AMMINISTRAZIONE
E GESTIONE DEL TERRITORIO
di Sergio Mattia
1.
Parte prima: politiche in atto
1.1.
Sviluppo sostenibile
La
verifica dell’efficienza ed efficacia delle politiche in atto[1]
non può che partire dalla constatazione che il momento della individuazione
delle infrastrutture e degli insediamenti strategici viene vincolato alla
prevalente finalità del riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio
nazionale[2].
Questa impostazione appare inopportuna, in quanto non riconosce interamente
l’idea multidimensionale dello sviluppo sostenibile e, di conseguenza, è
suscettiva di impedire l’assicurazione di un assetto armonico del territorio,
in risposta alle istanze compresenti e generalmente conflittuali di sviluppo economico, tutela ambientale e equità
sociale.
Non
si vuole in tal modo disconoscere che l’azione avviata in questo ambito dal
nuovo Governo risponda, in una logica innovativa sotto molteplici aspetti
operativi, all’esigenza di intervenire con la dovuta urgenza per evitare
l’aggravarsi dei divari regionali[3]
che hanno condizionato la crescita economica del nostro paese, con
un’alternanza tra le fasi “estensive” e “intensive” di utilizzazione della
forza lavoro[4]
sensibilmente influenzata, nel periodo più recente, dal fenomeno della mondializzazione
dell’economia. Questa finalità non contrasta, peraltro, con le motivazioni
etiche poste a fondamento del concetto di “sviluppo sostenibile”, le quali
portano a ritenere corretto lo sviluppo economico finalizzato al
soddisfacimento dei bisogni di importanza primaria dei gruppi sociali più
poveri e, quindi, tale da tutelare il diritto al miglioramento della qualità
della vita mediante il perseguimento di un obiettivo essenziale anche per l’espansione delle libertà umane[5].
Inoltre, non va sottaciuto che gli interventi da tempo attesi per la riduzione
delle carenze strutturali non sono soltanto riferibili alle esigenze di
potenziamento e riequilibrio del sistema produttivo ma riguardano anche
molteplici altre sfere del benessere sociale, direttamente o indirettamente
correlate al bisogno di disponibilità e qualità dei beni territoriali e dei
sevizi.
Della
triade sviluppo economico, tutela ambientale e equità sociale, rischia di essere posto in subordine l’obiettivo
ecologico-ambientale[6].
Lo
sviluppo sbilanciato in una tale direzione non può essere considerato realmente
tale. Oltre alle interdipendenze in gran parte dimostrate tra il sistema
economico e quello naturale con l’evidenziazione dei rischi di impoverimento
derivanti dallo sfruttamento non controllato delle risorse ambientali, non si
possono infatti ignorare i costi sociali, umani e culturali dovuti al
peggioramento della qualità del paesaggio urbano o extra-urbano[7].
In ogni caso, non vi è alcun dubbio che la ridotta attenzione verso il problema
ambientale costituisca una lesione al diritto di ogni individuo a non vedere
posti in giuoco i valori percepiti nel rapporto con un dato territorio, in
assenza di motivate ragioni di pubblico interesse e, quindi, di una attenta
definizione della più appropriata strategia di intervento.
Ciò
che crea le prime e motivate preoccupazioni al riguardo è il fatto che il
Governo abbia posto, come principio guida per le politiche territoriali, l’opera in sé, precisando che la sua
identificazione come obiettivo strategico comporta la legittimazione politica e giuridica del
superamento delle leggi che ne potrebbero impedire o rallentare la
realizzazione, fermi restando i principi
comunitari, i principi costituzionali e i principi del codice penale[8].
1.2.
Forme di concorsualità e di partnerariato pubblico/privato
1.3.
Interessi fondiari e modello perequativo
In un quadro che si rivela ampiamente incentrato sui contributi
che le tecniche bancarie di finanza strutturata sono in grado di offrire nella
realizzazione di rilevanti interventi di pubblica utilità, sorprende il
perdurare dell’atteggiamento di chiusura verso il ricorso ad analoghe forme di
concorsualità nel settore dell’urbanistica. In una direzione ben diversa e non
dissimile dalle altre forme di programmazione complessa[22]
sin ora sperimentate si muovono, infatti, i “Programmi di riabilitazione
urbana”, introdotti all’art. 27 della legge 1 agosto 2002, n. 166.
Non può sfuggire la rilevanza dell’applicazione di questo nuovo
approccio (urbanistica concorsuale),
per la sua capacità di assicurare lo sviluppo di un processo decisionale
rivolto a stabilire, secondo regole
certe e sotto il vincolo del contenimento degli investimenti pubblici, la
correttezza dell’equilibrio economico e finanziario degli interventi,
nell’osservanza del contesto normativo desumibile dall’ordinamento comunitario
e dai conseguenti principi della parità di trattamento fra gli operatori
economici. E ciò, con l’ulteriore beneficio consistente nella limitazione
dell’alterazione della tensione concorrenziale per i proprietari-imprenditori
operanti nel medesimo settore economico, che viceversa può verificarsi a fronte
di una irragionevole ed arbitraria concentrazione, in un contesto territoriale
omogeneo, della facoltà edificatoria in capo ad un soggetto e a detrimento dell’altro.
