Garanzie e poteri regolatori
Giuseppe de Vergottini
Ordinario di Diritto Costituzionale -
Università di Bologna -
1. La liberalizzazione assistita.
La passata legislatura coincide con
l’affermarsi di un processo di progressiva liberalizzazione
dell’economia che ha di fatto offuscato il concetto di "economia
mista" desumibile dalla lettura degli articoli 41 e seguenti della
Costituzione, lettura che era stata del tutto maggioritaria per un buon
mezzo secolo: l’idea stessa di Stato imprenditore diventava così
recessiva o veniva affrettatamente archiviata. Contemporaneamente si
affermava il superamento dello Stato dirigista, anch’esso coerente con
un modello pacificamente accettato nel tempo. In buona sostanza, a una
vistosa ritirata dello stato si accoppiava una rivalutazione del ruolo del
cittadino nei confronti del potere politico, con ampi richiami
all’ideologia liberista, e si rivalutava il ruolo dell’impresa
privata. Secondo una diffusa interpretazione, spetterebbe alla legge 10
ottobre 1990, n.287, sulla tutela della concorrenza, il merito di aver
segnato una decisiva svolta nella impostazione delle politiche di
intervento pubblico nell’economia: a differenza di quanto in precedenza
attuato tramite indirizzi dirigistici, "la politica della concorrenza
si affida alla libertà, delle imprese e dei consumatori, di scegliere i
comportamenti che ritengono più opportuni e vantaggiosi, affinché la
crescita del sistema economico possa indirizzarsi secondo criteri
premianti l’efficienza e il merito" (1). In questo clima é
perfettamente comprensibile l’accento posto al tema delle garanzie, tema
in realtà per niente nuovo nel panorama politico-istituzionale italiano,
in cui alle garanzie per l’ampia gamma dei diritti e libertà previste
dall’ordinamento é sempre stata dedicata una ampia attenzione, anche se
spesso strumentale alle politiche di parte che in molteplici circostanze
hanno finito per limitare le garanzie a precise aree, finendo per creare
situazioni oggettivamente discriminatorie. Il profilo innovativo in tema
di garanzie é stato offerto dalla istituzione di formule organizzatorie
innovative, dedicate, appunto, alla assicurazione di particolari forme di
garanzia nella amministrazione di interessi pubblici, che venivano
sottratti alla gestione delle pubbliche amministrazioni legate da
dipendenza gerarchica al governo della repubblica e assegnate ad apposite
"autorità" definite abitualmente "indipendenti" (2).
Ad un tempo, però, tale formula comportava la assegnazione alle autorità
di apposite competenze di regolazione, prevedendosi quindi attribuzioni
che davano inevitabilmente adito alla presenza di un ruolo moderatore o
regolatore delle stesse nei settori interessati alla loro azione. Il che,
a prima vista, sembrerebbe rivelare il paradosso della introduzione di
nuove forme dirigistiche, in un panorama che abbina alla progressiva
scomparsa della tradizionale impresa pubblica la presenza di "imprese
private regolamentate" (3), proprio nel momento in cui si apriva la
strada a una liberalizzazione delle regole del mercato. Si aggiunga che
l’introduzione del modello organizzativo delle autorità non faceva del
tutto scomparire, ma soltanto integrava in molti settori, i tradizionali
strumenti di regolazione caratteristici dell’azione dei pubblici poteri.
Di conseguenza, quando oggi si parla di regolazione, ci si riferisce
spesso in modo promiscuo sia alla attività di "regolazione"
affidata alle autorità amministrative indipendenti, sia al tradizionale
potere di intervento degli organi statali, regionali e locali che si
svolge attraverso le usuali forme dei provvedimenti normativi e
amministrativi. A quest’ultimo riguardo si nota che il nostro
legislatore ha inteso recentemente concentrare l’attenzione sulla
ricaduta che hanno i tradizionali strumenti di intervento normativo del
governo e dei ministri sugli interessi economici incisi dagli atti
autoritativi. Infatti, la legge 8 marzo 1999, n. 50, che porta norme in
tema di semplificazione, ha introdotto in via sperimentale l’obbligo che
le misure normative proposte dal governo e dai ministri vengano corredate
da una valutazione tecnica circa il loro impatto sui cittadini e sulle
imprese. La predisposizione di tale valutazione dovrebbe implicare la
possibilità di scelta fra diverse alternative, facilitare il processo
decisionale, eliminare aggravi burocratici. Una successiva direttiva del
Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 marzo 2000 puntualizza forme
e contenuti della valutazione, agevolando la messa a punto di strumenti
che dovrebbero rivelarsi più efficaci rispetto agli obiettivi che le
misure amministrative si propongono. Gli schemi di provvedimenti da
sottoporre al Consiglio dei ministri devono contenere sia l’analisi
tecnico-normativa (ATN) sia l’analisi di impatto della regolamentazione
(AIR). Inoltre, l’OCSE ha recentemente consigliato di inserire un parere
preventivo richiesto alla AGCM prima che il governo adotti qualsiasi
decisione in tema di regolazione economica (4). Secondo la stessa AGCM
tale tipo di parere agevolerebbe l’affermazione dei principi di tutela
della concorrenza, rafforzando i mercati (5). Queste misure vanno
inquadrate nello sforzo effettuato in vista di assicurare la trasparenza
nella regolamentazione, per agevolare una nuova concezione
dell’intervento pubblico, rispettoso delle esigenze del libero mercato.
Esse si sommano alla impostazione garantista della legislazione sul
procedimento amministrativo, a quella in tema di semplificazione, ed alla
istituzione di apposite strutture a livello governativo e parlamentare
intese a garantire la qualità della normazione.
