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Garanzie e poteri regolatori

Giuseppe de Vergottini
Ordinario di Diritto Costituzionale - Università di Bologna -

 

1. La liberalizzazione assistita.

La passata legislatura coincide con l’affermarsi di un processo di progressiva liberalizzazione dell’economia che ha di fatto offuscato il concetto di "economia mista" desumibile dalla lettura degli articoli 41 e seguenti della Costituzione, lettura che era stata del tutto maggioritaria per un buon mezzo secolo: l’idea stessa di Stato imprenditore diventava così recessiva o veniva affrettatamente archiviata. Contemporaneamente si affermava il superamento dello Stato dirigista, anch’esso coerente con un modello pacificamente accettato nel tempo. In buona sostanza, a una vistosa ritirata dello stato si accoppiava una rivalutazione del ruolo del cittadino nei confronti del potere politico, con ampi richiami all’ideologia liberista, e si rivalutava il ruolo dell’impresa privata. Secondo una diffusa interpretazione, spetterebbe alla legge 10 ottobre 1990, n.287, sulla tutela della concorrenza, il merito di aver segnato una decisiva svolta nella impostazione delle politiche di intervento pubblico nell’economia: a differenza di quanto in precedenza attuato tramite indirizzi dirigistici, "la politica della concorrenza si affida alla libertà, delle imprese e dei consumatori, di scegliere i comportamenti che ritengono più opportuni e vantaggiosi, affinché la crescita del sistema economico possa indirizzarsi secondo criteri premianti l’efficienza e il merito" (1). In questo clima é perfettamente comprensibile l’accento posto al tema delle garanzie, tema in realtà per niente nuovo nel panorama politico-istituzionale italiano, in cui alle garanzie per l’ampia gamma dei diritti e libertà previste dall’ordinamento é sempre stata dedicata una ampia attenzione, anche se spesso strumentale alle politiche di parte che in molteplici circostanze hanno finito per limitare le garanzie a precise aree, finendo per creare situazioni oggettivamente discriminatorie. Il profilo innovativo in tema di garanzie é stato offerto dalla istituzione di formule organizzatorie innovative, dedicate, appunto, alla assicurazione di particolari forme di garanzia nella amministrazione di interessi pubblici, che venivano sottratti alla gestione delle pubbliche amministrazioni legate da dipendenza gerarchica al governo della repubblica e assegnate ad apposite "autorità" definite abitualmente "indipendenti" (2). Ad un tempo, però, tale formula comportava la assegnazione alle autorità di apposite competenze di regolazione, prevedendosi quindi attribuzioni che davano inevitabilmente adito alla presenza di un ruolo moderatore o regolatore delle stesse nei settori interessati alla loro azione. Il che, a prima vista, sembrerebbe rivelare il paradosso della introduzione di nuove forme dirigistiche, in un panorama che abbina alla progressiva scomparsa della tradizionale impresa pubblica la presenza di "imprese private regolamentate" (3), proprio nel momento in cui si apriva la strada a una liberalizzazione delle regole del mercato. Si aggiunga che l’introduzione del modello organizzativo delle autorità non faceva del tutto scomparire, ma soltanto integrava in molti settori, i tradizionali strumenti di regolazione caratteristici dell’azione dei pubblici poteri. Di conseguenza, quando oggi si parla di regolazione, ci si riferisce spesso in modo promiscuo sia alla attività di "regolazione" affidata alle autorità amministrative indipendenti, sia al tradizionale potere di intervento degli organi statali, regionali e locali che si svolge attraverso le usuali forme dei provvedimenti normativi e amministrativi. A quest’ultimo riguardo si nota che il nostro legislatore ha inteso recentemente concentrare l’attenzione sulla ricaduta che hanno i tradizionali strumenti di intervento normativo del governo e dei ministri sugli interessi economici incisi dagli atti autoritativi. Infatti, la legge 8 marzo 1999, n. 50, che porta norme in tema di semplificazione, ha introdotto in via sperimentale l’obbligo che le misure normative proposte dal governo e dai ministri vengano corredate da una valutazione tecnica circa il loro impatto sui cittadini e sulle imprese. La predisposizione di tale valutazione dovrebbe implicare la possibilità di scelta fra diverse alternative, facilitare il processo decisionale, eliminare aggravi burocratici. Una successiva direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 marzo 2000 puntualizza forme e contenuti della valutazione, agevolando la messa a punto di strumenti che dovrebbero rivelarsi più efficaci rispetto agli obiettivi che le misure amministrative si propongono. Gli schemi di provvedimenti da sottoporre al Consiglio dei ministri devono contenere sia l’analisi tecnico-normativa (ATN) sia l’analisi di impatto della regolamentazione (AIR). Inoltre, l’OCSE ha recentemente consigliato di inserire un parere preventivo richiesto alla AGCM prima che il governo adotti qualsiasi decisione in tema di regolazione economica (4). Secondo la stessa AGCM tale tipo di parere agevolerebbe l’affermazione dei principi di tutela della concorrenza, rafforzando i mercati (5). Queste misure vanno inquadrate nello sforzo effettuato in vista di assicurare la trasparenza nella regolamentazione, per agevolare una nuova concezione dell’intervento pubblico, rispettoso delle esigenze del libero mercato. Esse si sommano alla impostazione garantista della legislazione sul procedimento amministrativo, a quella in tema di semplificazione, ed alla istituzione di apposite strutture a livello governativo e parlamentare intese a garantire la qualità della normazione.

