. 9 (elevazione dell’obbligo scolastico) L. 10 marzo 2000, n. 62 sulla parità scolastica.

2.3 L’intenzione (finalità) educativa, di istruzione e di formazione del sistema scolastico.

Per decifrare quella che abbiamo chiamato "intenzione educativa" della Riforma non si può che partire dai documenti ministeriali analizzandoli, questa volta, sotto il profilo dei traguardi culturali e formativi che si intendono perseguire. Da quanto si evince dai vari documenti ministeriali la riforma vuole raggiungere i seguenti obiettivi:

1) Portare il massimo numero possibile di giovani a concludere il corso di studi o nel sistema della scuola "formale" o nel canale della formazione professionale, garantendo, comunque, il successo formativo.

2) Instaurare una stretta relazione tra esperienza scolastica ed esperienza lavorativa.

3) Dotare, in conseguenza di ciò, il sistema della massima mobilità e flessibilità per ridurre al minimo il rischio che un numero elevato o, comunque, inaccettabile di studenti venga definitivamente espulso dal sistema educativo di istruzione e di formazione.

Per raggiungere questi obiettivi si é operato nelle seguenti direzioni:

a) Decontestualizzare i contenuti disciplinari disarticolando, di fatto, le discipline stesse.

b) Attenuare, se non addirittura abolire, gli elementi caratterizzanti le aree e anche quelli specifici degli indirizzi.

c) Dare allo studente, i cui desideri, esigenze etc., vengono considerati centrali, un’ampia gamma di opzioni che arrivano fino alla possibilità di costruirsi il proprio percorso formativo.

Sono stati adottati i seguenti mezzi:

1) Impianto organizzativo modulare.

2) Impianto disciplinare modulare.

3) Subordinazione degli obiettivi di apprendimento al raggiungimento di "competenze". (Sostituzione delle conoscenze con le competenze come punto di arrivo del processo di insegnamento apprendimento).

4) Introduzione di crediti scolastici e crediti formativi.

5) Abolizione degli esami non tassativamente imposti dalla Costituzione e loro estrema semplificazione.

Infine, per comprendere la logica della riforma Berlinguer dobbiamo riferirci all’aggettivo integrato apposto al sostantivo sistema. Nell’attuazione pratica si ha l’impressione che con esso si intenda un processo di educazione, di istruzione e di formazione che annulla, sul piano teorico e su quello più concreto della struttura architettonica e dell’organizzazione dei contenuti, ogni distinzione tra cultura speculativa e cultura operativa. La caratteristica saliente del "sistema integrato", così come é inteso nella riforma, é la flessibilità che permette passaggi da un’area ad un’altra, da un indirizzo ad un altro, dalla scuola "formale" alla formazione professionale e all’apprendistato e viceversa. La categoria, che sul piano teorico giustifica questa pervasiva mobilità e che la permette su quello pratico, é racchiusa nel concetto di "competenza".

