LA SICUREZZA TRA CONTROLLO FORMALE E CONTROLLO INFORMALE
di
Ernesto U. Savona
La
tesi che si vuole sviluppare in questo capitolo è che il problema della
sicurezza può essere affrontato efficacemente solo se quelli che si
possono definire come i fondamentali della sicurezza e cioè gli strumenti
di controllo formale – Polizia, Magistratura – e quelli del controllo
informale – solidarietà, volontariato, educazione per la crescita della
cultura della legalità – si sviluppano in modo coordinato e integrato,
creando valore aggiunto gli uni per gli altri. Il punto di partenza è che
nell’affievolirsi dei rapporti di solidarietà e quindi dei vincoli che
caratterizzano il controllo informale, le aspettative verso il controllo
formale tendono a crescere. Se gli apparati di polizia e della giustizia
che ricevono questa domanda crescente non funzionano o funzionano male
c’è il rischio che le preoccupazioni e le paure dei cittadini per la
loro sicurezza tendano a crescere.
L’ andamento della criminalità in Italia.
In
Italia la criminalità, così come rilevata dalle Forze dell’ordine, ha
sperimentato, nel corso degli anni ’80 e dei primi anni ’90, una
rapida ascesa, passando dalle 2.134 denunce ogni 100.000 abitanti del 1983
alle 4.665 del 1991. In soli 9 anni i reati sono più che raddoppiati, con
un incremento medio annuo del 13,2%.
A
partire dal 1992, invece, la criminalità nel nostro Paese ha mostrato un
andamento meno chiaro, anche se i dati più recenti, ad oggi disponibili,
indicano una tendenza alla diminuzione. Nel 2001 le Forze dell’ordine
hanno segnalato alla Magistratura 3.736 delitti ogni 100.000 abitanti: il
19,9% in meno rispetto al 1991.
Nonostante
questi segnali incoraggianti che provengono dalle statistiche giudiziarie,
si avverte una diffusa e crescente domanda di sicurezza. Se, nella zona di
residenza, la delinquenza comune nel 1997 era al quarto posto delle
preoccupazioni degli italiani, preceduta – in ordine crescente – da
traffico urbano, droga e disoccupazione, nel 2000 è balzata in vetta alla
classifica dei problemi più rilevanti per i cittadini, anche se seguita a
breve distanza dalla disoccupazione (1).
Questo
apparente paradosso si spiega tenendo in considerazione che l’andamento
della criminalità è solo uno dei “fondamentali della sicurezza”, cioè
di quei fattori che incidono sullo stato della sicurezza in un dato
contesto sociale. Si tratta di un insieme di variabili relative a
complessi fenomeni socio-economici, che possono rimanere in un equilibrio
omeostatico solo se al peggioramento di uno o più fattori corrisponde il
miglioramento di altri.
Il caso degli Stati Uniti
Un
esempio, forse, può chiarire meglio quanto appena affermato.
Negli Stati Uniti, a partire dal 1992, i crimini violenti, dopo
essere aumentati nei decenni precedenti, hanno subito un vero e proprio
crollo (2). In particolare, gli omicidi, sono diminuiti del 27,7%, gli
stupri del 12,9%, le rapine del 27,6% e le aggressioni del 9,9% (3).
Si tratta della flessione più rilevante negli ultimi 50 anni, che
ha interessato anche i reati contro il patrimonio, complessivamente
ridottisi del 15,4%.
Cosa
ha determinato questa riduzione generalizzata in un periodo di tempo così
relativamente breve?
Nella
popolazione americana, già a partire dall’inizio degli anni ’80, si
è andato contraendo il peso delle persone dai 14 ai 24 anni (4), quelle
cioè più frequentemente coinvolte in attività delittuose. Inoltre,
nella prima metà degli anni ’90, i salari reali per i giovani poco
qualificati sul piano professionale hanno ripreso ad aumentare (+4% dal
1993 al 1997), favorendo il rientro nel mercato del lavoro di un numero
crescente di persone dedite ad attività illegali, divenute, nel
frattempo, sempre meno remunerative (5). In questo stesso periodo, poi, è
aumentato il tasso di incarcerazione, quintuplicato in poco più di 20
anni (6).