2. La regolazione.
Non risulta a prima vista chiaro
cosa debba propriamente intendersi per "regolazione". Nel
documento dell’OCSE su "La riforma della regolazione in
Italia", pur partendosi dalla constatazione che "Non esiste
una definizione comunemente accettata di regolamentazione applicabile ai
diversi sistemi normativi dei paesi OCSE. [....] Per regolamentazione si
intende l’insieme diverso degli strumenti mediante i quali i governi
stabiliscono gli obblighi ai quali sono assoggettati i cittadini e le
imprese. [Quindi] Le regolamentazioni includono le leggi, i provvedimenti
formali e informali e le norme delegate emesse da tutti i livelli
governativi e da organismi non governativi o di auto-regolazione ai quali
i governi hanno delegato poteri di regolazione" (7). E’
evidente che questa definizione va presa per quello che nella sostanza, e
senza sottigliezze giuridiche, vuole dire: la regolazione, termine tra
l’altro a volte usato in modo promiscuo con quello di regolamentazione,
é funzione sostanzialmente autoritativa, che gli organi di governo di un
paese usano per imporre vincoli cogenti ai cittadini e alle imprese. Essa
va quindi in senso lato riportata al concetto di gestione o
amministrazione di interessi. E questo a prescindere dalle modalità,
formali o di fatto, che le diverse autorità di governo, in modo diretto o
indiretto, possano utilizzare. In pratica questo tipo di approccio ignora
i profili formali dei poteri autoritativi, che tuttavia assumono una
rilevanza che non può assolutamente trascurarsi, quando ci si sposta
sull’aspetto delle garanzie da assicurarsi ai soggetti incisi dal potere
di regolazione, e ci si concentra sul dato effettuale. E in effetti il
documento OCSE suddistingue le regolamentazioni in tre categorie, a
seconda del loro oggetto: economiche, sociali, amministrative, avendo di
mira l’analisi di quegli interventi che migliorino la qualità del
quadro regolamentare in vista della liberalizzazione, o che conducano a
forme di eliminazione completa o parziale di una regolamentazione di
settore al fine di migliorarne la resa economica, ottenendo quindi una
deregulation (8). Per quanto riguarda le funzioni di
"regolazione" delle recenti autorità, queste si spiegano
facendo rinvio alla volontà del legislatore di affidare alle stesse la
gestione di un dato settore di intervento che, in caso diverso, sarebbe
rimasto affidato alla abituale catena di governo, costituita da Consiglio
dei Ministri - Ministero - Amministrazione, prevista esplicitamente dalla
disciplina costituzionale. Divergendo da tale schema
organizzativo-funzionale, le diverse leggi che hanno istituito autorità
hanno affidato in blocco la responsabilità di interventi a un unico
centro di governo del settore, includendovi le funzioni di normazione, di
gestione amministrativa, di vigilanza, di intervento sanzionatorio, di
soluzione di contenziosi. Si tratta di un fenomeno di grande rilevanza se
si considera che le autorità hanno responsabilità in tema di
concorrenza, pubblici servizi, energia, comunicazioni, appalti pubblici,
tutela dei dati personali. E questo solo per una indicazione incompleta
dei settori di competenza e segnalando come permangono ampi margini di
arbitrarietà nell’individuare i confini della categoria di questi
recenti enti. In pratica, le leggi hanno affidato alle autorità una sorta
di esclusività di competenza settorializzata (9) che include
diversi livelli di interventi, al vertice dei quali si colloca quello
normativo, che tuttavia non esaurisce l’ambito della
"regolazione", nozione, come si é detto, di non agevole
definizione. Al riguardo é appena il caso di ricordare che le nozioni di
"regolazione", di "poteri regolatori" di "stato
regolatore", di "autorità regolatrice" e simili, derivate
da una terminologia estranea alle tradizioni culturali ed al lessico
legislativo italiani, indicano prevalentemente le attitudini del potere
pubblico a farsi arbitro dei processi spontanei del mercato, intervenendo
come moderatore degli stessi utilizzando diverse modalità, come accennato
in precedenza ricordando il recente documento dell’OCSE. Il termine
"regolazione" é entrato nell’uso corrente derivando
dall’attributo "regulatory" utilizzato per le authorities
inglesi (10). In tale quadro era riferito alle esigenze della transizione
dal monopolio pubblico alle privatizzazioni in cui avrebbero operato le
regole di concorrenza. Le Regulatory Agencies erano incaricate di
utilizzare poteri regulatory al fine di proteggere i consumatori.
