IL "DINAMISMO IMMOBILE".
POLITICHE DI LIBERALIZZAZIONE E CAMBIAMENTO ISTITUZIONALE AGLI INIZI DELLA
XIV LEGISLATURA
di Raimondo Cubeddu e di Alberto Vannucci
1. Introduzione
Nel corso degli ultimi anni termini come
"liberalizzazione", "semplificazione amministrativa",
"deregolamentazione" sono diventati di impiego corrente nel
dibattito politico, a connotare condizioni e caratteristiche auspicabili
delle politiche e dei provvedimenti pubblici. Si tratta di tematiche che
hanno conseguito col tempo una sorta di approvazione bipartisan. La
liberazione degli individui e degli attori economici da inutili vincoli
normativi e da procedure amministrative tortuose ed inefficienti è ormai
pressoché universalmente considerata in Italia una questione cruciale di
politica pubblica, e come tale trattata tanto nel discorso pubblico che in
sede di redazione dei programmi politici.
Nei rapporti presentati nei due anni precedenti abbiamo
passato in rassegna il rapporto tra l'assetto istituzionale e i
provvedimenti volti a liberalizzare e semplificare concretamente il quadro
di interazione tra cittadini e amministrazioni pubbliche. (1) Abbiamo
cercato di mostrare che il consenso politico – apparentemente ampio e
convergente – sulla rilevanza di questa issue non è stato
sufficiente a produrre risultati significativi e duraturi.
Finora, infatti, gli ambiziosi tentativi di trasformare
la struttura e il ruolo dello stato hanno conseguito risultati positivi
soltanto in alcuni settori circoscritti, ad esempio quello relativo alla
riduzione di alcuni oneri amministrativi.
Il cambiamento istituzionale, ossia il tentativo di
ridurre le incertezze e i costi delle modalità prevalenti d'interazione tra
stato, imprese e cittadini, dove si è realizzato, è stato frammentario, di
portata limitata e, per così dire "a macchia di leopardo". (2)
Per di più, la stessa irrazionalità delle strutture e dei vincoli
legislativi e amministrativi esistenti ha indebolito – e in qualche caso
vanificato del tutto – l'efficacia degli sforzi di riforma delle
"regole del gioco" politico ed economico, lasciando inalterato,
viceversa, un equilibrio istituzionale caratterizzato da alti "costi di
transazione", complessità normativa, sfiducia generalizzata nei
confronti dello stato, percezione di una corruzione diffusa, occultamento di
una quota elevata di attività economiche. Naturalmente, queste condizioni
sono fonte di rendite e di nicchie di privilegio per diverse categorie di
individui e di organizzazioni politiche ed economiche che, opponendo
resistenza al cambiamento, hanno contribuito a deludere le aspettative
suscitate dalle riforme.
In questo contributo aggiorniamo ed estendiamo le nostre
precedenti analisi con i dati relativi all'ultimo anno, il primo del governo
Berlusconi. A questo fine, utilizziamo quale parametro di riferimento per
valutare il funzionamento delle istituzioni la rapidità nel fornire
risposte ai problemi sociali senza aumentare il tasso di coercizione e senza
distribuirne arbitrariamente le conseguenze. I processi di liberalizzazione
sono quei cambiamenti dei vincoli istituzionali, ossia delle "regole
del gioco" (formali e informali), che riducono i costi di transazione
legati alla presenza e all'azione dello stato, diminuendo la quantità di
tempo e di risorse necessarie al mantenimento della struttura pubblica e
delle sue funzioni. Elemento centrale nel modello teorico adottato sono
dunque le istituzioni che, governando le interazioni tra individui e gruppi
organizzati, plasmano il sistema di incentivi e sanzioni che sono alla base
dei processi di acquisizione delle conoscenze. Esse determinano così le
dinamiche dell'evoluzione sociale, dello sviluppo o della stagnazione
economica, influenzando i costi delle transazioni economiche, politiche e
sociali. Come osserva North: "I costi di transazione sono la
caratteristica più facilmente osservabile del quadro istituzionale che è
alla base dei vincoli allo scambio". (3)
Il sistema istituzionale, infatti, regola le relazioni
tra individui, influenzando la struttura di diritti di proprietà e le
possibilità di sviluppo: "Nel corso della storia le istituzioni sono
la struttura fondamentale che ha permesso di costruire un ordine sociale e
di ridurre l'incertezza degli scambi. Insieme alla tecnologia impiegata,
determinano i costi di transazione e di trasformazione e quindi la
redditività e le opportunità di chi si impegna in attività
economiche". (4) Lo stato, attraverso la produzione di regole formali
(norme costituzionali, leggi, regolamenti, ecc.) e con l'offerta di servizi
di composizione delle controversie e di garanzia di applicazione, gioca un
ruolo fondamentale nel definire caratteristiche e intensità dei costi di
transazione e di trasformazione.
Le "regole del gioco", in altre parole,
determinano la struttura di opportunità ed incentivi che incoraggiano
alcuni tipi di attività a scapito di altre, e dunque favoriscono
l'investimento di risorse nell'acquisizione di particolari tipi di
competenze e conoscenze. Anche le organizzazioni, che sono il principale
attore del cambiamento istituzionale, sorgono, operano e interagiscono in
risposta a questo tipo di incentivi. Vincoli istituzionali che incoraggiano
attività improduttive, proteggono debolmente i diritti di proprietà o
inducono livelli elevati di incertezza sociale possono resistere nel corso
del tempo. Ciò accade, ad esempio, se le organizzazioni politiche ed
economiche più influenti non hanno incentivi ad operare per il cambiamento,
o, se vi sono vincoli informali, concezioni ideologiche o teorie che
razionalizzano la struttura istituzionale esistente, mascherandone o
giustificandone gli effetti socialmente insoddisfacenti.
Le opportunità di crescita e di sviluppo di una società
dipendono in maniera cruciale dai processi politici e dalle modalità con
cui, nel corso del tempo, emergono incentivi che inducono gli individui a
conformarsi ad efficienti "strutture di governo" delle loro
transazioni, acquisendo conoscenze e competenze che minimizzano i costi di
interdipendenza sociale e di produzione. Al contrario, tali costi sono
accresciuti dalla presenza di organizzazioni pubbliche inefficienti,
sovra-dimensionate, corrotte, afflitte da inflazione normativa, ossia
caratterizzate da quei "fallimenti dello stato" spesso
riconosciuti nel sistema istituzionale italiano.
Nel prossimo paragrafo passiamo in rassegna i due
principali indici sintetici del grado di libertà economica, collegandoli
con alcune caratteristiche dei sistemi istituzionali che ne influenzano il
valore. Nel paragrafo 3 esaminiamo le caratteristiche di fondo del sistema
di produzione dei vincoli legislativi in Italia, soffermandoci sui tratti
salienti della sua recente evoluzione. Nel paragrafo 4 analizziamo gli
effetti del sistema di regolazione amministrativa (e dei provvedimenti volti
a riformarlo) sulla struttura dei costi di transazione, facendo particolare
attenzione alle percezioni del pubblico cui essi sono rivolti. Nel paragrafo
5 passiamo in rassegna alcuni indicatori degli effetti del sistema
istituzionale italiano in termini di incentivi (e disincentivi) a svolgere
attività che accrescono le conoscenze disponibili nella società e
favoriscono la crescita economica. Seguono alcune considerazioni conclusive.
Così come nel contributo dello scorso anno, anche
quest'anno allarghiamo il numero di indicatori utilizzato, cercando ove
possibile di comparare i dati con quelli relativi ai principali paesi
democratici occidentali. Al tempo stesso, di alcune variabili considerate si
analizza l'evoluzione nel corso degli ultimi anni, così da rendere
possibile una prima e provvisoria valutazione del loro grado di correlazione
con le condizioni e gli effetti delle politiche di liberalizzazione.
2. L'evoluzione degli indici di libertà economica
La quantificazione dei livelli di libertà economica
connessi con l'assetto istituzionale italiano, così come nei rapporti degli
anni precedenti, fa riferimento agli indici sintetici elaborati dal Fraser
Institute (5) e dalla Heritage Foundation. (6) Tali indici sono la media
ponderata di una serie di fattori che rispecchiano il tipo di vincoli e di
incentivi posti dal sistema istituzionale all'esercizio di attività
economiche e all'acquisizione di particolari tipi di conoscenze, e dunque
allo sviluppo economico e politico. I diversi indicatori utilizzati per
costruire gli indici di libertà economica tengono conto in misura
prevalente dei vincoli formali e di altri aspetti osservabili degli assetti
normativi e regolatori.
L'indice elaborato dalla Fraser Foundation include,
nell'edizione del 2002, 123 paesi. Come osservano i curatori: "Gli
ingredienti cruciali della libertà economica sono la scelta personale, lo
scambio volontario, la libertà di concorrenza e la protezione della persona
e della proprietà. Le istituzioni e le politiche pubbliche sono coerenti
con la libertà economica quando forniscono un'infrastruttura per lo scambio
volontario e proteggono gli individui e le loro proprietà da aggressori che
cercano di usare la violenza, la coercizione e la frode per appropriarsi di
cose che non appartengono loro" (7). L'indice è il prodotto di una
media ponderata tra 21 parametri che misurano la coerenza tra sistema
istituzionale e libertà economica in sette aree: ampiezza dello stato,
struttura dell'economia, politica monetaria e stabilità dei prezzi, libertà
d'impiego di valute alternative, struttura legale e tutela dei diritti di
proprietà, libertà nel commercio con l'estero, libertà dei movimenti di
capitale. Il punteggio va da 0 (nessuna libertà) a 10 (massima libertà).
Nella fig. 1 è presentata l'evoluzione del dato relativo
all'Italia nel corso degli ultimi 20 anni, confrontato con quello relativo
ad altre democrazie occidentali. Nonostante la linea generale di tendenza
mostri una crescita della libertà economica, nell'ultimo anno si registra
una sensibile inversione di tendenza. Infatti, tra il 1999 e il 2000 (anno
più recente per il quale sono disponibili dati completi) l'Italia registra
un sensibile peggioramento, sia in termini di punteggio (da 7,82 a 7,08) che
di classifica (dal 24° al 35° posto).
La crescita dell'indice nell'ultimo quinquennio è dovuta
essenzialmente al conseguimento di livelli elevati di libertà nel campo nei
mercati finanziari e di capitali, della garanzia dei diritti di proprietà e
del commercio internazionale. L'Italia ha invece punteggi più bassi per
quanto concerne l'ampiezza del governo, in termini di consumo, trasferimenti
e sussidi (settore nel quale si colloca addirittura al 97° posto), debole
protezione dei diritti (a causa delle procedure giudiziarie), e intensità
della regolazione pubblica.