Tutti
questi “fondamentali” hanno contribuito, in misura diversa, alla
riduzione dei tassi di criminalità negli Stati Uniti; ma accanto a questi
deve esserne citato un altro: la fiducia nelle istituzioni.
A
partire dagli anni ’60, le guerre in Vietnam e in Corea, gli shock
petroliferi, la forte concorrenza in settori produttivi nei quali, fino a
quel momento, gli Stati Uniti primeggiavano (7), se non addirittura
operavano in condizioni di quasi monopolio (8), la crisi delle strutture
familiari, etc. hanno determinato una crescente sfiducia nei confronti
delle istituzioni pubbliche. A questa crisi il corpo sociale statunitense
ha risposto attribuendo una legittimità sempre maggiore ad altre
istituzioni. “In particolare, per puntellare le istituzioni politiche,
la società americana ha fortemente incrementato la spesa per la giustizia
penale; per ridurre le conseguenze deleterie di un’economia in rapido
cambiamento, ha speso di più nel welfare, e per sostenere le decli-nanti
istituzioni familiari, ha investito molto nel sistema scolastico.” (9)
Il potenziamento, quindi, delle agenzie del controllo sia formale, sia
informale ha contribuito in modo rilevante alla riduzione dell’ammontare
di criminalità negli Stati Uniti.
Il caso dell’Italia
Ritornando
al caso italiano, come si stanno evolvendo i fondamentali della sicurezza?
Il controllo formale
Per
quanto riguarda il controllo formale si è già avuto modo di sottolineare
come la criminalità in Italia tenda alla diminuzione e questo nonostante
l’assetto istituzionale del controllo formale si caratterizzi per
bassissimi livelli di efficienza.
Il
grafico di figura 2 mostra come l’Italia sia la nazione europea con il
più alto rapporto tra forze dell’ordine e popolazione residente. Se si
confronta questo dato, relativo al 1998, con l’indicatore di performance
rappresentato dalla percentuale di casi risolti dalle polizie nazionali in
quello stesso anno, si evince come il nostro Paese sia agli ultimi posti
nell’Unione Europea (10) (fig. 3). L’Italia, infatti, con 26 casi di
cui è stato individuato l’autore ogni 100 rilevati, è seguita solo da
Portogallo (24%), Danimarca (20%) e Olanda (16%). Si tratta certamente di
un indicatore parziale, ma sufficiente per concludere che, probabilmente,
le risorse destinate nel nostro Paese alle Forze dell’ordine non sono
allocate secondo i principi di efficienza e di efficacia.
Nell’ambito
del controllo formale un elemento importante è rappresentato dal
funzionamento della Giustizia. Nella relazione sull'amministrazione della
Giustizia nell'anno 2001, il Procuratore generale della Repubblica presso
la suprema Corte di cassazione ha sottolineato l’eccessiva lentezza e
macchinosità della Giustizia italiana, che rimane lontana dalle
aspettative dei cittadini, che ad essa si rivolgono per regolare le
proprie controversie e per avere maggiore sicurezza. È stata necessaria
una modifica della Costituzione italiana (art. 111) (11), perché fosse
sancito il principio fondamentale della durata “ragionevole” dei
processi. Tale principio è, tuttavia, rimasto solo sulla carta dal
momento che, nel corso dello scorso anno giudiziario, l’Italia ha subito
ben 276 condanne relative alla durata dei procedimenti da parte della
Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, con un onere economico
complessivo per il nostro paese di oltre 17 milioni di euro.
Il controllo informale
Se
gli strumenti del controllo formale presentano questi limiti, qual è lo
stato del controllo informale e cioè qual è la situazione del senso
civico, della cultura della legalità, degli investimenti nello stato
sociale - che negli Stati Uniti sembrano avere svolto un ruolo
determinante nella riduzione della criminalità e dei sentimenti di
insicurezza dei cittadini?
Diversi
studi hanno dimostrato che il senso civico – che Gatti e Tremblay
definiscono come “la proprietà di un tessuto connotato da impegno
socio-politico, solidarietà, fiducia reciproca” (12) - può far
diminuire la criminalità riducendo, non solo, le opportunità, ma anche,
le motivazioni a commettere un reato (13).