Di qui la diffusa affermazione secondi cui il "regolatore" opera
come "surrogato della libera concorrenza", proteggendo
consumatori e utenti e assicurando le garanzie sociali connesse alle Public
Utilities, come in particolare la caratteristica di universalità del
servizio. Ma il pragmatismo inglese non si é certo occupato del rispetto
di soluzioni in linea con esigenze formali, ricorrendo spesso a soluzioni
informali in cui il produttore o il fornitore del servizio, che é il
soggetto "regolato", deve offrire garanzie in ordine a prezzi,
tariffe e qualità del servizio offerto all’utente/ consumatore. La
trasposizione nell’ordinamento italiano del modello delle autorità
indipendenti ha implicato l’assorbimento affrettato di un concetto
omnicomprensivo di "regolazione", incurante della esigenza di
rispettare i principi che la Costituzione impone in tema di uso dei poteri
delle autorità pubbliche, poteri che sono disciplinati da apposite fonti
normative. Di fatto é avvenuto che la regolazione delle autorità viene
richiamata in contrapposizione alla tradizionale figura del potere
interventista dello stato che agisce per moduli autoritari. Senza poterci
attardare sul punto, deve piuttosto notarsi che le funzioni di regolazione
delle autorità sono orientate ad interessare soggetti pubblici e privati
che operano in un determinato settore, e che vengono variamente
indirizzati, vigilati, ma anche tutelati e sostenuti, da parte di nuove
entità organizzative (le autorità) distinte ed autonome rispetto alla
amministrazione convenzionale dello Stato, e tendenzialmente indipendenti
dall’indirizzo degli organi politici. Tali entità andrebbero viste come
centri di potere "neutro" rispetto agli interessi coinvolti,
avendo per missione la soddisfazione degli interessi attribuita loro dalle
diverse leggi istitutive utilizzando un ampio fascio di possibilità,
dalla normazione all’applicazione di sanzioni, che sono tutte
riconducibili al proposito ultimo di "gestire" il settore loro
assegnato, conseguendo quindi gli obiettivi voluti dal legislatore (la
trasparenza del mercato, la garanzia della riservatezza, il pluralismo
dell’informazione, etc.) ma godendo di notevole discrezionalità nel
definire in concreto le modalità di intervento e tenendo conto delle
esigenze che via via si presentano, dei dati della comune esperienza,
delle diverse prassi. Di conseguenza si é rilevato come gli strumenti a
disposizione delle autorità siano particolarmente flessibili, anche a
causa dalla tendenziale indeterminatezza risultante dal tenore dei testi
legislativi che le istituiscono. Ovviamente, si potrebbe in proposito
notare che mentre la flessibilità é elemento positivo se si tiene
presente l’aspettativa di efficacia della loro azione, altrettanto non
può dirsi con riferimento alla esigenza di garanzia dei soggetti
coinvolti nella loro azione qualora gli stessi si considerino pregiudicati
dalla medesima.
3. Il potere regolamentare delle
autorità.
Una volta accennato a cosa si
intenda con l’equivoco termine di "regolazione", va anche
sottolineato che nel suo ambito può rientrare una competenza
regolamentare in senso tecnico. Le autorità infatti possono adottare atti
definibili come "regolamenti" ai sensi dei principi
dell’ordinamento vigente (11). In tal caso é evidente che gli stessi
non potrebbero essere considerati come espressione di un potere del tutto
libero delle autorità ma dovrebbero essere subordinati alla legge e
tenuti al rispetto di una serie di vincoli garantisti al pari degli altri
regolamenti. Tuttavia non é assolutamente agevole riscontrare il rispetto
del principio di necessitata subordinazione alla legge dei regolamenti
delle autorità. In effetti, il legislatore si limita in genere a fissare
scarni principi direttivi, indicando i valori alla cui tutela la singola
autorità é preposta, rinviando spesso in modo sintetico e non
circostanziato alla normazione successiva della stessa. La frequente
sommarietà delle previsioni parlamentari, contenute nelle diverse leggi
istitutive delle autorità, ha fatto individuare una sorta di
"mandato in bianco" conferito dal parlamento a nuovi centri di
normazione, investiti di una sostanziale discrezionalità nel determinare
le normative di settore in base a proprie contingenti valutazioni. Di
conseguenza, le autorità si avvalgono della considerevole ampiezza della
discrezionalità che la legge attribuisce loro per adottare normative che
riempiano gli spazi vuoti lasciati dalla legge. E’ infatti spesso
impossibile ragionare in termini di organica fissazione di norme-principio
in sede legislativa, e di svolgimento delle stesse in sede regolamentare
da parte delle autorità. Dunque si riscontrano casi in cui la normazione
delle autorità finisce per assumere natura di fonte primaria colmando i
vuoti della legge. Il che appare particolarmente discutibile, ove si
rifletta sul fatto che accanto a regolamenti che riguardano i profili di
organizzazione e funzionamento delle autorità si pongono quelli che
sono volti a disciplinare rapporti intersoggettivi esterni,
afferenti ai diversi ambiti settoriali alle cui discipline sono preposte
le diverse autorità. A quest’ultimo riguardo si citano, a titolo di
esempio, i regolamenti della Consob relativi alla fissazione dei requisiti
per l’ammissione alla quotazione in borsa, le direttive concernenti la
produzione e l’erogazione di servizi della Autorità di regolazione dei
servizi di pubblica utilità e le competenze regolamentari della Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni in tema di fissazione delle condizioni
per il rilascio di nuove concessioni radiotelevisive private in base al
piano di assegnazione delle frequenze approntato dalla stessa autorità
(articolo 3, comma 2 e 3, legge 31 luglio 1997, n.249). Ma proprio a
proposito della Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, si deve
rilevare l’estrema ampiezza delle ipotesi di adozione di atti normativi
che investono i più svariati ambiti del mondo delle comunicazioni (cfr.
articolo 1, comma 6, 9, 11, 12, 13; articolo 2, comma 5, 6; articolo 3,
comma 2, 3, 11; articolo 4, comma 3; articolo 5, comma 1, della legge
249/1997). Non resta che prendere atto di tale anomalia, considerando che
la stessa risulta originata da quella commistione fra potere in senso
proprio normativo e potere provvedimentale [racchiuso nell’ambiguo
concetto di "regolazione" di cui si é trattato sub 2] che é
caratteristica delle scelte della legislazione che ha prodotto le diverse
autorità. Ne é risultato quindi un modello atipico di attribuzione di
potere regolamentare. Ed in effetti le competenze regolamentari
organicamente previste nel nostro ordinamento sono quelle della legge 23
agosto 1988, n. 400, di attuazione della Costituzione. Esse implicano una
serie rigorosa di limiti e garanzie per gli atti regolamentari: la stessa
subordinazione del regolamento alla legge, l’emanazione con decreto del
Presidente della Repubblica, la competenza consultiva del Consiglio di
Stato e il riscontro di legittimità della Corte dei Conti, la
responsabilità politica del Governo di fronte alle Camere parlamentari.