Nell'indice della Heritage Foundation (che nell'edizione
del 2002 comprende 155 stati) il grado di libertà di ciascun paese
scaturisce dalla ponderazione di 50 fattori ed è compreso tra 1,00 (massimo
grado di libertà economica) e 5,00 (minimo grado di libertà economica). Il
punteggio dell'Italia nel 2002, pari a 2,35, la colloca al 29° posto della
graduatoria, mostrando invece, in questo caso, un lieve progresso (vedi
fig.2).
Alcuni aspetti strutturali del sistema italiano,
tuttavia, accrescono i costi dell'interazione con lo stato e scoraggiano gli
investimenti produttivi: la complessità legislativa, l'inefficienza
dell'amministrazione pubblica, la diffusione della corruzione, la lentezza
delle procedure giudiziarie. (8) Dato che il tempo e le informazioni a
disposizione di ciascun individuo sono risorse scarse, ne consegue che il
grado effettivo di protezione dei suoi diritti non dipende soltanto dal
dettato costituzionale e dalla formale imparzialità delle procedure, ma
anche dai tempi di attesa e dalla congruità delle risposte offerte alle
istanze individuali.
Il sistema istituzionale italiano si caratterizza,
rispetto ad altri paesi democratici occidentali, non soltanto per l'ampiezza
della regolazione e per le dimensioni più estese dello stato, ma anche per
la presenza di costi di transazione più difficilmente quantificabili che
l'organizzazione pubblica, con le sue procedure decisionali e i suoi vincoli
normativi, impone a cittadini e imprese. Là dove, come nel caso italiano,
pesano la quantità di meccanismi decisionali pubblici e la loro
inefficienza, si affievoliscono anche i diritti economici di proprietà e
aumentano i costi delle transazioni relative a profili d'azione soggetti
alla protezione dello stato. Il livello di protezione effettiva dei diritti
di proprietà risulta così più debole di quanto non appaia dai vincoli
legali formalmente in vigore, accrescendo l'ammontare di tempo e di altre
risorse "consumate" nelle relazioni con l'amministrazione
pubblica. (9)
La rilevanza delle componenti istituzionali
sinteticamente rappresentate dagli indici è confermata da diverse semplici
correlazioni statistiche, dalle quali emerge che valori più alti di libertà
economica si associano positivamente con il reddito pro-capite, il tasso di
sviluppo economico, l'aspettativa di vita. (10)
Le potenzialità di crescita economica e politica e
culturale di una società, dunque, sono legate all'esistenza di "regole
del gioco" che propiziano l'acquisizione di conoscenze favorevoli ad
attività creatrici di surplus sociale. (11) L'adozione e il successo delle
politiche di liberalizzazione sembrano costituire una condizione necessaria
affinché il cambiamento istituzionale vada in una direzione compatibile con
la creazione e la tutela efficiente dei diritti di proprietà, fattore
decisivo dello sviluppo economico di lungo periodo. Nei prossimi paragrafi
prendiamo in esame le condizioni e gli effetti delle modifiche intervenute
nel sistema di vincoli formali, facendo particolare riferimento a quanto è
accaduto nel corso dell'ultimo anno.
3. L'evoluzione dei vincoli legislativi in Italia
Le leggi e le altre regole formali, favorendo la
formazione di aspettative coerenti e condivise, possono ridurre l'incertezza
negli scambi e i costi di transazione. Perché questo accada, tuttavia,
devono sussistere alcune condizioni: leggi di bassa qualità – confuse,
complesse, scritte male, incoerenti, eterogenee, che fanno riferimento a
situazioni specifiche e concrete – possono produrre l'effetto opposto. Da
un lato tali leggi incrementano i costi di acquisizione delle necessarie
conoscenze normative, dall'altro accrescono il rischio di controversie
causate da interpretazioni dissimili. La conseguenza, in entrambi i casi, è
un aumento dei costi di transazione, e dunque una perdita di efficienza del
sistema istituzionale.
Considerazioni simili valgono per la quantità dei
vincoli normativi: troppe leggi di per sé accrescono l'incertezza e i costi
di informazione che gli individui devono sostenere per poter operare scelte
pubbliche e private, dal momento che (a) occorrono più informazioni prima
di poter operare scelte private e pubbliche; (b) vi sono maggiori rischi di
errore; (c) lievitano i costi di mantenimento delle strutture pubbliche cui
è delegata l'attività di controllo e di garanzia di applicazione delle
sanzioni.
In presenza di troppe leggi – o di leggi di bassa
qualità – i cittadini e le imprese che allacciano rapporti regolati da
tali vincoli normativi, o hanno relazioni con le amministrazioni pubbliche,
sono costretti a consumare tempo ed altre risorse per apprendere ed
elaborare informazioni relative alle vecchie e nuove "regole del
gioco". Tali fattori riducono il tempo di cui i cittadini dispongono
per perseguire finalità autonomamente scelte, e al tempo stesso accrescono
i costi di transazione che gravano sul sistema economico e sociale.
Le principali linee di tendenza della produzione
legislativa in Italia non mostrano cambiamenti significativi rispetto allo
scorso anno, nonostante nel frattempo sia cominciata la XIV legislatura,
caratterizzata da una diversa maggioranza politica in Parlamento. E questo
nonostante l'attuale maggioranza avesse inserito nel suo programma
elettorale un progetto di ampio riordino della struttura dello stato
tendente ad una sua semplificazione e riduzione.
L'ammontare di vincoli legislativi vigenti in Italia è
sensibilmente più ampio rispetto a quello dei principali paesi europei. Uno
studio della Camera dei deputati nel 1999 ha rinvenuto l'esistenza di oltre
35.000 leggi (14.000 leggi nazionali, 4.000 antecedenti al 1948 e di incerta
vigenza, e 18.000 leggi regionali). (12) Il flusso di nuova legislazione ha
segnato negli ultimi anni un'inversione di tendenza ed è di nuovo in
crescita rispetto alle precedenti legislature, passando dalle 11,94 leggi
mensili della XII alle 14,93 leggi mensili della XIII legislatura. L'Italia
continua ogni anno a produrre un numero di leggi considerevolmente superiore
rispetto a quello dei principali paesi europei. Nel 2000 l'Italia ha
approvato il doppio delle leggi rispetto alla Francia, il triplo di quelle
britanniche, oltre sei volte quelle spagnole (cfr. fig.3).
Nel primo anno nella XIV legislatura sono state approvate
135 leggi, delle quali 83 nel 2002 (fino al 30 agosto). La linea di tendenza
degli ultimi cinque anni conferma questo dato (cfr. fig. 4): anche se a
partire dal 1999 è osservabile un costante decremento nella nuova
produzione legislativa, tuttavia questa risulta ancora sensibilmente
superiore rispetto alla media degli altri paesi europei. (13)
Tuttavia, rispetto alla precedente legislatura, a partire
dal 2001 il processo legislativo ha conosciuto una fortissima accelerazione:
il tempo medio di approvazione delle leggi è passato dai 279 giorni della
XIII legislatura (188 per quelle di iniziativa governativa, 508 di
iniziativa parlamentare) ai soli 81 giorni della XIV legislatura (66 per
quelle di iniziativa governativa, 145 di iniziativa parlamentare).
La produzione legislativa, inoltre, è composta da norme
prevalentemente indirizzate verso la disciplina di situazioni particolari,
l'attuazione di provvedimenti molto specifici ("leggi
provvedimento") o la modifica puntuale di disposizione legislative
vigenti ("leggi di manutenzione normativa"). Simili leggi "microsezionali",
che distribuiscono selettivamente benefici a categorie molto ristrette di
soggetti, oppure che intervengono in contesti di complessità normativa,
coprono il 67,3% delle leggi approvate durante la XIII legislatura
(1996-2001), contro il 62% della XII e il 61,7% dell'XI legislatura.
Illuminanti esempi di questo tipo emergono anche nella
presente legislatura. Un caso da manuale è quello della legge 30 luglio
2002, n. 174, che in un unico provvedimento stanzia fondi a favore di
un'Agenzia per organizzazioni non lucrative a Milano, per il completamento
della diga foranea di Molfetta, per la realizzazione del "Museo della
memoria" a Bologna e per la prevenzione del randagismo.
Il consenso attorno a queste leggi tende ad essere molto
elevato, nella presente così come nelle passate legislature. Nel corso
della XIII legislatura oltre due terzi delle leggi sono state approvate
dalla Camera dei deputati in aula con maggioranze favorevoli superiori al
95%. Anche le leggi delega, che conferiscono poteri all'esecutivo, sono
state nel 40 per cento dei casi approvate da oltre il 95% dei deputati. (14)
Un indicatore della persistenza nell'attuale legislatura
di una vocazione "consensuale" a gestire il funzionamento delle
istituzioni parlamentari è quello relativo alle leggi approvate in sede
legislativa da commissioni parlamentari in almeno una camera. In presenza di
un'elevata conflittualità politica la percentuale di leggi approvate in
commissione dovrebbe tendere a ridursi, poiché la minoranza può richiedere
il voto in Assemblea (che allunga i tempi e ritarda l'approvazione).
Limitando il calcolo alle leggi delle quali il Parlamento è libero di
decidere la sede (ad esclusione quindi delle leggi con sede
"vincolata", come quelle di conversione, di ratifica, finanziarie
o di bilancio, ecc.), nella presente legislatura (luglio 2001-agosto 2002)
la percentuale di leggi approvate in sede legislativa dalle commissioni è
stata pari al 76%, pressoché identica al 78,9% della XIII legislatura.
Peraltro, considerando che la fase iniziale della legislatura sconta una
maggiore conflittualità legata ad una maggiore "diffidenza"
reciproca, possiamo aspettarci che tale percentuale sia destinata a crescere
nel tempo.
Nell'ultimo quinquennio il governo ha svolto un ruolo più
attivo all'interno del processo legislativo. Come osserva l'Osservatorio
sulla legislazione, tra il 2000 e il 2001 "si è confermata una
tendenza già emersa nella legislatura, nel corso della quale una quota
rilevante della produzione normativa finale si è trasferita dalla legge
parlamentare a fonti di emanazione governativa soprattutto attraverso gli
strumenti della delega e della delegificazione. Lo strumento cui si è fatto
maggiore ricorso è certamente quello del decreto legislativo". (15)
Questa tendenza persiste nel corso dell'ultimo anno.
