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IL "DINAMISMO IMMOBILE".
POLITICHE DI LIBERALIZZAZIONE E CAMBIAMENTO ISTITUZIONALE AGLI INIZI DELLA XIV LEGISLATURA

di Raimondo Cubeddu e di Alberto Vannucci

 

1. Introduzione

Nel corso degli ultimi anni termini come "liberalizzazione", "semplificazione amministrativa", "deregolamentazione" sono diventati di impiego corrente nel dibattito politico, a connotare condizioni e caratteristiche auspicabili delle politiche e dei provvedimenti pubblici. Si tratta di tematiche che hanno conseguito col tempo una sorta di approvazione bipartisan. La liberazione degli individui e degli attori economici da inutili vincoli normativi e da procedure amministrative tortuose ed inefficienti è ormai pressoché universalmente considerata in Italia una questione cruciale di politica pubblica, e come tale trattata tanto nel discorso pubblico che in sede di redazione dei programmi politici.

Nei rapporti presentati nei due anni precedenti abbiamo passato in rassegna il rapporto tra l'assetto istituzionale e i provvedimenti volti a liberalizzare e semplificare concretamente il quadro di interazione tra cittadini e amministrazioni pubbliche. (1) Abbiamo cercato di mostrare che il consenso politico – apparentemente ampio e convergente – sulla rilevanza di questa issue non è stato sufficiente a produrre risultati significativi e duraturi.

Finora, infatti, gli ambiziosi tentativi di trasformare la struttura e il ruolo dello stato hanno conseguito risultati positivi soltanto in alcuni settori circoscritti, ad esempio quello relativo alla riduzione di alcuni oneri amministrativi.

Il cambiamento istituzionale, ossia il tentativo di ridurre le incertezze e i costi delle modalità prevalenti d'interazione tra stato, imprese e cittadini, dove si è realizzato, è stato frammentario, di portata limitata e, per così dire "a macchia di leopardo". (2) Per di più, la stessa irrazionalità delle strutture e dei vincoli legislativi e amministrativi esistenti ha indebolito – e in qualche caso vanificato del tutto – l'efficacia degli sforzi di riforma delle "regole del gioco" politico ed economico, lasciando inalterato, viceversa, un equilibrio istituzionale caratterizzato da alti "costi di transazione", complessità normativa, sfiducia generalizzata nei confronti dello stato, percezione di una corruzione diffusa, occultamento di una quota elevata di attività economiche. Naturalmente, queste condizioni sono fonte di rendite e di nicchie di privilegio per diverse categorie di individui e di organizzazioni politiche ed economiche che, opponendo resistenza al cambiamento, hanno contribuito a deludere le aspettative suscitate dalle riforme.

In questo contributo aggiorniamo ed estendiamo le nostre precedenti analisi con i dati relativi all'ultimo anno, il primo del governo Berlusconi. A questo fine, utilizziamo quale parametro di riferimento per valutare il funzionamento delle istituzioni la rapidità nel fornire risposte ai problemi sociali senza aumentare il tasso di coercizione e senza distribuirne arbitrariamente le conseguenze. I processi di liberalizzazione sono quei cambiamenti dei vincoli istituzionali, ossia delle "regole del gioco" (formali e informali), che riducono i costi di transazione legati alla presenza e all'azione dello stato, diminuendo la quantità di tempo e di risorse necessarie al mantenimento della struttura pubblica e delle sue funzioni. Elemento centrale nel modello teorico adottato sono dunque le istituzioni che, governando le interazioni tra individui e gruppi organizzati, plasmano il sistema di incentivi e sanzioni che sono alla base dei processi di acquisizione delle conoscenze. Esse determinano così le dinamiche dell'evoluzione sociale, dello sviluppo o della stagnazione economica, influenzando i costi delle transazioni economiche, politiche e sociali. Come osserva North: "I costi di transazione sono la caratteristica più facilmente osservabile del quadro istituzionale che è alla base dei vincoli allo scambio". (3)

Il sistema istituzionale, infatti, regola le relazioni tra individui, influenzando la struttura di diritti di proprietà e le possibilità di sviluppo: "Nel corso della storia le istituzioni sono la struttura fondamentale che ha permesso di costruire un ordine sociale e di ridurre l'incertezza degli scambi. Insieme alla tecnologia impiegata, determinano i costi di transazione e di trasformazione e quindi la redditività e le opportunità di chi si impegna in attività economiche". (4) Lo stato, attraverso la produzione di regole formali (norme costituzionali, leggi, regolamenti, ecc.) e con l'offerta di servizi di composizione delle controversie e di garanzia di applicazione, gioca un ruolo fondamentale nel definire caratteristiche e intensità dei costi di transazione e di trasformazione.

Le "regole del gioco", in altre parole, determinano la struttura di opportunità ed incentivi che incoraggiano alcuni tipi di attività a scapito di altre, e dunque favoriscono l'investimento di risorse nell'acquisizione di particolari tipi di competenze e conoscenze. Anche le organizzazioni, che sono il principale attore del cambiamento istituzionale, sorgono, operano e interagiscono in risposta a questo tipo di incentivi. Vincoli istituzionali che incoraggiano attività improduttive, proteggono debolmente i diritti di proprietà o inducono livelli elevati di incertezza sociale possono resistere nel corso del tempo. Ciò accade, ad esempio, se le organizzazioni politiche ed economiche più influenti non hanno incentivi ad operare per il cambiamento, o, se vi sono vincoli informali, concezioni ideologiche o teorie che razionalizzano la struttura istituzionale esistente, mascherandone o giustificandone gli effetti socialmente insoddisfacenti.

Le opportunità di crescita e di sviluppo di una società dipendono in maniera cruciale dai processi politici e dalle modalità con cui, nel corso del tempo, emergono incentivi che inducono gli individui a conformarsi ad efficienti "strutture di governo" delle loro transazioni, acquisendo conoscenze e competenze che minimizzano i costi di interdipendenza sociale e di produzione. Al contrario, tali costi sono accresciuti dalla presenza di organizzazioni pubbliche inefficienti, sovra-dimensionate, corrotte, afflitte da inflazione normativa, ossia caratterizzate da quei "fallimenti dello stato" spesso riconosciuti nel sistema istituzionale italiano.

Nel prossimo paragrafo passiamo in rassegna i due principali indici sintetici del grado di libertà economica, collegandoli con alcune caratteristiche dei sistemi istituzionali che ne influenzano il valore. Nel paragrafo 3 esaminiamo le caratteristiche di fondo del sistema di produzione dei vincoli legislativi in Italia, soffermandoci sui tratti salienti della sua recente evoluzione. Nel paragrafo 4 analizziamo gli effetti del sistema di regolazione amministrativa (e dei provvedimenti volti a riformarlo) sulla struttura dei costi di transazione, facendo particolare attenzione alle percezioni del pubblico cui essi sono rivolti. Nel paragrafo 5 passiamo in rassegna alcuni indicatori degli effetti del sistema istituzionale italiano in termini di incentivi (e disincentivi) a svolgere attività che accrescono le conoscenze disponibili nella società e favoriscono la crescita economica. Seguono alcune considerazioni conclusive.

Così come nel contributo dello scorso anno, anche quest'anno allarghiamo il numero di indicatori utilizzato, cercando ove possibile di comparare i dati con quelli relativi ai principali paesi democratici occidentali. Al tempo stesso, di alcune variabili considerate si analizza l'evoluzione nel corso degli ultimi anni, così da rendere possibile una prima e provvisoria valutazione del loro grado di correlazione con le condizioni e gli effetti delle politiche di liberalizzazione.

 

2. L'evoluzione degli indici di libertà economica

La quantificazione dei livelli di libertà economica connessi con l'assetto istituzionale italiano, così come nei rapporti degli anni precedenti, fa riferimento agli indici sintetici elaborati dal Fraser Institute (5) e dalla Heritage Foundation. (6) Tali indici sono la media ponderata di una serie di fattori che rispecchiano il tipo di vincoli e di incentivi posti dal sistema istituzionale all'esercizio di attività economiche e all'acquisizione di particolari tipi di conoscenze, e dunque allo sviluppo economico e politico. I diversi indicatori utilizzati per costruire gli indici di libertà economica tengono conto in misura prevalente dei vincoli formali e di altri aspetti osservabili degli assetti normativi e regolatori.

L'indice elaborato dalla Fraser Foundation include, nell'edizione del 2002, 123 paesi. Come osservano i curatori: "Gli ingredienti cruciali della libertà economica sono la scelta personale, lo scambio volontario, la libertà di concorrenza e la protezione della persona e della proprietà. Le istituzioni e le politiche pubbliche sono coerenti con la libertà economica quando forniscono un'infrastruttura per lo scambio volontario e proteggono gli individui e le loro proprietà da aggressori che cercano di usare la violenza, la coercizione e la frode per appropriarsi di cose che non appartengono loro" (7). L'indice è il prodotto di una media ponderata tra 21 parametri che misurano la coerenza tra sistema istituzionale e libertà economica in sette aree: ampiezza dello stato, struttura dell'economia, politica monetaria e stabilità dei prezzi, libertà d'impiego di valute alternative, struttura legale e tutela dei diritti di proprietà, libertà nel commercio con l'estero, libertà dei movimenti di capitale. Il punteggio va da 0 (nessuna libertà) a 10 (massima libertà).

Nella fig. 1 è presentata l'evoluzione del dato relativo all'Italia nel corso degli ultimi 20 anni, confrontato con quello relativo ad altre democrazie occidentali. Nonostante la linea generale di tendenza mostri una crescita della libertà economica, nell'ultimo anno si registra una sensibile inversione di tendenza. Infatti, tra il 1999 e il 2000 (anno più recente per il quale sono disponibili dati completi) l'Italia registra un sensibile peggioramento, sia in termini di punteggio (da 7,82 a 7,08) che di classifica (dal 24° al 35° posto).

La crescita dell'indice nell'ultimo quinquennio è dovuta essenzialmente al conseguimento di livelli elevati di libertà nel campo nei mercati finanziari e di capitali, della garanzia dei diritti di proprietà e del commercio internazionale. L'Italia ha invece punteggi più bassi per quanto concerne l'ampiezza del governo, in termini di consumo, trasferimenti e sussidi (settore nel quale si colloca addirittura al 97° posto), debole protezione dei diritti (a causa delle procedure giudiziarie), e intensità della regolazione pubblica.