Putnam e altri (14) hanno
costruito indici sintetici del senso civico nelle regioni e nelle province
italiane, prendendo in considerazione un numero considerevole di
variabili: partecipazione al voto in occasione di referendum, numero di
associazioni ricreative, culturali, sportive, etc., partecipazione a
riunioni politiche o sindacali, attività di volontariato, numero di
evasori, numero di revoche del trattamento di invalidità civile, numero
di persone che leggono giornali, e così via. Si tratta di ricerche
complesse con risultati spesso controversi per l’alto numero di
variabili considerate che dicono poco sulle variazioni nel tempo.
Resta
quindi aperta una domanda: il senso civico e la solidarietà sociale
intesa come attenzione e preoccupazione per gli altri sono aumentati o
diminuiti? Sono questi, infatti, elementi utili a capire i meccanismi del
funzionamento del controllo informale.
La
risposta si può trovare utilizzando un indicatore di proxy, cioè un dato
che insieme comprende sia il senso civico che i rapporti di solidarietà.
Si tratta delle omissioni di soccorso in seguito ad incidenti stradali.
Dal grafico seguente si può osservare are come una certa stabilità del
numero degli incidenti stradali corrisponda un aumento crescente delle
omissioni di soccorso.
Andando
in dettaglio: a fronte di un andamento pressoché stabile degli incidenti
automobilistici, che oscillano attorno ai 5 casi ogni 1.000 veicoli
circolanti, il reato di omissione di soccorso cresce ininterrottamente
durante tutti gli anni ‘90, con le uniche eccezioni rappresentate dal
1995 e dal 2000. In soli 10 anni questo reato è così passato dai 557
casi del 1990 (3,3 ogni 1.000 incidenti) ai 7.835 del 2000 (37,0 ogni
1.000 incidenti), facendo registrare una crescita del 1.306,6%. Si tratta
certamente di un piccolo reato, ma che è estremamente grave per ciò che
implica in termini di tenuta del tessuto sociale, soprattutto se si
considerano le motivazioni che sembrano essere alla base di questo
comportamento.
Una
indagine condotta da Transcrime – Università di Trento (15)
su 50 casi di omissione di soccorso stradale, di cui si è occupata
la stampa nazionale dal 1° agosto 1999 al 31 gennaio 2002, ha messo in
evidenza come ben il 26,2% delle persone che non prestano le prime forme
di assistenza alla vittime di un incidente teme soprattutto le
conseguenze, a livello personale, dell’accaduto. Seguono poi altre
motivazioni, quali l’essere stato colto dal panico (21,4%) o l’essere
consapevole di infrangere, o di aver infranto nel passato, una qualche
norma (18,6%). Pertanto, gli episodi di omissione di soccorso stradale
sembrano assumere la valenza di indicatori di un processo più ampio che
interessa l’intera società. I valori della solidarietà sembrano
lentamente disgregarsi, lasciando il posto a valori più egoistici che,
spesso, presuppongono la delega ad altri per la risoluzione di situazioni
problematiche.
Welfare ed immigrati
Un
altro fondamentale della sicurezza che merita una menzione particolare è
il welfare state. Si è già avuto modo di sottolineare come, negli Stati
Uniti, i consistenti investimenti in programmi di welfare possano aver
contribuito alla riduzione della criminalità. Nel corso degli anni ’60
e ’70 le istituzioni economiche statunitensi hanno sperimentato una
progressiva contrazione della loro legittimità, con conseguente
potenziamento delle motivazioni a commettere un reato e riduzione
dell’efficacia del controllo sociale. Infatti, chi ritiene che le
istituzioni economiche siano ingiuste è meno motivato a controllare o a
regolare il comportamento criminale proprio e altrui. Per fare fronte a
queste difficoltà del sistema economico, il Governo americano ha
realizzato investimenti massicci nel sistema sociale, che riducono le
motivazioni dei potenziali autori di reato e, più in generale,
favoriscono l’efficacia delle agenzie del controllo formale e informale
(16).