2. La regolazione.

Non risulta a prima vista chiaro cosa debba propriamente intendersi per "regolazione". Nel documento dell’OCSE su "La riforma della regolazione in Italia", pur partendosi dalla constatazione che "Non esiste una definizione comunemente accettata di regolamentazione applicabile ai diversi sistemi normativi dei paesi OCSE. [....] Per regolamentazione si intende l’insieme diverso degli strumenti mediante i quali i governi stabiliscono gli obblighi ai quali sono assoggettati i cittadini e le imprese. [Quindi] Le regolamentazioni includono le leggi, i provvedimenti formali e informali e le norme delegate emesse da tutti i livelli governativi e da organismi non governativi o di auto-regolazione ai quali i governi hanno delegato poteri di regolazione" (7). E’ evidente che questa definizione va presa per quello che nella sostanza, e senza sottigliezze giuridiche, vuole dire: la regolazione, termine tra l’altro a volte usato in modo promiscuo con quello di regolamentazione, é funzione sostanzialmente autoritativa, che gli organi di governo di un paese usano per imporre vincoli cogenti ai cittadini e alle imprese. Essa va quindi in senso lato riportata al concetto di gestione o amministrazione di interessi. E questo a prescindere dalle modalità, formali o di fatto, che le diverse autorità di governo, in modo diretto o indiretto, possano utilizzare. In pratica questo tipo di approccio ignora i profili formali dei poteri autoritativi, che tuttavia assumono una rilevanza che non può assolutamente trascurarsi, quando ci si sposta sull’aspetto delle garanzie da assicurarsi ai soggetti incisi dal potere di regolazione, e ci si concentra sul dato effettuale. E in effetti il documento OCSE suddistingue le regolamentazioni in tre categorie, a seconda del loro oggetto: economiche, sociali, amministrative, avendo di mira l’analisi di quegli interventi che migliorino la qualità del quadro regolamentare in vista della liberalizzazione, o che conducano a forme di eliminazione completa o parziale di una regolamentazione di settore al fine di migliorarne la resa economica, ottenendo quindi una deregulation (8). Per quanto riguarda le funzioni di "regolazione" delle recenti autorità, queste si spiegano facendo rinvio alla volontà del legislatore di affidare alle stesse la gestione di un dato settore di intervento che, in caso diverso, sarebbe rimasto affidato alla abituale catena di governo, costituita da Consiglio dei Ministri - Ministero - Amministrazione, prevista esplicitamente dalla disciplina costituzionale. Divergendo da tale schema organizzativo-funzionale, le diverse leggi che hanno istituito autorità hanno affidato in blocco la responsabilità di interventi a un unico centro di governo del settore, includendovi le funzioni di normazione, di gestione amministrativa, di vigilanza, di intervento sanzionatorio, di soluzione di contenziosi. Si tratta di un fenomeno di grande rilevanza se si considera che le autorità hanno responsabilità in tema di concorrenza, pubblici servizi, energia, comunicazioni, appalti pubblici, tutela dei dati personali. E questo solo per una indicazione incompleta dei settori di competenza e segnalando come permangono ampi margini di arbitrarietà nell’individuare i confini della categoria di questi recenti enti. In pratica, le leggi hanno affidato alle autorità una sorta di esclusività di competenza settorializzata (9) che include diversi livelli di interventi, al vertice dei quali si colloca quello normativo, che tuttavia non esaurisce l’ambito della "regolazione", nozione, come si é detto, di non agevole definizione. Al riguardo é appena il caso di ricordare che le nozioni di "regolazione", di "poteri regolatori" di "stato regolatore", di "autorità regolatrice" e simili, derivate da una terminologia estranea alle tradizioni culturali ed al lessico legislativo italiani, indicano prevalentemente le attitudini del potere pubblico a farsi arbitro dei processi spontanei del mercato, intervenendo come moderatore degli stessi utilizzando diverse modalità, come accennato in precedenza ricordando il recente documento dell’OCSE. Il termine "regolazione" é entrato nell’uso corrente derivando dall’attributo "regulatory" utilizzato per le authorities inglesi (10). In tale quadro era riferito alle esigenze della transizione dal monopolio pubblico alle privatizzazioni in cui avrebbero operato le regole di concorrenza. Le Regulatory Agencies erano incaricate di utilizzare poteri regulatory al fine di proteggere i consumatori. Di qui la diffusa affermazione secondi cui il "regolatore" opera come "surrogato della libera concorrenza", proteggendo consumatori e utenti e assicurando le garanzie sociali connesse alle Public Utilities, come in particolare la caratteristica di universalità del servizio. Ma il pragmatismo inglese non si é certo occupato del rispetto di soluzioni in linea con esigenze formali, ricorrendo spesso a soluzioni informali in cui il produttore o il fornitore del servizio, che é il soggetto "regolato", deve offrire garanzie in ordine a prezzi, tariffe e qualità del servizio offerto all’utente/ consumatore. La trasposizione nell’ordinamento italiano del modello delle autorità indipendenti ha implicato l’assorbimento affrettato di un concetto omnicomprensivo di "regolazione", incurante della esigenza di rispettare i principi che la Costituzione impone in tema di uso dei poteri delle autorità pubbliche, poteri che sono disciplinati da apposite fonti normative. Di fatto é avvenuto che la regolazione delle autorità viene richiamata in contrapposizione alla tradizionale figura del potere interventista dello stato che agisce per moduli autoritari. Senza poterci attardare sul punto, deve piuttosto notarsi che le funzioni di regolazione delle autorità sono orientate ad interessare soggetti pubblici e privati che operano in un determinato settore, e che vengono variamente indirizzati, vigilati, ma anche tutelati e sostenuti, da parte di nuove entità organizzative (le autorità) distinte ed autonome rispetto alla amministrazione convenzionale dello Stato, e tendenzialmente indipendenti dall’indirizzo degli organi politici. Tali entità andrebbero viste come centri di potere "neutro" rispetto agli interessi coinvolti, avendo per missione la soddisfazione degli interessi attribuita loro dalle diverse leggi istitutive utilizzando un ampio fascio di possibilità, dalla normazione all’applicazione di sanzioni, che sono tutte riconducibili al proposito ultimo di "gestire" il settore loro assegnato, conseguendo quindi gli obiettivi voluti dal legislatore (la trasparenza del mercato, la garanzia della riservatezza, il pluralismo dell’informazione, etc.) ma godendo di notevole discrezionalità nel definire in concreto le modalità di intervento e tenendo conto delle esigenze che via via si presentano, dei dati della comune esperienza, delle diverse prassi. Di conseguenza si é rilevato come gli strumenti a disposizione delle autorità siano particolarmente flessibili, anche a causa dalla tendenziale indeterminatezza risultante dal tenore dei testi legislativi che le istituiscono. Ovviamente, si potrebbe in proposito notare che mentre la flessibilità é elemento positivo se si tiene presente l’aspettativa di efficacia della loro azione, altrettanto non può dirsi con riferimento alla esigenza di garanzia dei soggetti coinvolti nella loro azione qualora gli stessi si considerino pregiudicati dalla medesima.