Nell'indice della Heritage Foundation (che nell'edizione del 2002 comprende 155 stati) il grado di libertà di ciascun paese scaturisce dalla ponderazione di 50 fattori ed è compreso tra 1,00 (massimo grado di libertà economica) e 5,00 (minimo grado di libertà economica). Il punteggio dell'Italia nel 2002, pari a 2,35, la colloca al 29° posto della graduatoria, mostrando invece, in questo caso, un lieve progresso (vedi fig.2).

 

Alcuni aspetti strutturali del sistema italiano, tuttavia, accrescono i costi dell'interazione con lo stato e scoraggiano gli investimenti produttivi: la complessità legislativa, l'inefficienza dell'amministrazione pubblica, la diffusione della corruzione, la lentezza delle procedure giudiziarie. (8) Dato che il tempo e le informazioni a disposizione di ciascun individuo sono risorse scarse, ne consegue che il grado effettivo di protezione dei suoi diritti non dipende soltanto dal dettato costituzionale e dalla formale imparzialità delle procedure, ma anche dai tempi di attesa e dalla congruità delle risposte offerte alle istanze individuali.

Il sistema istituzionale italiano si caratterizza, rispetto ad altri paesi democratici occidentali, non soltanto per l'ampiezza della regolazione e per le dimensioni più estese dello stato, ma anche per la presenza di costi di transazione più difficilmente quantificabili che l'organizzazione pubblica, con le sue procedure decisionali e i suoi vincoli normativi, impone a cittadini e imprese. Là dove, come nel caso italiano, pesano la quantità di meccanismi decisionali pubblici e la loro inefficienza, si affievoliscono anche i diritti economici di proprietà e aumentano i costi delle transazioni relative a profili d'azione soggetti alla protezione dello stato. Il livello di protezione effettiva dei diritti di proprietà risulta così più debole di quanto non appaia dai vincoli legali formalmente in vigore, accrescendo l'ammontare di tempo e di altre risorse "consumate" nelle relazioni con l'amministrazione pubblica. (9)

La rilevanza delle componenti istituzionali sinteticamente rappresentate dagli indici è confermata da diverse semplici correlazioni statistiche, dalle quali emerge che valori più alti di libertà economica si associano positivamente con il reddito pro-capite, il tasso di sviluppo economico, l'aspettativa di vita. (10)

Le potenzialità di crescita economica e politica e culturale di una società, dunque, sono legate all'esistenza di "regole del gioco" che propiziano l'acquisizione di conoscenze favorevoli ad attività creatrici di surplus sociale. (11) L'adozione e il successo delle politiche di liberalizzazione sembrano costituire una condizione necessaria affinché il cambiamento istituzionale vada in una direzione compatibile con la creazione e la tutela efficiente dei diritti di proprietà, fattore decisivo dello sviluppo economico di lungo periodo. Nei prossimi paragrafi prendiamo in esame le condizioni e gli effetti delle modifiche intervenute nel sistema di vincoli formali, facendo particolare riferimento a quanto è accaduto nel corso dell'ultimo anno.

 

3. L'evoluzione dei vincoli legislativi in Italia

Le leggi e le altre regole formali, favorendo la formazione di aspettative coerenti e condivise, possono ridurre l'incertezza negli scambi e i costi di transazione. Perché questo accada, tuttavia, devono sussistere alcune condizioni: leggi di bassa qualità – confuse, complesse, scritte male, incoerenti, eterogenee, che fanno riferimento a situazioni specifiche e concrete – possono produrre l'effetto opposto. Da un lato tali leggi incrementano i costi di acquisizione delle necessarie conoscenze normative, dall'altro accrescono il rischio di controversie causate da interpretazioni dissimili. La conseguenza, in entrambi i casi, è un aumento dei costi di transazione, e dunque una perdita di efficienza del sistema istituzionale.

Considerazioni simili valgono per la quantità dei vincoli normativi: troppe leggi di per sé accrescono l'incertezza e i costi di informazione che gli individui devono sostenere per poter operare scelte pubbliche e private, dal momento che (a) occorrono più informazioni prima di poter operare scelte private e pubbliche; (b) vi sono maggiori rischi di errore; (c) lievitano i costi di mantenimento delle strutture pubbliche cui è delegata l'attività di controllo e di garanzia di applicazione delle sanzioni.

In presenza di troppe leggi – o di leggi di bassa qualità – i cittadini e le imprese che allacciano rapporti regolati da tali vincoli normativi, o hanno relazioni con le amministrazioni pubbliche, sono costretti a consumare tempo ed altre risorse per apprendere ed elaborare informazioni relative alle vecchie e nuove "regole del gioco". Tali fattori riducono il tempo di cui i cittadini dispongono per perseguire finalità autonomamente scelte, e al tempo stesso accrescono i costi di transazione che gravano sul sistema economico e sociale.

Le principali linee di tendenza della produzione legislativa in Italia non mostrano cambiamenti significativi rispetto allo scorso anno, nonostante nel frattempo sia cominciata la XIV legislatura, caratterizzata da una diversa maggioranza politica in Parlamento. E questo nonostante l'attuale maggioranza avesse inserito nel suo programma elettorale un progetto di ampio riordino della struttura dello stato tendente ad una sua semplificazione e riduzione.

L'ammontare di vincoli legislativi vigenti in Italia è sensibilmente più ampio rispetto a quello dei principali paesi europei. Uno studio della Camera dei deputati nel 1999 ha rinvenuto l'esistenza di oltre 35.000 leggi (14.000 leggi nazionali, 4.000 antecedenti al 1948 e di incerta vigenza, e 18.000 leggi regionali). (12) Il flusso di nuova legislazione ha segnato negli ultimi anni un'inversione di tendenza ed è di nuovo in crescita rispetto alle precedenti legislature, passando dalle 11,94 leggi mensili della XII alle 14,93 leggi mensili della XIII legislatura. L'Italia continua ogni anno a produrre un numero di leggi considerevolmente superiore rispetto a quello dei principali paesi europei. Nel 2000 l'Italia ha approvato il doppio delle leggi rispetto alla Francia, il triplo di quelle britanniche, oltre sei volte quelle spagnole (cfr. fig.3).

Nel primo anno nella XIV legislatura sono state approvate 135 leggi, delle quali 83 nel 2002 (fino al 30 agosto). La linea di tendenza degli ultimi cinque anni conferma questo dato (cfr. fig. 4): anche se a partire dal 1999 è osservabile un costante decremento nella nuova produzione legislativa, tuttavia questa risulta ancora sensibilmente superiore rispetto alla media degli altri paesi europei. (13)

Tuttavia, rispetto alla precedente legislatura, a partire dal 2001 il processo legislativo ha conosciuto una fortissima accelerazione: il tempo medio di approvazione delle leggi è passato dai 279 giorni della XIII legislatura (188 per quelle di iniziativa governativa, 508 di iniziativa parlamentare) ai soli 81 giorni della XIV legislatura (66 per quelle di iniziativa governativa, 145 di iniziativa parlamentare).

La produzione legislativa, inoltre, è composta da norme prevalentemente indirizzate verso la disciplina di situazioni particolari, l'attuazione di provvedimenti molto specifici ("leggi provvedimento") o la modifica puntuale di disposizione legislative vigenti ("leggi di manutenzione normativa"). Simili leggi "microsezionali", che distribuiscono selettivamente benefici a categorie molto ristrette di soggetti, oppure che intervengono in contesti di complessità normativa, coprono il 67,3% delle leggi approvate durante la XIII legislatura (1996-2001), contro il 62% della XII e il 61,7% dell'XI legislatura.

Illuminanti esempi di questo tipo emergono anche nella presente legislatura. Un caso da manuale è quello della legge 30 luglio 2002, n. 174, che in un unico provvedimento stanzia fondi a favore di un'Agenzia per organizzazioni non lucrative a Milano, per il completamento della diga foranea di Molfetta, per la realizzazione del "Museo della memoria" a Bologna e per la prevenzione del randagismo.

Il consenso attorno a queste leggi tende ad essere molto elevato, nella presente così come nelle passate legislature. Nel corso della XIII legislatura oltre due terzi delle leggi sono state approvate dalla Camera dei deputati in aula con maggioranze favorevoli superiori al 95%. Anche le leggi delega, che conferiscono poteri all'esecutivo, sono state nel 40 per cento dei casi approvate da oltre il 95% dei deputati. (14)

Un indicatore della persistenza nell'attuale legislatura di una vocazione "consensuale" a gestire il funzionamento delle istituzioni parlamentari è quello relativo alle leggi approvate in sede legislativa da commissioni parlamentari in almeno una camera. In presenza di un'elevata conflittualità politica la percentuale di leggi approvate in commissione dovrebbe tendere a ridursi, poiché la minoranza può richiedere il voto in Assemblea (che allunga i tempi e ritarda l'approvazione). Limitando il calcolo alle leggi delle quali il Parlamento è libero di decidere la sede (ad esclusione quindi delle leggi con sede "vincolata", come quelle di conversione, di ratifica, finanziarie o di bilancio, ecc.), nella presente legislatura (luglio 2001-agosto 2002) la percentuale di leggi approvate in sede legislativa dalle commissioni è stata pari al 76%, pressoché identica al 78,9% della XIII legislatura. Peraltro, considerando che la fase iniziale della legislatura sconta una maggiore conflittualità legata ad una maggiore "diffidenza" reciproca, possiamo aspettarci che tale percentuale sia destinata a crescere nel tempo.

Nell'ultimo quinquennio il governo ha svolto un ruolo più attivo all'interno del processo legislativo. Come osserva l'Osservatorio sulla legislazione, tra il 2000 e il 2001 "si è confermata una tendenza già emersa nella legislatura, nel corso della quale una quota rilevante della produzione normativa finale si è trasferita dalla legge parlamentare a fonti di emanazione governativa soprattutto attraverso gli strumenti della delega e della delegificazione. Lo strumento cui si è fatto maggiore ricorso è certamente quello del decreto legislativo". (15) Questa tendenza persiste nel corso dell'ultimo anno.