2.4 Valutazione critica della Riforma

Dal punto di vista semantico il linguaggio della riforma colpisce per la sua ambiguità e per l’assenza di una rigorosa concettualizzazione dei termini usati. Un esempio significativo sono le "tre c": conoscenze, competenze, capacità. Quale sia la differenza sostanziale tra competenze e capacità e tra questo binomio e l’altro termine ricorrente, abilità, non é di facile comprensione, nonostante la vasta produzione dei cosiddetti pedagogisti ministeriali. Del termine competenza - che rappresenta il raccordo tra "sapere e saper fare" (altra locuzione ricorrente nella letteratura sopra citata) ed é, quindi, il fulcro su cui ruota tutto l’impianto culturale della Riforma - non c’é definizione chiara, univoca e, soprattutto, condivisa. Una descrizione che sintetizza le varie versioni date dai sopra citati pedagogisti può essere la seguente: "la competenza é connotata innanzitutto come conoscenza in situazione, essenzialmente come capacità di far uso di abilità e conoscenze in un contesto concreto per risolvere un problema, assumendo le opportune decisioni; essa si caratterizza, inoltre, per l’applicabilità a contesti diversi, pur entro un campo o dominio specifico, e per il suo essere leva di acquisizione e sviluppo di ulteriori conoscenze abilità" (2). La stessa ambiguità, accompagnata da una notevole "confusione", si riscontra sul piano della struttura del sistema. L’aggettivo integrato significa tanto la mescolanza tra canale scolastico formale e formazione professionale/apprendistato, quanto la parità tra scuole statali e "scuole paritarie private e degli enti locali" (3). Ugualmente il ciclo di base: per un verso si annullano le identità culturali, professionali e i ruoli dei docenti di distinti gradi di scuola (ex elementari ed ex medie) e, per l’altro, le pur marcate differenze che si riscontrano nell’età evolutiva, confinando in un unico ciclo indifferenziato alunni che vanno dai 6 ai 13 anni di età. Notevoli sono, inoltre, le contraddizioni tra i propositi enunciati tanto da Berlinguer quanto da De Mauro e le attuazioni pratiche. Negli scritti ministeriali si afferma che la comune necessità di adeguare i sistemi formativi alle richieste della civiltà attuale deve essere coniugata con la peculiarità della storia di ogni paese e, quindi, anche con la specificità della propria organizzazione scolastica (4). A questa prima esigenza se ne aggiunge una seconda: l’adeguamento ad un presunto modello europeo di scuola. Per quanto concerne l’organizzazione dei cicli si danno, in Europa, soluzioni differenziate che possono essere, sostanzialmente, ridotte a quattro proposte:

a) una struttura a tre cicli distinti: scuola elementare, scuola secondaria di I grado, scuola secondaria di II grado (ad es. Francia e Grecia, Italia fino al momento attuale). Questa struttura si caratterizza per un tronco di insegnamento comune che si estende fino alla secondaria di primo grado (senza che questo significhi necessariamente un insegnamento rigorosamente identico per tutti gli alunni), la quale assume una funzione orientativa nei confronti del secondo grado;

b) una struttura composta da un primo ciclo comprendente tutta la scolarità obbligatoria e un secondo ciclo secondario corto (2/3 anni); tale struttura caratterizza, ad esempio, i paesi scandinavi e il Portogallo; b1) una struttura composta da un ciclo primario e un ciclo secondario di durata analoga i cui primi 3/4 anni, corrispondenti alla scolarità obbligatoria, sono unitari (non unici), mentre gli ultimi anni post-obbligo (2/3) sono differenziati (Spagna dopo la riforma);

c) una struttura composta da un ciclo primario e un ciclo secondario con itinerari differenziati e separati fin dall’inizio (es.: Germania, Austria, parte della Svizzera).