3. Il potere regolamentare delle autorità.

Una volta accennato a cosa si intenda con l’equivoco termine di "regolazione", va anche sottolineato che nel suo ambito può rientrare una competenza regolamentare in senso tecnico. Le autorità infatti possono adottare atti definibili come "regolamenti" ai sensi dei principi dell’ordinamento vigente (11). In tal caso é evidente che gli stessi non potrebbero essere considerati come espressione di un potere del tutto libero delle autorità ma dovrebbero essere subordinati alla legge e tenuti al rispetto di una serie di vincoli garantisti al pari degli altri regolamenti. Tuttavia non é assolutamente agevole riscontrare il rispetto del principio di necessitata subordinazione alla legge dei regolamenti delle autorità. In effetti, il legislatore si limita in genere a fissare scarni principi direttivi, indicando i valori alla cui tutela la singola autorità é preposta, rinviando spesso in modo sintetico e non circostanziato alla normazione successiva della stessa. La frequente sommarietà delle previsioni parlamentari, contenute nelle diverse leggi istitutive delle autorità, ha fatto individuare una sorta di "mandato in bianco" conferito dal parlamento a nuovi centri di normazione, investiti di una sostanziale discrezionalità nel determinare le normative di settore in base a proprie contingenti valutazioni. Di conseguenza, le autorità si avvalgono della considerevole ampiezza della discrezionalità che la legge attribuisce loro per adottare normative che riempiano gli spazi vuoti lasciati dalla legge. E’ infatti spesso impossibile ragionare in termini di organica fissazione di norme-principio in sede legislativa, e di svolgimento delle stesse in sede regolamentare da parte delle autorità. Dunque si riscontrano casi in cui la normazione delle autorità finisce per assumere natura di fonte primaria colmando i vuoti della legge. Il che appare particolarmente discutibile, ove si rifletta sul fatto che accanto a regolamenti che riguardano i profili di organizzazione e funzionamento delle autorità si pongono quelli che sono volti a disciplinare rapporti intersoggettivi esterni, afferenti ai diversi ambiti settoriali alle cui discipline sono preposte le diverse autorità. A quest’ultimo riguardo si citano, a titolo di esempio, i regolamenti della Consob relativi alla fissazione dei requisiti per l’ammissione alla quotazione in borsa, le direttive concernenti la produzione e l’erogazione di servizi della Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità e le competenze regolamentari della Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in tema di fissazione delle condizioni per il rilascio di nuove concessioni radiotelevisive private in base al piano di assegnazione delle frequenze approntato dalla stessa autorità (articolo 3, comma 2 e 3, legge 31 luglio 1997, n.249). Ma proprio a proposito della Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, si deve rilevare l’estrema ampiezza delle ipotesi di adozione di atti normativi che investono i più svariati ambiti del mondo delle comunicazioni (cfr. articolo 1, comma 6, 9, 11, 12, 13; articolo 2, comma 5, 6; articolo 3, comma 2, 3, 11; articolo 4, comma 3; articolo 5, comma 1, della legge 249/1997). Non resta che prendere atto di tale anomalia, considerando che la stessa risulta originata da quella commistione fra potere in senso proprio normativo e potere provvedimentale [racchiuso nell’ambiguo concetto di "regolazione" di cui si é trattato sub 2] che é caratteristica delle scelte della legislazione che ha prodotto le diverse autorità. Ne é risultato quindi un modello atipico di attribuzione di potere regolamentare. Ed in effetti le competenze regolamentari organicamente previste nel nostro ordinamento sono quelle della legge 23 agosto 1988, n. 400, di attuazione della Costituzione. Esse implicano una serie rigorosa di limiti e garanzie per gli atti regolamentari: la stessa subordinazione del regolamento alla legge, l’emanazione con decreto del Presidente della Repubblica, la competenza consultiva del Consiglio di Stato e il riscontro di legittimità della Corte dei Conti, la responsabilità politica del Governo di fronte alle Camere parlamentari. Tutto questo per i regolamenti del Governo, mentre altri limiti sono previsti per i regolamenti ministeriali. Ma il regime dei ricordati limiti della legge 400/1988 non vale per i suoi più rilevanti elementi nel caso dei molteplici regolamenti adottabili da parte delle autorità. Il che non può non suscitare dubbi di costituzionalità. In particolare, desta perplessità l’ambito sensibilmente ampio degli spazi occupabili dalle normative regolamentari assunte dalle autorità per disciplinare materie soggette a riserva di legge. Pur essendo pacifico che la legge può demandare a regolamenti successivi la disciplina di completamento, nel caso della disciplina legislativa delle autorità si nota, oltre che il ricorso a disposizioni legislative di principio cui segue una esecuzione in via regolamentare da parte delle autorità, il ricorso a una tecnica di delegazione di competenza alle autorità, intesa ad affidare ai suoi regolamenti la disciplina del settore, con una sensibile alterazione del modulo tradizionale dei rapporti legge-regolamento. A titolo esemplificativo può accennarsi ai regolamenti adottabili dalla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, la cui competenza regolamentare deriva in via diretta dalle disposizioni della legge n. 249/1997, che in diverse disposizioni attribuisce espressamente alla Autorità competenze regolamentari, o individua competenze di natura normativa sostanzialmente qualificabili come regolamentari. Di conseguenza, sempre a titolo di esempio, la importante specifica disposizione della legge n. 249/1997, e cioè l’art. 2 bis, comma 7, che detta criteri direttivi preordinati al rilascio di licenze o autorizzazioni per la diffusione televisiva digitale terrestre, trova un precedente nell’articolo 1, comma 6, c), punto 5 della legge 249, che già prevedeva in generale la fonte regolamentare per la disciplina delle modalità di rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni. A loro volta le disposizioni legislative richiamate trovano origine nelle riserve di legge previste a livello costituzionale in materia di libertà di comunicazione e manifestazione del pensiero (articoli 15 e 21 della Costituzione), fondamento del diritto di informare ed essere informati, e di iniziativa economica (articolo 41 della Costituzione). L’attuazione di principi sanciti nelle clausole costituzionali appena ricordate é considerata il tramite per la realizzazione di altri principi costituzionali e, soprattutto, del principio democratico che viene sviluppato assicurando una piena affermazione dei diversi profili della informazione. Va altresì rilevato che accanto alla garanzia dei diversi profili dell’informazione e della iniziativa economica, espressamente prevista in Costituzione, il diritto comunitario ha sviluppato in modo puntuale quella del mercato, arricchendo quindi e integrando i principi di riferimento nel settore delle comunicazioni. E infatti la legislazione italiana, in modo diretto o soltanto implicito, dà attuazione anche ai principi comunitari, e i regolamenti dell’Autorità sono anche normative di dettaglio che specificano le linee-guida tracciate nelle normative comunitarie. Analoghe considerazioni potrebbero effettuarsi con riferimento alla esperienza delle altre autorità. Per tutte, tendenzialmente, si individua una disordinata attribuzione del potere regolamentare secondo moduli non coincidenti con la generale disciplina della legge n. 400/1988. Per tutte é individuabile una ampia attribuzione di potere a livello di decisione legislativa, anche se il Parlamento é generalmente intervenuto in modo disordinato, sciatto e spesso atecnico. Per tutte é possibile, sempre procedendo a ritroso, individuare un qualche appiglio giustiticativo in principi statuiti a livello costituzionale e quindi a livello comunitario.