Le scelte avverrebbero, peraltro, in presenza di un quadro
conoscitivo ampio, costituito da una pluralità di alternative di intervento
generate nel riferimento ad un medesimo ambito territoriale. Il tutto secondo
procedure tali da garantire, insieme alla piena autonomia del decisore, le più
ampie possibilità di perseguimento del maggior consenso delle comunità
interessate mediante l’equità nella distribuzione dei vantaggi connessi alla
trasformazione del territorio. L’automatica
esclusione dalla catena di decisione dell’anello costituito dalle reti private
di potere e di influenza riconducibili agli interessi fondiari non
penalizzerebbe affatto la proprietà immobiliare, tutelata sotto ogni aspetto da
appropriate norme di perequazione urbanistica[23].
1.4.
Procedimenti espropriativi e principi costituzionali di eguaglianza
In questo contesto, va evidenziata in tutta
la sua negatività il ritorno alla logica puramente emergenziale in materia
espropriativa, con il reiterato rinvio[24]
dell’entrata in vigore del nuovo T.U.[25]
– nonché l’introduzione di alcune deroghe, modifiche e integrazioni[26]
– che aveva creato non pochi motivi di giusta soddisfazione rispetto alle
attese, sistematicamente promesse ma sempre deluse, di una razionalizzazione
delle procedure e di sistemazione degli effetti di una legislazione divenuta
autoritaria.
La
concreta portata di questo ritorno al passato va colta, in particolare,
riflettendo sulla questione che maggiormente aveva consentito una tale
degenerazione. Con il mantenimento “in vita” dell’istituto dell’occupazione
d’urgenza[27], tornerebbe
a prevalere il principio della “mano che nasconde”. Ossia, l’idea che una
sottostima del fabbisogno finanziario per il raggiungimento dell’obiettivo (in
tal caso, la realizzazione dell’opera pubblica) possa essere compensato dalla capacità di dare una successiva risposta
“creativa” alle eventuali difficoltà. Anche per effetto delle stringenti
disposizioni in materia di stima dei costi di esecuzione delle opere, questa
capacità continuerà a svilupparsi – anziché a livello progettuale[28]
o nelle fasi di affidamento e di esecuzione dei lavori – proprio nei momenti
della determinazione provvisoria delle indennità. Un tale atteggiamento sarà
avvalorato dalla convinzione – oramai ampiamente radicata nel nostro paese –
che la proprietà fondiaria è destinata ad essere sacrificata in onore
dell’opera pubblica e che le responsabilità individuali difficilmente saranno
punite, in quanto molta polvere si sedimenterà sulle pratiche di esproprio e i
pubblici poteri continueranno sempre ad intervenire per evitare problemi
all’erario.
Le
nostre perplessità aumentano nella constatazione che la stessa proprietà viene
ulteriormente indebolita sia per effetto delle limitazioni alla sua
partecipazione a rilevanti fasi della procedura espropriativa, sia nella stessa facoltà di tutelare i propri
diritti davanti ai Tribunali amministrativi. Le disposizioni inerenti a
quest’ultima fattispecie[29]
esaltano l’idea della prevalenza dell’interesse nazionale alla sollecita
realizzazione dell’opera rispetto a tutti gli interessi lesi[30].
1.5.
Tutela della Baufreuheit
A questo livello,
si rileva che un primo ma decisivo passo in avanti è stato compiuto per la
semplificazione delle procedure di abilitazione dei progetti edilizi, mediante
la reintroduzione[31] di uno
spazio di scelta, per il soggetto privato interessato alla esecuzione
dell’intervento, fra l’attesa del rilascio di un titolo abilitativo espresso
(concessione o autorizzazione edilizia) e il ricorso all’istituto della denunzia
di inizio di attività (D.I.A.), con l’assunzione diretta della responsabilità
nell’interpretazione ed applicazione della normativa vigente alla singola
fattispecie.
La disposizione –
che di fatto reintroduce le leggi regionali che avevano previsto una generale
estensione di questa disciplina a tutti gli interventi edilizi conformi alla
vigente legislazione urbanistica comunale[32]
- costituisce peraltro un premessa per il definitivo riconoscimento della
potestà legislativa delle Regioni rispetto a tale materia, consentendo in
definitiva il superamento in sede locale della rigidità delle definizioni in
materia di qualificazione degli interventi edilizi presenti nella legislazione
statale.
2.
Parte seconda: tempestività e trasparenza dell’azione amministrativa·
2.1.
Caratteristiche del campione e modalità di raccolta dei dati
La
raccolta dei dati per la misurazione, nelle direzioni che preciseremo più
avanti, di questi due indicatori del grado di liberismo è avvenuta nella
considerazione di un campione composto da 300 comuni, individuati secondo i
criteri della localizzazione geografica e della dimensione demografica. Più
precisamente, la ripartizione è avvenuta in parti uguali tra il nord, il centro
e il sud, in una definizione dei singoli comuni per le seguenti fasce di
popolazione: inferiore a 30.000 abitanti, tra 30.000 e 70.000, tra 70.000 e
150.000, nonché superiore ai 150.000. In tale campione sono stati altresì
ricompresi tutti i capoluoghi di provincia. Un ulteriore chiarimento riguarda
il fatto che in questa opera di selezione una particolare attenzione è stata
rivolta alla dotazione di siti internet per la comunicazione delle informazioni
sulle attività amministrative (reti
civiche).
L’indagine è
stata condotta a questi due livelli.