Da una comparazione emerge che nel primo anno della XIII
legislatura a fronte di 184 leggi ci sono state 47 disposizioni di delega
(24,5%), mentre nella XIV legislatura le disposizioni di delega sono state
41 rispetto a 135 leggi (30,3%).
La percezione della rilevanza dei costi sociali imposti
dal basso profilo qualitativo dei vincoli legislativi ha prodotto negli
ultimi anni alcune significative modifiche delle "regole del
gioco" parlamentare. In particolare, nel regolamento della Camera
entrato in vigore a partire dal 1998 alle commissioni legislative è stata
attribuita la verifica della necessità di intervento legislativo, nonché
la valutazione dell'impatto delle nuove norme, dell'inequivocità e della
chiarezza del testo. Si è introdotto un obbligo di indicare le disposizioni
abrogate esplicitamente da ciascuna nuova legge. Ad un nuovo organo, il
Comitato per la legislazione, è stato attribuita la funzione di esprimere
un parere non vincolante su omogeneità, semplicità, chiarezza ed efficacia
per la semplificazione dei progetti di legge. E' stata inoltre istituita una
legge annuale di semplificazione. Nel 2000 anche il Senato ha istituito un
soggetto responsabile della qualità della legislazione, il Servizio qualità
della legge, i cui uffici sono responsabili dell'osservanza delle regole di
redazione dei testi, della revisione delle analisi di impatto della
regolazione (AIR) presentate dal governo e della valutazione autonoma degli
effetti delle proposte di legge.
Tuttavia, se "di fronte alla crescente complessità
dei processi normativi, l'esigenza della massima semplificazione possibile
di conferma come la finalità primaria di una politica per la
semplificazione, i risultati sino ad oggi conseguiti sono molto
limitati". (16)
Così, tra il gennaio 1998 e il giugno 2001, appena 123
leggi su 633 contengono abrogazioni esplicite, che hanno soppresso
interamente solo 54 provvedimenti. La percentuale di leggi contenenti
abrogazioni espresse nella XIII legislatura è pari al 18,1%, in sensibile
crescita percentuale soltanto nei primi mesi del 2001 (cfr. tab. 1).
Tabella 1.
Abrogazioni contenute in leggi ordinarie
(fonte: elaborazione da Osservatorio sulla legislazione
2002)
|
1996 |
1997 |
1998 |
1999 |
2000
(fino al 29/05) |
2001 |
Totale |
Totale
leggi pubblicate |
78 |
194 |
169 |
209 |
146 |
109 |
905 |
Leggi contenenti
abrogazioni espresse |
17
(21,8%) |
24
(12,4%) |
26
(15,4%) |
39
(18,7%) |
27
(18,5%) |
31
(28,4%) |
164
(18,1%) |
Provvedimenti
interamente abrogati |
6 |
4 |
5 |
16 |
13 |
20 |
64 |
Considerando i decreti legislativi, il dato relativo alle
abrogazioni nel 2001 rientra nella media degli anni precedenti: nei primi
mesi del 2001 sono 22 i decreti legislativi contenenti abrogazioni espresse
(40 in tutto il 2000) e 20 i provvedimenti interamente abrogati (contro i 27
del 2000 e i 66 del 1999). Inoltre, a fronte dei 378 decreti legislativi
emanati nell'arco dell'intera legislatura, sono stati contestualmente
soppressi 169 atti normativi, pari ad oltre il 44% del numero di nuovi
provvedimenti adottati. Per ogni due nuovi decreti legislativi emanati, meno
di un provvedimento legislativo viene soppresso.
La crescita del numero di leggi che contengono
autorizzazioni alla delegificazione è stata considerevole nel corso
dell'ultimo quinquennio: dalle 8 della XI e XII si è passati alle 67 leggi
della XIII legislatura. Ugualmente consistente è l'incremento del numero di
regolamenti di delegificazione pubblicati, che sono passati dai 6 dell'XI,
ai 64 della XII, ai 149 della XIII legislatura.
Un ulteriore fattore di riordino normativo e di
semplificazione legislativa è costituito dall'emanazione di testi unici. Il
loro incremento è stato consistente negli ultimi anni: dai 4 testi unici
della XI e dai 2 della XII si è passati agli 8 pubblicati nella XIII
legislatura (a fronte di 22 disposizioni che ne prevedono l'emanazione entro
il 31 dicembre 2002). Lo strumento del testo unico misto, destinato a
raccogliere tutte le norme legislative e regolamentari rilevanti in un
determinato settore, ha avuto invece un successo più limitato: ad oggi è
operante un solo testo misto in materia di documentazione amministrativa
(altri due, pur emanati, non sono ancora entrati in vigore). Il disegno di
legge di semplificazione presentato dal governo Berlusconi prevede di
eliminare i testi unici misti, avviando un ambizioso programma di
codificazione dei principali settori della legislazione tramite decreti
legislativi abilitati ad introdurre modifiche non limitare al mero
coordinamento formale. (17)
La legge di semplificazione del 2001, in materia di
qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione, deve ancora
essere approvata (progetto di legge n. 2579). Si accentua la tendenza a
trasformarla in una legge omnibus, che raccoglie disposizioni eterogenee. La
sua principale innovazione è l'adozione di un principio di riassetto
normativo. L'adozione di decreti legislativi e regolamenti di esecuzione è
volto ad intervenire nelle materie indicate annualmente dal governo come
prioritarie (tra le altre, nel disegno in esame, assicurazioni, energia,
tutela dei consumatori) non soltanto semplificando i relativi procedimenti,
ma innovando la stessa materia, attraverso una riduzione dei poteri della
pubblica amministrazione. Viene così abbandonato lo strumento del testo
unico, come mera raccolta e coordinamento di norme esistenti, per passare a
"codici " in cui saranno raccolte le norme che regolano il settore
"liberalizzato".
L'obiettivo consiste nel limitare il peso dei vincoli
legislativi non soltanto sotto un profilo quantitativo, ma anche diminuendo
i poteri dell'amministrazione pubblica e riducendo i tempi e costi
dell'interazione dei cittadini con lo stato.
In conclusione, l'analisi della più recente evoluzione
in Italia nella produzione di vincoli istituzionali di natura legislativa
conferma i principali elementi già emersi nelle analisi degli anni
precedenti:
- Lo stock di norme vigenti in Italia è relativamente più esteso
rispetto a quello dei principali paesi europei. La produzione
legislativa italiana prosegue la sua crescita con tassi
proporzionalmente superiori anche negli ultimi anni. Le norme approvate
sono qualitativamente scadenti, in oltre due terzi dei casi volte a
regolare situazioni specifiche o a gestire operazioni auto-referenziali
di "manutenzione legislativa".
- Le politiche di semplificazione, delegificazione e riordino normativo,
avviate nel corso degli anni '90, si sono tradotte nell'approvazione di
nuove "regole del gioco" parlamentare e nell'istituzione di
organi cui è delegato il compito di porre in atto i principi ispiratori
delle riforme. Ad oggi, comunque, i risultati complessivi di tale azione
appaiono ancora molto limitati e frammentari, nonostante la crescita del
peso dell'esecutivo nella gestione dei processi legislativi e il
persistere di una vocazione "consensuale" nei rapporti tra la
nuova maggioranza e l'opposizione parlamentare.
- In alcuni casi, inoltre, le prassi prevalenti hanno semplicemente
portato alla disapplicazione delle nuove disposizioni. La portata
dell'azione dei nuovi organi è stata fortemente limitata dagli scarsi
poteri loro assegnati e dai deboli incentivi istituzionali. E' questo il
caso del Comitato per la legislazione, che da un lato interviene solo su
richiesta di un gruppo di deputati, dall'altra fornisce solo pareri non
vincolanti. Le resistenze e la strutturale mancanza d'efficienza delle
strutture pubbliche hanno inoltre generato ritardi e ostacolato la messa
in atto dei relativi provvedimenti. A titolo di esempio, si pensi ai
numerosi testi unici che, sebbene autorizzati, non sono stati ancora
emanati; oppure ai ritardi nell'approvazione della legge di
semplificazione 2001; o all'interpretazione molto "elastica"
della previsione specifica (art. 79, comma 11 del nuovo regolamento
della Camera) relativa all'introduzione, in ciascun provvedimento, di
clausole di coordinamento legislativo, con l'indicazione delle
disposizioni abrogate.
4. I nuovi meccanismi di regolazione amministrativa: risultati e
aspettative
L'amministrazione italiana e le politiche di regolazione,
secondo un giudizio ampiamente condiviso, è stata caratterizzata fino agli
anni '90 - ed è tuttora connotata - da bassi livelli di efficienza, legati
tanto alle carenze organizzative e istituzionali che ai bassi profili
qualitativi del personale. Conseguenza della sovrapproduzione e della scarsa
qualità dei vincoli legislativi e normativi sono ambiguità e
sovrapposizioni di poteri, oneri e costi per imprese e cittadini, complessità
delle procedure, difficoltà di applicazione delle regole e ridotti livelli
di osservanza delle stesse, tanto da parte degli amministratori che degli
amministrati. L'amministrazione pubblica soffre di duplicazione e
frammentazione di strutture e uffici, eccesso di regolamentazione interna,
controlli poco efficaci, mancanza di responsabilità e di professionalità
del personale. Inefficacia dell'azione pubblica, corruzione e mancanza di
responsabilità ne erano le prevedibili conseguenze.