In realtà, la maggiore differenza si ha tra le prime tre strutture da una parte e la quarta, che si distacca nettamente dalle altre per una precoce canalizzazione degli alunni. Nella generalità dei paesi la scuola secondaria di II grado é differenziata in itinerari nettamente distinti (filiere) e il passaggio dal primo al secondo grado non é automatico. Sotto questo profilo, la riforma dei cicli é in coerente rispetto al presunto modello europeo: essa, in un certo senso, "fonde" le strutture b e c, con il risultato che il passaggio dalla scuola di base alla secondaria é di fatto automatizzato, non essendo il consiglio orientativo vincolante e, nello stesso tempo, poiché gli itinerari della secondaria debbono essere differenziati e caratterizzati in modo specifico fin dall’inizio (L. 30/2000 art. 4 comma 3), viene a mancare anche nel secondo ciclo un orientamento basato su standard e criteri generali, essendo esso di fatto lasciato alla gestione delle singole scuole attraverso il meccanismo delle passerelle. Appare, poi (rispetto a quanto affermato nel citato Programma) contraddittoria la soluzione data dalla riforma al cambiamento del nostro sistema formativo, perché il progetto Berlinguer prescinde completamente e "dalla peculiarità della nostra storia" e dalla "specificità della nostra organizzazione scolastica". Esso infatti é molto più vicino ai sistemi anglosassoni - in particolare a quello americano del tutto estraneo alla nostra tradizione - di quanto non lo sia rispetto ad altri modelli europei, a noi certamente più simili e più congeniali come, per esempio, quello della Francia, della Germania e in genere dei paesi di lingua tedesca e, al limite, quello della Spagna. Inoltre rompe completamente tanto con la specificità e la tradizione del nostro sistema educativo, imperniato sulla compresenza di scuole di tipo ginnasio - liceo, preparatorie agli studi universitari e scuole di tipo tecnico e professionale più orientate verso la preparazione all’esercizio di un’attività lavorativa, quanto con quei criteri che hanno sempre distinto vocazioni prevalentemente orientate verso la cultura speculativa e vocazioni prevalentemente orientate verso la cultura operativa. Sul piano della struttura di sistema la riforma presenta un impianto macchinoso di difficile, se non impossibile, gestione: basta citare "l’onda anomala" (che é praticamente il raddoppiamento degli alunni e dei docenti in determinati snodi dovuto alla non sincronizzazione del vecchio ordinamento - che prevedeva otto anni tra elementari e medie - e il nuovo che ne prevede sette). A ciò va aggiunta la contraddizione del primo biennio della secondaria che, come già precedentemente detto, é insieme terminale ed iniziale, con tutte le conseguenze negative sui curricoli di studio che devono, anch’essi, essere terminali ed iniziali. Sul piano culturale la sostituzione della conoscenza con le competenze privilegia apprendimenti immediatamente spendibili in attività pratiche a scapito di un impianto incentrato su apprendimenti teorici. L’introduzione dei moduli, infine, dissolve il rigore e la coerenza delle discipline e la essenziale (anche se relativa) autonomia della conoscenza "teorica". Nella letteratura che accompagna la Riforma si dice che la scuola é diventata più creativa perché é dotata di autonomia. In realtà si tratta di un decentramento amministrativo che ha per giunta moltiplicato gli adempimenti burocratici: alle scuole autonome giungono, in un anno, tra le ottocento e le novecento circolari. Similmente la libertà di insegnamento - che era prerogativa del docente e che consisteva essenzialmente nello scegliere la strada ritenuta più idonea per raggiungere gli obiettivi di apprendimento fissati dal M. P. I. - si sposta dal singolo ad un organo collegiale nel quale le decisioni, anche di carattere didattico, vengono votate a maggioranza. Il curricolo locale, cioè il monte ore gestito direttamente dalle scuole, in mancanza di chiare indicazioni comporta il rischio di caratterizzare le scuole in modo localistico, se non folcloristico, o di assoggettarle ad una logica di mercato quando tale spazio venga usato per iniziative atte a reperire fondi o a rendere più appetibile il Piano dell’offerta formativa con lo scopo di accaparrarsi la potenziale clientela. Nell’art. 1 della L. 30/2000 si afferma che finalità della scuola é "la crescita e la realizzazione della persona umana" nel rispetto dei ritmi della sua evoluzione e delle differenze che connotano l’identità di ciascuno (5). Per quanto concerne la persona umana se ne prendono, però, in considerazione le sole dimensioni psicologiche e socioeconomiche, importanti ma pericolosamente parziali e cioè: la determinazione dell’identità personale mediante il ricorso alla lettura psicologica e quella dei fini dell’apprendimento attraverso l’acquisizione di conoscenze e capacità "funzionali" ad una vita professionale (6). Tale visione pragmatistica e utilitaristica della scuola e delle sue finalità é, infine, confermata dalla proposta per i nuovi curricoli caratterizzati, in primo luogo, dall’essere funzionali- a e dal servire-a. Se noi guardiamo l’intero quadro della riforma si ha l’idea di una scuola priva di identità, subordinata alle esigenze del mercato, del lavoro e dell’economia. Anche il linguaggio non é più quello specifico della scuola ma é spesso mutato da quegli ambiti (crediti, debiti, competenze, piano dell’offerta formativa e così via).