Il
primo ha riguardato il grado di efficienza dell’azione amministrativa nei
processi di formazione e approvazione degli strumenti urbanistici generali e
attuativi, in termini di tempestività della risposta rispetto alle attese del
cittadino di conoscere i propri diritti di edificazione dei suoli e di
trasformazione delle costruzioni esistenti, nonché i più generali caratteri
dell’organizzazione funzionale ed economica del territorio comunale. Il tutto
anche in rapporto all’esigenza di vedere salvaguardata la Baufreiheit (libertà di costruire entro i limiti dettati
nell’interesse generale) nell’accelerazione dei processi di abilitazione dei
progetti mediante i provvedimenti di rilascio delle concessioni e/o
autorizzazioni edilizie. E ciò anche nella considerazione dei nuovi spazi
offerti dalle più recenti disposizioni di legge in materia di ricorso
all’istituto della D.I.A. richiamate nel precedente paragrafo. Le informazioni
sono state ottenute nel diretto coinvolgimento di tutti i comuni facenti parte
del campione, mediante l’invio di un apposito questionario.
Con
un approccio profondamente diverso si è, invece, definita la connessione tra le
politiche del territorio e l’aspettativa del cittadino di venirne a conoscenza
in ”tempi reali”. La garanzia di trasparenza dei processi decisionali in tali
termini è stata verificata mediante la formulazione di giudizi sui dati forniti
dalle reti civiche in materia di: a) facilità nell’individuazione delle
procedure e degli uffici a cui rivolgersi; b)
accesso, disponibilità e qualità delle informazioni; c) tempestività delle risposte; d)
soglie di soddisfacimento; e) punti
di criticità e aspettative di miglioramento; f) partecipazione e ascolto. I punteggi attribuiti a ciascun
criterio, secondo l’approccio del termometro vicinanza-lontananza, sono stati
infine trasformati in un unico e complessivo giudizio mediante la tecnica della
sommatoria pesata. Gli esiti di tale
lavoro sono stati raggruppati in cinque classi
di soddisfacimento, poste in ordine crescente in relazione all’incremento
del grado di trasparenza dei comportamenti. Rispetto a queste stesse classi
sono stati ordinati i dati raccolti mediante l’uso dei questionari inerenti
alla tempestività dell’azione amministrativa nelle procedure di pianificazione
fisica e di abilitazione dei progetti. Il tutto nella precisazione che, a
partire dalla scarsa propensione a restituire il questionario, l’esito di una
tale indagine non può essere ritenuto soddisfacente.
2.2.
Tempestività nelle procedure di formazione e di approvazione degli strumenti urbanistici
Il
primo aspetto che va colto è la conferma della mancata maturazione di una
adeguata attenzione verso questa problematica, che si trae proprio riflettendo
sulla percentuale dei questionari restituiti (14%)[33],
nonostante l’avvio di un significativo processo per il riassetto delle
strutture organizzative degli enti locali. Questa idea viene, in particolare,
avvalorata dai dati inerenti ai comuni per i quali si è rilevato un buon
livello di trasparenza dei websites (23%). In tali casi, la mancata
partecipazione all’inchiesta trova una spiegazione nella constatazione che le
informazioni richieste con i questionari non sono poste in rete, ad esclusione di Bologna e Prato per i soli
dati inerenti alla tempestività nelle procedure di abilitazione dei progetti[34].
La
scomposizione del dato per macroregioni geografiche rafforza i motivi di
allarme rispetto ai rischi di estensione del divario regionale oltre i confini
di natura strettamente economica. La disponibilità a rendere conto dell’attività
amministrativa, in un settore ritenuto essenziale per la tutela dei diritti del
cittadino, decresce progressivamente nel passaggio dal nord del paese (21%)
alle regioni del centro (15%) e del sud (9%), sino a divenire persino nulla per
le isole.
Pur nella limitatezza del campione, i dati pervenuti sono tali
da confermare l’urgenza di un definitivo superamento del tradizionale sistema
di pianificazione “a cascata”.
Non si tratta, infatti, di porre rimedio alle sole ragioni che
rendono l’atto amministrativo di formazione e approvazione degli strumenti
urbanistici generali, oltre che “autoritativo”, privo di adeguate garanzie
sulla tempestività delle decisioni rispetto al rapido succedersi dei
cambiamenti degli scenari in una economia evoluta. In tutta la sua rilevanza va
affrontato il problema dell’equità delle decisioni.
Se,
da un lato, appare naturale il contenimento dei tempi – pur sempre lunghi – di
conclusione del procedimento con la scelta di imboccare la strada della
variante generale al piano regolatore, anziché quella di una sua nuova
redazione, dall’altro lato, sono indicatori dei rischi di inserimento di
elementi di distorsione del processo decisionale il tempo relativamente “breve”
impiegato per portare a termine le varianti puntuali, nonché la frequenza delle
medesime. In effetti, non può che destare preoccupazione il dato inerente
all’appartenenza di ben 34 varianti puntuali su 39 alla classe temporale 1[35],
riferita ad un periodo non superiore a 12 mesi. Coerenti con gli obiettivi
delle forme di programmazione complessa e/o negoziata si rivelano i dati
relativi alla tempestività di tali atti. Il procedimento si conclude per l’82%
dei casi entro i 24 mesi.
2.3.