4. La garanzia degli interessi.

La funzione di garanzia di interessi é in qualche modo riconducibile al vasto movimento che in molti ordinamenti ha tentato di superare l’insoddisfazione per i meccanismi di tutela amministrativi e giurisdizionali tramite l’istituzione dei "fiduciari" parlamentari (ombudsman), nominati dal Parlamento, abitualmente definiti come indipendenti (da Governo e Parlamento), dotati di poteri ispettivi e di poteri di persuasione verso le amministrazioni, controllori in funzione della tutela degli interessi dell’attività amministrativa globalmente considerata e non di puntuali provvedimenti amministrativi. Il primo Garante dell’editoria si avvicina a tale modello per la sua nomina esclusivamente parlamentare e per la missione di salvaguardia della libertà di informazione. Per le altre esperienze legislative italiane il richiamo sarebbe appropriato con riferimento a quelle competenze che riguardano puntualmente il profilo della tutela degli interessi "deboli" di utenti e consumatori. Va sottolineato che la funzione di garanzia ha avuto, e continua ad avere, una sua significativa influenza nel valutare il ruolo delle autorità indipendenti, anche se molte diversificazioni legislative sono intervenute da quando la Commissione per la modernizzazione delle istituzioni (Relazione sulla riforma dell’Amministrazione centrale - 18 giugno 1985) individuava strutture atipiche destinate "non diversamente da quanto avviene con la funzione giurisdizionale, a tutelare imparzialmente gli interessi dei cittadini", insistendo quindi sull’assimilabilità della funzione di tali strutture a quella del giudice (12). In tal senso a una scelta organizzativa di "indipendenza" si connette una neutralità rispetto agli interessi considerati che assicurerebbe una effettiva "imparzialità" nella trattazione delle questioni da esaminarsi. Le variegate funzioni di gestione settoriale trovano origine in diverse cause sovente messe in risalto: sfiducia della competenza e efficienza dell’amministrazione tradizionale, carenza di imparzialità della medesima, esigenza di particolari competenze specialistiche, tendenza degli interessi di settore ad autogestirsi e a trovare un referente in una struttura organizzativa svincolata (il più possibile) dall’apparato statale e quindi "indipendente". Nella realtà le funzioni di amministrazione settoriale e di tutela degli interessi si trovano spesso unite, anche se la tendenza a sviluppare gli interventi di privatizzazione e l’ampliamento della concorrenza con riduzione delle aree di monopolio ha fatto emergere prevalentemente la tematica del rapporto fra erogatore del servizio e utenti e consumatori, ponendo l’accento sulla esigenza di prevedere apposite "autorità di tutela": un buon esempio é la raccomandazione n. R (93) 7 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del 18 ottobre 1993, relativa alla privatizzazione di imprese e attività pubbliche, che con riferimento specifico alla continuità, accessibilità e qualità dei servizi consiglia di inserire fra le modalità di tutela degli interessi di utenti e consumatori una apposita "autorità di tutela".