3. La situazione alla fine della XIII Legislatura.

Gran parte dell’opinione pubblica ha recepito la sospensione della L.30/2000 come la messa in mora dell’intera Riforma. La realtà non é così: ci sono ancora molte norme che rimangono in vigore (basta confrontare p. 2 di questo articolo). Il procedere "a piccoli passi" e il dar vita ad una riforma "a mosaico", come ama definirla Berlinguer, ha creato un’intricatissima intelaiatura: molti istituti comprensivi già funzionano e così pure gli uffici (o direzioni generali) scolastici regionali, i capi di Istituto hanno avuto la qualifica (anche se ancora non la retribuzione) di dirigenti ed ex direttori didattici dirigono scuole comprensive che contemplano anche istituti secondari così come ex capi di Istituti secondari si trovano a dirigere anche ex scuole elementari. Inoltre i numerosi corsi di aggiornamento hanno abituato i docenti ad attuare la cosiddetta didattica modulare (7). I due grafici che seguono possono illustrare la situazione attuale.

Il grafico A presenta (grosso modo) la situazione della scuola prima della riforma; quello B descrive, all’incirca, la scuola riformata. Attualmente siamo in una situazione intermedia: la struttura del sistema rimane quella tradizionale, sono, però, ancora in vigore la L. 9 del 20 gennaio 1999 (elevazione dell’obbligo scolastico), Dpr. 8 marzo 1999, n. 275 (regolamento dell’autonomia degli istituti scolastici) così come tante altre leggi.

 

4. Le tendenze al cambiamento

Le dichiarazioni dell’attuale ministro della pubblica istruzione, Letizia Moratti, permettono di individuare alcuni elementi caratterizzanti il cambiamento che si intende attuare nella scuola. Il Ministro (8) ha istituito cinque tra commissioni, tavoli e gruppi di studio:

a) Gruppo di studio presieduto dal prof. Giacomo Elias, dell’Università statale di Milano e massimo esperto a livello internazionale della valutazione, finalizzzato ad approfondire il tema dei sistemi valutativi.

b) Tavolo di semplificazione per razionalizzare e sburocratizzare le disposizioni di organizzazione interna alla struttura scolastica.

c) Gruppo di lavoro, presieduto dal prof. Giuseppe Bertagna dell’Università di Bologna e di Torino, con il compito di mettere a fuoco una serie di alternative per un’eventuale modifica della L. 30/2000. Il gruppo ha un compito più istruttorio che propositivo: esso, infatti, deve organizzare audizioni mirate, seminari e quant’altro al fine di raccogliere suggerimenti, idee e consensi in vista di una nuova articolazione del sistema scolastico.

d) Commissione per l’elaborazione di un codice deontologico degli insegnanti (in via di costituzione).

e) Tavolo per la parità scolastica.

Ha inoltre tracciato le linee generali del nuovo sistema educativo di istruzione e di formazione indicando tre livelli: nazionale, regionale e dei singoli istituti, con un centro che indirizza e governa ma senza compiti di gestione, secondo i principi del federalismo solidale.

4.1 Elementi per individuare il profilo della nuova riforma

La commissione Bertagna in coerenza con il compito affidatole dal Ministro lavora con grande riservatezza, procedendo con le audizioni per singoli segmenti del sistema educativo di istruzione e di formazione (scuola dell’infanzia, ex scuola elementare, ex scuola media, scuola secondaria superiore, università, formazione professionale). Sulla base di una bozza di ipotesi vengono raccolti consensi, idee, proposte, dissensi, tutto questo materiale dovrebbe aiutare a disegnare un quadro generale ma, a quello che é dato sapere, sarà il ministro a decidere in ultima istanza. Non sembra, quindi, possibile avanzare valutazioni sul nuovo sistema scolastico; tuttavia, dalle dichiarazioni rilasciate dal Ministro Moratti in diverse occasioni pubbliche e da quanto via via appare sulla stampa, possiamo farci un’idea di massima e della nuova scuola e del clima politico che accompagnerà questa "riforma".