Tempestività nelle procedure di abilitazione dei progetti
In
questo quadro, un certo sollievo si prova nel vedere sostanzialmente contenuti
nei termini stabiliti dalla vigente legislazione[36]
i tempi per il completamento del procedimento in materia di rilascio delle
concessioni edilizie. Nonostante la possibilità, ancora generalmente prevista,
del raddoppio del periodo minimo per l’emanazione del provvedimento
amministrativo, anche i comuni ricadenti in tale fattispecie (popolazione
superiore a 100.000 ab.) dimostrano di essersi dati una organizzazione tale da
rendere mediamente inferiore a 90 giorni la durata dell’iter di approvazione
delle pratiche[37]. Questo
stesso giudizio non può che riguardare anche il comune di Bologna che, pur non
avendo provveduto a restituire il questionario, nel proprio sito internet
indica in 80 giorni il tempo medio per le concessioni, nonché in 45 giorni
quello per le autorizzazioni edilizie. Il tutto, ponendo in evidenza che la
propria azione al riguardo è stata avviata sin dal 1993, con l’abbattimento
della precedente durata di 11 mesi, prima a 8-7 mesi (1993-1994) e poi a circa
3 mesi (1995-1996), sino a raggiungere l’attuale grado di tempestività.
Insorgono
alcune perplessità di fronte alla constatazione che la quasi totalità dei
comuni di minore dimensione abbia prestato una limitata attenzione al perseguimento
di tale obiettivo. Pur collocandosi, salvo rare eccezioni, all’interno del
limite stabilito dalla legge[38],
questi comuni superano i 30 giorni. Tale termine, sicuramente sufficiente per
l’esame di una pratica edilizia, dovrebbe essere imposto al più presto dal
legislatore, al fine di stimolare l’orientamento dei comuni verso
l’impostazione di una pubblica amministrazione “leggera” e volta al servizio
del cittadino, mediante nuovi modelli organizzativi.
La
capacità di agire potrebbe essere migliorata soprattutto mediante la
definizione di norme in materia di individuazione di soggetti esterni alle
amministrazioni comunali, secondo la logica già applicata al momento della
validazione dei progetti di opere pubbliche. Il raggiungimento di un tale traguardo
eviterebbe peraltro la stessa ragione d’essere del duplice canale di
abilitazione dei progetti (D.I.A. o concessione/ autorizzazione edilizia). È
auspicabile che sull’onda di un tale cambiamento sia stabilita – come avviene,
ad esempio, da tempo in Francia – l’abolizione del momento abilitativo dei
progetti mediante atto amministrativo, ferme restando la più ampia possibilità
di controllo pubblico del rispetto di ogni vincolo posto a tutela
dell’interesse diffuso nei processi edilizi, nonché la facoltà dei promotori
degli interventi privati di avvalersi dei soggetti esterni abilitati alla
validazione dei progetti, in relazione ad una autonoma esigenza di verifica del
rispetto del quadro legislativo e normativo di riferimento nell’operato dei
professionisti incaricati.
2.4.
Qualità e completezza delle reti civiche
Come
si è anticipato alla fine del paragrafo introduttivo, la capacità delle reti civiche di soddisfare il bisogno
del cittadino di venire a conoscenza in “tempi reali” delle informazioni inerenti
all’attività amministrativa è stata verificata mediante la logica dell’analisi
multicriteria. Va da subito precisato che le informazioni ritrovate all’interno
di ogni sito sono state ricondotte all’interno dei seguenti sei criteri: modulistica (0,05), accesso ai dati comunali (0,30), cartografia pianificazione fisica (0,15), linea diretta e forum (0,15), approvazione
delle pratiche edilizie (0,10), informazioni
sullo stato del territorio e sugli atti inerenti al governo del territorio
(0,25). I numeri indicati tra parentesi indicano i pesi applicati ad ogni
criterio per la formulazione del giudizio complessivo in materia di trasparenza
dei websites.
In
una tale impostazione, l’analisi ha fornito interessanti indicazioni, a partire
dalla presenza di informazioni complete e facilmente consultabili in ben tre
casi (Livorno, Pisa e Prato)[39],
che portano a considerare la classe 5 di rilevanza assoluta, anziché relativa
alla sola situazione italiana[40],
nel rappresentare il livello di massimo soddisfacimento del bisogno di tale
trasparenza dell’azione amministrativa.
La
capacità di risposta alle esigenze di trasparenza di questi tre comuni non
sorprende, in quanto coerente con molteplici altri aspetti di novità presenti
nella legislazione della regione Toscana nell’ambito dell’affermazione del
diritto di partecipazione, nonché nel più generale riconoscimento dell’esigenza
di libertà del cittadino[41].
Questo giudizio non vuole, tuttavia,
portare a ritenere che una tale correlazione sia l’unico elemento per stabilire
un ordinamento, secondo questa medesima ottica, della rilevanza della
legislazione urbanistica regionale. In ogni caso, si ritiene opportuno fornire,
con la figura 5, l’immagine del dato
per regioni amministrative nella precisazione che i codici di ogni regione sono
indicati nella presente nota[42].
L’intenzione è anche di stimolare la riflessione sul tema della trasparenza da
parte degli enti locali di quelle regioni sicuramente all’avanguardia sul
fronte della innovazione dei modelli di governo del territorio, con l’auspicio
di un loro rapido allineamento nell’azione amministrativa anche a tale livello.