5. La tutela giurisdizionale nei confronti delle autorità indipendenti.

La circostanza per cui le autorità hanno compiti di garanzia non esclude la possibilità di una incidenza delle loro azioni sugli interessi individuali, e quindi non esenta i loro atti e comportamenti dalla naturale tutela giurisdizionale che la Costituzione prevede nei confronti di ogni tipo di amministrazione. Non si potrebbe infatti pensare di escludere a priori il ruolo della giurisdizione, motivando con il fatto che le autorità di cui si parla sono caratterizzate dalla ricordata "indipendenza". L’evoluzione dei profili normativi e giurisprudenziali porta oggi ad osservare che le autorità rimangono collocate nell’ambito dell’amministrazione, da intendersi in una prospettiva di garanzia, "secondo caratteri oggettivi di concretezza, spontaneità e discrezionalità che sono propri dell’attività amministrativa" (13). Del resto non si vede come potrebbero altrimenti inserirsi coerentemente nel quadro dei poteri così come delineati dalle norme costituzionali. E ciò anche se il modello della autorità indipendente, per la sua natura di modello amministrativo radicalmente "nuovo" rispetto all’esistente - tanto da aver originato un acceso dibattito sulla sua stessa natura giuridica (14) - appare in posizione alquanto defilata rispetto alla tradizionale concezione di amministrazione dipendente dal potere politico a livello governativo. Sulla aderenza delle autorità all’amministrazione si é pronunciato il Consiglio di Stato, affermando che l’indipendenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato non é "separatezza dall’ordinamento generale", ma "esaltazione del carattere dell’imparzialità, cioè di uno dei valori giuridici fondamentali dell’attività amministrativa (art. 97 comma 1 della Costituzione)" ed ancora ribadendo che si tratta di "un ufficio pubblico collocato fuori dai Dicasteri, ma non per questo avulso dall’indirizzo politico espresso dagli organi ordinari nelle forme previste dalla Costituzione (artt. 94 e 95)" (15) . Queste affermazioni risultano avere ancora più valore, se si tiene presente che esse sono state rese nell’ambito di un parere in merito ad un ricorso straordinario al Capo dello Stato: ne risulta quindi che, secondo il Consiglio di Stato, l’autorità indipendente é inserita nel novero delle amministrazioni, stante la sua estraneità rispetto all’art. 102 Cost., disciplinante la funzione giurisdizionale, e pertanto in relazione ai suoi provvedimenti é da considerarsi pienamente ammissibile lo strumento del ricorso straordinario. Il ragionamento sull’indipendenza, intesa non come separatezza ma come esaltazione dell’imparzialità, trova così in questa vicenda la quadratura del cerchio, dal momento che sostenerne una totale indipendenza rispetto al Governo, porterebbe ad escludere con decisione l’ammissibilità dello strumento del ricorso straordinario al Capo dello Stato, con il quale si rimetterebbero all’esame del Governo proprio i provvedimenti dell’autorità che al controllo di questo si intendono sottrarre (16). Chiarita la posizione di "specialità" delle autorità indipendenti, resta da esplorare il panorama delle tutele che i privati hanno a disposizione per difendersi dai loro provvedimenti. Il quadro antecedente al D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, é improntato ad una competenza prevalente del giudice amministrativo rispetto al giudice ordinario, in quanto alla giurisdizione esclusiva amministrativa sono riconducibili i provvedimenti dell’Antitrust, delle Autorità per i servizi pubblici e del Garante dei lavori pubblici, mentre il giudice ordinario conosce in via esclusiva dei provvedimenti del Garante per la privacy e delle questioni di nullità e risarcimento in materia di concorrenza. Le altre authorities sono soggette al normale riparto di giurisdizione, con conseguente consolidamento della giurisdizione amministrativa per gli interessi legittimi. Sulle tutele giurisdizionali un impatto rivoluzionario lo ha avuto, in primis, il succitato D. Lgs. 80/98, che ha ampliato sensibilmente la sfera di conoscenza del giudice amministrativo, con particolare riferimento all’azione per il risarcimento del danno a questo direttamente proponibile, insieme con i nuovi orientamenti giurisprudenziali, che hanno sensibilmente arricchito la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, "modello di tutela in rapida fase di diffusione quantitativa e di crescita qualitativa (19)". Tale innovazione si é poi assestata nella legge 21 luglio 2000, n. 205, con la quale il legislatore riproduce elementi del D. Lgs 80/98 e accoglie i nuovi orientamenti cui si accennava poc’anzi. Con la norma introdotta dall’art. 4 comma 1 lettera d) della legge 205/00, laddove si sancisce che "i provvedimenti adottati dalle autorità amministrative indipendenti" sono disciplinati dalle norme sui cosiddetti "riti speciali" dinanzi al giudice amministrativo, viene concretamente trasfuso, nell’operatività della giurisdizione, quel carattere di specialità sostanziale delle autorità indipendenti di cui si parlava poc’anzi. Questa particolare disciplina rappresenta un momento decisamente innovativo, sotto molteplici aspetti: da un punto di vista formale, innanzitutto, é l’unico caso in cui l’applicazione del rito speciale viene ancorata non al criterio della materia trattata, ma piuttosto al soggetto "autorità indipendente" e agli atti che questo emana (20), intendendosi con il riferimento ad "autorità indipendenti" una volontà del legislatore di unificare il più possibile la disciplina processuale delle varie autorità istituite nel tempo (21). Inoltre, l’individuazione di un giudice esclusivo ex lege riduce gli spazi per un sistema "a doppio binario", quale quello tracciato dall’art. 33 L. 287/90, ed accelera quindi in concreto le possibilità di ottenere tutela da parte del privato colpito da un provvedimento dell’autorità, senza dover instaurare due giudizi in materie particolarmente complesse, e senza tuttavia pregiudicare le particolari esigenze di tutela cui solo le misure cautelari possono dare adeguata risposta. Ancora, l’introduzione di un sistema semplificato, che abbrevia in modo così deciso i tempi del giudizio amministrativo nel caso in questione é da considerarsi misura di civiltà, vista anche la pronuncia della Corte Costituzionale in cui si é affermato che la celerità del processo é un valore primario, recessivo solo rispetto alla garanzia del contraddittorio (22). Considerati sin qui i profili positivi della riforma costituita dalla legge 205/00, e dalle norme e dalla giurisprudenza che l’hanno preceduta, sono infine necessarie alcune brevi puntualizzazioni sui possibili profili problematici che tale normativa ha innescato. In primo luogo é conseguenza diretta della scelta di un procedimento così semplificato e celere, la valutazione in termini di compatibilità con la recente riforma dell’articolo 111 della Costituzione, la norma del c.d. "giusto processo", rispetto alla quale pare che nel processo amministrativo si sia compiuto un passo indietro, accogliendo un sistema nel quale l’esigenza di celerità pregiudica l’equilibrio effettivo tra le parti, dal momento che i termini del procedimento sono tutti dimezzati, a parte quelli iniziali per la parte ricorrente, che così si trova ex lege in posizione di favore (23). In secondo luogo, vista la natura per così dire derogatoria e privilegiata dell’iter applicabile allorquando ci si trovi a ricorrere contro un provvedimento di autorità indipendente, é opportuno ed anzi necessario che l’individuazione di ulteriori autorità indipendenti, ai nostri fini, sia disciplinata da criteri estremamente rigorosi ed univoci (24). Questo anche in considerazione di un recentissimo sviluppo giurisprudenziale, da seguire con attenzione, nel quale il giudice funzionalmente competente per i ricorsi ai provvedimenti della quasi totalità delle autorità indipendenti, il TAR Lazio, si pone il problema di una espansione de jure condendo dei poteri dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, così lanciando una nuova sfida in termini di delimitazione del potere di regolazione e garanzia per i privati (25).