La richiesta di semplificare, ridurre e riordinare le
procedure di decisione pubblica ed il sistema di regolazione è cresciuta
nel corso dell'ultimo decennio a seguito di numerosi fattori, dai segnali
macroeconomici di un deficit competitivo del sistema italiano alle inchieste
sulla corruzione politica. Da queste premesse nascono le riforme degli anni
'90. Il rapporto del 2001 dell'Organizzazione per la cooperazione e lo
sviluppo economico sul sistema di regolazione in Italia fornisce un quadro
piuttosto ottimistico degli esiti delle riforme: "Rigidità e
consuetudini accumulatesi nei decenni sono state ripensate, e molte tra esse
sono state eliminate. Una crescente consapevolezza della presenza eccessiva
dello Stato nella vita economica ha condotto a conseguenti cambiamenti
strategici e istituzionali. Mentre lo scenario politico veniva ridisegnato,
settori dello Stato centralizzato venivano smantellati e molte politiche
economiche stataliste venivano sostituite con politiche più trasparenti e
maggiormente favorevoli alla concorrenza" (18). In effetti, i molti ed
eterogenei provvedimenti adottati sono accomunati dal riconoscimento che le
potenzialità di sviluppo economico e politico della società italiana sono
frenate da pesanti costi che l'inefficienza del sistema di vincoli formali
pone a carico di cittadini e imprese. Oltre che nel campo della regolazione
economica e sociale, questo vale nel campo della regolazione amministrativa,
su cui ci concentriamo in questo paragrafo. (19)
Nel corso degli anni '90 all'interno del sistema di
regolazione amministrativa sono state varate riforme istituzionali di
notevole portata, ispirate a principi di concorrenza, trasparenza,
prevedibilità, semplificazione, flessibilità, responsabilizzazione per i
risultati, qualità della regolazione, decentramento, orientamento al
cliente. La loro introduzione ha richiesto la messa in atto di politiche
volte alla creazione di nuove procedure e figure professionali all'interno
dell'amministrazione pubblica.
Tra le tappe principali di questo processo vi sono
certamente la legge 241 del 1990, sui principi generali di funzionamento
della pubblica amministrazione, e le leggi 'Bassanini' del 1997, sulla
partecipazione dei cittadini e la semplificazione delle procedure. Ad esse
si devono la riduzione del numero e delle fasi del procedimento
amministrativo, la regola del 'silenzio-assenso', le autocertificazioni, la
trasformazione delle concessioni e delle autorizzazioni in denuncie d'inizio
di attività, l'introduzione delle "conferenze di servizi". Senza
aver la pretesa di fornire una rassegna esaustiva, si possono ricordare
altri aspetti significativi di questo processo (20):
- L'istituzione, a partire dal 1999, di un Osservatorio sulle
semplificazioni, che costituisce il principale strumento centrale di
consultazione in materia di semplificazione e riordino della
regolazione. Esso è composta da rappresentanti dei ministeri, delle
parti sociali, delle regioni e degli altri enti locali, che offrono
pareti e commenti, tramite un processo di consultazione pubblica,
riguardo all'emanazione di norme e regolamenti di semplificazione.
- L'istituzione di un Nucleo per la Semplificazione delle norme e delle
procedure presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che
sovrintende alle politiche per il miglioramento della regolazione,
tramite delegificazione e redazione di testi unici, controllo della
qualità delle nuove norme.
- L'introduzione formale e la regolamentazione, nel marzo 2000,
dell'analisi tecnico normativa e dell'analisi d'impatto della
regolamentazione (AIR), che può accompagnare gli schemi di
provvedimento sottoposto al Consiglio dei Ministri o alla Camera dei
deputati. L'allargamento dell'AIR alle Authorities e ad altri soggetti
pubblici è prevista dalla legge di semplificazione 2001, ancora non
approvata. L'AIR deve giustificare l'esigenza di un intervento
regolativo, valutarne l'impatto e i rischi, in termini di costi e
benefici, e analizzare le possibili alternative. (21)
- L'adozione, nel giugno 2000, di un piano di azione per l'e-govvernment
da parte del governo. Si tratta di un tentativo di estendere
l'applicazione delle nuove tecnologie informatiche per migliorare
l'efficienza dell'azione amministrativa, la facilità di accesso ad
informazioni, la qualità e la rapidità dei servizi e delle prestazioni
forniti dallo stato ai cittadini e alle imprese. Nel 1999 è stato
avviato il programma "Norme in rete" per rendere più semplici
i meccanismi di ricerca e di accesso alla normativa comunitaria,
nazionale e regionale. La firma digitale, introdotta nel 1997, è
operativa dal 2000. Dal 2000, tutte le dichiarazioni fiscali e la
maggior parte delle comunicazioni in materia di sicurezza sociale sono
trasmesse, archiviate e gestite elettronicamente.
- L'estensione, a partire dal 1997, di uno strumento di semplificazione
come lo "sportello unico", che permette agli utenti di
rivolgersi ad un unico interlocutore pubblico per svolgere diverse
attività o accedere a servizi forniti da più soggetti pubblici,
garantendo tempi certi di risposta. Tra quelli già operativi possiamo
ricordare lo sportello unico della attività produttive, quello per
l'internazionalizzazione delle imprese, quello dell'edilizia.
- Il diffondersi di iniziative come le Carte dei servizi (nei trasporti,
nella sanità, nelle comunicazioni, oltre che a livello locale), che
introducono criteri gestionali orientati ai risultati e sul
riconoscimento di un indennizzo in caso di mancata soddisfazione degli
utenti.
- I reiterati tentativi di rendere comprensibile il linguaggio
utilizzato dalla pubblica amministrazione, dai suggerimenti del
"manuale di stile" nel 1997 fino alla direttiva del maggio
2002 del Dipartimento della funzione pubblica. (22)
Indubbiamente, questo vasto insieme di provvedimenti ha
prodotto alcune modifiche nel tessuto istituzionale che regola i rapporti
tra cittadini e amministrazioni pubbliche. In alcuni casi i costi
dell'interazione tra stato, imprese e cittadini si sono ridotti in maniera
significativa. Tra il 1996 e il 2001 il numero di certificati richiesti si
è ridotto del 61,6%, da 68,7 a 34,8 milioni, le autentiche di firme sono
diminuite del 90%. E' chiaro il risparmio di costi e tempo per cittadini e
imprese, stimato in oltre 1,2 milioni di euro, dato che ciascuna di queste
operazioni richiedeva in media un tempo di 45 minuti. Dal dicembre 2000 il
numero di procedimenti necessari per costituire una nuova società o ditta
individuale è passato da 25 a 5, mentre il tempo massimo richiesto per
l'intero procedimento è stato ridotto da 22 settimane a 10. I costi medi
sono diminuiti da 7.700 a 3.500 Euro circa per le società e da 1.150 a 500
Euro per le ditte individuali (23).
Eppure, nonostante alcuni aspetti indubbiamente positivi
delle riforme, che mostrano la maggiore efficienza del sistema di
regolazione, le percezioni di cittadini e delle imprese, pur in costante
miglioramento, non sono particolarmente favorevoli. Percentuali
significative di utenti non hanno ancora registrato benefici tangibili nelle
nuove regole di azione amministrativa. In parte ciò è imputabile alle
resistenze interne alla stessa amministrazione pubblica, le cui prassi e
modelli culturali consolidati hanno frenato l'attuazione dei nuovi modelli
di condotta. Altre difficoltà, come si rileva nell'ultimo rapporto
dell'Agenzia garante per la concorrenza, discendono da "contraddizioni
delle normative di liberalizzazione. Gli indubbi progressi registrati nella
regolazione delle imprese e dei mercati, infatti, subiscono talvolta
contraccolpi - come accade per le liberalizzazioni delle public utilities
- e sono esposti a rischi legati alla moltiplicazione dei soggetti
regolatori". (24)
Tra il 1999 e il 2001 diverse rilevazioni hanno misurato
con un indice sintetico l'atteggiamento dei cittadini italiani nei confronti
della pubblica amministrazione. Il risultato mostra una costante (seppur
lievemente declinante) crescita dei giudizi positivi (cfr. fig. 5).
Riguardo alla percezione del cambiamento, tra il 2000 e
il 2001 la percentuale di cittadini che ritengono migliorati i servizi
pubblici rimane pressoché invariata (dal 40% al 41%), mentre si riducono i
cittadini che li ritengono peggiorati (dal 18% al 14%). (25)
In un ampio sondaggio realizzato nel 2002, che dovrebbe
rappresentare il primo di una serie di rilevazioni biennali, il 62,7% dei
cittadini riconosce che la pubblica amministrazione sta mostrando segnali di
cambiamento, di apertura e di orientamento al nuovo (in particolare grazie
alle nuove tecnologie e ai sistemi informatizzati), ma permangono seri
problemi nelle relazioni coi cittadini perché le strutture pubbliche sono
di difficile accesso (secondo il 44,5% dei cittadini), non forniscono
risposte chiare ed adeguate (39,1%), non ascoltano le loro esigenze (36,2%),
non comunicano efficacemente (30,4%).
Come mostra la figura 6, l'insoddisfazione dei cittadini
verso l'azione amministrativa è più alta proprio in relazione alla
tempestività delle risposte (meno di un terzo di soddisfatti), alla
trasparenza, alla facilità di individuazione delle procedure e alla
chiarezza delle informazioni fornite (con percentuali di scontenti che vanno
dal 60 al 70%). Il principale fattore di delusione delle aspettative è il
costo elevato in termini di tempo, consumato nei rapporti con le strutture
pubbliche per ottenere e interpretare una risposta alle proprie istanze.
Nonostante questi vincoli, vi sono aspettative
moderatamente ottimiste nel 47,5% dei cittadini, che ritiene che il
cambiamento tenderà a manifestarsi in modo più diffuso. Gli ostacoli a
questo processo sono individuati soprattutto nella cultura burocratica e
nella mentalità consolidata dei dipendenti (29% dei cittadini e 49,3% degli
imprenditori), ma anche dalle leggi che frenano lo snellimento delle
procedure.
Naturalmente, le speranze dei cittadini sono speculari ai
fattori di insoddisfazione registrati. Un quarto dei cittadini si aspetta
una maggiore tempestività, circa un quinto una crescita dell'assistenza
fornita, della professionalità dei dipendenti, della semplicità delle
procedure e dell'efficienza complessiva del sistema di regolazione pubblica
(cfr. fig. 7).
Una percentuale piuttosto alta di sfiducia caratterizza
anche il giudizio dei cittadini sulla qualità dell'informazione ricevuta e
sulla capacità degli impiegati pubblici di farsi capire. Come mostrano le
tabelle 2 e 3, nell'80% di cittadini che ritiene comprensibili le
informazioni ricevuta dall'amministrazione pubblica è compreso un 60% che
comunque ritiene quelle informazioni sbagliate o incomplete. Il 45% dei
cittadini, inoltre, considera poco o per niente comprensibili i burocrati
con i quali interagiscono.Questo dato sembra confermare che non è
sufficiente che una legge sia "buona" per far sì che essa ottenga
i risultati sperati. Più in generale, la capacità di una legge o di un
provvedimento di ottenere i risultati attesi si scontra con la scarsità di
informazioni e conoscenze possedute da coloro ai quali si rivolge. In molti
casi, ciò rende più vischiosi quei processi sociali che si vorrebbero
accelerare tramite i provvedimenti legislativi. Di qui la necessita di
adeguare la formulazione dei provvedimenti al livello di conoscenze
"tecniche" possedute da coloro ai quali si rivolge. Quando questo
non avviene, il destinatario della legge non coglie spontaneamente e
tempestivamente le opportunità in essa contenute, o deve ricorrere a
consulenti ed "esperti", allungando il tempo in cui essa produce i
risultati attesi ed accrescendo i costi necessari per un'adeguata
comprensione delle opportunità offerte dalla medesima.