A
questo fine, giova segnalare che l’inserimento in ogni singola classe di
soddisfacimento dei websites comunali
è dipeso, oltre che dalla natura e dal peso dei criteri, dalla formulazione di
giudizi di valore non limitati alla semplice constatazione della presenza o
assenza dell’attributo richiesto, ma concretizzatisi nell’attribuzione di
punteggi compresi tra 0 e 10 e, quindi, tali da segnalare, pur nella
soggettività della percezione della realtà osservata, il grado di
soddisfacimento di ogni singola esigenza così come rappresentata dal criterio
stesso[43].
Il tutto in una continua attenzione nei confronti del possesso di un ulteriore
e più generale requisito costituito dalla facilità e rapidità di accesso alle
informazioni.
Proprio
in rapporto a questa ampia considerazione delle diversità sussistenti tra i
diversi websites rispetto ad ogni
criterio, si ritiene necessario fornire una rappresentazione meno sfocata di
quanto rilevato, soffermandosi sulle ragioni che maggiormente hanno inciso nel
determinare il mancato ingresso di molti comuni nella classe 5 di massimo
soddisfacimento. Questo approfondimento riguarderà, in particolare, i
capoluoghi di provincia. Il modo in cui il fenomeno si disaggrega rispetto ai
singoli criteri, nei comuni rientrati nelle classi 4 e 3, sarà invece mostrato
direttamente nelle figure 8 – 13.
Per i sette capoluoghi[44]
ricaduti nelle classe di soddisfacimento
4, le principali criticità riguardano le tematiche della disponibilità delle
informazioni inerenti alle procedure, nonché dell’apertura a contributi del
cittadino mediante l’attivazione del forum.
In ben cinque casi[45] tale disattenzione risulta totale nei confronti dell’iter di approvazione dei
procedimenti edilizi. Una tale criticità permane nel passaggio ai dati inerenti
alla terza classe[46], con una
decisa manifestazione del problema dell’accesso ai dati inerenti agli atti.
L’obiettivo della trasparenza viene complessivamente disatteso, pur se con
qualche eccezione rispetto alle informazioni sul governo del territorio, dai
rimanenti capoluoghi, che si collocano nelle classi due e uno, con queste
rispettive incidenze percentuali 20% e 40%. E questo nella ulteriore precisazione
che il 50% di quelli rientranti nella classe 1 sono dotati di website contenente informazioni di
carattere generale[47].
In questo quadro, fa piacere poter
segnalare che dimostrano attenzione ai rapporti con l’utenza non pochi comuni
di minore rilievo. Oltre a Selargius, che si colloca, come già rilevato in
nota, nella classe di maggiore soddisfacimento[48],
si ricordano tutti i comuni della classe 4: Jesi, Follonica, Empoli, Sesto
Fiorentino, Montepulciano e Vittorio Veneto. L’aspetto che va maggiormente
sottolineato, che porta a determinare il posizionamento di questi ultimi in
tale classe, riguarda la mancata messa in rete della cartografia inerente alle
previsioni urbanistiche, nonché agli studi sia riferiti alla natura e al
funzionamento del sistema territoriale[49]. Il tutto nella precisazione che anche per
tali comuni si presentano, sia pure in termini meno accentuati, gli stessi
elementi di criticità indicati per i capoluoghi di provincia.
3. Valutazioni conclusive
Il quadro normativo delineatosi nella prima fase della XIV
legislatura presenta alcuni interventi innovativi rivolti al potenziamento
dell’offerta di beni e servizi di pubblica utilità, funzionali a produrre
significativi effetti sul tessuto economico, sia rispetto alla riduzione degli
squilibri regionali che al superamento del modello dello Stato-imprenditore.
Tra
i diversi aspetti problematici, è lecito avanzare alcune perplessità rispetto
alla tutela degli interessi diffusi. L’aspetto che più colpisce è dato dal
fatto che non siano stati posti a fondamento delle politiche di modernizzazione infrastrutturale i
principi dell’economia sostenibile, con i conseguenti rischi di non vedere
prestata la dovuta attenzione nei confronti del problema ambientale. A queste
perplessità si aggiungono motivi di forte disappunto, nel momento in cui il
grado di liberismo dell’attività del nuovo governo viene misurato anche nella
direzione della tutela dei diritti della proprietà fondiaria nei procedimenti
espropriativi. Il ritorno alla logica puramente emergenziale in tale campo
rischia, peraltro, di far dubitare sulla reale volontà di assicurare
l’applicazione – come strumento di riforma delle politiche territoriali – della
sussidiarietà orizzontale, nel pieno
rispetto delle regole dell’economia imprenditoriale,
instancabilmente insegnate da Einaudi.
La
situazione è allo stesso modo complessa sul versante della pianificazione
fisica. Se si vuole il più possibile salvaguardare le libertà individuali,
alcune scelte di fondo vanno operate per assicurare – mediante una legge
cornice “leggera” – il definitivo superamento dell’attuale modello autoritativo
a cascata. Il tutto nella individuazione di strumenti capaci di assicurare il
governo del territorio secondo regole certe e procedure flessibili, caratterizzate
dai requisiti di tempestività, trasparenza, efficienza, equità e correttezza
delle decisioni. Nel contesto che verrà a determinarsi, uno scopo da non
sottovalutare dovrebbe riguardare
l’estensione/implementazione dei websites,
in risposta alle esigenze di informazione, di partecipazione e di ascolto del
cittadino.
Note.