Tutto questo per i regolamenti del Governo, mentre altri limiti sono
previsti per i regolamenti ministeriali. Ma il regime dei ricordati limiti
della legge 400/1988 non vale per i suoi più rilevanti elementi nel caso
dei molteplici regolamenti adottabili da parte delle autorità. Il che non
può non suscitare dubbi di costituzionalità. In particolare, desta
perplessità l’ambito sensibilmente ampio degli spazi occupabili dalle
normative regolamentari assunte dalle autorità per disciplinare materie
soggette a riserva di legge. Pur essendo pacifico che la legge può
demandare a regolamenti successivi la disciplina di completamento, nel
caso della disciplina legislativa delle autorità si nota, oltre che il
ricorso a disposizioni legislative di principio cui segue una esecuzione
in via regolamentare da parte delle autorità, il ricorso a una tecnica di
delegazione di competenza alle autorità, intesa ad affidare ai suoi
regolamenti la disciplina del settore, con una sensibile alterazione del
modulo tradizionale dei rapporti legge-regolamento. A titolo
esemplificativo può accennarsi ai regolamenti adottabili dalla Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni, la cui competenza regolamentare
deriva in via diretta dalle disposizioni della legge n. 249/1997, che in
diverse disposizioni attribuisce espressamente alla Autorità competenze
regolamentari, o individua competenze di natura normativa sostanzialmente
qualificabili come regolamentari. Di conseguenza, sempre a titolo di
esempio, la importante specifica disposizione della legge n. 249/1997, e
cioè l’art. 2 bis, comma 7, che detta criteri direttivi preordinati al
rilascio di licenze o autorizzazioni per la diffusione televisiva digitale
terrestre, trova un precedente nell’articolo 1, comma 6, c), punto 5
della legge 249, che già prevedeva in generale la fonte regolamentare per
la disciplina delle modalità di rilascio di licenze, autorizzazioni,
concessioni. A loro volta le disposizioni legislative richiamate trovano
origine nelle riserve di legge previste a livello costituzionale in
materia di libertà di comunicazione e manifestazione del pensiero
(articoli 15 e 21 della Costituzione), fondamento del diritto di informare
ed essere informati, e di iniziativa economica (articolo 41 della
Costituzione). L’attuazione di principi sanciti nelle clausole
costituzionali appena ricordate é considerata il tramite per la
realizzazione di altri principi costituzionali e, soprattutto, del
principio democratico che viene sviluppato assicurando una piena
affermazione dei diversi profili della informazione. Va altresì rilevato
che accanto alla garanzia dei diversi profili dell’informazione e della
iniziativa economica, espressamente prevista in Costituzione, il diritto
comunitario ha sviluppato in modo puntuale quella del mercato, arricchendo
quindi e integrando i principi di riferimento nel settore delle
comunicazioni. E infatti la legislazione italiana, in modo diretto o
soltanto implicito, dà attuazione anche ai principi comunitari, e i
regolamenti dell’Autorità sono anche normative di dettaglio che
specificano le linee-guida tracciate nelle normative comunitarie. Analoghe
considerazioni potrebbero effettuarsi con riferimento alla esperienza
delle altre autorità. Per tutte, tendenzialmente, si individua una
disordinata attribuzione del potere regolamentare secondo moduli non
coincidenti con la generale disciplina della legge n. 400/1988. Per tutte
é individuabile una ampia attribuzione di potere a livello di decisione
legislativa, anche se il Parlamento é generalmente intervenuto in modo
disordinato, sciatto e spesso atecnico. Per tutte é possibile, sempre
procedendo a ritroso, individuare un qualche appiglio giustiticativo in
principi statuiti a livello costituzionale e quindi a livello comunitario.
4. La garanzia degli interessi.
La funzione di garanzia di interessi
é in qualche modo riconducibile al vasto movimento che in molti
ordinamenti ha tentato di superare l’insoddisfazione per i meccanismi di
tutela amministrativi e giurisdizionali tramite l’istituzione dei
"fiduciari" parlamentari (ombudsman), nominati dal Parlamento,
abitualmente definiti come indipendenti (da Governo e Parlamento), dotati
di poteri ispettivi e di poteri di persuasione verso le amministrazioni,
controllori in funzione della tutela degli interessi dell’attività
amministrativa globalmente considerata e non di puntuali provvedimenti
amministrativi. Il primo Garante dell’editoria si avvicina a tale
modello per la sua nomina esclusivamente parlamentare e per la missione di
salvaguardia della libertà di informazione. Per le altre esperienze
legislative italiane il richiamo sarebbe appropriato con riferimento a
quelle competenze che riguardano puntualmente il profilo della tutela
degli interessi "deboli" di utenti e consumatori. Va
sottolineato che la funzione di garanzia ha avuto, e continua ad avere,
una sua significativa influenza nel valutare il ruolo delle autorità
indipendenti, anche se molte diversificazioni legislative sono intervenute
da quando la Commissione per la modernizzazione delle istituzioni
(Relazione sulla riforma dell’Amministrazione centrale - 18 giugno 1985)
individuava strutture atipiche destinate "non diversamente da quanto
avviene con la funzione giurisdizionale, a tutelare imparzialmente gli
interessi dei cittadini", insistendo quindi sull’assimilabilità
della funzione di tali strutture a quella del giudice (12). In tal senso a
una scelta organizzativa di "indipendenza" si connette una
neutralità rispetto agli interessi considerati che assicurerebbe una
effettiva "imparzialità" nella trattazione delle questioni da
esaminarsi. Le variegate funzioni di gestione settoriale trovano origine
in diverse cause sovente messe in risalto: sfiducia della competenza e
efficienza dell’amministrazione tradizionale, carenza di imparzialità
della medesima, esigenza di particolari competenze specialistiche,
tendenza degli interessi di settore ad autogestirsi e a trovare un
referente in una struttura organizzativa svincolata (il più possibile)
dall’apparato statale e quindi "indipendente". Nella realtà
le funzioni di amministrazione settoriale e di tutela degli interessi si
trovano spesso unite, anche se la tendenza a sviluppare gli interventi di
privatizzazione e l’ampliamento della concorrenza con riduzione delle
aree di monopolio ha fatto emergere prevalentemente la tematica del
rapporto fra erogatore del servizio e utenti e consumatori, ponendo
l’accento sulla esigenza di prevedere apposite "autorità di
tutela": un buon esempio é la raccomandazione n. R (93) 7 del
Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del 18 ottobre 1993,
relativa alla privatizzazione di imprese e attività pubbliche, che con
riferimento specifico alla continuità, accessibilità e qualità dei
servizi consiglia di inserire fra le modalità di tutela degli interessi
di utenti e consumatori una apposita "autorità di tutela".