Tabella 2.
Giudizio sulla qualità dell'informazione ricevuta dalla
pubblica amministrazione
(fonte CP 2002)
Le informazioni fornite sono: |
|
Complete e comprensibili |
20,4% |
Comprensibili ma incomplete |
41,0% |
Comprensibili ma poi sbagliate |
17,2% |
Troppo difficili da capire |
21,4% |
Tabella 3.
Giudizio sulla capacità di farsi capire degli impiegati
pubblici
(fonte CP 2002)
Gli impiegati pubblici hanno capacità di farsi
capire: |
|
Per niente |
10,6% |
Poco |
33,4% |
Abbastanza |
48,3% |
Molto |
7,3% |
Il giudizio degli imprenditori manifesta, sotto diversi
profili, lo stesso atteggiamento di prudente attesa nei confronti delle
riforme. Al tempo stesso, la percezione della potenziale rilevanza
cambiamento istituzionale in corso crea aspettative che, a causa delle
persistenti rigidità del sistema amministrativo, rischiano di essere
disattese, causando disorientamento e nuova sfiducia. Questa ambivalenza
emerge chiaramente dall'indagine promossa nel 2002 dalla Confartigianato su
un campione di piccoli imprenditori. Il 48% degli intervistati non ha
percepito negli ultimi tre anni alcun cambiamento nell'orientamento
burocratico della pubblica amministrazione, il 26% individua un
peggioramento e solo il 18% ritiene che la burocrazia sia diventata meno
oppressiva. Nello stesso tempo, tuttavia, il 12 % e il 39% considerano molto
e abbastanza migliorato il proprio rapporto con la pubblica amministrazione,
contro l'11% e il 27% che lo ritengono per nulla o poco migliorato. (26)
Nella stessa ricerca viene fornita una stima dei costi
della burocrazia italiana sul sistema delle imprese. Nel 2001 il costo per
adempimenti burocratici delle 4 milioni e 700mila imprese italiane sarebbe
stato di 2940 milioni di euro per adempimenti burocratici, di 6870 milioni
per la tenuta delle contabilità, di 1830 milioni per autorizzazioni,
contenziosi giudiziari e accesso ad incentivi. Il totale, che include altre
voci, raggiunge i 14490 milioni di euro. (27)
La questione del costo in termini di tempo
dell'interazione con lo stato ritorna anche nella valutazione degli aspetti
problematici del rapporto tra imprenditori a amministrazione pubblica (cfr.
fig.8). L'area di maggiore insoddisfazione, infatti, è quella relativa alla
quantità di procedure esistenti e di documenti richiesti (che rappresentano
un problema per oltre il 43% degli imprenditori), ai tempi lunghi di
risposta (40,7%), alla mancanza di coordinamento tra uffici (27,7%), alle
file e alle attese eccessive (25,7). La scarsa professionalità rappresenta
un problema per il 30,3% degli imprenditori. Un ulteriore fattore di
scontento risiede negli aspetti legati alla comunicazione (per il 30% la
modulistica è incomprensibile) e all'informazione, carente per il 20,1%
degli imprenditori.
In questo contesto di incertezza su alcuni aspetti chiave
del loro rapporto con le strutture pubbliche, il 37% degli imprenditori
intervistati segnala comunque un miglioramento complessivo della qualità
dei servizi erogati dalla pubblica amministrazione, in particolare grazie
all'autocertificazione, all'informatizzazione e all'introduzione di numeri
verdi. (28)
Le politiche di liberalizzazione e semplificazione del
sistema di regolazione amministrativa hanno indubbiamente prodotto
cambiamenti significativi del sistema di vincoli formali, modificando le
"regole del gioco" e l'assetto istituzionale. Permangono tuttavia
forti resistenze al cambiamento, legate al persistere di prassi consolidate,
aspettative, atteggiamenti e modelli cognitivi che ritardano e depotenziano
gli effetti della riforma delle "regole del gioco", tanto sul
versante degli amministratori pubblici che su quello dei cittadini e degli
imprenditori. Questi fattori riflettono l'importanza dei vincoli informali,
espressione dell'informazione diffusa nella società e parte dell'eredità
culturale del passato, che sopravvivono al cambiamento degli ordinamenti
giuridici formali e ne condizionano le stesse possibilità di applicazione e
di successo. (29)
Gli elevati costi di transazione derivanti
dall'interazione tra stato, cittadini e imprese continuano così ad
assorbire gradi quantità di tempo e di altre risorse. Permane infatti una
diffusa – anche se lievemente decrescente – insoddisfazione degli utenti
della pubblica amministrazione, nonostante la percezione dell'avvenuta
modifica delle modalità d'interazione e dei parziali progressi registrati
negli ultimi anni. In particolare, sull'atteggiamento disincantato di larghe
percentuali cittadini e imprese influiscono i costi derivanti dagli elevati
tempi d'attesa e dalla scarsa (o difficilmente comprensibile) informazione
fornita dagli uffici pubblici. I costi derivanti dalle perduranti rigidità
e complessità del sistema di regolazione si riflettono sugli incentivi
all'acquisizione di conoscenze e di competenze professionali, e dunque –
come mostriamo nel prossimo paragrafo – sulle stesse possibilità che si
in Italia si consolidino quelle condizioni concorrenziali più favorevoli
allo sviluppo economico e sociale.
5. Cambiamento o stasi istituzionale?
Dopo aver descritto i tratti essenziali del cambiamento
della cornice istituzionale di "regole del gioco" e le percezioni
ad esso relative, in questo paragrafo esaminiamo alcuni indicatori dei suoi
riflessi sulle condotte e sulle credenze di cittadini ed imprese. In
particolare, facciamo riferimento alla modifica degli incentivi
istituzionali che regolano i processi di apprendimento e di acquisizione di
competenze da parte degli individui. Come si osserva nell'ultimo rapporto
dell'Agenzia garante delle concorrenza: "L'esistenza di una stretta
correlazione tra grado di liberalizzazione dei mercati e opportunità di
sviluppo economico è confermata dalla circostanza che il maggiore dinamismo
di alcuni Paesi dell'Unione Europea, come l'Irlanda e il Regno Unito, è in
larga parte il risultato non solo di un più rapido processo di adeguamento
alle normative comunitarie, ma anche, e soprattutto, di un'impostazione più
decisamente proconcorrenziale delle rispettive politiche economiche".
(30) Questa prospettiva ci permette di collegare indicatori eterogenei, che
però riflettono da angolature diverse sfaccettature del sistema
istituzionale italiano.
Come si è mostrato nel rapporto dello scorso anno, le
imprese italiane sono il fanalino di coda, tra le maggiori democrazie
occidentali, quanto a livelli di investimenti in ricerca e sviluppo. La
spesa totale in Italia è infatti inferiore alla metà del valore medio dei
paesi dell'Oecd, quella delle imprese addirittura inferiore a un terzo della
media Oecd. Anche considerando la quantità di occupati nella ricerca e
sviluppo l'Italia conserva le posizioni di fondo: nel 1997 su mille unità
di forza lavoro appena 6 si occupano di tali attività, contro gli 11,6
della Germania, i 12,3 della Francia e i 13,3 del Giappone. Un altro
indicatore di produttività nell'innovazione tecnologica è il numero di
domande di brevetto: nel 2000 alle 62 domande di brevetti su 10000 abitanti
dell'Italia facevano fronte le 144 degli Stati Uniti, le 256 della Germania,
le 120 della Francia, le 109 del Regno Unito. (31)
Questi indicatori segnalano che in Italia il sistema
istituzionale offre alle organizzazioni economiche soltanto deboli incentivi
ad investire nella formazione di nuove conoscenze, in grado di accrescere la
produttività del sistema e dunque di indurne l'efficienza in senso
dinamico.
Un altro indicatore significativo è rappresentato dalla
classifica internazionale di competitività. Tale indice mostrano in che
misura l'assetto istituzionale complessivo di un paese - comprensivo delle
variabili politiche, sociali e culturali - produce un ambiente in grado di
promuovere la competitività delle sue imprese. L'indice dell'Imd (International
Institute for Management Developmpent) nel 2002 copre 49 paesi, compresi
tutti i membri dell'Oecd e i principali paesi in via di sviluppo. Il
punteggio di ciascun paese riflette una media ponderata di oltre 300
parametri, riferiti alla performance economica, all'efficienza del sistema
amministrativo e di quello produttivo, alle risorse umane, scientifiche e
tecnologiche esistenti. Nel 2002 l'Italia occupa la 32a posizione, così
come nell'anno precedente, nonostante un lievissimo miglioramento in termini
di punteggio (cfr. fig. 9). Si tratta di una posizione che è rimasta
immutata negli ultimi tre anni, dopo una discesa dalla 30a posizione
occupata nel 1999. (32)
Ancora peggiore è la situazione se ci si limita a
considerare i parametri relativi agli effetti delle politiche pubbliche sul
grado di concorrenzialità delle imprese. L'Italia si colloca in questo caso
al 39° posto su 49 paesi (cfr. fig. 10). La posizione dell'Italia è
addirittura peggiore di quella di stati come Thailandia (27°), Messico (33°),
il Sudafrica (35°), Filippine (37°) e Brasile (38°).
Prendendo in esame la tabella 4, emerge che nel 2002
l'Italia si colloca nelle posizioni di coda – per la precisione, al 40°
posto – anche a causa dei persistenti costi del sistema amministrativo, in
termini di tempo sprecato dalle imprese nelle procedure amministrative e nei
contatti con le organizzazioni pubbliche.
Restringendo queste considerazioni ai paesi dell'Unione
Europea, nel 2002 l'Italia occupa sistematicamente la penultima (seguita
solo dalla Grecia) o l'ultima posizione in tutti gli indici relativi alla
spesa nell'innovazione e nella ricerca, all'ampiezza dei processi di
liberalizzazione, ai costi della regolazione pubblica. (33)
Tabella 4.