[1]
Più precisamente, seguendo le linee tracciate nel rapporto dello scorso anno,
si farà principalmente riferimento ad alcune innovazioni del quadro normativo
introdotte dalle seguenti disposizioni: legge 21 dicembre 2001, n. 443 – Delega al Governo in materia di
infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il
rilancio delle attività produttive;
legge 31 luglio 2002, n. 179 – Disposizioni
in materia ambientale; legge 1 agosto 2002, n. 166 – Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti; decreto
legislativo 20 agosto 2002, n. 190 – Attuazione
della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture
e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale.
[2]
Per completezza, si trascrive qui di seguito il testo integrale di tale
disposizione, inserita al comma 1 dell’art. 1 della Legge 21 dicembre 2001, n.
443, con l’avvertenza che in corsivo è riportata l’integrazione introdotta con
l’art. 13, comma 3, della Legge 1 agosto 2002, n. 166: “Nell’individuare le
infrastrutture e gli insediamenti strategici di cui al presente comma il
Governo procede secondo finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree
del territorio nazionale, nonché ai fini
di garanzia della sicurezza strategica e di contenimento dei costi
dell’approvvigionamento energetico del Paese e per l’adeguamento della
strategia nazionale a quella comunitaria delle infrastrutture e della gestione
dei servizi pubblici locali di difesa dell’ambiente.”
[3]
Va osservato che una recente indagine sui livelli occupazionali nei paesi Ue ha
stabilito che ben cinque regioni italiane [Calabria
(24,8%), Campania (22,4%), Sicilia (20,8%), Sardegna (19,1%) e Basilicata
(15,7%)]
si collocano tra le ultime dieci a più elevato tasso di disoccupazione. Ancora
più preoccupante è il dato inerente al rapporto tra i tassi massimi (24,8) e
minimi (3) di disoccupazione: non soltanto è il più elevato (8,1) ma supera
notevolmente il valore medio (3) inerente agli altri paesi. Fonte: Il
Sole24Ore 7.08.2002.
[4]
“Queste due fasi corrispondono a differenti strategie di sviluppo messe in atto
dai settori e dai gruppi sociali di volta in volta egemoni. Le fasi estensive sono caratterizzate da uno
sviluppo in cui il rapporto capitale/lavoro cresce moderatamente e, in cui,
l’occupazione totale è crescente. Le fasi intensive,
al contrario, sono connotate da un più elevato saggio di variazione del
rapporto capitale/lavoro e, solitamente, da un saggio di variazione
dell’occupazione negativo.” Cfr. B. Secchi, Squilibri
regionali e sviluppo economico, Venezia, 1974. Per quanto riguarda i
principali caratteri della teoria tradizionale dello sviluppo economico si veda
altresì C.P. Kindleberger, Lo sviluppo
economico, Milano, 1967.
[5]
Il rapporto tra liberalismo e sviluppo sostenibile è stato ampiamente trattato
da Amartya Sen in Lo sviluppo è libertà
e Globalizzazione e libertà, edizioni
Mondadori.
[6]
Al proposito, va ricordato che l’attribuzione di un valore economico totale (VET) all’ambiente è essenziale per il rispetto del principio di giustizia intergenerazionale posto a
fondamento dello sviluppo sostenibile. In tal modo, si vuole garantire che le
politiche rivolte al soddisfacimento dei bisogni dell’attuale generazione siano
sottoposte al vincolo della più ampia conservazione delle risorse naturali e
ambientali al fine di evitare di danneggiare le future generazioni.
[7]
Per un primo approfondimento dei rapporti tra economia e ambiente, si rinvia a
D.W Pearce, P.K. Turner, Economia delle
risorse naturali e dell’ambiente, Bologna, 1991.
[8]
Cfr. Relazione illustrativa al
disegno di legge “Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti strategici e altri
interventi per il rilancio delle attività produttive”, deliberato dal Consiglio
dei Ministri del 28 giugno 2001.
[9]
Cfr. Capo II del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190.
[10]
Al riguardo, appare del tutto illogica – nonché in contrasto con le direttive
comunitarie – la norma introdotta all’art. 18, comma 6, del decreto legislativo
20 agosto 2002, n. 190, che prescrive l’adozione da parte del Cipe del
provvedimento di compatibilità ambientale contestualmente all’approvazione del
progetto preliminare. Non forniscono peraltro alcuna garanzia sull’effettiva
riapertura dell’istruttoria le disposizioni inerenti ai casi in cui sia
riscontrata una i sensibile diversità del progetto definitivo rispetto a quello
preliminare (verifica di ottemperanza, di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 20).
[11]
Ci si riferisce in particolare alle disposizioni di cui all’art. 1, comma 2,
della legge 21 dicembre 2001, n. 443 e successive modifiche ed integrazioni, ed
all’art. 13, comma 6, della legge 1 agosto 2001, n. 166, nonché agli artt. 3, 4
e 5 dal decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190. Va osservato che l’art. 13,
comma 6, della legge 1 agosto 2001, n. 166, integra l’art. 1 della legge n.
443/2001 con il comma 3-bis, consentendo l’approvazione dei progetti mediante
“… decreto del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Cipe
integrato dai presidenti delle regioni o delle province autonome interessate,
sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281, e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari.
Con il predetto decreto sono dichiarate la compatibilità ambientale e la
localizzazione urbanistica dell’intervento nonché la pubblica utilità
dell’opera; lo stesso decreto sostituisce ogni altro permesso, autorizzazione o
approvazione comunque denominati, e consente la realizzazione di tutte le opere
ed attività previste nel progetto approvato”.