Da una comparazione emerge che nel primo anno della XIII legislatura a fronte di 184 leggi ci sono state 47 disposizioni di delega (24,5%), mentre nella XIV legislatura le disposizioni di delega sono state 41 rispetto a 135 leggi (30,3%).

La percezione della rilevanza dei costi sociali imposti dal basso profilo qualitativo dei vincoli legislativi ha prodotto negli ultimi anni alcune significative modifiche delle "regole del gioco" parlamentare. In particolare, nel regolamento della Camera entrato in vigore a partire dal 1998 alle commissioni legislative è stata attribuita la verifica della necessità di intervento legislativo, nonché la valutazione dell'impatto delle nuove norme, dell'inequivocità e della chiarezza del testo. Si è introdotto un obbligo di indicare le disposizioni abrogate esplicitamente da ciascuna nuova legge. Ad un nuovo organo, il Comitato per la legislazione, è stato attribuita la funzione di esprimere un parere non vincolante su omogeneità, semplicità, chiarezza ed efficacia per la semplificazione dei progetti di legge. E' stata inoltre istituita una legge annuale di semplificazione. Nel 2000 anche il Senato ha istituito un soggetto responsabile della qualità della legislazione, il Servizio qualità della legge, i cui uffici sono responsabili dell'osservanza delle regole di redazione dei testi, della revisione delle analisi di impatto della regolazione (AIR) presentate dal governo e della valutazione autonoma degli effetti delle proposte di legge.

Tuttavia, se "di fronte alla crescente complessità dei processi normativi, l'esigenza della massima semplificazione possibile di conferma come la finalità primaria di una politica per la semplificazione, i risultati sino ad oggi conseguiti sono molto limitati". (16)

Così, tra il gennaio 1998 e il giugno 2001, appena 123 leggi su 633 contengono abrogazioni esplicite, che hanno soppresso interamente solo 54 provvedimenti. La percentuale di leggi contenenti abrogazioni espresse nella XIII legislatura è pari al 18,1%, in sensibile crescita percentuale soltanto nei primi mesi del 2001 (cfr. tab. 1).

 

Tabella 1.

Abrogazioni contenute in leggi ordinarie

(fonte: elaborazione da Osservatorio sulla legislazione 2002)

 

 

1996

1997

1998

1999

2000
(fino al 29/05)

2001

Totale

Totale
leggi pubblicate

78

194

169

209

146

109

905

Leggi contenenti
abrogazioni espresse

17
(21,8%)

24
(12,4%)

26
(15,4%)

39
(18,7%)

27
(18,5%)

31
(28,4%)

164
(18,1%)

Provvedimenti
interamente abrogati

6

4

5

16

13

20

64

 

Considerando i decreti legislativi, il dato relativo alle abrogazioni nel 2001 rientra nella media degli anni precedenti: nei primi mesi del 2001 sono 22 i decreti legislativi contenenti abrogazioni espresse (40 in tutto il 2000) e 20 i provvedimenti interamente abrogati (contro i 27 del 2000 e i 66 del 1999). Inoltre, a fronte dei 378 decreti legislativi emanati nell'arco dell'intera legislatura, sono stati contestualmente soppressi 169 atti normativi, pari ad oltre il 44% del numero di nuovi provvedimenti adottati. Per ogni due nuovi decreti legislativi emanati, meno di un provvedimento legislativo viene soppresso.

La crescita del numero di leggi che contengono autorizzazioni alla delegificazione è stata considerevole nel corso dell'ultimo quinquennio: dalle 8 della XI e XII si è passati alle 67 leggi della XIII legislatura. Ugualmente consistente è l'incremento del numero di regolamenti di delegificazione pubblicati, che sono passati dai 6 dell'XI, ai 64 della XII, ai 149 della XIII legislatura.

Un ulteriore fattore di riordino normativo e di semplificazione legislativa è costituito dall'emanazione di testi unici. Il loro incremento è stato consistente negli ultimi anni: dai 4 testi unici della XI e dai 2 della XII si è passati agli 8 pubblicati nella XIII legislatura (a fronte di 22 disposizioni che ne prevedono l'emanazione entro il 31 dicembre 2002). Lo strumento del testo unico misto, destinato a raccogliere tutte le norme legislative e regolamentari rilevanti in un determinato settore, ha avuto invece un successo più limitato: ad oggi è operante un solo testo misto in materia di documentazione amministrativa (altri due, pur emanati, non sono ancora entrati in vigore). Il disegno di legge di semplificazione presentato dal governo Berlusconi prevede di eliminare i testi unici misti, avviando un ambizioso programma di codificazione dei principali settori della legislazione tramite decreti legislativi abilitati ad introdurre modifiche non limitare al mero coordinamento formale. (17)

La legge di semplificazione del 2001, in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione, deve ancora essere approvata (progetto di legge n. 2579). Si accentua la tendenza a trasformarla in una legge omnibus, che raccoglie disposizioni eterogenee. La sua principale innovazione è l'adozione di un principio di riassetto normativo. L'adozione di decreti legislativi e regolamenti di esecuzione è volto ad intervenire nelle materie indicate annualmente dal governo come prioritarie (tra le altre, nel disegno in esame, assicurazioni, energia, tutela dei consumatori) non soltanto semplificando i relativi procedimenti, ma innovando la stessa materia, attraverso una riduzione dei poteri della pubblica amministrazione. Viene così abbandonato lo strumento del testo unico, come mera raccolta e coordinamento di norme esistenti, per passare a "codici " in cui saranno raccolte le norme che regolano il settore "liberalizzato".

L'obiettivo consiste nel limitare il peso dei vincoli legislativi non soltanto sotto un profilo quantitativo, ma anche diminuendo i poteri dell'amministrazione pubblica e riducendo i tempi e costi dell'interazione dei cittadini con lo stato.

In conclusione, l'analisi della più recente evoluzione in Italia nella produzione di vincoli istituzionali di natura legislativa conferma i principali elementi già emersi nelle analisi degli anni precedenti:

     

  • Lo stock di norme vigenti in Italia è relativamente più esteso rispetto a quello dei principali paesi europei. La produzione legislativa italiana prosegue la sua crescita con tassi proporzionalmente superiori anche negli ultimi anni. Le norme approvate sono qualitativamente scadenti, in oltre due terzi dei casi volte a regolare situazioni specifiche o a gestire operazioni auto-referenziali di "manutenzione legislativa".
  •  

  • Le politiche di semplificazione, delegificazione e riordino normativo, avviate nel corso degli anni '90, si sono tradotte nell'approvazione di nuove "regole del gioco" parlamentare e nell'istituzione di organi cui è delegato il compito di porre in atto i principi ispiratori delle riforme. Ad oggi, comunque, i risultati complessivi di tale azione appaiono ancora molto limitati e frammentari, nonostante la crescita del peso dell'esecutivo nella gestione dei processi legislativi e il persistere di una vocazione "consensuale" nei rapporti tra la nuova maggioranza e l'opposizione parlamentare.
  •  

  • In alcuni casi, inoltre, le prassi prevalenti hanno semplicemente portato alla disapplicazione delle nuove disposizioni. La portata dell'azione dei nuovi organi è stata fortemente limitata dagli scarsi poteri loro assegnati e dai deboli incentivi istituzionali. E' questo il caso del Comitato per la legislazione, che da un lato interviene solo su richiesta di un gruppo di deputati, dall'altra fornisce solo pareri non vincolanti. Le resistenze e la strutturale mancanza d'efficienza delle strutture pubbliche hanno inoltre generato ritardi e ostacolato la messa in atto dei relativi provvedimenti. A titolo di esempio, si pensi ai numerosi testi unici che, sebbene autorizzati, non sono stati ancora emanati; oppure ai ritardi nell'approvazione della legge di semplificazione 2001; o all'interpretazione molto "elastica" della previsione specifica (art. 79, comma 11 del nuovo regolamento della Camera) relativa all'introduzione, in ciascun provvedimento, di clausole di coordinamento legislativo, con l'indicazione delle disposizioni abrogate.

 

4. I nuovi meccanismi di regolazione amministrativa: risultati e aspettative

L'amministrazione italiana e le politiche di regolazione, secondo un giudizio ampiamente condiviso, è stata caratterizzata fino agli anni '90 - ed è tuttora connotata - da bassi livelli di efficienza, legati tanto alle carenze organizzative e istituzionali che ai bassi profili qualitativi del personale. Conseguenza della sovrapproduzione e della scarsa qualità dei vincoli legislativi e normativi sono ambiguità e sovrapposizioni di poteri, oneri e costi per imprese e cittadini, complessità delle procedure, difficoltà di applicazione delle regole e ridotti livelli di osservanza delle stesse, tanto da parte degli amministratori che degli amministrati. L'amministrazione pubblica soffre di duplicazione e frammentazione di strutture e uffici, eccesso di regolamentazione interna, controlli poco efficaci, mancanza di responsabilità e di professionalità del personale. Inefficacia dell'azione pubblica, corruzione e mancanza di responsabilità ne erano le prevedibili conseguenze.

La richiesta di semplificare, ridurre e riordinare le procedure di decisione pubblica ed il sistema di regolazione è cresciuta nel corso dell'ultimo decennio a seguito di numerosi fattori, dai segnali macroeconomici di un deficit competitivo del sistema italiano alle inchieste sulla corruzione politica. Da queste premesse nascono le riforme degli anni '90. Il rapporto del 2001 dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico sul sistema di regolazione in Italia fornisce un quadro piuttosto ottimistico degli esiti delle riforme: "Rigidità e consuetudini accumulatesi nei decenni sono state ripensate, e molte tra esse sono state eliminate. Una crescente consapevolezza della presenza eccessiva dello Stato nella vita economica ha condotto a conseguenti cambiamenti strategici e istituzionali. Mentre lo scenario politico veniva ridisegnato, settori dello Stato centralizzato venivano smantellati e molte politiche economiche stataliste venivano sostituite con politiche più trasparenti e maggiormente favorevoli alla concorrenza" (18). In effetti, i molti ed eterogenei provvedimenti adottati sono accomunati dal riconoscimento che le potenzialità di sviluppo economico e politico della società italiana sono frenate da pesanti costi che l'inefficienza del sistema di vincoli formali pone a carico di cittadini e imprese. Oltre che nel campo della regolazione economica e sociale, questo vale nel campo della regolazione amministrativa, su cui ci concentriamo in questo paragrafo. (19)

Nel corso degli anni '90 all'interno del sistema di regolazione amministrativa sono state varate riforme istituzionali di notevole portata, ispirate a principi di concorrenza, trasparenza, prevedibilità, semplificazione, flessibilità, responsabilizzazione per i risultati, qualità della regolazione, decentramento, orientamento al cliente. La loro introduzione ha richiesto la messa in atto di politiche volte alla creazione di nuove procedure e figure professionali all'interno dell'amministrazione pubblica.