4.2 Le "Dichiarazioni programmatiche" del Ministro Moratti

Nel già citato documento "Dichiarazioni programmatiche" il Ministro fa il punto sul nostro sistema scolastico che giudica affetto da un "progressivo decadimento", dovuto essenzialmente a: "bassi investimenti nella professionalizzazione dei docenti, nell’innovazione didattica e nell’approntamento di percorsi formativi di elevata qualità". Tali dichiarazioni sono supportate da dati oggettivi (fonte OCSE):

- il 65,5%. della popolazione adulta non supera il secondo livello alfabetico;

- l’Italia risulta al 21° posto nella preparazione scientifica dei suoi studenti e al 23° in quella matematica;

- il costo per studente é più alto del 15% rispetto alla media europea e, nonostante ciò: soli il 40% della popolazione adulta é in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore ( di fronte al 61% della Francia e all’84% della Germania).

- solo il 3,33 per mille dei lavoratori italiani si dedicano alla ricerca (contro il 5,28 per mille della media europea, l’8,08 per mille degli U.S.A. e il 9,26 per mille del Giappone).

Altra carenza del nostro sistema scolastico, giudicata grave dal Ministro, é il mancato raccordo tra scuola secondaria, università e mondo del lavoro. La parte di denuncia del documento si conclude con questa dichiarazione: "La crisi che la nostra istruzione attraversa é legata innanzitutto alla non sufficiente qualità complessiva (9) del sistema, ed inoltre alla mancanza di libertà di scelta delle famiglie". Nella parte propositiva ci sembrano notevoli i seguenti punti:

- La necessità di interventi rapidi e precisi;

- Il raggiungimento di un sistema di istruzione a livello europeo "nei criteri educativi" ma saldamente ancorato sulla nostra tradizione e sulle nostre radici culturali.

- L’esigenza di superare la contrapposizione tra "equità e competizione";

- Il riconoscimento del diritto allo studio ma anche quello del "diritto all’eccellenza" in modo da assicurare "pari opportunità di accesso all’istruzione, ma anche pari opportunità al successo".

I nodi problematici più urgenti sono così individuati nel predetto documento:

- valorizzazione della scuola triennale dell’infanzia anche come possibile credito ai fini del soddisfacimento di almeno un anno di istruzione obbligatoria

- un’articolazione della scuola rispettosa delle fasi e delle specificità dell’età evolutiva

- una scuola secondaria superiore di elevata qualità con la possibilità di prevedere una specializzazione

- un percorso graduale e continuo di formazione professionale, parallelo a quello scolastico ed universitario dai 14 ai 21 anni

- la valorizzazione dell’autonomia e dei vincoli di risultato rispetto a quelli procedurali

- l’individuazione di nuovi criteri per la formazione iniziale degli insegnanti in relazione ai cicli scolastici.

4.3 Un’ipotesi sulla nuova scuola

Da quanto fin qui detto si ricava l’idea che la "riforma Moratti" si differenzierà molto da quella precedente. Si ha, anche, la convinzione che verrà adottata una strategia politica che intervenga il meno possibile sulle leggi vigenti ma che, con pochi ritocchi, cambi radicalmente il quadro. Per quanto concerne la struttura é evidente che i gradi e gli ordini di scuole avranno, ciascuno, una specificità e un’identità correlata ai bisogni e alle potenzialità delle varie fasi dell’età evolutiva e, quindi, comunque vengono denominate:

- una scuola dell’infanzia triennale non obbligatoria

- una scuola della fanciullezza, (ex scuola elementare), dell’ipotetica durata di cinque anni

- una scuola della preadolescenza, (ex scuola media, si suppone triennale)

- una scuola dell’adolescenza (secondaria superiore quinquennale o quadriennale).