5. La tutela giurisdizionale nei
confronti delle autorità indipendenti.
La circostanza per cui le autorità
hanno compiti di garanzia non esclude la possibilità di una incidenza
delle loro azioni sugli interessi individuali, e quindi non esenta i loro
atti e comportamenti dalla naturale tutela giurisdizionale che la
Costituzione prevede nei confronti di ogni tipo di amministrazione. Non si
potrebbe infatti pensare di escludere a priori il ruolo della
giurisdizione, motivando con il fatto che le autorità di cui si parla
sono caratterizzate dalla ricordata "indipendenza".
L’evoluzione dei profili normativi e giurisprudenziali porta oggi ad
osservare che le autorità rimangono collocate nell’ambito
dell’amministrazione, da intendersi in una prospettiva di garanzia,
"secondo caratteri oggettivi di concretezza, spontaneità e
discrezionalità che sono propri dell’attività amministrativa"
(13). Del resto non si vede come potrebbero altrimenti inserirsi
coerentemente nel quadro dei poteri così come delineati dalle norme
costituzionali. E ciò anche se il modello della autorità indipendente,
per la sua natura di modello amministrativo radicalmente "nuovo"
rispetto all’esistente - tanto da aver originato un acceso dibattito
sulla sua stessa natura giuridica (14) - appare in posizione alquanto
defilata rispetto alla tradizionale concezione di amministrazione
dipendente dal potere politico a livello governativo. Sulla aderenza delle
autorità all’amministrazione si é pronunciato il Consiglio di Stato,
affermando che l’indipendenza dell’Autorità Garante della Concorrenza
e del Mercato non é "separatezza dall’ordinamento generale",
ma "esaltazione del carattere dell’imparzialità, cioè di uno dei
valori giuridici fondamentali dell’attività amministrativa (art. 97
comma 1 della Costituzione)" ed ancora ribadendo che si tratta di
"un ufficio pubblico collocato fuori dai Dicasteri, ma non per questo
avulso dall’indirizzo politico espresso dagli organi ordinari nelle
forme previste dalla Costituzione (artt. 94 e 95)" (15) . Queste
affermazioni risultano avere ancora più valore, se si tiene presente che
esse sono state rese nell’ambito di un parere in merito ad un ricorso
straordinario al Capo dello Stato: ne risulta quindi che, secondo il
Consiglio di Stato, l’autorità indipendente é inserita nel novero
delle amministrazioni, stante la sua estraneità rispetto all’art. 102
Cost., disciplinante la funzione giurisdizionale, e pertanto in relazione
ai suoi provvedimenti é da considerarsi pienamente ammissibile lo
strumento del ricorso straordinario. Il ragionamento sull’indipendenza,
intesa non come separatezza ma come esaltazione dell’imparzialità,
trova così in questa vicenda la quadratura del cerchio, dal momento che
sostenerne una totale indipendenza rispetto al Governo, porterebbe ad
escludere con decisione l’ammissibilità dello strumento del ricorso
straordinario al Capo dello Stato, con il quale si rimetterebbero
all’esame del Governo proprio i provvedimenti dell’autorità che al
controllo di questo si intendono sottrarre (16). Chiarita la posizione di
"specialità" delle autorità indipendenti, resta da esplorare
il panorama delle tutele che i privati hanno a disposizione per difendersi
dai loro provvedimenti. Il quadro antecedente al D. Lgs. 31 marzo 1998, n.