6. Gli interventi di liberalizzazione e il ruolo delle diverse autorità.

Al fine di agevolare la creazione di una situazione concorrenziale in settori che erano caratterizzati da situazioni di monopolio in base a norme di legge o a concessioni in esclusiva, e in vista del passaggio a successive privatizzazioni, si sono realizzate diverse iniziative, finalizzate alla liberalizzazione, interessanti imprese che gestivano servizi di pubblica utilità. Caratteristica di tali interventi legislativi é la separazione della rete, intesa quale infrastruttura unitaria non duplicabile, dal servizio. La competitività fra fornitori di servizi viene assicurata imponendo al proprietario della infrastruttura di consentire a tutti i fornitori del servizio sia l’accesso alla rete sia la interconnessione fra tale rete e le reti degli stessi fornitori (26). Separazione fra rete e servizio, nonché riconoscimento del diritto di accesso e interconnessione, sono previsti per il settore delle telecomunicazioni dalla legge 31 luglio 1997, n. 249, e dal successivo DPR 19 settembre 1997, n. 318, che prevede tutta una serie di obblighi a carico degli organismi di telecomunicazione aventi notevole forza di mercato, in tema di condizioni di interconnessione non discriminatorie ed orientate ai costi, pubblicazione dei prezzi di riferimento, messa a disposizione di informazioni, comunicazione degli accordi alla Autorità competente. Nel settore della energia elettrica la legge 22 aprile 1998, n. 128 ha delegato il governo ad attuare la direttiva CE 96/92 relativa al mercato dell’energia elettrica e in seguito é stato emanato il D. Lgs. 16 marzo 1999, n. 79. Tale provvedimento ha disposto la costituzione da parte dell’Enel di una società, le cui azioni sarebbero state trasferite al Tesoro, cui conferire i rapporti giuridici inerenti alla trasmissione e al dispacciamento di energia elettrica, restando all’Enel la proprietà della rete. Il gestore ha l’obbligo di connettere alla rete nazionale tutti i soggetti (produttori, importatori, distributori e clienti idonei) che ne facciano domanda. La competente Autorità garantisce tale obbligo, fissa le condizioni di accesso a parità di condizioni, assicura la imparzialità e neutralità del servizio. Nel settore del gas metano, esiste la direttiva 98/30/CE del 22 giugno 1998 che assicura l’accesso alla rete a condizioni non discriminanti. La legge 17 maggio 1999, n. 144 ha delegato il governo a dare attuazione alla direttiva, il che é avvenuto con il D. Lgs. 22 maggio 2000, n. 164, che ha liberalizzato la vendita del gas e regolamenta l’accesso in base a condizioni da fissarsi dalla competente Autorità. Nel settore del trasporto ferroviario il monopolio delle F. S. S.p.A. é stato parzialmente intaccato dalla direttiva CEE 91/440, recepita dal D.P.R. 8 luglio 1998, n. 277. Il provvedimento ha disposto la separazione della gestione della rete rispetto alle imprese che gestiscono il servizio. Nel corso del 2000 sono state effettivamente costituite due distinte società, rispettivamente competenti per le infrastrutture e per i servizi, e si é anche liberalizzato il trasporto internazionale rilasciando apposite licenze. La istituzione di alcune delle autorità amministrative indipendenti si é manifestata come necessaria proprio in riferimento alla scelta politica di passare alla privatizzazione di imprese esercenti servizi pubblici. In questa prospettiva di liberalizzazione, e garanzia della stessa tramite apposita autorità, doveva procedere la privatizzazione (27). Infatti, trattandosi di imprese caratterizzate dall’agire in regime di monopolio naturale, la semplice privatizzazione comportava il pericolo di far permanere la situazione di monopolio a favore del privato subentrante. Di qui l’esigenza di proteggere utenti e consumatori, assicurando controllo dei prezzi e della qualità del servizio, nonché la sua continuità, come pure l’esigenza di tutelare i fornitori tramite accesso alle reti a condizioni tecniche ed economiche controllate. La soluzione é stata quella di investire di questi compiti di garanzia le autorità indipendenti (legge 30 luglio 1994, n. 474, art. 1 bis). Compiti essenziali delle autorità sono la determinazione di tariffe base, i controlli sulle condizioni tecnico-economiche di interconnessione, i controlli in materia di qualità dei servizi e parità di trattamento (si veda diffusamente la legge 14 novembre 1995, n, 481, in tema di istituzione della Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, artt. 2 e 3).