Quantità di tempo spesa dalle imprese nei rapporti con la
pubblica amministrazione
(fonte Imd, in Centro studi Condindustria, 2002)
Paese |
Graduatoria su 49 paesi |
Finlandia |
1 |
Regno Unito |
2 |
Giappone |
5 |
Germania |
21 |
Stati Uniti |
22 |
Spagna |
27 |
Francia |
33 |
Grecia |
35 |
Italia |
40 |
Un altro indicatore della perdurante ampiezza e
complessità del sistema di regolazione italiano e dei costi elevati che
esso impone a cittadini e imprese è ricavabile dalle statistiche sulla
giustizia amministrativa. Queste ultime danno un'immagine sia della
frequenza degli attriti tra cittadini e pubblica amministrazione – tanto
più grande quanto più estesi sono i settori regolati e maggiore l'ambiguità
o la difficoltà di interpretare il dettato normativo – che dell'efficacia
dell'offerta di servizi di risoluzione delle controversie tra cittadini e
stato.
I dati più recenti mostrano alcune chiare linee di
tendenza (cfr. fig. 11). Il numero di ricorsi ai Tar sopravvenuti per anno,
in calo dagli oltre 106mila del 1994 fino agli 83mila del 1999, ha
conosciuto nel 2000 un nuovo brusco incremento, superando nuovamente quota
100mila. Nonostante la costante crescita del numero di procedimenti estinti
(dai 39mila del 1994 agli oltre 70mila del 2000), questi ultimi sono rimasti
costantemente al di sotto di quelli sopravvenuti. Di conseguenza, è
ininterrottamente salito anche il numero di procedimenti pendenti a fine
anno, che nel 2000 ha superato quota 90mila. Anche ipotizzano che a partire
dal 2001 i provvedimenti estinti siano pari a quelli sopravvenuti,
attualmente il tempo di attesa previsto per la conclusione di un
procedimento di ricorso al Tar è dunque pari a 12 anni e 10 mesi.
Come prevedibile, le dimensioni del sistema di
regolazione pubblica sono inversamente proporzionali al grado effettivo di
garanzia di applicazione delle corrispondenti norme di condotta. In caso di
contrasti tra amministrazione pubblica e cittadini, i tempi medi della
risoluzione giudiziale sono così lunghi da diventare fonte ulteriore
d'incertezza e di affievolimento dei diritti formalmente tutelati dallo
stato.
Accanto ai dati relativi ai Tar si possono considerare
anche quelli concernenti i ricorsi al Consiglio di stato: nel 2000 vi sono
26581 ricorsi ancora pendenti, un numero pressoché equivalente a quello
dell'anno precedente, a fronte dei 12407 esauriti e dei 12067 sopravvenuti.
In questo caso, dunque, i tempi medi di attesa per un ricorso amministrativo
al Consiglio di stato sono oggi intorno ai 2 anni e 2 mesi.
Ugualmente elevati, per cittadini e imprese, sono i tempi
di attesa dei servizi di risoluzione delle controversie tra privati offerti
dallo stato. L'Italia ha la durata media dei processi civili più alta
d'Europa, pari a quasi 10 anni (cfr. fig. 12). Ciò implica una più debole
garanzia effettiva di applicazione delle regole giuridiche formalmente poste
a tutela dei diritti di proprietà, e dunque una crescita dei costi di
transazione e dell'incertezza negli scambi economici e sociali. Questa
incertezza si riflette anche sulla sfera di sicurezza personale: secondo un
dato di Eurobarometro, i cittadini italiani sono in Europa al penultimo
posto quelli che si sentono al sicuro nella propria area, superati solo
dalla Grecia (cfr. fig. 13).
L'assetto istituzionale italiano presenta dunque alti
costi di interazione tra cittadini e stato, fornendo una debole protezione
effettiva dei diritti individuali all'interno della vasta area di rapporti
economici e sociali formalmente regolati dalla mano pubblica.
In un simile contesto, sorgono incentivi ad acquisire le
competenze professionali che permettono operare una mediazione nelle
controversie private e in quelle con lo stato. Un indicatore è dato dal
numero di avvocati: un'alta densità relativa di avvocati caratterizza un
ambiente sociale con frequenti controversie, elevati costi di transazione,
bassi livelli di fiducia interpersonale e istituzionale, scarsità di
capitale sociale. Come si è mostrato nel rapporto dello scorso anno,
diverse statistiche (aggiornate all'inizio degli anni '90) indicano che in
Italia la densità di avvocati è tra le più elevate nel mondo e tale è
presumibilmente rimasta, considerando che nel frattempo il numero di
avvocati è aumentato in modo considerevole (fino a circa 110mila, pari ad
oltre 500 avvocati per 100mila abitanti, rispetto a valori inferiori a 100
per quasi tutte le democrazie occidentali). (34)
Gli incentivi istituzionali sembrano favorire in Italia
altri due tipi di scelte. La prima, corrispondente per certi versi a una
parziale "uscita" dai rapporti con lo stato, (35) consiste
nell'evitare il più possibile contatti, scambi e interazioni con lo stato e
i suoi agenti, pur esercitando attività economiche e produttive soggette a
regolazione. Anche se comporta la rinuncia ad alcuni meccanismi di
protezione pubblica dei diritti, ciò permette di eludere gli alti costi di
quelle transazioni con lo stato. Un indicatore utilizzabile per misurare
l'ampiezza relativa di questa strategia di "fuga dallo stato" è
rappresentato dalla rilevanza dell'economia sommersa rispetto al prodotto
interno lordo. Come mostra la figura 14, l'Italia si colloca stabilmente e
di gran lunga ai vertici tra i principali paesi industrializzati, con una
livello di sommerso pari ad oltre un quarto del PIL (il 27% in media nel
biennio 2000-2001).
Un'altra possibilità è quella di non eludere, ma di
cercare di volgere a proprio vantaggio la complessità e l'inefficienza del
sistema di vincoli formali. Ciò implica la ricerca di conoscenze utili a
guadagnare posizioni di rendita grazie all'inefficienza del sistema di
regolazione amministrativa e all'arbitrarietà dei processi di decisione
politica. In un contesto istituzionale che produce alti livelli di
incertezza, come quello italiano, sorgono così incentivi ad acquisire
competenze professionali che permettono di collocarsi negli snodi cruciali
del sistema politico amministrativo, allacciando relazioni di scambio – più
o meno visibili e legali – con gli agenti pubblici che hanno poteri
decisionali o informazioni riservate in merito ai contenuti della
regolazione, alle sue garanzie di applicazione, alle modalità di impiego
delle risorse pubbliche. Il sistema della corruzione si caratterizza dunque
come una sorta di "sistema fiscale secondo", entro il quale
operano con successo quei soggetti più abili nell'acquisire le relative
"abilità professionali". (36) I medesimi fattori che allungano i
tempi di risposta delle organizzazioni pubbliche (inflazione legislativa,
intensità e bassa qualità della regolazione, ecc.) sono la causa del
capillare coinvolgimento dei partiti e delle maggiori imprese italiane nel
sistema della corruzione, rivelato dalle indagini giudiziarie.
L'investimento in attività di innovazione tecnologica,
in un mercato pubblico protetto dominato dalla corruzione, è spesso meno
produttivo di un impiego delle medesime risorse per consolidare relazioni
politiche, di influenza o di pressione su chi esercita poteri pubblici.
Quando la protezione pubblica è debole o inefficace, infatti, è possibile
acquistare la protezione offerta selettivamente (e a pagamento) dai centri
di potere politico e amministrativo, in cambio di tangenti. Questo sistema
di scambio occulto con gli agenti pubblici, in altri termini, riflette
alcune caratteristiche di fondo del sistema istituzionale. Per questa
ragione non sorprende che l'indice di percezione della corruzione, che
Transparency International predispone annualmente dal 1995, collochi
l'Italia stabilmente e di gran lunga al primo posto, tra i principali paesi
occidentali, quanto a diffusione del fenomeno. Dopo un miglioramento
nell'anno precedente, la posizione dell'Italia è di nuovo peggiorata in
modo significativo nell'ultimo anno, passando dal 29° posto (su 91 paesi)
del 2001 al 31° posto (su 102 paesi) del 2002 (da 5,5 a 5,2 punti) (cfr.
fig. 15). L'Italia costituisce dunque un caso anomalo nel panorama delle
democrazia occidentali, con un tasso di percezione della diffusione della
corruzione superiore persino a quello di Estonia, Taiwan, Botswana, Namibia.
Un altro effetto prevedibile di un sistema inefficiente
di regolazione amministrativa è il maturare di un senso diffuso di
insoddisfazione e di sfiducia nei confronti dell'intero assetto
politico-istituzionale. L'affiorare e il consolidarsi di un sentimento di
questo tipo è indipendente dalle strategie adottate dai singoli individui,
e può maturare tanto nei cittadini "onesti" e rispettosi delle
regole che negli amministratori corrotti o negli imprenditori che gestiscono
"in nero" le proprie attività economiche. Tutti gli utenti
dell'amministrazione pubblica, infatti, devono sostenere l'incertezza e i
costi legati agli "attriti" nelle relazioni e nelle transazioni
tra stato e cittadini, le cui radici affondano, come si è mostrato in
questo rapporto, in alcune caratteristiche del sistema istituzionale.
Numerose statistiche attestano una diffusa sfiducia dei cittadini italiani
nei confronti dello stato e delle principali istituzioni pubbliche.
L'indicatore che utilizziamo in questo rapporto è la
domanda relativa al sentimento di soddisfazione sul funzionamento della
democrazia nel rispettivo paese, effettuata con regolarità dall'Eurobarometro.
Cumulando i "per niente" e i "non molto soddisfatti",
nel 2001 l'area di insoddisfazione in Italia è pari al 59%, contro il 39%
della Francia, il 36% della Germania, il 33% della Spagna, il 27% del Regno
Unito (cfr. fig. 16). Peraltro, tra il 2000 e il 2001 si registra un piccolo
progresso, dal 62% al 59%, ancor più significativo se si pensa che nel 1999
in Italia la percentuale d'insoddisfazione era pari al 70%.
Un ultimo indicatore, sempre basato sulle rilevazione
dell'Eurobarometro, restringe la valutazione alla fiducia espressa dai
cittadini nei confronti del governo, del parlamento, dell'amministrazione
pubblica e dei partiti. Anche in questo caso l'Italia si colloca all'ultimo
posto in Europa (cfr. fig. 17), con oltre il 69% in media di sfiducia nel
2001, pur registrando un significativo progresso rispetto all'anno
precedente (nel 2000 la fiducia era appena al 25%).