80, é improntato ad una competenza prevalente del giudice amministrativo
rispetto al giudice ordinario, in quanto alla giurisdizione esclusiva
amministrativa sono riconducibili i provvedimenti dell’Antitrust, delle
Autorità per i servizi pubblici e del Garante dei lavori pubblici, mentre
il giudice ordinario conosce in via esclusiva dei provvedimenti del
Garante per la privacy e delle questioni di nullità e risarcimento
in materia di concorrenza. Le altre authorities sono soggette al
normale riparto di giurisdizione, con conseguente consolidamento della
giurisdizione amministrativa per gli interessi legittimi. Sulle tutele
giurisdizionali un impatto rivoluzionario lo ha avuto, in primis, il
succitato D. Lgs. 80/98, che ha ampliato sensibilmente la sfera di
conoscenza del giudice amministrativo, con particolare riferimento
all’azione per il risarcimento del danno a questo direttamente
proponibile, insieme con i nuovi orientamenti giurisprudenziali, che hanno
sensibilmente arricchito la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, "modello di tutela in rapida fase di diffusione
quantitativa e di crescita qualitativa (19)". Tale innovazione si é
poi assestata nella legge 21 luglio 2000, n. 205, con la quale il
legislatore riproduce elementi del D. Lgs 80/98 e accoglie i nuovi
orientamenti cui si accennava poc’anzi. Con la norma introdotta
dall’art. 4 comma 1 lettera d) della legge 205/00, laddove si sancisce
che "i provvedimenti adottati dalle autorità amministrative
indipendenti" sono disciplinati dalle norme sui cosiddetti "riti
speciali" dinanzi al giudice amministrativo, viene concretamente
trasfuso, nell’operatività della giurisdizione, quel carattere di
specialità sostanziale delle autorità indipendenti di cui si parlava
poc’anzi. Questa particolare disciplina rappresenta un momento
decisamente innovativo, sotto molteplici aspetti: da un punto di vista
formale, innanzitutto, é l’unico caso in cui l’applicazione del rito
speciale viene ancorata non al criterio della materia trattata, ma
piuttosto al soggetto "autorità indipendente" e agli atti che
questo emana (20), intendendosi con il riferimento ad "autorità
indipendenti" una volontà del legislatore di unificare il più
possibile la disciplina processuale delle varie autorità istituite nel
tempo (21). Inoltre, l’individuazione di un giudice esclusivo ex lege
riduce gli spazi per un sistema "a doppio binario", quale quello
tracciato dall’art. 33 L. 287/90, ed accelera quindi in concreto le
possibilità di ottenere tutela da parte del privato colpito da un
provvedimento dell’autorità, senza dover instaurare due giudizi in
materie particolarmente complesse, e senza tuttavia pregiudicare le
particolari esigenze di tutela cui solo le misure cautelari possono dare
adeguata risposta. Ancora, l’introduzione di un sistema semplificato,
che abbrevia in modo così deciso i tempi del giudizio amministrativo nel
caso in questione é da considerarsi misura di civiltà, vista anche la
pronuncia della Corte Costituzionale in cui si é affermato che la celerità
del processo é un valore primario, recessivo solo rispetto alla garanzia
del contraddittorio (22). Considerati sin qui i profili positivi della
riforma costituita dalla legge 205/00, e dalle norme e dalla
giurisprudenza che l’hanno preceduta, sono infine necessarie alcune
brevi puntualizzazioni sui possibili profili problematici che tale
normativa ha innescato. In primo luogo é conseguenza diretta della scelta
di un procedimento così semplificato e celere, la valutazione in termini
di compatibilità con la recente riforma dell’articolo 111 della
Costituzione, la norma del c.d. "giusto processo", rispetto alla
quale pare che nel processo amministrativo si sia compiuto un passo
indietro, accogliendo un sistema nel quale l’esigenza di celerità
pregiudica l’equilibrio effettivo tra le parti, dal momento che i
termini del procedimento sono tutti dimezzati, a parte quelli iniziali per
la parte ricorrente, che così si trova ex lege in posizione di
favore (23). In secondo luogo, vista la natura per così dire derogatoria
e privilegiata dell’iter applicabile allorquando ci si trovi a ricorrere
contro un provvedimento di autorità indipendente, é opportuno ed anzi
necessario che l’individuazione di ulteriori autorità indipendenti, ai
nostri fini, sia disciplinata da criteri estremamente rigorosi ed univoci
(24). Questo anche in considerazione di un recentissimo sviluppo
giurisprudenziale, da seguire con attenzione, nel quale il giudice
funzionalmente competente per i ricorsi ai provvedimenti della quasi
totalità delle autorità indipendenti, il TAR Lazio, si pone il problema
di una espansione de jure condendo dei poteri dell’Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato, così lanciando una nuova sfida
in termini di delimitazione del potere di regolazione e garanzia per i
privati (25).
6. Gli interventi di
liberalizzazione e il ruolo delle diverse autorità.
Al fine di agevolare la creazione di
una situazione concorrenziale in settori che erano caratterizzati da
situazioni di monopolio in base a norme di legge o a concessioni in
esclusiva, e in vista del passaggio a successive privatizzazioni, si sono
realizzate diverse iniziative, finalizzate alla liberalizzazione,
interessanti imprese che gestivano servizi di pubblica utilità.
Caratteristica di tali interventi legislativi é la separazione della
rete, intesa quale infrastruttura unitaria non duplicabile, dal servizio.
La competitività fra fornitori di servizi viene assicurata imponendo al
proprietario della infrastruttura di consentire a tutti i fornitori del
servizio sia l’accesso alla rete sia la interconnessione fra tale rete e
le reti degli stessi fornitori (26). Separazione fra rete e servizio,
nonché riconoscimento del diritto di accesso e interconnessione, sono
previsti per il settore delle telecomunicazioni dalla legge 31 luglio
1997, n. 249, e dal successivo DPR 19 settembre 1997, n. 318, che prevede
tutta una serie di obblighi a carico degli organismi di telecomunicazione
aventi notevole forza di mercato, in tema di condizioni di
interconnessione non discriminatorie ed orientate ai costi, pubblicazione
dei prezzi di riferimento, messa a disposizione di informazioni,
comunicazione degli accordi alla Autorità competente. Nel settore della
energia elettrica la legge 22 aprile 1998, n. 128 ha delegato il governo
ad attuare la direttiva CE 96/92 relativa al mercato dell’energia
elettrica e in seguito é stato emanato il D. Lgs. 16 marzo 1999, n. 79.