In
Italia, negli ultimi anni, le politiche di welfare sono state investite da
rilevanti processi di riforma finalizzati, soprattutto, al contenimento
della spesa pubblica, al recupero di efficienza e, in generale, alla
maggiore armonizzazione con i sistemi di welfare europei (17). Si tratta di una tendenza che, probabilmente, si andrà
accentuando nei prossimi anni, perché le risorse finanziarie sono sempre
più scarse e il mercato si sta orientando verso i principi del liberismo
economico, che premia solo chi è maggiormente competitivo ed emargina il
più debole.
Il
problema assume una rilevanza particolare in un contesto, come quello
italiano, in cui l’immigrazione straniera presenta ancora il carattere
di emergenza. Le quattro sanatorie operate in Italia in poco più di
quindici anni, che hanno rappresentato soluzioni ex post per regolarizzare
la posizione giuridica degli immigrati illegalmente presenti nel Paese,
hanno senz’altro contribuito a diffondere, nell’opinione pubblica, la
sensazione che il fenomeno migratorio non sia affatto sotto controllo.
Per
ridurre l’insicurezza dei cittadini e per prevenire l’insorgenza di
sentimenti xenofobi, è necessario, allora, pervenire ad una adeguata e
ragionata programmazione dei flussi migratori legali, accompagnata da
efficaci controlli alle frontiere per limitare gli ingressi clandestini.
Tuttavia, è fondamentale individuare delle soluzioni flessibili, capaci
di contemperare le esigenze di apertura agli stranieri con quelle dei
cittadini che chiedono maggiore protezione. Inoltre, la programmazione dei
flussi dovrebbe rispondere alle reali esigenze del territorio e alla
concreta domanda di lavoro proveniente dalle regioni, dalle province e dai
comuni italiani (18).
La
“questione” degli immigrati deve essere affrontata al più presto e in
modo responsabile, perché se non si è in grado di regolare i flussi in
entrata e di avviare processi di integrazione sociale per gli stranieri
presenti nel nostro Paese, l’Italia si troverà a pagare il prezzo della
maggiore propensione alla criminalità degli immigrati di seconda
generazione. È il prezzo che stanno già pagando tutti i Paesi europei
che non hanno investito risorse adeguate per favorire l’integrazione
sociale degli immigrati.
Quale futuro per le politiche di sicurezza in Italia?
Riassumendo
brevemente quanto fin qui detto, i fondamentali della sicurezza in Italia
mostrano segnali contrastanti. Se, da un lato, la criminalità, almeno
quella che confluisce nelle statistiche ufficiali, sembra essere
tendenzialmente in diminuzione, dall’altro la riduzione dell’efficacia
delle agenzie del controllo sociale fa presagire un peggioramento
generalizzato dello stato della sicurezza nel nostro Paese. Come è
possibile correre ai ripari?
Le esperienze condotte all’estero, che si sono
dimostrate efficaci nel ridurre criminalità e insicurezza, possono
fornire utili indicazioni per riprogettare le politiche della sicurezza
nel nostro Paese. Ci si riferisce, in particolare, all’approccio Community
Policing che si basa su “una filosofia di policing full-service
e personalized in cui gli agenti di polizia pattugliano e lavorano
in modo permanente nella stessa area, agendo in partnership con i
cittadini nell’identificazione e risoluzione dei problemi” (19). Alla
base di questi programmi sta la convinzione che solo attraverso un mix di
controllo sociale formale ed informale è possibile intervenire
sull’ammontare della criminalità e sulla percezione di sicurezza dei
cittadini.