Gli indicatori utilizzati in questo rapporto confermano
l'esistenza di un nesso tra le principali caratteristiche del sistema
istituzionale italiano e la risposta di imprese e cittadini, incentivati –
in misura notevolmente superiore rispetto a quelli delle altre democrazie
occidentali – ad "uscire" dai rapporti con lo stato o ad
"entrare" nel mercato della corruzione, oppure indotti a maturare
convinzioni pessimistiche riguardo al proprio sistema
politico-amministrativo.
I dati presentati sembrano suffragare la tesi che in
Italia il cambiamento istituzionale, messo in atto attraverso le politiche
di liberalizzazione, riordino e semplificazione, non ha ancora radici
solide. Vecchi modelli informali di condotta e stabili aspettative
d'inefficienza dell'azione pubblica continuano a governare il funzionamento
delle strutture amministrative e le relazioni tra cittadini e stato. Tra il
2000 e il 2002 marginali miglioramenti negli indici di competitività e di
soddisfazione per il funzionamento della democrazia si accompagnano alla
stabilità di altri indicatori (quello dell'economia sommersa), e a un
peggioramento di altri (quello della percezione della corruzione). Nel
rapporto dello scorso anno, facendo riferimento ai precari sentieri di
cambiamento delle "regole del gioco" in Italia, ci eravamo posti
la domanda: "eppur di muove?". Quest'anno ci sembra ancora più
difficile individuare una chiara e coerente direzione nei pochi
"movimenti" osservabili a seguito delle politiche di
liberalizzazione. Sempre che non si tratti dei segnali di un "dinamismo
immobile" della nuova classe politica di governo ...
6. Conclusioni: un nuovo slancio o una marcia indietro?
L'evoluzione del sistema di regolazione in Italia si è
sostenuto, nel corso degli anni '90, su una sorta di circolo virtuoso: ogni
intervento di riforma è stato la premessa per nuovi provvedimenti di
liberalizzazione, semplificazione e riordino normativo, poiché ha creato
nuovi soggetti e rafforzato gli incentivi istituzionali affinché diverse
influenti organizzazioni pubbliche e private operassero agevolando – o
quantomeno non ostacolando – tali processi. La formazione di aspettative
favorevoli nei cittadini e nelle imprese ha ulteriormente alimentato questa
spirale positiva. (37)
Alcuni indicatori segnalano tuttavia un'accresciuta
vischiosità del processo di cambiamento istituzionale, cui si collega il
pericolo che le politiche di semplificazione si esauriscano senza produrre
effetti duraturi o conseguenze apprezzabili. I rischi derivanti dai fattori
di resistenza al cambiamento descritti nei precedenti paragrafi sono
evidenti: l'interdipendenza tra le diverse componenti dei processi di
liberalizzazione, infatti, può alimentare un circolo vizioso, accelerando
il ritorno ad un sistema di regolazione complesso, fatto di norme di
scadente qualità, soggetto ad inflazione normativa, inefficiente,
produttore non di prevedibilità ma di incertezza individuale e sociale.
In questo senso, non può che suscitare perplessità la
priorità accordata dal governo Berlusconi e dalla nuova maggioranza
parlamentare a una serie di misure legislative – dal ridimensionamento del
reato di falso in bilancio al progettato concordato fiscale – che
certamente non trovano posto in un quadro programmatico di avanzamento dei
processi di liberalizzazione e di semplificazione. (38) Di matrice
statalista è anche la prospettiva ideologica che sottende alla proposta
governativa di bloccare per legge le tariffe delle società pubbliche come
strumento di controllo dell'inflazione, quando l'intervento che garantisce
risultati significativi e duraturi in questo campo consiste proprio
nell'accelerazione dei processi di privatizzazione e di apertura alla
concorrenza dei settori economici interessati.
Senza aver la pretesa di dare un quadro esaustivo, si
possono elencare alcune possibili aree di intervento nelle quali è
auspicabile l'avvio o la prosecuzione di politiche di liberalizzazione che,
intraprese in passato, stentano a proseguire o vanno esaurendo i loro
effetti. (39)
In primo luogo, occorre intervenire radicalmente sullo
stock esistente di leggi, accelerando i processi di delegificazione,
abrogazione, coordinamento e riordino dei vincoli normativi esistenti. A
questo fine, sembra necessaria una preliminare verifica delle conseguenze
delle politiche poste in essere in passato, ossia del grado di attuazione di
tali vincoli normativi e il funzionamento dei loro meccanismi di controllo.
L'analisi di impatto della regolamentazione dovrebbe essere estesa anche
all'attuazione delle norme, affinché nella decisione relativa alla modifica
o all'abrogazione delle regole esistenti si tenga conto dei benefici
apportati e dei costi sostenuti, per causa loro, da cittadini e imprese.
(40)
- E’ opportuno intervenire sulle procedure amministrative e sul
sistema di concessioni, autorizzazioni e concessioni, fattori che
accrescono considerevolmente (e in misura proporzionalmente molto
superiore a quella delle altre democrazie occidentali) i costi
dell'interazione tra stato e imprese. Per un verso, la riduzione del
numero di procedure e formalità amministrative avrebbe l'effetto di
rendere più efficaci quelle restanti in vigore. D'altro canto, la
protezione di alcuni settori di attività economica – come ad esempio
le telecomunicazioni, la distribuzione al dettaglio, l'energia – crea
posizioni non trasparenti di rendita, grazie alle barriere politiche
all'entrata di tali mercati, determinando un peso maggiore degli oneri
amministrativi e una minore prevedibilità dei processi di mercato.
Nonostante l'abolizione di alcune licenze e l'introduzione di altre
misure, come le autocertificazioni e le dichiarazioni sostitutive, i
passi compiuti in questa direzione sono ancora insufficienti
- Il sistema degli ordini professionali dovrebbe essere radicalmente
riformato, per aprire ad una maggiore concorrenza il mercato di una
serie di servizi nei quali – per ragioni essenzialmente clientelari
– lo stato ha delegato a una serie di categorie professionali (notai,
farmacisti, ecc.) il potere di operare arbitrarie restrizioni della
libertà di entrata. D'altra parte, proprio le ingenti posizioni di
rendita garantite da questo regime di protezione hanno saldato i forti e
coesi interessi delle organizzazioni che rappresentano le categorie
professionali, le quali sono finora riuscite ad opporsi con successo ad
ogni tentativo di avviare politiche di liberalizzazione in questo
settore.
- Nonostante i reiterati tentativi di migliorare i livelli di
professionalità e la qualità delle risorse umane nelle amministrazioni
pubbliche, i progressi in questo campo appaiono insoddisfacenti. Gli
scarsi risultati conseguiti da alcuni processi di riforma del sistema di
regolazione sono imputabili anche ai bassi profili qualitativi dei
soggetti pubblici cui era delegato il compito di gestirli. Uno strumento
di intervento, ad esempio, potrebbe consistere nell'impiego di risorse
per potenziale gli enti che curano la preparazione
tecnico-amministrativa del personale dirigenziale.
- La trasparenza e l'accessibilità alle procedure amministrative da
parte delle imprese e dei cittadini può essere enormemente accresciuto
in tempi rapidi e a costi contenuti facendo ricorso alle nuove
tecnologie informatiche. Anche in questo caso, nonostante si siano fatti
alcuni passi in questa direzione, la posta in palio – la drastica
riduzione dei costi di informazione sostenuti dagli utenti – richiede
un maggiore impegno riformatore.
Soltanto un nuovo slancio nelle politiche di
liberalizzazione sembra in grado di superare le resistenze dei forti
interessi – di organizzazione pubbliche e private – che cercano di
vanificare, arginare o rallentare l'attuazione delle riforme in cantiere, e
si contrappongono ad altre misure di questo tipo. Si pensi, ad esempio, agli
amministratori di società pubbliche o agli enti locali che osteggiano
l'apertura alla concorrenza di settori economici rilevanti (dai trasporti al
gas), o a quei settori del personale ministeriale o di altre amministrazioni
che si sono impegnati in un'azione di contrasto della semplificazione delle
procedure.
Se in Italia i processi di liberalizzazione vanno
esaurendo la loro spinta propulsiva, e la strada percorsa è in salita,
sussiste il concreto pericolo di una marcia indietro. In primo luogo,
l'applicazione di provvedimenti complessi può controbilanciare i tentativi
di semplificazione del sistema di regolazione. Inoltre, i tempi lunghi
necessari affinché le riforme producano effetti si scontrano con
l'impazienza e con le aspettative suscitate in ampi settori della società e
del mercato. La delusione di questi ultimi può indebolire il loro consenso,
essenziale per il perseguimento coerente e duraturo delle politiche di
liberalizzazione e di riordino del sistema normativo. Come mostrano diversi
indicatori presentati in questo rapporto, si tratta di un rischio da non
sottovalutare e che può indurre a un ripensamento di fondo della natura
delle cosiddette politiche di liberalizzazione.
Rimane infatti l'impressione che:
1) con questo termine in molti casi non si sia inteso
altro che la modifica dell'assetto proprietario di enti o aziende
precedentemente pubbliche, con la quale si sono creati "monopoli
legali" che non hanno prodotto sostanziali vantaggi ai consumatori, né
dato slancio al sistema imprenditoriale;
2) che una quota della potestà normativa originariamente
detenuta dal potere politico sia stata semplicemente trasferita, anche in
questo caso senza produrre vantaggi apprezzabili, ad un sistema di
Authorities le cui competenze appaiono in alcuni casi incerte, in altri
sovrapposte con quelle di altri poteri dello stato.
Un ulteriore problema è quello connesso al trasferimento
di competenze dallo stato alle regioni. Si tratta di un
"federalismo" incerto e malamente applicato, che corre il rischio
non solo di far dilatare in maniera incontrollabile la spesa pubblica, ma
anche di introdurre in un sistema già complesso ulteriori fattori di
complicazione normativa. L'unico effetto chiaramente percepibile della
riforma, ad oggi, è stato quello di un incremento "a macchia di
leopardo" delle svariate tasse ed imposte di competenza di regioni,
province e comuni.