Tale provvedimento ha disposto la costituzione da parte dell’Enel di una
società, le cui azioni sarebbero state trasferite al Tesoro, cui
conferire i rapporti giuridici inerenti alla trasmissione e al
dispacciamento di energia elettrica, restando all’Enel la proprietà
della rete. Il gestore ha l’obbligo di connettere alla rete nazionale
tutti i soggetti (produttori, importatori, distributori e clienti idonei)
che ne facciano domanda. La competente Autorità garantisce tale obbligo,
fissa le condizioni di accesso a parità di condizioni, assicura la
imparzialità e neutralità del servizio. Nel settore del gas metano,
esiste la direttiva 98/30/CE del 22 giugno 1998 che assicura l’accesso
alla rete a condizioni non discriminanti. La legge 17 maggio 1999, n. 144
ha delegato il governo a dare attuazione alla direttiva, il che é
avvenuto con il D. Lgs. 22 maggio 2000, n. 164, che ha liberalizzato la
vendita del gas e regolamenta l’accesso in base a condizioni da fissarsi
dalla competente Autorità. Nel settore del trasporto ferroviario il
monopolio delle F. S. S.p.A. é stato parzialmente intaccato dalla
direttiva CEE 91/440, recepita dal D.P.R. 8 luglio 1998, n. 277. Il
provvedimento ha disposto la separazione della gestione della rete
rispetto alle imprese che gestiscono il servizio. Nel corso del 2000 sono
state effettivamente costituite due distinte società, rispettivamente
competenti per le infrastrutture e per i servizi, e si é anche
liberalizzato il trasporto internazionale rilasciando apposite licenze. La
istituzione di alcune delle autorità amministrative indipendenti si é
manifestata come necessaria proprio in riferimento alla scelta politica di
passare alla privatizzazione di imprese esercenti servizi pubblici. In
questa prospettiva di liberalizzazione, e garanzia della stessa tramite
apposita autorità, doveva procedere la privatizzazione (27). Infatti,
trattandosi di imprese caratterizzate dall’agire in regime di monopolio
naturale, la semplice privatizzazione comportava il pericolo di far
permanere la situazione di monopolio a favore del privato subentrante. Di
qui l’esigenza di proteggere utenti e consumatori, assicurando controllo
dei prezzi e della qualità del servizio, nonché la sua continuità, come
pure l’esigenza di tutelare i fornitori tramite accesso alle reti a
condizioni tecniche ed economiche controllate. La soluzione é stata
quella di investire di questi compiti di garanzia le autorità
indipendenti (legge 30 luglio 1994, n. 474, art. 1 bis). Compiti
essenziali delle autorità sono la determinazione di tariffe base, i
controlli sulle condizioni tecnico-economiche di interconnessione, i
controlli in materia di qualità dei servizi e parità di trattamento (si
veda diffusamente la legge 14 novembre 1995, n, 481, in tema di
istituzione della Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità,
artt. 2 e 3).
7. Una riflessione sul futuro
E’ generalizzata la sensazione che
il processo di liberalizzazione, anche grazie al ruolo svolto dalle
autorità indipendenti, sia stato significativo. Ad un tempo é presente
la consapevolezza che tale processo non sia assolutamente compiuto.
a) Tra
i diversi aspetti problematici che emergono vi é quello del rischio
connesso ad un espandersi incontrollato dei poteri regolatori delle stesse
autorità. Infatti l’indipendenza delle autorità si presenta nel suo
profilo positivo come garanzia di assenza di condizionamenti da parte di
governo, amministrazione, forze politiche e interessi economici di varia
estrazione, mentre nel suo profilo negativo comporta una sorta di
autorefenzialità delle autorità. Le stesse infatti rispondono solo in
modo formale al Parlamento, per lo più tramite invio di relazioni
annuali, mentre un penetrante controllo giudiziale può intervenire
soltanto in caso di contestazione di aspetti puntuali della loro azione,
tramite riesame di singoli atti. L’aspetto che colpisce é dato dal
fatto che, come ampiamente ricordato, le autorità non soltanto si ergono
a tutrici di diritti di utenti, consumatori, operatori economici, ma
utilizzano altresì poteri attivi di intervento racchiusi nella formula
dei poteri regolatori. Per tale caratteristica il loro potere di
regolazione in vario modo si aggiunge o sostituisce ai poteri regolatori
tradizionali delle varie amministrazioni pubbliche. Si comprende dunque
come sia consigliabile valutare con prudenza l’indiscriminato espandersi
dei poteri di regolazione delle autorità. Sostiene infatti l’OCSE che
"l’Italia dovrebbe monitorare la loro diffusione con cura: le
autorità si aggiungono come ulteriori attori in un sistema di regolazione
già complesso. La duplicazione e il contrasto tra politiche regolatorie
delle authorities potrebbero generare inefficienze e reazioni impreviste
da parte delle imprese, oltre che causare una balcanizzazione del settore
pubblico ed incrementare rigidità e ulteriori oneri di bilancio"
(28). A ciò si aggiunga la già richiamata assenza di centri di verifica
della loro azione che praticamente esclude la possibilità di impegnarne
la responsabilità di fronte a organi investiti democraticamente di
potere, ai sensi di costituzione, con una vistosa deroga a uno dei
principi cardine dell’attuale ordinamento.
b) Una
questione particolarmente delicata, che fa emergere una delle più
singolari contraddizioni del recente processo di riforma, sta nel rischio
che il processo di incremento del decentramento a favore delle autonomie
locali, e la ossessiva tendenza a valorizzare il ricorso al principio di
sussidiarietà conducano alla nascita di nuove forme di limitazioni alla
concorrenza e a interventi regolatori incompatibili con i principi
garantisti in tema di tutela della concorrenza. Come avverte l’OCSE, il
proliferare dei livelli di governo competenti in tema di regolazione
introduce nuove complessità, rende problematica la conoscenza delle
regole per insufficienza di trasparenza, aumenta i costi per gli
operatori. Si aggiunga che a livello locale sembra non esservi una
uniforme consapevolezza dei problemi attinenti alla concorrenza come di
quelli relativi alla qualità della regolazione (29). Dal punto di vista
fattuale, a livello locale le ridotte dimensioni dei bacini dei potenziali
utenti rendono più difficile individuare misure che riescano - in termini
economici compatibili - a creare mercati competitivi (30). Inoltre la
competenza degli enti locali, in tema di gestione di importanti servizi
pubblici, manifesta evidenti asimmetrie fra le diverse impostazioni
seguite da una miriade di amministrazioni locali e quelle statali. Il
programma di liberalizzazione dei servizi pubblici locali contenuto nel
disegno di legge 7042 (già 4014/1999) introduce il principio della
preventiva gara per l’affidamento dei servizi a rilevanza industriale
(energia, esclusa quella elettrica, gas, ciclo dell’acqua, trasporti,
rifiuti). Pur permanendo, tendenzialmente, la proprietà pubblica di
impianti e reti la gestione dei servizi sarebbe affidata tramite scelta
competitiva.