7. Una riflessione sul futuro

E’ generalizzata la sensazione che il processo di liberalizzazione, anche grazie al ruolo svolto dalle autorità indipendenti, sia stato significativo. Ad un tempo é presente la consapevolezza che tale processo non sia assolutamente compiuto.

a) Tra i diversi aspetti problematici che emergono vi é quello del rischio connesso ad un espandersi incontrollato dei poteri regolatori delle stesse autorità. Infatti l’indipendenza delle autorità si presenta nel suo profilo positivo come garanzia di assenza di condizionamenti da parte di governo, amministrazione, forze politiche e interessi economici di varia estrazione, mentre nel suo profilo negativo comporta una sorta di autorefenzialità delle autorità. Le stesse infatti rispondono solo in modo formale al Parlamento, per lo più tramite invio di relazioni annuali, mentre un penetrante controllo giudiziale può intervenire soltanto in caso di contestazione di aspetti puntuali della loro azione, tramite riesame di singoli atti. L’aspetto che colpisce é dato dal fatto che, come ampiamente ricordato, le autorità non soltanto si ergono a tutrici di diritti di utenti, consumatori, operatori economici, ma utilizzano altresì poteri attivi di intervento racchiusi nella formula dei poteri regolatori. Per tale caratteristica il loro potere di regolazione in vario modo si aggiunge o sostituisce ai poteri regolatori tradizionali delle varie amministrazioni pubbliche. Si comprende dunque come sia consigliabile valutare con prudenza l’indiscriminato espandersi dei poteri di regolazione delle autorità. Sostiene infatti l’OCSE che "l’Italia dovrebbe monitorare la loro diffusione con cura: le autorità si aggiungono come ulteriori attori in un sistema di regolazione già complesso. La duplicazione e il contrasto tra politiche regolatorie delle authorities potrebbero generare inefficienze e reazioni impreviste da parte delle imprese, oltre che causare una balcanizzazione del settore pubblico ed incrementare rigidità e ulteriori oneri di bilancio" (28). A ciò si aggiunga la già richiamata assenza di centri di verifica della loro azione che praticamente esclude la possibilità di impegnarne la responsabilità di fronte a organi investiti democraticamente di potere, ai sensi di costituzione, con una vistosa deroga a uno dei principi cardine dell’attuale ordinamento.

b) Una questione particolarmente delicata, che fa emergere una delle più singolari contraddizioni del recente processo di riforma, sta nel rischio che il processo di incremento del decentramento a favore delle autonomie locali, e la ossessiva tendenza a valorizzare il ricorso al principio di sussidiarietà conducano alla nascita di nuove forme di limitazioni alla concorrenza e a interventi regolatori incompatibili con i principi garantisti in tema di tutela della concorrenza. Come avverte l’OCSE, il proliferare dei livelli di governo competenti in tema di regolazione introduce nuove complessità, rende problematica la conoscenza delle regole per insufficienza di trasparenza, aumenta i costi per gli operatori. Si aggiunga che a livello locale sembra non esservi una uniforme consapevolezza dei problemi attinenti alla concorrenza come di quelli relativi alla qualità della regolazione (29). Dal punto di vista fattuale, a livello locale le ridotte dimensioni dei bacini dei potenziali utenti rendono più difficile individuare misure che riescano - in termini economici compatibili - a creare mercati competitivi (30). Inoltre la competenza degli enti locali, in tema di gestione di importanti servizi pubblici, manifesta evidenti asimmetrie fra le diverse impostazioni seguite da una miriade di amministrazioni locali e quelle statali. Il programma di liberalizzazione dei servizi pubblici locali contenuto nel disegno di legge 7042 (già 4014/1999) introduce il principio della preventiva gara per l’affidamento dei servizi a rilevanza industriale (energia, esclusa quella elettrica, gas, ciclo dell’acqua, trasporti, rifiuti). Pur permanendo, tendenzialmente, la proprietà pubblica di impianti e reti la gestione dei servizi sarebbe affidata tramite scelta competitiva.