Tra le tappe principali di questo processo vi sono certamente la legge 241 del 1990, sui principi generali di funzionamento della pubblica amministrazione, e le leggi 'Bassanini' del 1997, sulla partecipazione dei cittadini e la semplificazione delle procedure. Ad esse si devono la riduzione del numero e delle fasi del procedimento amministrativo, la regola del 'silenzio-assenso', le autocertificazioni, la trasformazione delle concessioni e delle autorizzazioni in denuncie d'inizio di attività, l'introduzione delle "conferenze di servizi". Senza aver la pretesa di fornire una rassegna esaustiva, si possono ricordare altri aspetti significativi di questo processo (20):

     

  • L'istituzione, a partire dal 1999, di un Osservatorio sulle semplificazioni, che costituisce il principale strumento centrale di consultazione in materia di semplificazione e riordino della regolazione. Esso è composta da rappresentanti dei ministeri, delle parti sociali, delle regioni e degli altri enti locali, che offrono pareti e commenti, tramite un processo di consultazione pubblica, riguardo all'emanazione di norme e regolamenti di semplificazione.
  •  

  • L'istituzione di un Nucleo per la Semplificazione delle norme e delle procedure presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che sovrintende alle politiche per il miglioramento della regolazione, tramite delegificazione e redazione di testi unici, controllo della qualità delle nuove norme.
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  • L'introduzione formale e la regolamentazione, nel marzo 2000, dell'analisi tecnico normativa e dell'analisi d'impatto della regolamentazione (AIR), che può accompagnare gli schemi di provvedimento sottoposto al Consiglio dei Ministri o alla Camera dei deputati. L'allargamento dell'AIR alle Authorities e ad altri soggetti pubblici è prevista dalla legge di semplificazione 2001, ancora non approvata. L'AIR deve giustificare l'esigenza di un intervento regolativo, valutarne l'impatto e i rischi, in termini di costi e benefici, e analizzare le possibili alternative. (21)
  •  

  • L'adozione, nel giugno 2000, di un piano di azione per l'e-govvernment da parte del governo. Si tratta di un tentativo di estendere l'applicazione delle nuove tecnologie informatiche per migliorare l'efficienza dell'azione amministrativa, la facilità di accesso ad informazioni, la qualità e la rapidità dei servizi e delle prestazioni forniti dallo stato ai cittadini e alle imprese. Nel 1999 è stato avviato il programma "Norme in rete" per rendere più semplici i meccanismi di ricerca e di accesso alla normativa comunitaria, nazionale e regionale. La firma digitale, introdotta nel 1997, è operativa dal 2000. Dal 2000, tutte le dichiarazioni fiscali e la maggior parte delle comunicazioni in materia di sicurezza sociale sono trasmesse, archiviate e gestite elettronicamente.
  •  

  • L'estensione, a partire dal 1997, di uno strumento di semplificazione come lo "sportello unico", che permette agli utenti di rivolgersi ad un unico interlocutore pubblico per svolgere diverse attività o accedere a servizi forniti da più soggetti pubblici, garantendo tempi certi di risposta. Tra quelli già operativi possiamo ricordare lo sportello unico della attività produttive, quello per l'internazionalizzazione delle imprese, quello dell'edilizia.
  •  

  • Il diffondersi di iniziative come le Carte dei servizi (nei trasporti, nella sanità, nelle comunicazioni, oltre che a livello locale), che introducono criteri gestionali orientati ai risultati e sul riconoscimento di un indennizzo in caso di mancata soddisfazione degli utenti.
  •  

  • I reiterati tentativi di rendere comprensibile il linguaggio utilizzato dalla pubblica amministrazione, dai suggerimenti del "manuale di stile" nel 1997 fino alla direttiva del maggio 2002 del Dipartimento della funzione pubblica. (22)

Indubbiamente, questo vasto insieme di provvedimenti ha prodotto alcune modifiche nel tessuto istituzionale che regola i rapporti tra cittadini e amministrazioni pubbliche. In alcuni casi i costi dell'interazione tra stato, imprese e cittadini si sono ridotti in maniera significativa. Tra il 1996 e il 2001 il numero di certificati richiesti si è ridotto del 61,6%, da 68,7 a 34,8 milioni, le autentiche di firme sono diminuite del 90%. E' chiaro il risparmio di costi e tempo per cittadini e imprese, stimato in oltre 1,2 milioni di euro, dato che ciascuna di queste operazioni richiedeva in media un tempo di 45 minuti. Dal dicembre 2000 il numero di procedimenti necessari per costituire una nuova società o ditta individuale è passato da 25 a 5, mentre il tempo massimo richiesto per l'intero procedimento è stato ridotto da 22 settimane a 10. I costi medi sono diminuiti da 7.700 a 3.500 Euro circa per le società e da 1.150 a 500 Euro per le ditte individuali (23).

Eppure, nonostante alcuni aspetti indubbiamente positivi delle riforme, che mostrano la maggiore efficienza del sistema di regolazione, le percezioni di cittadini e delle imprese, pur in costante miglioramento, non sono particolarmente favorevoli. Percentuali significative di utenti non hanno ancora registrato benefici tangibili nelle nuove regole di azione amministrativa. In parte ciò è imputabile alle resistenze interne alla stessa amministrazione pubblica, le cui prassi e modelli culturali consolidati hanno frenato l'attuazione dei nuovi modelli di condotta. Altre difficoltà, come si rileva nell'ultimo rapporto dell'Agenzia garante per la concorrenza, discendono da "contraddizioni delle normative di liberalizzazione. Gli indubbi progressi registrati nella regolazione delle imprese e dei mercati, infatti, subiscono talvolta contraccolpi - come accade per le liberalizzazioni delle public utilities - e sono esposti a rischi legati alla moltiplicazione dei soggetti regolatori". (24)

Tra il 1999 e il 2001 diverse rilevazioni hanno misurato con un indice sintetico l'atteggiamento dei cittadini italiani nei confronti della pubblica amministrazione. Il risultato mostra una costante (seppur lievemente declinante) crescita dei giudizi positivi (cfr. fig. 5).

Riguardo alla percezione del cambiamento, tra il 2000 e il 2001 la percentuale di cittadini che ritengono migliorati i servizi pubblici rimane pressoché invariata (dal 40% al 41%), mentre si riducono i cittadini che li ritengono peggiorati (dal 18% al 14%). (25)

In un ampio sondaggio realizzato nel 2002, che dovrebbe rappresentare il primo di una serie di rilevazioni biennali, il 62,7% dei cittadini riconosce che la pubblica amministrazione sta mostrando segnali di cambiamento, di apertura e di orientamento al nuovo (in particolare grazie alle nuove tecnologie e ai sistemi informatizzati), ma permangono seri problemi nelle relazioni coi cittadini perché le strutture pubbliche sono di difficile accesso (secondo il 44,5% dei cittadini), non forniscono risposte chiare ed adeguate (39,1%), non ascoltano le loro esigenze (36,2%), non comunicano efficacemente (30,4%).

Come mostra la figura 6, l'insoddisfazione dei cittadini verso l'azione amministrativa è più alta proprio in relazione alla tempestività delle risposte (meno di un terzo di soddisfatti), alla trasparenza, alla facilità di individuazione delle procedure e alla chiarezza delle informazioni fornite (con percentuali di scontenti che vanno dal 60 al 70%). Il principale fattore di delusione delle aspettative è il costo elevato in termini di tempo, consumato nei rapporti con le strutture pubbliche per ottenere e interpretare una risposta alle proprie istanze.

 

Nonostante questi vincoli, vi sono aspettative moderatamente ottimiste nel 47,5% dei cittadini, che ritiene che il cambiamento tenderà a manifestarsi in modo più diffuso. Gli ostacoli a questo processo sono individuati soprattutto nella cultura burocratica e nella mentalità consolidata dei dipendenti (29% dei cittadini e 49,3% degli imprenditori), ma anche dalle leggi che frenano lo snellimento delle procedure.

Naturalmente, le speranze dei cittadini sono speculari ai fattori di insoddisfazione registrati. Un quarto dei cittadini si aspetta una maggiore tempestività, circa un quinto una crescita dell'assistenza fornita, della professionalità dei dipendenti, della semplicità delle procedure e dell'efficienza complessiva del sistema di regolazione pubblica (cfr. fig. 7).

 

Una percentuale piuttosto alta di sfiducia caratterizza anche il giudizio dei cittadini sulla qualità dell'informazione ricevuta e sulla capacità degli impiegati pubblici di farsi capire. Come mostrano le tabelle 2 e 3, nell'80% di cittadini che ritiene comprensibili le informazioni ricevuta dall'amministrazione pubblica è compreso un 60% che comunque ritiene quelle informazioni sbagliate o incomplete. Il 45% dei cittadini, inoltre, considera poco o per niente comprensibili i burocrati con i quali interagiscono.Questo dato sembra confermare che non è sufficiente che una legge sia "buona" per far sì che essa ottenga i risultati sperati. Più in generale, la capacità di una legge o di un provvedimento di ottenere i risultati attesi si scontra con la scarsità di informazioni e conoscenze possedute da coloro ai quali si rivolge. In molti casi, ciò rende più vischiosi quei processi sociali che si vorrebbero accelerare tramite i provvedimenti legislativi. Di qui la necessita di adeguare la formulazione dei provvedimenti al livello di conoscenze "tecniche" possedute da coloro ai quali si rivolge. Quando questo non avviene, il destinatario della legge non coglie spontaneamente e tempestivamente le opportunità in essa contenute, o deve ricorrere a consulenti ed "esperti", allungando il tempo in cui essa produce i risultati attesi ed accrescendo i costi necessari per un'adeguata comprensione delle opportunità offerte dalla medesima.