Dallo
studio di alcuni programmi di Community Policing, indicati in
letteratura come best practices, si ricavano le seguenti
linee d’azione:
§
decentramento
del servizio di polizia, suddivisione del territorio urbano in più zone
omogenee e identificazione di uno o più agenti responsabili per quella
zona (beat officers);
§
servizi
di pattugliamento a piedi;
§
organizzazione
di incontri a livello di quartiere per discuterne i problemi specifici;
§
attività
di formazione ed aggiornamento continuo degli agenti di polizia alle
tecniche di problem-solving, di mediazione dei conflitti e di
accoglienza delle vittime;
§
istituzione
di commissioni miste polizia-cittadinanza per la definizione delle priorità
e delle strategie;
§
analisi
approfondita dei problemi di criminalità e di sicurezza del territorio e
scambio continuo di informazioni con le altre agenzie territoriali;
§
gestione
congiunta tra polizia, cittadinanza ed esperti di alcuni servizi quali la
raccolta delle denunce;
§
creazione
di organismi di controllo sulla correttezza dell’operato delle forze
dell’ordine e di raccolta delle denunce di abuso (civil complaints);
§
progetti
speciali per poliziotti pluri-denunciati dai cittadini, che prevedono
attività di formazione e di aggiornamento centrate sulla costruzione di
relazioni positive con i cittadini.
Alcune
di queste linee si ritrovano nelle molteplici iniziative di riforma della
Polizia portate avanti dai Ministri dell’Interno che si sono succeduti
negli ultimi anni (20). Tuttavia, questi interventi, attuati molte volte
in modo poco organico ed inefficiente, sono lontani da quelle che sono le
logiche alla base dei programmi stranieri di polizia di prossimità, cioè
la creazione di una partnership a livello locale tra polizie, servizi del
territorio e cittadinanza.
Il
dibattito che da tempo si sta svolgendo attorno al ruolo della Polizia
municipale può rappresentare l’occasione per riflettere seriamente
sulla possibilità di adottare anche in Italia programmi di Community
Policing. La Polizia urbana, infatti, si configura come il raccordo
fondamentale tra controllo formale e controllo informale. Pertanto, se sarà
messa nella condizione di operare senza sovrapposizioni di competenza con
le Forze dell’ordine nazionali, la Polizia locale potrà divenire un
anello importante della strategia per la sicurezza in Italia.
Attualmente, il dibattito politico ruota attorno
alla funzione che le Regioni devono assumere nei confronti della Polizia
locale. La proposta di legge-quadro Ascierto-La Russa (21) prevede che la
Regione abbia un ruolo centrale nel reclutamento e nella formazione del
personale, garantendo armamento, preparazione adeguati e pari dignità con
gli agenti di Polizia di Stato, e che tra le funzioni della Polizia locale
vi sia quella di polizia giudiziaria, ai sensi dell’art. 55 del Codice
penale e relativamente alle competenze del Giudice di pace in materia
penale, e quella di pubblica sicurezza. Sul fronte opposto, invece, si
pone l’Ulivo che ha presentato una proposta di legge (22) che vede la
centralità del Comune nell’organizzazione della Polizia Locale.
Ma
qual è la forma organizzativa della Polizia locale in grado di risolvere
i problemi locali della sicurezza, venendo incontro alle esigenze dei
cittadini?
Probabilmente
non esiste un’unica soluzione, ma diverse soluzioni articolate.
Personalmente, ritengo che sia necessaria la funzione di coordinamento
delle Regioni soprattutto per fare fronte alle esigenze dei Comuni più
piccoli, che non riuscirebbero con le proprie forze ad assicurare un
servizio adeguato. Ma vedo anche la possibilità di corpi di Polizia
municipale organizzati in modo più autonomo nelle aree metropolitane.
Conclusioni
Le
riflessioni precedenti richiamano l’importanza dell’integrazione tra
controllo formale e controllo informale nella creazione del bene
“sicurezza” e come siano pertanto necessarie politiche adeguate per
sviluppare questa integrazione. Un presupposto necessario è che i
meccanismi di controllo formale funzionino in modo efficace ed efficiente.
Siano cioè capaci di produrre una diminuzione della criminalità, una
riduzione della preoccupazione e della paura a costi più bassi di quelli
attuali. Nello stesso tempo occorre sviluppare tutte quelle politiche di
lungo periodo che costituiscono investimenti nel settore della cultura
della legalità. Tra questi l’educazione all’adattamento culturale
rivolta con particolare attenzione agli immigrati ma anche ai cittadini
italiani che sono ancora poco abituati a vivere in una società
multietnica. Politiche di lungo, medio e breve periodo possono essere
concepite e sviluppate avendo cura di definire gli obiettivi e di
predisporre gli strumenti, valutandone i risultati per aggiustare
obiettivi e strumenti quando si rivelassero inadeguati. È un compito
ambizioso ma possibile che richiede fatica di studio, di ricerca e di
sperimentazione insieme ad una grande onestà politica nel ricercare le
soluzioni migliori. Su questo compito si può far crescere il consenso dei
cittadini e delle amministrazioni locali e man mano trasferire pratiche e
politiche per la sicurezza verso il governo del paese. Più che mai oggi
è dalla dimensione locale del problema sicurezza che possono arrivare
domande chiare al governo del paese e richiedere risposte altrettanto
chiare sul che cosa fare e sul come farlo.