Di fronte alle critiche del centro sinistra al governo
– accusato di non aver controllato la crescita della spesa pubblica e
dell'inflazione, di aver subito la stagnazione internazionale, di non aver
realizzato il proprio programma elettorale, concentrandosi soltanto sui
problemi della giustizia – la maggioranza ha replicato enfatizzando la
portata delle riforme introdotte. E' indubbio che le contingenze
internazionali abbiano avuto un indesiderato effetto negativo sulla volontà
riformatrice del governo e ne abbiano ridotto le disponibilità finanziarie.
Ciò ha avuto conseguenze particolarmente rilevanti in Italia, un paese che
ha un debito pubblico notevolmente più elevato rispetto alla media dei
paesi dell'Unione europea. In mancanza di ogni possibilità di cooperazione
tra maggioranza ed opposizione appare poi politicamente difficile affrontare
il problema delle pensioni, che ha un peso ed un'incidenza notevole e
diretta sul debito pubblico e sulla stabilità sociale. Affrontando il nodo
delle pensioni non si rischierebbe soltanto di mettere definitivamente in
crisi quel "patto per l'Italia" che rappresenta un fragile
successo del governo, ma anche di far sorgere un conflitto sindacale e
sociale dagli esiti imprevedibili.
Ancora una volta, di contro alle esigenze dell'economia e
alla necessità di far quadrare i conti, la politica oppone le sue ragioni.
Posticipare il momento in cui i problemi sono affrontati riduce le risorse
che potrebbero essere utilizzate dalla classe di governo per rilanciare la
domanda e accelerare l'uscita dalla stagnazione. La conseguenza è devono
essere rinviati a tempi migliori il riordino della struttura
dell'amministrazione pubblica e la semplificazione del sistema di
regolazione, la riduzione delle tasse, il rilancio delle politiche di
realizzazione di opere pubbliche infrastrutturali, gli investimenti nel
settore della ricerca scientifica e dell'istruzione (per fare solo pochi ma
significativi esempi). Purtroppo, è ormai evidente che questi "tempi
migliori" la politica è sempre meno in grado di determinarli.
Sotto un profilo generale, al di là delle contingenti
polemiche italiane sulle responsabilità politiche di ritardi e
inefficienze, un elemento critico comune ai diversi sistemi di governo è
costituito dal lasso di tempo intercorrente tra il momento in cui la
decisione politica viene presa e il momento in cui essa inizia a produrre
effetti. Incrociandosi con molteplici altre decisioni di politica interna ed
estera, prese da altri soggetti politici ed economici indipendenti,
qualsiasi scelta di politica pubblica produce i suoi effetti in un tempo che
non è più determinabile né controllabile, e dunque anche in un contesto
spesso assai diverso da quello inizialmente previsto.
Alla mancanza di controllo dei "tempi"
dell'azione politica, conseguenza dell'impossibilità di regolare lo spazio
in cui si esercita la sovranità e dell'incremento dei soggetti decisionali
interni ed esterni, possono contrapporsi due fattori. Il primo è il
tentativo dei governi di ridurre il tempo della procedura decisionale e
quello dell'attuazione delle corrispondenti scelte. Non si tratta di un
obiettivo facile da conseguire, ma se ci sono riusciti i produttori di
automobili (velocizzando le fasi del processo produttivo, dall'analisi del
mercato alla progettazione e commercializzazione degli autoveicoli), i
politici dovrebbero per lo meno provarci. Il secondo fattore riguarda la
stessa possibilità di impiegare l'amministrazione pubblica, ossia i canali
della spesa pubblica, come strumento di accelerazione dei processi economici
e sociali. Se non diminuiscono i suoi tempi di risposta, ogni processo
politico rischia di essere intempestivo: se non dannoso, per lo meno
inutile.
D'altra parte, in Italia negli ultimi anni la velocità
della macchina statale non è aumentata, né gli schemi concettuali che
orientano la politica economica e sociale si sono distinti da quelli del
passato (come mostra la vicenda del blocco delle tariffe). Nuove leggi si
sono aggiunte alle troppe preesistenti senza sortire risultati apprezzabili,
se non quello di produrre un ulteriore allungamento dei tempi.
Due osservazioni conclusive. La prima è che, stante
questa situazione, l'unica circostanza in cui lo stato si mostra capace di
ridurre i tempi di risposta è quando impone nuove tasse, che però non
hanno l'effetto di rilanciare la domanda. La seconda, parafrasando De Gaulle
– il quale si lamentava delle difficoltà di governare un paese come la
Francia, in cui si producono così tanti formaggi – è che è difficile
governare anche un paese in cui esistono e si continuano a produrre così
tante leggi.
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Note.
1 Cfr. Vannucci e Cubeddu, 2000 e 2001.
2 Cfr. Di Palma, 2000.
3 Cfr. North, 1994, p. 107.
4 Cfr. North, 1994, p. 169.
5 A cura del Fraser Institute (Gwartney e Lawson, 2002).
6 A cura della Heritage Foundation e del The Wall Street
Journal (O'Driscoll, Holmes, e Kirkpatrick, 2001). A differenza dello scorso
anno non presentiamo l'indice della libertà economica elaborato dal Centro
di Documentazione'Einaudi' per i paesi dell'Unione Europea, non essendo
ancora disponibile il dato aggiornato al 2002.
7 Cfr. Gwartney e Lawson 2002, p.5.
8 Cfr. O'Driscoll et al., 2001, p.242.
9 Come si osserva nel rapporto, la libertà economica
trova espressione nel grado di protezione dei diritti di proprietà, fattore
che rappresenta "la forza guida che orienta la produzione di ricchezza
e di standard più alti di vita" (Hoskins e Eiras, 2001, p. 46). I
"diritti di proprietà" rilevanti nel determinare costi e benefici
attesi dalle transazioni non sono quelli legali, ma quelli economici, che si
riferiscono alla capacità di godere e disporre in via esclusiva di certi
beni scarsi, siano essi materiali o immateriali, vincolando altri individui
a norme di comportamento che prevedono sanzioni in caso d'inosservanza. (Pejovich,
1990). Tali diritti sono ovviamente influenzati dall'ordinamento giuridico,
ma non coincidono con esso, dipendendo anche dagli sforzi di auto-pretezione,
dai tentativi di cattura di altri individui, dall'efficienza della
protezione statale (Barzel 1989, p.2).
10 Cfr. Gwartney e Lawson, 2002, p. 16.
11 Cfr. Gwartney, Holcombe e Lawson, 1999.
12 Cfr. Oecd, 2001.
13 Cfr. Camera dei deputati, 2002, p. 5; Statistiche
Senato, 2002.
14 Cfr. Centro Studi Confindustria, 2002.
15 Cfr. Osservatorio sulla legislazione, 2002, pp. 4-5.
16 Cfr. Osservatorio sulla legislazione, 2002, p. 6.
17 Cfr. Osservatorio sulla legislazione, 2002, pp. 6-7
18 Cfr. Oecd 2001.
19 In termini generali, la regolazione è l'attività di
produzione dei vincoli normativi formali (leggi, regolamenti, ecc.) da parte
di soggetti pubblici e di soggetti privati cui lo stato ha delegato tali
poteri. Mentre la regolazione economica interviene direttamente nelle scelte
di mercato (ad esempio, nella determinazione dei prezzi) e quella sociale ha
per obiettivo la tutela di interessi generali e l'offerta di "beni
collettivi" come salute, sicurezza, ambiente, la regolazione
amministrativa riguarda le modalità di funzionamento delle organizzazioni
burocratiche, e le modalità con cui queste raccolgono informazioni e
intervengono nelle decisioni di cittadini e imprese (cfr. Oecd 2001).
20 Per una rassegna degli strumenti giuridici impiegati
nelle politiche di semplificazione cfr. Bacciardi (2002).
21 Nell'impostazione prevalente l'AIR prevede un'analisi
costi-benefici dell'impatto diretto e indiretto delle norme sui destinatari.
L'obbligo di effettuare l'AIR non è comunque stabilito per legge, né è
obbligatorio conformarsi alle sue risultanti.
22 Cfr. Dipartimento della funzione pubblica, 2002a.
23 Cfr. Oecd 2001.
24 Cfr. AGCM, 2002, p. 8.
25 Cfr. Ispo 2001.
26 Cfr. Confartigianato 2002.
27 Cfr. Confartigianato 2002.
28 Cfr. Dipartimento della funzione pubblica, 2002b.
29 Cfr North 1994, p. 66.
30 Cfr. AGCM 2002, p. 6.
31 Cfr. Centro studi Confindustria, 2002.
32 Un diverso indice, elaborato dal World Economic Forum
(2002b) considera un maggior numero di paesi, ma include nella sintesi un
ammontare inferiore di parametri. L'Italia occupa in questa classifica della
competitività la 24a posizione su 75 paesi nel 2001, ed è stazionaria
rispetto al 2000.
33 Cfr. World Economic Forum, 2002a, p. 5.
34 Cfr Verde (1999).
35 Ossia di exit, per impiegare il classico modello di
Hirschman (1982).
36 Cfr. Pizzorno (1992).
37 Cfr Oecd, 2001. In questo processo, un ruolo decisivo
è stato giocato dai vincoli normativi e politici posti all'Italia
dall'appartenenza all'Unione Europea (cfr. Di Palma 2000).
38 In particolare, per quel che concerne la recente
riforma della disciplina degli illeciti penali e amministrativi delle società
commerciali, si può condividere l'intento di rendere meno complessa la
normativa, che esponeva a rischio penale ampie categorie di imprenditori
anche per violazioni minime. Tuttavia le nuove norme, che depenalizzano,
riducono le pene, dimezzano i tempi di prescrizione e rendono più
improbabile il perseguimento dei reati, hanno accresciuto considerevolmente
le aspettative d'impunità per attività che, come mostrano il caso Enron e
le recenti vicende di scandali finanziari negli Stati Uniti, possono
rivelarsi estremamente nocive per la trasparenza e l'efficienza dei mercati.
39 Analoghe considerazioni si possono trovare nel recente
rapporto dell'"Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico" sul sistema di regolazione in Italia (Oecd 2001).
40 "L'Italia ha considerato poco la dimensione del
grado di attuazione delle norme e dei meccanismi di controllo della loro
osservanza: queste criticità devono essere risolte. Sui cittadini e sulle
imprese gravano ancora oneri in gran parte non necessari, causati
dall'accumularsi delle norme nel tempo e da un inadeguato coordinamento tra
i ministeri e le autorità di regolazione, e tra il governo centrale e le
autonomie territoriali. Ciò riduce il grado di applicazione delle regole e
mina la capacità dello Stato di perseguire i suoi obiettivi". Cfr.
Oecd, 2001.
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