 

Tabella 2.

Giudizio sulla qualità dell'informazione ricevuta dalla pubblica amministrazione

(fonte CP 2002)

 

Le informazioni fornite sono:

 

Complete e comprensibili

20,4%

Comprensibili ma incomplete

41,0%

Comprensibili ma poi sbagliate

17,2%

Troppo difficili da capire

21,4%

 

Tabella 3.

Giudizio sulla capacità di farsi capire degli impiegati pubblici

(fonte CP 2002)

 

Gli impiegati pubblici hanno capacità di farsi capire:

 

Per niente

10,6%

Poco

33,4%

Abbastanza

48,3%

Molto

7,3%

 

Il giudizio degli imprenditori manifesta, sotto diversi profili, lo stesso atteggiamento di prudente attesa nei confronti delle riforme. Al tempo stesso, la percezione della potenziale rilevanza cambiamento istituzionale in corso crea aspettative che, a causa delle persistenti rigidità del sistema amministrativo, rischiano di essere disattese, causando disorientamento e nuova sfiducia. Questa ambivalenza emerge chiaramente dall'indagine promossa nel 2002 dalla Confartigianato su un campione di piccoli imprenditori. Il 48% degli intervistati non ha percepito negli ultimi tre anni alcun cambiamento nell'orientamento burocratico della pubblica amministrazione, il 26% individua un peggioramento e solo il 18% ritiene che la burocrazia sia diventata meno oppressiva. Nello stesso tempo, tuttavia, il 12 % e il 39% considerano molto e abbastanza migliorato il proprio rapporto con la pubblica amministrazione, contro l'11% e il 27% che lo ritengono per nulla o poco migliorato. (26)

Nella stessa ricerca viene fornita una stima dei costi della burocrazia italiana sul sistema delle imprese. Nel 2001 il costo per adempimenti burocratici delle 4 milioni e 700mila imprese italiane sarebbe stato di 2940 milioni di euro per adempimenti burocratici, di 6870 milioni per la tenuta delle contabilità, di 1830 milioni per autorizzazioni, contenziosi giudiziari e accesso ad incentivi. Il totale, che include altre voci, raggiunge i 14490 milioni di euro. (27)

La questione del costo in termini di tempo dell'interazione con lo stato ritorna anche nella valutazione degli aspetti problematici del rapporto tra imprenditori a amministrazione pubblica (cfr. fig.8). L'area di maggiore insoddisfazione, infatti, è quella relativa alla quantità di procedure esistenti e di documenti richiesti (che rappresentano un problema per oltre il 43% degli imprenditori), ai tempi lunghi di risposta (40,7%), alla mancanza di coordinamento tra uffici (27,7%), alle file e alle attese eccessive (25,7). La scarsa professionalità rappresenta un problema per il 30,3% degli imprenditori. Un ulteriore fattore di scontento risiede negli aspetti legati alla comunicazione (per il 30% la modulistica è incomprensibile) e all'informazione, carente per il 20,1% degli imprenditori.

In questo contesto di incertezza su alcuni aspetti chiave del loro rapporto con le strutture pubbliche, il 37% degli imprenditori intervistati segnala comunque un miglioramento complessivo della qualità dei servizi erogati dalla pubblica amministrazione, in particolare grazie all'autocertificazione, all'informatizzazione e all'introduzione di numeri verdi. (28)

Le politiche di liberalizzazione e semplificazione del sistema di regolazione amministrativa hanno indubbiamente prodotto cambiamenti significativi del sistema di vincoli formali, modificando le "regole del gioco" e l'assetto istituzionale. Permangono tuttavia forti resistenze al cambiamento, legate al persistere di prassi consolidate, aspettative, atteggiamenti e modelli cognitivi che ritardano e depotenziano gli effetti della riforma delle "regole del gioco", tanto sul versante degli amministratori pubblici che su quello dei cittadini e degli imprenditori. Questi fattori riflettono l'importanza dei vincoli informali, espressione dell'informazione diffusa nella società e parte dell'eredità culturale del passato, che sopravvivono al cambiamento degli ordinamenti giuridici formali e ne condizionano le stesse possibilità di applicazione e di successo. (29)

Gli elevati costi di transazione derivanti dall'interazione tra stato, cittadini e imprese continuano così ad assorbire gradi quantità di tempo e di altre risorse. Permane infatti una diffusa – anche se lievemente decrescente – insoddisfazione degli utenti della pubblica amministrazione, nonostante la percezione dell'avvenuta modifica delle modalità d'interazione e dei parziali progressi registrati negli ultimi anni. In particolare, sull'atteggiamento disincantato di larghe percentuali cittadini e imprese influiscono i costi derivanti dagli elevati tempi d'attesa e dalla scarsa (o difficilmente comprensibile) informazione fornita dagli uffici pubblici. I costi derivanti dalle perduranti rigidità e complessità del sistema di regolazione si riflettono sugli incentivi all'acquisizione di conoscenze e di competenze professionali, e dunque – come mostriamo nel prossimo paragrafo – sulle stesse possibilità che si in Italia si consolidino quelle condizioni concorrenziali più favorevoli allo sviluppo economico e sociale.

 

5. Cambiamento o stasi istituzionale?

Dopo aver descritto i tratti essenziali del cambiamento della cornice istituzionale di "regole del gioco" e le percezioni ad esso relative, in questo paragrafo esaminiamo alcuni indicatori dei suoi riflessi sulle condotte e sulle credenze di cittadini ed imprese. In particolare, facciamo riferimento alla modifica degli incentivi istituzionali che regolano i processi di apprendimento e di acquisizione di competenze da parte degli individui. Come si osserva nell'ultimo rapporto dell'Agenzia garante delle concorrenza: "L'esistenza di una stretta correlazione tra grado di liberalizzazione dei mercati e opportunità di sviluppo economico è confermata dalla circostanza che il maggiore dinamismo di alcuni Paesi dell'Unione Europea, come l'Irlanda e il Regno Unito, è in larga parte il risultato non solo di un più rapido processo di adeguamento alle normative comunitarie, ma anche, e soprattutto, di un'impostazione più decisamente proconcorrenziale delle rispettive politiche economiche". (30) Questa prospettiva ci permette di collegare indicatori eterogenei, che però riflettono da angolature diverse sfaccettature del sistema istituzionale italiano.

Come si è mostrato nel rapporto dello scorso anno, le imprese italiane sono il fanalino di coda, tra le maggiori democrazie occidentali, quanto a livelli di investimenti in ricerca e sviluppo. La spesa totale in Italia è infatti inferiore alla metà del valore medio dei paesi dell'Oecd, quella delle imprese addirittura inferiore a un terzo della media Oecd. Anche considerando la quantità di occupati nella ricerca e sviluppo l'Italia conserva le posizioni di fondo: nel 1997 su mille unità di forza lavoro appena 6 si occupano di tali attività, contro gli 11,6 della Germania, i 12,3 della Francia e i 13,3 del Giappone. Un altro indicatore di produttività nell'innovazione tecnologica è il numero di domande di brevetto: nel 2000 alle 62 domande di brevetti su 10000 abitanti dell'Italia facevano fronte le 144 degli Stati Uniti, le 256 della Germania, le 120 della Francia, le 109 del Regno Unito. (31)

Questi indicatori segnalano che in Italia il sistema istituzionale offre alle organizzazioni economiche soltanto deboli incentivi ad investire nella formazione di nuove conoscenze, in grado di accrescere la produttività del sistema e dunque di indurne l'efficienza in senso dinamico.

Un altro indicatore significativo è rappresentato dalla classifica internazionale di competitività. Tale indice mostrano in che misura l'assetto istituzionale complessivo di un paese - comprensivo delle variabili politiche, sociali e culturali - produce un ambiente in grado di promuovere la competitività delle sue imprese. L'indice dell'Imd (International Institute for Management Developmpent) nel 2002 copre 49 paesi, compresi tutti i membri dell'Oecd e i principali paesi in via di sviluppo. Il punteggio di ciascun paese riflette una media ponderata di oltre 300 parametri, riferiti alla performance economica, all'efficienza del sistema amministrativo e di quello produttivo, alle risorse umane, scientifiche e tecnologiche esistenti. Nel 2002 l'Italia occupa la 32a posizione, così come nell'anno precedente, nonostante un lievissimo miglioramento in termini di punteggio (cfr. fig. 9). Si tratta di una posizione che è rimasta immutata negli ultimi tre anni, dopo una discesa dalla 30a posizione occupata nel 1999. (32)

Ancora peggiore è la situazione se ci si limita a considerare i parametri relativi agli effetti delle politiche pubbliche sul grado di concorrenzialità delle imprese. L'Italia si colloca in questo caso al 39° posto su 49 paesi (cfr. fig. 10). La posizione dell'Italia è addirittura peggiore di quella di stati come Thailandia (27°), Messico (33°), il Sudafrica (35°), Filippine (37°) e Brasile (38°).

Prendendo in esame la tabella 4, emerge che nel 2002 l'Italia si colloca nelle posizioni di coda – per la precisione, al 40° posto – anche a causa dei persistenti costi del sistema amministrativo, in termini di tempo sprecato dalle imprese nelle procedure amministrative e nei contatti con le organizzazioni pubbliche.

Restringendo queste considerazioni ai paesi dell'Unione Europea, nel 2002 l'Italia occupa sistematicamente la penultima (seguita solo dalla Grecia) o l'ultima posizione in tutti gli indici relativi alla spesa nell'innovazione e nella ricerca, all'ampiezza dei processi di liberalizzazione, ai costi della regolazione pubblica. (33)

 

Tabella 4.