Questo per quanto attiene il canale scolastico formale. La formazione professionale verrà costruita ex novo con un segmento quinquennale o quadriennale (parallelo alla secondaria superiore) e una specializzazione di livello universitario la cui durata sarà analoga a quella degli attuali corsi accademici. In quanto ai contenuti, tutte le dichiarazioni del Ministro puntano all’alta qualità scientifica e culturale. Si può, quindi, ragionevolmente supporre che le conoscenze avranno la priorità rispetto alle competenze, capacità e abilità e che verrà rivalutata la coerenza e l’identità delle discipline e dell’impianto disciplinare nonché la loro forte valenza educativa. Un altro tratto notevole é l’intenzione di azzerare tutto l’apparato e il costume burocratico che attualmente soffoca la scuola in modo da valorizzare la dimensione professionale e culturale dei docenti. Infine, verrà introdotto il criterio della libera scelta delle famiglie e, con esso, una sana competizione tra gli istituti scolastici.

4.4 I nodi politici

E’ evidente la volontà del Ministro di evitare situazioni di conflitto, prova ne é il progetto di abrogare e/o modificare al minimo le leggi approvate nella XIII legislatura. Su due punti, però, lo scontro sarà inevitabile:

1 legge sulla parità delle scuole;

2 costruzione del secondo canale della formazione professionale.

Su questi argomenti la contrapposizione é di carattere puramente ideologico e, perciò, insuperabile. L’opposizione ha già affilato le armi: sono in calendario scioperi in difesa della scuola statale ed é già stato manifestato il dissenso per quella che viene considerata una scuola di serie B (canale professionale) finalizzata, secondo l’opposizione, a riprodurre le discriminazione e le ingiustizie sociali. Per quanto concerne il p.1, inoltre, anche nello schieramento favorevole alla parità si contano posizioni molto differenziate rispetto agli strumenti con cui realizzarla e, più, precisamente:

- buono scuola;

- detrazione fiscale;

- convenzione;

- finanziamenti statali erogati in ragione del numero degli alunni iscritti.

Non si tratta di differenze di poco conto: c’é chi vede nella libertà di scelta delle famiglie anche la possibilità di creare una positiva ed efficace competizione tra le scuole (buono scuola, per esempio) e chi, invece, vuole che il criterio di scelta rimanga saldamente nelle mani delle istituzioni (convenzione). In conclusione non può che essere positivo il giudizio sulle tendenze al cambiamento individuate attraverso la lettura dei documenti e delle dichiarazioni alla stampa dell’attuale ministro. Tali tendenze, infatti, introducono notevoli elementi di qualità culturale e di libertà nella scuola. La valutazione, però, non può essere definitiva perché i nodi politici da sciogliere sono di non poco conto e, al momento, non é dato di sapere con quali compromessi e a quale prezzo verranno superati.

II) L’UNIVERSITA’ TRA SPERIMENTAZIONE E VERIFICA

La complessità e contraddittorietà della situazione universitaria italiana, soprattutto se comparata a quella di altri paesi europei e americani, impone una riflessione argomentativa oltre che una mera rappresentazione di dati numerici e grafici (allegati 1, 2, 3, 4). Partendo da un’idea di libertà intesa come capacità di governo dei propri comportamenti per il pieno sviluppo delle proprie potenzialità e quindi una libertà che non é arbitrio personale ma che sa condizionarsi consapevolmente anche per un bene superiore o sociale, si possono fare le seguenti considerazioni sul grado di libertà di cui godono il sistema universitario e la ricerca in Italia.

- In base alle leggi che ne definiscono gli stati giuridici, la libertà di iniziativa nella ricerca dei ricercatori e dei docenti universitari é sulla carta totale. I condizionamenti vengono per lo più da colleghi, come in qualsiasi habitat lavorativo e, in alcune discipline, dal controllo degli anziani superiori in grado, che si esplica attraverso, per esempio, il ricatto sulle possibilità di carriera o sulle opportunità di attività professionali. Tale condizionamento é più lieve laddove la competitività, sul piano della carriera, é minore e soprattutto dove (é il caso dell’area chimica, fisica e matematica) la comunità scientifica di riferimento é connotata da una maggiore internazionalizzazione. Maggiori sono i vincoli nell’area umanistica in senso stretto, medica e giuridica.