c) Infine
le premesse dalle quali pare che l’attuale Governo intenda procedere,
secondo quanto affermato pochi giorni addietro dal Ministro Frattini (31),
lasciano intravedere possibili sviluppi positivi, nel senso di una netta
distinzione tra Autorità, intese come soggetti preposti alla tutela di
valori costituzionali e quindi caratterizzati da assoluta indipendenza e
dotati di poteri di intervento rapido e incisivo, e Agenzie, ovvero altri
organismi preposti alla regolamentazione settorializzata, con
caratteristiche di autonomia meno marcate, ma senza per questo ricondurle
tout court al modello amministrativo ministeriale. Questo tertium genus
di soggetti dovrebbe garantire, specialmente in settori particolari come
quello dei servizi pubblici, una adeguata transizione da una situazione di
monopolio e di esteso intervento pubblico, sottoposto al modello di
amministrazione ministeriale tradizionale, ad un mercato concorrenziale,
sorvegliato dalle autorità indipendenti. In definitiva si tratterebbe di
creare un organismo regolatore intermedio per una fase intermedia, in modo
tale da evitare le inadeguatezze dei due modelli di controllo già
esistenti, e quindi tutelare compiutamente i diritti e le posizioni dei
soggetti che in tale delicata fase si trovano ad operare. Per concludere,
in riferimento al tema affrontato, si rifletta sul fatto che le autorità
nascono come organi di garanzia di interessi del cittadino, nelle loro
varie vicende e multiformi ruoli: imprenditore, soggetto attivo e
promotore dell’informazione, soggetto che utilizza servizi pubblici di
vario genere. Dalla particolare configurazione di indipendenza dal potere
politico e dalla amministrazione controllata dal governo ci si attende
dalle autorità una imparzialità che la fa spesso avvicinare a quella
propria dei giudici. Ma le autorità non sono giudici, sono soltanto
amministrazioni pubbliche collocate in una posizione diversa da quella
ministeriale e comunque subordinata alla legge. Qualora nella loro azione
di regolazione, ma anche in fase di controllo di garanzia, urtino gli
interessi di qualcuno, anche nei confronti delle loro attività non può
non esserci una tutela giurisdizionale, offrendosi quindi il massimo della
garanzia anche nei confronti di chi si presenta come garante di interessi.
Note
1 AGCM (2001), p. 6.
2 Per una riflessione sul dibattito
si rinvia, tra gli altri, a Massera (1988), p.447; Longobardi (1993),
p.525; Massera (1994), p.19; Cassese-Franchini (1996); Pericu (1996);
Caianiello (1997), p.341; Arcidiacono (1999), p.63; Caringella (2000),
p.543.
3 Bonelli (2001), p. 49.
4 OCSE (2001), cap.7, Conclusioni e
opzioni di policy per la riforma della regolazione in Italia.
5 AGCM, (2001), p. 26.
7 OCSE, (2001), cap. 1, La riforma
della regolazione in Italia, box 1.1.
8 OCSE, (2001), cap. 1, La riforma
della regolazione in Italia.
9 Per le autorità come
organizzazioni responsabili di forme di amministrazione settoriale, de
Vergottini (1996), p.280.
10 Sul concetto di regolazione, come
derivata dal concetto anglosassone di regulation, interessante la
ricostruzione in Frego Luppi (1999), p.92, Amato (1997), Amato (1998),
Cattaneo (1999), p.262, e sotto profili in parte differenti, Cassese
(1996), 217 ss.
11 Così Frego Luppi (1999), p.140.
12 de Vergottini (1996), p.285.
13 Consiglio di Stato (1998), p.414.
14 Molto completo in questo senso il
quadro ricostruttivo nel contributo di Cortese (2001), pp.441-458.
15 Consiglio di Stato (1998), p.416.
16 In questo senso Scuffi (1998),
p.153.
17 Così il quadro sintetico
tracciato da Caringella (1998).
18 Solo a titolo di esempio Travi
(1998), p.207, Cassarino (1998), p.175, Caianello (1998), p.1952, Villata
(1999), p.281.
19 Cortese (2001), p.459.
20 Questa l’osservazione di
Giovannini (2000), p.302.
21 Giovannini (2000), p.302.
22 Corte Costituzionale (1999),
p.746.
23 Queste le perplessità espresse,
tra gli altri, da Travi (2001), p.69.
24 Giovannini (2000), p.304.
25 Si tratta di TAR Lazio (2001),
p.739. Vedi anche infra, sub 7a).
26 Cazzola (1999), Sulle separazioni
fra proprietà della rete e servizio, p. 219.
27 Irti (1994), Sulle esigenze di
assicurare la liberalizzazione per procedere a una privatizzazione utile e
efficace ai fini di una effettiva conoscenza, p. 843 s. AGCM, (1995), p.
27.
28 OCSE, (2001), cap. 2, Capacità
del Governo di garantire una regolazione di elevata qualità.
29 OCSE, (2001), cap. 2, Capacità
del Governo di garantire una regolazione di elevata qualità.
30 Bonelli (2001), p.35.
31 Il Sole-24 Ore, 3 ottobre 2001,
p.8.
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