Quantità di tempo spesa dalle imprese nei rapporti con la pubblica amministrazione

(fonte Imd, in Centro studi Condindustria, 2002)

 

Paese

Graduatoria su 49 paesi

Finlandia

1

Regno Unito

2

Giappone

5

Germania

21

Stati Uniti

22

Spagna

27

Francia

33

Grecia

35

Italia

40

 

Un altro indicatore della perdurante ampiezza e complessità del sistema di regolazione italiano e dei costi elevati che esso impone a cittadini e imprese è ricavabile dalle statistiche sulla giustizia amministrativa. Queste ultime danno un'immagine sia della frequenza degli attriti tra cittadini e pubblica amministrazione – tanto più grande quanto più estesi sono i settori regolati e maggiore l'ambiguità o la difficoltà di interpretare il dettato normativo – che dell'efficacia dell'offerta di servizi di risoluzione delle controversie tra cittadini e stato.

I dati più recenti mostrano alcune chiare linee di tendenza (cfr. fig. 11). Il numero di ricorsi ai Tar sopravvenuti per anno, in calo dagli oltre 106mila del 1994 fino agli 83mila del 1999, ha conosciuto nel 2000 un nuovo brusco incremento, superando nuovamente quota 100mila. Nonostante la costante crescita del numero di procedimenti estinti (dai 39mila del 1994 agli oltre 70mila del 2000), questi ultimi sono rimasti costantemente al di sotto di quelli sopravvenuti. Di conseguenza, è ininterrottamente salito anche il numero di procedimenti pendenti a fine anno, che nel 2000 ha superato quota 90mila. Anche ipotizzano che a partire dal 2001 i provvedimenti estinti siano pari a quelli sopravvenuti, attualmente il tempo di attesa previsto per la conclusione di un procedimento di ricorso al Tar è dunque pari a 12 anni e 10 mesi.

Come prevedibile, le dimensioni del sistema di regolazione pubblica sono inversamente proporzionali al grado effettivo di garanzia di applicazione delle corrispondenti norme di condotta. In caso di contrasti tra amministrazione pubblica e cittadini, i tempi medi della risoluzione giudiziale sono così lunghi da diventare fonte ulteriore d'incertezza e di affievolimento dei diritti formalmente tutelati dallo stato.

Accanto ai dati relativi ai Tar si possono considerare anche quelli concernenti i ricorsi al Consiglio di stato: nel 2000 vi sono 26581 ricorsi ancora pendenti, un numero pressoché equivalente a quello dell'anno precedente, a fronte dei 12407 esauriti e dei 12067 sopravvenuti. In questo caso, dunque, i tempi medi di attesa per un ricorso amministrativo al Consiglio di stato sono oggi intorno ai 2 anni e 2 mesi.

Ugualmente elevati, per cittadini e imprese, sono i tempi di attesa dei servizi di risoluzione delle controversie tra privati offerti dallo stato. L'Italia ha la durata media dei processi civili più alta d'Europa, pari a quasi 10 anni (cfr. fig. 12). Ciò implica una più debole garanzia effettiva di applicazione delle regole giuridiche formalmente poste a tutela dei diritti di proprietà, e dunque una crescita dei costi di transazione e dell'incertezza negli scambi economici e sociali. Questa incertezza si riflette anche sulla sfera di sicurezza personale: secondo un dato di Eurobarometro, i cittadini italiani sono in Europa al penultimo posto quelli che si sentono al sicuro nella propria area, superati solo dalla Grecia (cfr. fig. 13).

L'assetto istituzionale italiano presenta dunque alti costi di interazione tra cittadini e stato, fornendo una debole protezione effettiva dei diritti individuali all'interno della vasta area di rapporti economici e sociali formalmente regolati dalla mano pubblica.

In un simile contesto, sorgono incentivi ad acquisire le competenze professionali che permettono operare una mediazione nelle controversie private e in quelle con lo stato. Un indicatore è dato dal numero di avvocati: un'alta densità relativa di avvocati caratterizza un ambiente sociale con frequenti controversie, elevati costi di transazione, bassi livelli di fiducia interpersonale e istituzionale, scarsità di capitale sociale. Come si è mostrato nel rapporto dello scorso anno, diverse statistiche (aggiornate all'inizio degli anni '90) indicano che in Italia la densità di avvocati è tra le più elevate nel mondo e tale è presumibilmente rimasta, considerando che nel frattempo il numero di avvocati è aumentato in modo considerevole (fino a circa 110mila, pari ad oltre 500 avvocati per 100mila abitanti, rispetto a valori inferiori a 100 per quasi tutte le democrazie occidentali). (34)

Gli incentivi istituzionali sembrano favorire in Italia altri due tipi di scelte. La prima, corrispondente per certi versi a una parziale "uscita" dai rapporti con lo stato, (35) consiste nell'evitare il più possibile contatti, scambi e interazioni con lo stato e i suoi agenti, pur esercitando attività economiche e produttive soggette a regolazione. Anche se comporta la rinuncia ad alcuni meccanismi di protezione pubblica dei diritti, ciò permette di eludere gli alti costi di quelle transazioni con lo stato. Un indicatore utilizzabile per misurare l'ampiezza relativa di questa strategia di "fuga dallo stato" è rappresentato dalla rilevanza dell'economia sommersa rispetto al prodotto interno lordo. Come mostra la figura 14, l'Italia si colloca stabilmente e di gran lunga ai vertici tra i principali paesi industrializzati, con una livello di sommerso pari ad oltre un quarto del PIL (il 27% in media nel biennio 2000-2001).

Un'altra possibilità è quella di non eludere, ma di cercare di volgere a proprio vantaggio la complessità e l'inefficienza del sistema di vincoli formali. Ciò implica la ricerca di conoscenze utili a guadagnare posizioni di rendita grazie all'inefficienza del sistema di regolazione amministrativa e all'arbitrarietà dei processi di decisione politica. In un contesto istituzionale che produce alti livelli di incertezza, come quello italiano, sorgono così incentivi ad acquisire competenze professionali che permettono di collocarsi negli snodi cruciali del sistema politico amministrativo, allacciando relazioni di scambio – più o meno visibili e legali – con gli agenti pubblici che hanno poteri decisionali o informazioni riservate in merito ai contenuti della regolazione, alle sue garanzie di applicazione, alle modalità di impiego delle risorse pubbliche. Il sistema della corruzione si caratterizza dunque come una sorta di "sistema fiscale secondo", entro il quale operano con successo quei soggetti più abili nell'acquisire le relative "abilità professionali". (36) I medesimi fattori che allungano i tempi di risposta delle organizzazioni pubbliche (inflazione legislativa, intensità e bassa qualità della regolazione, ecc.) sono la causa del capillare coinvolgimento dei partiti e delle maggiori imprese italiane nel sistema della corruzione, rivelato dalle indagini giudiziarie.

L'investimento in attività di innovazione tecnologica, in un mercato pubblico protetto dominato dalla corruzione, è spesso meno produttivo di un impiego delle medesime risorse per consolidare relazioni politiche, di influenza o di pressione su chi esercita poteri pubblici. Quando la protezione pubblica è debole o inefficace, infatti, è possibile acquistare la protezione offerta selettivamente (e a pagamento) dai centri di potere politico e amministrativo, in cambio di tangenti. Questo sistema di scambio occulto con gli agenti pubblici, in altri termini, riflette alcune caratteristiche di fondo del sistema istituzionale. Per questa ragione non sorprende che l'indice di percezione della corruzione, che Transparency International predispone annualmente dal 1995, collochi l'Italia stabilmente e di gran lunga al primo posto, tra i principali paesi occidentali, quanto a diffusione del fenomeno. Dopo un miglioramento nell'anno precedente, la posizione dell'Italia è di nuovo peggiorata in modo significativo nell'ultimo anno, passando dal 29° posto (su 91 paesi) del 2001 al 31° posto (su 102 paesi) del 2002 (da 5,5 a 5,2 punti) (cfr. fig. 15). L'Italia costituisce dunque un caso anomalo nel panorama delle democrazia occidentali, con un tasso di percezione della diffusione della corruzione superiore persino a quello di Estonia, Taiwan, Botswana, Namibia.

Un altro effetto prevedibile di un sistema inefficiente di regolazione amministrativa è il maturare di un senso diffuso di insoddisfazione e di sfiducia nei confronti dell'intero assetto politico-istituzionale. L'affiorare e il consolidarsi di un sentimento di questo tipo è indipendente dalle strategie adottate dai singoli individui, e può maturare tanto nei cittadini "onesti" e rispettosi delle regole che negli amministratori corrotti o negli imprenditori che gestiscono "in nero" le proprie attività economiche. Tutti gli utenti dell'amministrazione pubblica, infatti, devono sostenere l'incertezza e i costi legati agli "attriti" nelle relazioni e nelle transazioni tra stato e cittadini, le cui radici affondano, come si è mostrato in questo rapporto, in alcune caratteristiche del sistema istituzionale. Numerose statistiche attestano una diffusa sfiducia dei cittadini italiani nei confronti dello stato e delle principali istituzioni pubbliche.

L'indicatore che utilizziamo in questo rapporto è la domanda relativa al sentimento di soddisfazione sul funzionamento della democrazia nel rispettivo paese, effettuata con regolarità dall'Eurobarometro. Cumulando i "per niente" e i "non molto soddisfatti", nel 2001 l'area di insoddisfazione in Italia è pari al 59%, contro il 39% della Francia, il 36% della Germania, il 33% della Spagna, il 27% del Regno Unito (cfr. fig. 16). Peraltro, tra il 2000 e il 2001 si registra un piccolo progresso, dal 62% al 59%, ancor più significativo se si pensa che nel 1999 in Italia la percentuale d'insoddisfazione era pari al 70%.

 

 

Un ultimo indicatore, sempre basato sulle rilevazione dell'Eurobarometro, restringe la valutazione alla fiducia espressa dai cittadini nei confronti del governo, del parlamento, dell'amministrazione pubblica e dei partiti. Anche in questo caso l'Italia si colloca all'ultimo posto in Europa (cfr. fig. 17), con oltre il 69% in media di sfiducia nel 2001, pur registrando un significativo progresso rispetto all'anno precedente (nel 2000 la fiducia era appena al 25%).

 

Gli indicatori utilizzati in questo rapporto confermano l'esistenza di un nesso tra le principali caratteristiche del sistema istituzionale italiano e la risposta di imprese e cittadini, incentivati – in misura notevolmente superiore rispetto a quelli delle altre democrazie occidentali – ad "uscire" dai rapporti con lo stato o ad "entrare" nel mercato della corruzione, oppure indotti a maturare convinzioni pessimistiche riguardo al proprio sistema politico-amministrativo.