- Si può parlare di limiti più che di condizionamento della libertà di ricerca se ci si riferisce alla scarsità delle risorse finanziarie, alla carenza delle strutture, all’inefficienza dell’organizzazione. Nelle discipline teoriche tali condizionamenti sono minori. Un caso particolare é rappresentato dalla fisica, la cui comunità, essendo diventata competitiva a livello internazionale precocemente, ha poi sempre applicato la buona prassi di valorizzare le migliori risorse umane e quindi é riuscita ad ottenere crescenti finanziamenti. Si può affermare che un buon ricercatore di fisica, chimica, biologia riesce a farsi valere nella propria comunità scientifica meglio dei ricercatori di altre discipline dove la qualità personale deve essere unita alla capacità di mettersi al servizio di maestri validi e capaci di affermarsi. Queste sono le regole del gioco universitario italiano. Negli Stati Uniti la qualità della persona trova più facilmente e più rapidamente riconoscimenti adeguati.

- Il caso italiano é caratterizzato dalla difficoltà, per non dire impossibilità, nel rimuovere il ricercatore o il docente che non é capace. Evidente é il peso negativo di tale vincolo rispetto alla qualità e alla flessibilità di cui ha bisogno la ricerca. Tuttavia questa inamovibilità presenta anche alcuni vantaggi. In America ricercatori e professori universitari sono reclutati per circa il 50% con contratti a tempo definito e spesso provengono anche dal mondo produttivo. In particolare l’inamovibilità di ricercatori e professori é una forte garanzia per la libertà accademica dei singoli docenti e per l’autonomia dell’Università da condizionamenti impropri. Negli Stati Uniti il governo degli atenei é attribuito al board of trustees, cioè a personale esterno all’università che tende a favorire il reperimento di risorse dall’industria, imponendo a professori e ricercatori programmi di ricerca d’interesse esterno. Quando l’accademia ha cominciato ad opporre resistenza e a rifiutare alcuni programmi, la risposta é stata una cancellazione di posizioni stabili (le famose tenure sulle quali nel dopoguerra é stata costruita l’eccellenza di molti atenei americani) a favore di contratti a termine. Oggi come già detto questi hanno raggiunto circa il 50% della docenza, e da qui l’allarme sempre più diffuso per le conseguenze che potrebbero esserci per la perdita di autonomia e di libertà di ricerca. In Italia negli ultimi anni si é molto rafforzata la collaborazione con l’industria, ma senza tali pericoli per ora per la libertà di ricerca. La competizione fra atenei si é innescata con l’istituzione del budget (1993) e con la possibilità di far pagare tasse adeguate agli studenti. La ricerca libera é poi mantenuta viva dalla presenza di molteplici canali di finanziamento (agenzie) come l’Unione Europea, il Ministero, il CNR, i privati, etc.

- Il limitato tasso di "privatizzazione" del finanziamento degli atenei (~70% dallo Stato) non é un fatto negativo in quanto delinea l’Università come un luogo istituzionale di formazione superiore e ricerca che riconosce il valore della ricerca libera (cioè basata sull’iniziativa del ricercatore) e ne garantisce l’esplicazione, ricerca che può essere sia di base che applicata.

- Il tasso di libertà dei docenti é invece oggi condizionato sempre più pesantemente dalla necessità di assolvere tutti i compiti didattici e quelli organizzativi che sono molto assorbenti (sono raddoppiati rispetto a 10 anni fa), dato il grande rapporto studenti/docenti: 35/1, che non ha di eguali nel mondo e che é 3 volte quello inglese e due volte quello francese. Rispetto agli impegni didattici crescenti conseguenti alla riforma didattica é quindi ancor più irrinunciabile e urgente aumentare il personale docente anche con forme part-time e a contratto, pena il soffocamento dell’attività di ricerca universitaria che peraltro é garanzia di qualità dell’insegnamento.