Per quanto riguarda la procedura
“ordinaria” di cui all’art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443,
va rilevato che l’approvazione sia del progetto preliminare che definitivo
spetta al Cipe, allargato ai presidenti delle regioni e province autonome di
volta in volta interessate dalle singole infrastrutture e insediamenti
produttivi. il quale deve in tute le circostanze adottare il provvedimento di
compatibilità ambientale nel momento dell’approvazione del progetto
preliminare, ai sensi di quanto stabilito all’art. 18, comma 6 del decreto
legislativo 20 agosto 2002, n. 190.
[12]
Cfr. Relazione illustrativa al
disegno di legge “Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti strategici e altri
interventi per il rilancio delle attività produttive”, deliberato dal Consiglio
dei Ministri del 28 giugno 2001.
[13]
Al proposito, degne di rilievo sono anche le disposizioni introdotte all’art. 9
del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, in materia di affidamento a
contraente generale dei lavori.
[14]
Si vedano al riguardo le disposizioni di cui all’art. 8 (Società per il finanziamento delle Infrastrutture) della legge 15
giugno 2002, n. 112, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto
legge 15 aprile 2000, n. 63.
[15]
Esse riguardano gli artt. 37-bis/37-quinquies della legge 1 febbraio 1994,
n. 109 e s.m.i.. Sempre ai fini dell’agevolazione della “bancabilità” delle
opere, si ricordano le disposizioni inerenti alla eliminazione dei limiti di 30
anni per la durata della concessione e del 50% per il contributo pubblico.
[16]
Più precisamente, ci riferiamo alle modifiche al comma 1 dell’art. 37-bis.
[17]
Al proposito va osservato che, con le modifiche al comma 2 del medesimo art.
37-bis, gli studi di fattibilità e
le proposte di intervento possono
essere presentate anche dalle “Camere di commercio, industria, artigianato e
agricoltura, nell’ambito degli scopi di utilità sociale e di promozione dello
sviluppo economico dalle stesse perseguiti”.
[18]
Cfr. art. 14 della legge 1 febbraio 1994, n. 109 e s.m.i...
[19]
Non appare tale e, per di più, può
rappresentare un serio ostacolo ad una trasparente ed efficiente applicazione
di tale modello, la successiva disposizione che non impone alle amministrazioni
l’obbligo di esaminare e valutare tali proposte.
[20]
La rilevanza di questa diversità non va sottovalutata. La teoria economica è
ben chiara al riguardo. La distinzione delle azioni economiche tra individuali
e collettive viene operata proprio per evidenziare il fatto che l’azione svolta
da un organo dichiarativo della volontà di un ente collettivo non vada
considerata – tout court – tale da
determinare effetti positivi sul benessere di una collettività. Essa è rivolta
soltanto all’ottenimento di condizioni di conservazione e sviluppo dell’ente
stesso. Quando si hanno azioni economiche collettive è un gruppo o una classe
economica che costringe tutta una collettività a compartecipare per perseguire
gli obbiettivi prefissati. Va considerato, pertanto, il principio che l’ente
collettivo non può rappresentare perfettamente la risultante delle molteplici e
diversificate pretese individuali, e quindi collettive, presenti in una data
società. Questa risultante non viene in nessun caso a coincidere con la
semplice sommatoria delle volontà e attività degli individui considerati nel
loro complesso e con quelle del gruppo al potere. In primo luogo, non è
pensabile che quelli che abbiamo chiamato organi dichiarativi della volontà
dell’ente possano essere espressione dell’insieme dei desideri individuali e,
quindi, della somma algebrica dei loro bisogni. A tutti noi è perfettamente
noto il fatto che nella realtà non sia sempre la volontà dei più a prevalere.
Non si può, peraltro, ipotizzare che i soggetti collettivi abbiano la libertà
di agire in durature ed equilibrate condizioni, senza dover subire – volenti o
nolenti – l’influenza e le sollecitazioni di particolari gruppi sociali che
momentaneamente tentano di imporre la propria volontà.
[21]
In una tale direzione, un valido contributo potrebbe essere fornito da una
procedura che renda obbligatoria la pubblicazione degli studi di
identificazione e quantificazione dei bisogni, con la possibilità di modificare
i risultati sulla base di osservazioni e contributi presentati dai cittadini e
dalle forze politiche, economiche, culturali e sociali.
[22]
Al proposito, degne di interesse appaiono le norme in materia di
cofinanziamento privato delle opere che costituiscono i programmi, formazione
di consorzi tra i proprietari per l’attuazione dei programmi, nonché di
determinazione e corresponsione – anche
mediante permute di altre proprietà site nel comune – delle indennità di
espropriazione.
[23]
Va ricordato che il modello dell’urbanistica
concorsuale è stato definito da Società Libera in una propria proposta di
legge recante “Norme in materia di riqualificazione urbana”, inserita sul
proprio sito internet, nonché presentata e discussa nel corso di tre convegni
organizzati a Milano, Napoli e Foggia.
[24]
L’entrata in vigore inizialmente prevista dal 1 gennaio 2002 è stata spostata
al 30 giugno 2003 con il terzo – e probabilmente non ultimo – provvedimento di proroga (cfr. art. 3 della
legge 1 agosto 2002, n. 185)
[25]
D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 – Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
espropriazione per pubblica utilità.