I dati presentati sembrano suffragare la tesi che in Italia il cambiamento istituzionale, messo in atto attraverso le politiche di liberalizzazione, riordino e semplificazione, non ha ancora radici solide. Vecchi modelli informali di condotta e stabili aspettative d'inefficienza dell'azione pubblica continuano a governare il funzionamento delle strutture amministrative e le relazioni tra cittadini e stato. Tra il 2000 e il 2002 marginali miglioramenti negli indici di competitività e di soddisfazione per il funzionamento della democrazia si accompagnano alla stabilità di altri indicatori (quello dell'economia sommersa), e a un peggioramento di altri (quello della percezione della corruzione). Nel rapporto dello scorso anno, facendo riferimento ai precari sentieri di cambiamento delle "regole del gioco" in Italia, ci eravamo posti la domanda: "eppur di muove?". Quest'anno ci sembra ancora più difficile individuare una chiara e coerente direzione nei pochi "movimenti" osservabili a seguito delle politiche di liberalizzazione. Sempre che non si tratti dei segnali di un "dinamismo immobile" della nuova classe politica di governo ...

 

6. Conclusioni: un nuovo slancio o una marcia indietro?

L'evoluzione del sistema di regolazione in Italia si è sostenuto, nel corso degli anni '90, su una sorta di circolo virtuoso: ogni intervento di riforma è stato la premessa per nuovi provvedimenti di liberalizzazione, semplificazione e riordino normativo, poiché ha creato nuovi soggetti e rafforzato gli incentivi istituzionali affinché diverse influenti organizzazioni pubbliche e private operassero agevolando – o quantomeno non ostacolando – tali processi. La formazione di aspettative favorevoli nei cittadini e nelle imprese ha ulteriormente alimentato questa spirale positiva. (37)

Alcuni indicatori segnalano tuttavia un'accresciuta vischiosità del processo di cambiamento istituzionale, cui si collega il pericolo che le politiche di semplificazione si esauriscano senza produrre effetti duraturi o conseguenze apprezzabili. I rischi derivanti dai fattori di resistenza al cambiamento descritti nei precedenti paragrafi sono evidenti: l'interdipendenza tra le diverse componenti dei processi di liberalizzazione, infatti, può alimentare un circolo vizioso, accelerando il ritorno ad un sistema di regolazione complesso, fatto di norme di scadente qualità, soggetto ad inflazione normativa, inefficiente, produttore non di prevedibilità ma di incertezza individuale e sociale.

In questo senso, non può che suscitare perplessità la priorità accordata dal governo Berlusconi e dalla nuova maggioranza parlamentare a una serie di misure legislative – dal ridimensionamento del reato di falso in bilancio al progettato concordato fiscale – che certamente non trovano posto in un quadro programmatico di avanzamento dei processi di liberalizzazione e di semplificazione. (38) Di matrice statalista è anche la prospettiva ideologica che sottende alla proposta governativa di bloccare per legge le tariffe delle società pubbliche come strumento di controllo dell'inflazione, quando l'intervento che garantisce risultati significativi e duraturi in questo campo consiste proprio nell'accelerazione dei processi di privatizzazione e di apertura alla concorrenza dei settori economici interessati.

Senza aver la pretesa di dare un quadro esaustivo, si possono elencare alcune possibili aree di intervento nelle quali è auspicabile l'avvio o la prosecuzione di politiche di liberalizzazione che, intraprese in passato, stentano a proseguire o vanno esaurendo i loro effetti. (39)

 

In primo luogo, occorre intervenire radicalmente sullo stock esistente di leggi, accelerando i processi di delegificazione, abrogazione, coordinamento e riordino dei vincoli normativi esistenti. A questo fine, sembra necessaria una preliminare verifica delle conseguenze delle politiche poste in essere in passato, ossia del grado di attuazione di tali vincoli normativi e il funzionamento dei loro meccanismi di controllo. L'analisi di impatto della regolamentazione dovrebbe essere estesa anche all'attuazione delle norme, affinché nella decisione relativa alla modifica o all'abrogazione delle regole esistenti si tenga conto dei benefici apportati e dei costi sostenuti, per causa loro, da cittadini e imprese. (40)

     

  • E’ opportuno intervenire sulle procedure amministrative e sul sistema di concessioni, autorizzazioni e concessioni, fattori che accrescono considerevolmente (e in misura proporzionalmente molto superiore a quella delle altre democrazie occidentali) i costi dell'interazione tra stato e imprese. Per un verso, la riduzione del numero di procedure e formalità amministrative avrebbe l'effetto di rendere più efficaci quelle restanti in vigore. D'altro canto, la protezione di alcuni settori di attività economica – come ad esempio le telecomunicazioni, la distribuzione al dettaglio, l'energia – crea posizioni non trasparenti di rendita, grazie alle barriere politiche all'entrata di tali mercati, determinando un peso maggiore degli oneri amministrativi e una minore prevedibilità dei processi di mercato. Nonostante l'abolizione di alcune licenze e l'introduzione di altre misure, come le autocertificazioni e le dichiarazioni sostitutive, i passi compiuti in questa direzione sono ancora insufficienti
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  • Il sistema degli ordini professionali dovrebbe essere radicalmente riformato, per aprire ad una maggiore concorrenza il mercato di una serie di servizi nei quali – per ragioni essenzialmente clientelari – lo stato ha delegato a una serie di categorie professionali (notai, farmacisti, ecc.) il potere di operare arbitrarie restrizioni della libertà di entrata. D'altra parte, proprio le ingenti posizioni di rendita garantite da questo regime di protezione hanno saldato i forti e coesi interessi delle organizzazioni che rappresentano le categorie professionali, le quali sono finora riuscite ad opporsi con successo ad ogni tentativo di avviare politiche di liberalizzazione in questo settore.
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  • Nonostante i reiterati tentativi di migliorare i livelli di professionalità e la qualità delle risorse umane nelle amministrazioni pubbliche, i progressi in questo campo appaiono insoddisfacenti. Gli scarsi risultati conseguiti da alcuni processi di riforma del sistema di regolazione sono imputabili anche ai bassi profili qualitativi dei soggetti pubblici cui era delegato il compito di gestirli. Uno strumento di intervento, ad esempio, potrebbe consistere nell'impiego di risorse per potenziale gli enti che curano la preparazione tecnico-amministrativa del personale dirigenziale.
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  • La trasparenza e l'accessibilità alle procedure amministrative da parte delle imprese e dei cittadini può essere enormemente accresciuto in tempi rapidi e a costi contenuti facendo ricorso alle nuove tecnologie informatiche. Anche in questo caso, nonostante si siano fatti alcuni passi in questa direzione, la posta in palio – la drastica riduzione dei costi di informazione sostenuti dagli utenti – richiede un maggiore impegno riformatore.

 

Soltanto un nuovo slancio nelle politiche di liberalizzazione sembra in grado di superare le resistenze dei forti interessi – di organizzazione pubbliche e private – che cercano di vanificare, arginare o rallentare l'attuazione delle riforme in cantiere, e si contrappongono ad altre misure di questo tipo. Si pensi, ad esempio, agli amministratori di società pubbliche o agli enti locali che osteggiano l'apertura alla concorrenza di settori economici rilevanti (dai trasporti al gas), o a quei settori del personale ministeriale o di altre amministrazioni che si sono impegnati in un'azione di contrasto della semplificazione delle procedure.

Se in Italia i processi di liberalizzazione vanno esaurendo la loro spinta propulsiva, e la strada percorsa è in salita, sussiste il concreto pericolo di una marcia indietro. In primo luogo, l'applicazione di provvedimenti complessi può controbilanciare i tentativi di semplificazione del sistema di regolazione. Inoltre, i tempi lunghi necessari affinché le riforme producano effetti si scontrano con l'impazienza e con le aspettative suscitate in ampi settori della società e del mercato. La delusione di questi ultimi può indebolire il loro consenso, essenziale per il perseguimento coerente e duraturo delle politiche di liberalizzazione e di riordino del sistema normativo. Come mostrano diversi indicatori presentati in questo rapporto, si tratta di un rischio da non sottovalutare e che può indurre a un ripensamento di fondo della natura delle cosiddette politiche di liberalizzazione.

Rimane infatti l'impressione che:

1) con questo termine in molti casi non si sia inteso altro che la modifica dell'assetto proprietario di enti o aziende precedentemente pubbliche, con la quale si sono creati "monopoli legali" che non hanno prodotto sostanziali vantaggi ai consumatori, né dato slancio al sistema imprenditoriale;

2) che una quota della potestà normativa originariamente detenuta dal potere politico sia stata semplicemente trasferita, anche in questo caso senza produrre vantaggi apprezzabili, ad un sistema di Authorities le cui competenze appaiono in alcuni casi incerte, in altri sovrapposte con quelle di altri poteri dello stato.

Un ulteriore problema è quello connesso al trasferimento di competenze dallo stato alle regioni. Si tratta di un "federalismo" incerto e malamente applicato, che corre il rischio non solo di far dilatare in maniera incontrollabile la spesa pubblica, ma anche di introdurre in un sistema già complesso ulteriori fattori di complicazione normativa. L'unico effetto chiaramente percepibile della riforma, ad oggi, è stato quello di un incremento "a macchia di leopardo" delle svariate tasse ed imposte di competenza di regioni, province e comuni.

Di fronte alle critiche del centro sinistra al governo – accusato di non aver controllato la crescita della spesa pubblica e dell'inflazione, di aver subito la stagnazione internazionale, di non aver realizzato il proprio programma elettorale, concentrandosi soltanto sui problemi della giustizia – la maggioranza ha replicato enfatizzando la portata delle riforme introdotte. E' indubbio che le contingenze internazionali abbiano avuto un indesiderato effetto negativo sulla volontà riformatrice del governo e ne abbiano ridotto le disponibilità finanziarie. Ciò ha avuto conseguenze particolarmente rilevanti in Italia, un paese che ha un debito pubblico notevolmente più elevato rispetto alla media dei paesi dell'Unione europea. In mancanza di ogni possibilità di cooperazione tra maggioranza ed opposizione appare poi politicamente difficile affrontare il problema delle pensioni, che ha un peso ed un'incidenza notevole e diretta sul debito pubblico e sulla stabilità sociale. Affrontando il nodo delle pensioni non si rischierebbe soltanto di mettere definitivamente in crisi quel "patto per l'Italia" che rappresenta un fragile successo del governo, ma anche di far sorgere un conflitto sindacale e sociale dagli esiti imprevedibili.