- Il sistema di finanziamento e organizzazione della ricerca in Italia andrebbe rivisto alla luce delle osservazioni che seguono. Le strutture di ricerca dovrebbero essere suddivise in tre grandi gruppi: le Università, gli Enti di ricerca pubblici e le strutture di ricerca private. Per un più efficiente coordinamento Università ed Enti di ricerca dovrebbero far capo ad un unico Ministero, mentre diversificati dovrebbero essere i soggetti che erogano somme per la ricerca; solo casi come la fisica delle particelle hanno l’esigenza di avere una sola fonte di finanziamento in quanto si tratta di ricerche i cui laboratori sono a livello mondiale e i costi molto elevati. E’ opportuno bloccare la tendenza alla proliferazione di nuovi istituti di ricerca all’interno dei singoli Ministeri per non dissipare inutilmente risorse; questi hanno la possibilità di promuovere e orientare la ricerca di loro interesse attraverso "appels d’offre" per finanziamenti specifici a cui partecipino istituti di ricerca già operanti e ricercatori pubblici e privati.

- L’autonomia finanziaria esiste per gli Atenei dal 1993. Negli ultimi anni utilizzando tale autonomia le università hanno potuto fare investimenti su edilizia, dottorati e assegni di ricerca, hanno migliorato i loro servizi e hanno affrontato la competizione fra di loro, utilizzando anche strumenti pubblicitari. Tutto ciò é molto positivo in quanto più che di concorrenza si tratta di competizione, e cioè si é diffuso uno stimolo a migliorare, favorito anche dall’aver posto in essere sistemi di valutazione interna ed esterna (nuclei di valutazione e osservatorio nazionale).

- L’autonomia didattica, che oggi finalmente é prevista dalla legge, permette di tener conto del fatto che oggi le università italiane accolgono il 50% dei giovani e non più solo le élites del Paese (negli anni ‘60 solo il 3-5%). Per rispondere alle esigenze della società della conoscenza le università si avviano dunque a fornire un’educazione superiore alla stragrande maggioranza dei cittadini. Il Paese chiede infatti loro di garantire un livello culturale adeguato e diffuso, necessario per realizzare una più elevata qualità della vita. L’università deve dunque portare alla laurea triennale una percentuale di almeno il 70-80% degli immatricolati con una didattica innovata, con più docenti e servizi, ma deve anche fornire ai più dotati un addendum formativo che permetta loro di esplicare tutte le loro potenzialità: ciò nel loro interesse e nell’interesse di tutto il Paese. Il successo di questo cambiamento é legato anche alla capacità di innovare mentalità e comportamenti da parte dei docenti. Saranno gli stessi studenti a fungere da stimolo e la società tutta a valutare i risultati.

 

Note

1 Il regolamento attuativo della L. 30/2000 é stato giudicato "attualmente inefficace" dalla III Sezione del TAR del Lazio con ordinanza emessa l’11/6/2001. Pertanto la L. 30/2000 é "inattuabile" a partire dal settembre 2001. Nei giorni precedenti la Corte dei Conti aveva mosso rilievi al regolamento e, ancor prima, aveva espresso parere negativo il consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione (C.N.P.I.)

2 A. Martini, Crediti, moduli, competenze, in "Punti critici", 4, Firenze, Libri Liberi, 2001, pp. 37-64.

3 L. 30 marzo 2000, n. 62, Art. 1 comma 1

4 Cfr., Programma quinquennale di progressiva attuazione della L.30/2000 di riordino dei cicli di istruzione, p. 5

5 Legge 10 febbraio 2000, n.30, art. 1.

6 Cfr. E. Agazzi, Una nuova paideia, per una nuova scuola, in Il bene cultura, il male scuola, Roma, 1999.

7 Un esempio degli approdi di tale didattica é la ricerca presentata alla maturità da uno studente di Porto Gruaro in Friuli e che verteva su questo tema: "La relatività in Pirandello e in Einstein".

8 Cfr. Dichiarazioni Programmatiche del Ministro Letizia Moratti.

9 Tutti i corsivi sono nostri.

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