c) Infine le premesse dalle quali pare che l’attuale Governo intenda procedere, secondo quanto affermato pochi giorni addietro dal Ministro Frattini (31), lasciano intravedere possibili sviluppi positivi, nel senso di una netta distinzione tra Autorità, intese come soggetti preposti alla tutela di valori costituzionali e quindi caratterizzati da assoluta indipendenza e dotati di poteri di intervento rapido e incisivo, e Agenzie, ovvero altri organismi preposti alla regolamentazione settorializzata, con caratteristiche di autonomia meno marcate, ma senza per questo ricondurle tout court al modello amministrativo ministeriale. Questo tertium genus di soggetti dovrebbe garantire, specialmente in settori particolari come quello dei servizi pubblici, una adeguata transizione da una situazione di monopolio e di esteso intervento pubblico, sottoposto al modello di amministrazione ministeriale tradizionale, ad un mercato concorrenziale, sorvegliato dalle autorità indipendenti. In definitiva si tratterebbe di creare un organismo regolatore intermedio per una fase intermedia, in modo tale da evitare le inadeguatezze dei due modelli di controllo già esistenti, e quindi tutelare compiutamente i diritti e le posizioni dei soggetti che in tale delicata fase si trovano ad operare. Per concludere, in riferimento al tema affrontato, si rifletta sul fatto che le autorità nascono come organi di garanzia di interessi del cittadino, nelle loro varie vicende e multiformi ruoli: imprenditore, soggetto attivo e promotore dell’informazione, soggetto che utilizza servizi pubblici di vario genere. Dalla particolare configurazione di indipendenza dal potere politico e dalla amministrazione controllata dal governo ci si attende dalle autorità una imparzialità che la fa spesso avvicinare a quella propria dei giudici. Ma le autorità non sono giudici, sono soltanto amministrazioni pubbliche collocate in una posizione diversa da quella ministeriale e comunque subordinata alla legge. Qualora nella loro azione di regolazione, ma anche in fase di controllo di garanzia, urtino gli interessi di qualcuno, anche nei confronti delle loro attività non può non esserci una tutela giurisdizionale, offrendosi quindi il massimo della garanzia anche nei confronti di chi si presenta come garante di interessi.

Note

1 AGCM (2001), p. 6.

2 Per una riflessione sul dibattito si rinvia, tra gli altri, a Massera (1988), p.447; Longobardi (1993), p.525; Massera (1994), p.19; Cassese-Franchini (1996); Pericu (1996); Caianiello (1997), p.341; Arcidiacono (1999), p.63; Caringella (2000), p.543.

3 Bonelli (2001), p. 49.

4 OCSE (2001), cap.7, Conclusioni e opzioni di policy per la riforma della regolazione in Italia.

5 AGCM, (2001), p. 26.

7 OCSE, (2001), cap. 1, La riforma della regolazione in Italia, box 1.1.

8 OCSE, (2001), cap. 1, La riforma della regolazione in Italia.

9 Per le autorità come organizzazioni responsabili di forme di amministrazione settoriale, de Vergottini (1996), p.280.

10 Sul concetto di regolazione, come derivata dal concetto anglosassone di regulation, interessante la ricostruzione in Frego Luppi (1999), p.92, Amato (1997), Amato (1998), Cattaneo (1999), p.262, e sotto profili in parte differenti, Cassese (1996), 217 ss.

11 Così Frego Luppi (1999), p.140.

12 de Vergottini (1996), p.285.

13 Consiglio di Stato (1998), p.414.

14 Molto completo in questo senso il quadro ricostruttivo nel contributo di Cortese (2001), pp.441-458.

15 Consiglio di Stato (1998), p.416.

16 In questo senso Scuffi (1998), p.153.

17 Così il quadro sintetico tracciato da Caringella (1998).

18 Solo a titolo di esempio Travi (1998), p.207, Cassarino (1998), p.175, Caianello (1998), p.1952, Villata (1999), p.281.

19 Cortese (2001), p.459.

20 Questa l’osservazione di Giovannini (2000), p.302.

21 Giovannini (2000), p.302.

22 Corte Costituzionale (1999), p.746.

23 Queste le perplessità espresse, tra gli altri, da Travi (2001), p.69.

24 Giovannini (2000), p.304.

25 Si tratta di TAR Lazio (2001), p.739. Vedi anche infra, sub 7a).

26 Cazzola (1999), Sulle separazioni fra proprietà della rete e servizio, p. 219.

27 Irti (1994), Sulle esigenze di assicurare la liberalizzazione per procedere a una privatizzazione utile e efficace ai fini di una effettiva conoscenza, p. 843 s. AGCM, (1995), p. 27.

28 OCSE, (2001), cap. 2, Capacità del Governo di garantire una regolazione di elevata qualità.

29 OCSE, (2001), cap. 2, Capacità del Governo di garantire una regolazione di elevata qualità.

30 Bonelli (2001), p.35.

31 Il Sole-24 Ore, 3 ottobre 2001, p.8.

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