Ancora una volta, di contro alle esigenze dell'economia e alla necessità di far quadrare i conti, la politica oppone le sue ragioni. Posticipare il momento in cui i problemi sono affrontati riduce le risorse che potrebbero essere utilizzate dalla classe di governo per rilanciare la domanda e accelerare l'uscita dalla stagnazione. La conseguenza è devono essere rinviati a tempi migliori il riordino della struttura dell'amministrazione pubblica e la semplificazione del sistema di regolazione, la riduzione delle tasse, il rilancio delle politiche di realizzazione di opere pubbliche infrastrutturali, gli investimenti nel settore della ricerca scientifica e dell'istruzione (per fare solo pochi ma significativi esempi). Purtroppo, è ormai evidente che questi "tempi migliori" la politica è sempre meno in grado di determinarli.

Sotto un profilo generale, al di là delle contingenti polemiche italiane sulle responsabilità politiche di ritardi e inefficienze, un elemento critico comune ai diversi sistemi di governo è costituito dal lasso di tempo intercorrente tra il momento in cui la decisione politica viene presa e il momento in cui essa inizia a produrre effetti. Incrociandosi con molteplici altre decisioni di politica interna ed estera, prese da altri soggetti politici ed economici indipendenti, qualsiasi scelta di politica pubblica produce i suoi effetti in un tempo che non è più determinabile né controllabile, e dunque anche in un contesto spesso assai diverso da quello inizialmente previsto.

Alla mancanza di controllo dei "tempi" dell'azione politica, conseguenza dell'impossibilità di regolare lo spazio in cui si esercita la sovranità e dell'incremento dei soggetti decisionali interni ed esterni, possono contrapporsi due fattori. Il primo è il tentativo dei governi di ridurre il tempo della procedura decisionale e quello dell'attuazione delle corrispondenti scelte. Non si tratta di un obiettivo facile da conseguire, ma se ci sono riusciti i produttori di automobili (velocizzando le fasi del processo produttivo, dall'analisi del mercato alla progettazione e commercializzazione degli autoveicoli), i politici dovrebbero per lo meno provarci. Il secondo fattore riguarda la stessa possibilità di impiegare l'amministrazione pubblica, ossia i canali della spesa pubblica, come strumento di accelerazione dei processi economici e sociali. Se non diminuiscono i suoi tempi di risposta, ogni processo politico rischia di essere intempestivo: se non dannoso, per lo meno inutile.

D'altra parte, in Italia negli ultimi anni la velocità della macchina statale non è aumentata, né gli schemi concettuali che orientano la politica economica e sociale si sono distinti da quelli del passato (come mostra la vicenda del blocco delle tariffe). Nuove leggi si sono aggiunte alle troppe preesistenti senza sortire risultati apprezzabili, se non quello di produrre un ulteriore allungamento dei tempi.

Due osservazioni conclusive. La prima è che, stante questa situazione, l'unica circostanza in cui lo stato si mostra capace di ridurre i tempi di risposta è quando impone nuove tasse, che però non hanno l'effetto di rilanciare la domanda. La seconda, parafrasando De Gaulle – il quale si lamentava delle difficoltà di governare un paese come la Francia, in cui si producono così tanti formaggi – è che è difficile governare anche un paese in cui esistono e si continuano a produrre così tante leggi.

 

 

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Note.

 

1 Cfr. Vannucci e Cubeddu, 2000 e 2001.

2 Cfr. Di Palma, 2000.

3 Cfr. North, 1994, p. 107.

4 Cfr. North, 1994, p. 169.

5 A cura del Fraser Institute (Gwartney e Lawson, 2002).

6 A cura della Heritage Foundation e del The Wall Street Journal (O'Driscoll, Holmes, e Kirkpatrick, 2001). A differenza dello scorso anno non presentiamo l'indice della libertà economica elaborato dal Centro di Documentazione'Einaudi' per i paesi dell'Unione Europea, non essendo ancora disponibile il dato aggiornato al 2002.

7 Cfr. Gwartney e Lawson 2002, p.5.

8 Cfr. O'Driscoll et al., 2001, p.242.

9 Come si osserva nel rapporto, la libertà economica trova espressione nel grado di protezione dei diritti di proprietà, fattore che rappresenta "la forza guida che orienta la produzione di ricchezza e di standard più alti di vita" (Hoskins e Eiras, 2001, p. 46). I "diritti di proprietà" rilevanti nel determinare costi e benefici attesi dalle transazioni non sono quelli legali, ma quelli economici, che si riferiscono alla capacità di godere e disporre in via esclusiva di certi beni scarsi, siano essi materiali o immateriali, vincolando altri individui a norme di comportamento che prevedono sanzioni in caso d'inosservanza. (Pejovich, 1990). Tali diritti sono ovviamente influenzati dall'ordinamento giuridico, ma non coincidono con esso, dipendendo anche dagli sforzi di auto-pretezione, dai tentativi di cattura di altri individui, dall'efficienza della protezione statale (Barzel 1989, p.2).

10 Cfr. Gwartney e Lawson, 2002, p. 16.

11 Cfr. Gwartney, Holcombe e Lawson, 1999.

12 Cfr. Oecd, 2001.

13 Cfr. Camera dei deputati, 2002, p. 5; Statistiche Senato, 2002.

14 Cfr. Centro Studi Confindustria, 2002.

15 Cfr. Osservatorio sulla legislazione, 2002, pp. 4-5.

16 Cfr. Osservatorio sulla legislazione, 2002, p. 6.

17 Cfr. Osservatorio sulla legislazione, 2002, pp. 6-7

18 Cfr. Oecd 2001.

19 In termini generali, la regolazione è l'attività di produzione dei vincoli normativi formali (leggi, regolamenti, ecc.) da parte di soggetti pubblici e di soggetti privati cui lo stato ha delegato tali poteri. Mentre la regolazione economica interviene direttamente nelle scelte di mercato (ad esempio, nella determinazione dei prezzi) e quella sociale ha per obiettivo la tutela di interessi generali e l'offerta di "beni collettivi" come salute, sicurezza, ambiente, la regolazione amministrativa riguarda le modalità di funzionamento delle organizzazioni burocratiche, e le modalità con cui queste raccolgono informazioni e intervengono nelle decisioni di cittadini e imprese (cfr. Oecd 2001).

20 Per una rassegna degli strumenti giuridici impiegati nelle politiche di semplificazione cfr. Bacciardi (2002).

21 Nell'impostazione prevalente l'AIR prevede un'analisi costi-benefici dell'impatto diretto e indiretto delle norme sui destinatari. L'obbligo di effettuare l'AIR non è comunque stabilito per legge, né è obbligatorio conformarsi alle sue risultanti.

22 Cfr. Dipartimento della funzione pubblica, 2002a.

23 Cfr. Oecd 2001.

24 Cfr. AGCM, 2002, p. 8.

25 Cfr. Ispo 2001.

26 Cfr. Confartigianato 2002.

27 Cfr. Confartigianato 2002.

28 Cfr. Dipartimento della funzione pubblica, 2002b.

29 Cfr North 1994, p. 66.

30 Cfr. AGCM 2002, p. 6.

31 Cfr. Centro studi Confindustria, 2002.

32 Un diverso indice, elaborato dal World Economic Forum (2002b) considera un maggior numero di paesi, ma include nella sintesi un ammontare inferiore di parametri. L'Italia occupa in questa classifica della competitività la 24a posizione su 75 paesi nel 2001, ed è stazionaria rispetto al 2000.

33 Cfr. World Economic Forum, 2002a, p. 5.

34 Cfr Verde (1999).

35 Ossia di exit, per impiegare il classico modello di Hirschman (1982).

36 Cfr. Pizzorno (1992).

37 Cfr Oecd, 2001. In questo processo, un ruolo decisivo è stato giocato dai vincoli normativi e politici posti all'Italia dall'appartenenza all'Unione Europea (cfr. Di Palma 2000).

38 In particolare, per quel che concerne la recente riforma della disciplina degli illeciti penali e amministrativi delle società commerciali, si può condividere l'intento di rendere meno complessa la normativa, che esponeva a rischio penale ampie categorie di imprenditori anche per violazioni minime. Tuttavia le nuove norme, che depenalizzano, riducono le pene, dimezzano i tempi di prescrizione e rendono più improbabile il perseguimento dei reati, hanno accresciuto considerevolmente le aspettative d'impunità per attività che, come mostrano il caso Enron e le recenti vicende di scandali finanziari negli Stati Uniti, possono rivelarsi estremamente nocive per la trasparenza e l'efficienza dei mercati.

39 Analoghe considerazioni si possono trovare nel recente rapporto dell'"Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico" sul sistema di regolazione in Italia (Oecd 2001).

40 "L'Italia ha considerato poco la dimensione del grado di attuazione delle norme e dei meccanismi di controllo della loro osservanza: queste criticità devono essere risolte. Sui cittadini e sulle imprese gravano ancora oneri in gran parte non necessari, causati dall'accumularsi delle norme nel tempo e da un inadeguato coordinamento tra i ministeri e le autorità di regolazione, e tra il governo centrale e le autonomie territoriali. Ciò riduce il grado di applicazione delle regole e mina la capacità dello Stato di perseguire i suoi obiettivi". Cfr. Oecd, 2001.

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Introduzione

Informazione: prigionieri del passato

Welfare e lavoro

Il “dinamismo immobile”politiche di liberalizzazione e cambiamento istituzionale agli inizi della xiv legislatura

Regolazione e liberalizzazione dell’economia

I) la scuola fra tradizione e innovazione: luci ed ombre dei processi riformatori

II) l'università alla verifica: tra consolidamento e reindirizzo

Amministrazione e gestione del territorio

L’erta via delle privatizzazioni

La sicurezza tra controllo formale e controllo informale

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