Note.
1
Censis, “Le paure degli italiani: cultura dello sviluppo e
cultura della legalità”, Gangemi Editore, Roma, 2000, p. 27.
2
M. Barbagli, “Introduzione. Perché è diminuita la criminalità
negli Stati Uniti?”, in M. Barbagli (a cura di), Perché è diminuita la
criminalità negli Stati Uniti, Società editrice il Mulino, Bologna,
2000, p. 8.
3
G. Lafree, “Le istituzioni sociali e il calo dei reati negli
Stati Uniti degli Anni ‘90”, in M. Barbagli (a cura di), Perché è
diminuita la criminalità negli Stati Uniti, Società editrice il Mulino,
Bologna, 2000, p. 53.
4
M. Barbagli, op. cit. supra a nota 2, p. 23.
5
Ivi, p. 21.
6
Il numero detenuti nelle prigioni statali, federali e locali, in
poco più di 20 anni, è quintuplicato, passando da 425 mila a più di 2
milioni (Ivi, p. 25).
7
Industrie tessili, chimiche, acciaierie, etc.
8
Ci si riferisce ai settori caratterizzati da un alto apporto
tecnologico, come l’industria aerospaziale e quella dei com-puter.
9
G. Lafree, op. cit. supra a nota 3, pp. 73-74.
10
Questi dati, di fonte Interpol, non sono disponibili per tre Paesi
dell’Unione Europea: Belgio, Germania e Svezia.
11
Legge costituzionale del 23 novembre 1999, n. 2.
12
U. Gatti, R. Tremblay, “La comunità civica come fattore di contenimento
dei reati violenti. Uno studio criminologico sulle regioni e province
italiane”, in Polis, n. 2, agosto 2000, p. 280.
13
Ivi, p. 293.
14
R.D. Putnam, La tradizione civica nelle regioni italiane, Arnoldo
Mondadori, Milano, 1993; Regione Emilia-Romagna – Osservatorio del
mercato del lavoro, Società, economia e lavoro in Emilia Romagna.
Rapporto 1997, Bologna, 1998.
15
E.U.Savona, F. Bianchi (a cura di), IV Rapporto sulla sicurezza del
Trentino, 2002, Trento
16
G. Lafree, op. cit. supra a nota 3, pp. 78-79.
17
Istat, Rapporto annuale. La situazione del Paese nel 2000, Istituto
Poligrafico e Zecca dello Stato, 2001, p. 285.
18
Molto interessante, a questo proposito, risulta essere l’istituzione dei
cosiddetti “tavoli d'integrazione”. Tali organi-smi, che verranno
dislocati in sette città italiane, avranno il compito di realizzare sul
territorio una azione di decentra-mento dei flussi, mediante la
presentazione di programmi occupazionali per i nuovi arrivati, mirati alle
diverse esigen-ze economiche e sociali del territorio.
19
Trojanowicz et al., Community Policing: A Survey of Police Departments in
The United States, 1994, citato in http://web.indstate.edu/crim/faq.htm#What
is community policing?
20
Si pensi, a questo proposito, alla polizia di prossimità, al vigile di
quartiere, agli agenti a cavallo, ai protocolli di inte-sa tra Prefetture
e Comuni, al “Progetto Arcobaleno”, etc.
21
Ascerto-La Russa, Legge quadro in materia di Polizia locale, progetto c
2034 presentato il 29/11/2001.
22 Buemi-Nigra, Legge quadro in materia di Polizia
locale, progetto c 2139, presentato il 14/01/2002.