[26]
Queste nuove disposizioni, raramente migliorative, sono state introdotte agli artt. 3 e 5 della legge 1 agosto 2002,
n. 166, nonché agli artt. 3 commi 3 e 8, 4 comma 2, 5 e 14 del decreto
legislativo 20 agosto 2002, n. 190.
[27]
Nella prassi l’autorità espropriante si immette nel possesso del bene in base
all’ordinanza di occupazione d’urgenza, poi cominciando la realizzazione
dell’opera; il decreto di esproprio speso acquista un carattere dovuto.
Peraltro, per evitare le conseguenze della realizzazione dell’opera in assenza
di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della
pubblica utilità, la Corte di Cassazione ha elaborato l’istituto della
“occupazione appropriativa” o “espropriazione sostanziale”, nonché quello, più
recente, della “occupazione usurpativa”. La Corte di Cassazione ha in tal modo
affermato che l’autorità espropriante acquista a titolo originario l’area
resasi necessaria per realizzare l’opera pubblica. Sul punto si è espressa la
Corte Europea per i diritti dell’uomo (sez. II, 30 maggio 2000, ric. 31524/96)
ha stabilito che l’istituto si pone in contrasto con l’art. 1 del protocollo n.
1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Cfr. Relazione al testo unico approvata dal Consiglio di Stato nell’Adunanza
Generale del 29 marzo 2001.
[28]
È opportuno precisare che, nella realizzazione di opere pubbliche a nastro, il
riconoscimento di un equo ristoro per l’acquisizione dello spazio determina un
esborso dell’ordine del 5% del costo di esecuzione dei lavori.
[29]
Cfr. Art. 14 comma 1, lettera b, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190.
[30]
Per completezza dell’informazione si ritrascrive integralmente tale comma: Nei giudizi davanti agli organi di giustizia
amministrativa che comunque riguardino le procedure di progettazione,
approvazione e realizzazione delle infrastrutture ed insediamenti produttivi e
relative attività di espropriazione, occupazione ed asservimento: a) l’udienza
di merito del ricorso non richiede domanda di fissazione ed avviene non più
tardi del quarantacinquesimo giorno dalla data di deposito dello stesso preso
la segreteria del giudice competente; b) la valutazione del provvedimento
cautelare eventualmente richiesto deve tener conto delle probabili conseguenze
del provvedimento stesso per tutti gli interessi che possono essere lesi, nonché del preminente interesse nazionale alla
sollecita realizzazione dell’opera; nel concedere la misura cautelare il
giudice non potrà prescindere dal motivare anche sulla gravità ed
irreparabilità del pregiudizio all’impresa del ricorrente, il cui interesse
dovrà comunque essere comparato con quello del soggetto aggiudicatore alla celere
prosecuzione delle procedure; c) per quanto non espressamente previsto dal
presente articolo si applicano le disposizioni dell’articolo 23-bis della legge 6 dicembre 1971, n.
1034.
[31]
Art. 1, comma 6 della Legge 21 dicembre 2001, n. 443.
[32] Art. 13, commi 7 e 8
della legge 1 agosto 2002, n. 166, che così modifica il comma 12 dell’art. 1,
Legge 21 dicembre 2001, n. 443: “Le disposizioni di cui al comma 6 si applicano
nelle regioni a statuto ordinario a decorrere dal novantesimo giorno dalla data
di entrata in vigore della presente legge, salvo
che le leggi regionali emanate prima dell’entrata in vigore della presente
legge siano già conformi a quanto previsto dalle lettere a), b), c) e d) del
medesimo comma 6, anche disponendo eventuali categorie aggiuntive e differenti
presupposti urbanistici. Le regioni a statuto ordinario possono ampliare o
ridurre l’ambito applicativo delle disposizioni di cui al periodo precedente.”
Questa fattispecie, come ricordato nel precedente Rapporto, era stata esclusa
dalla Sentenza della Cassazione penale, sez. III, 24 luglio 2001 n. 204.
·
Alessandra Oppio ha partecipato alla stesura di questa sezione del Rapporto,
nella quale sono esposti i risultati di una recente indagine svolta dalla
medesima nell’ambito delle attività dell’Osservatorio
sul governo del territorio, che abbiamo voluto istituire presso il
dipartimento BEST (Building &
Environment Science & Technology) del Politecnico di Milano. Al
proposito, si ricorda che Corrado Baldi è responsabile del monitoraggio delle
politiche in materia di lavori pubblici.
[33]
Questo dato è riferito al periodo 15 luglio - 6 settembre 2002.
[34]
Va rilevato che a volte le ragioni di questo ritardo dipendono, più che da una
scelta politica, dalle difficoltà incontrate nell’attivazione di un sistema di
raccolta e trattamento dei dati. Un caso emblematico è quello del comune di
Milano, che, con rilevanti atti deliberativi, è stato tra i primi a porsi –
raggiungendolo – l’obiettivo di limitare sensibilmente i tempi di completamento
delle procedure di formazione e di approvazione degli strumenti urbanistici
attuativi.
[35]
Questo raggruppamento è stato effettuato in sette classi, rispettivamente
riferite ai seguenti intervalli temporali: classe
1 £
12 mesi; 12 mesi < classe 2 <
24 mesi; 12 mesi < classe 2 £
24 mesi; 24 mesi < classe 3 £
36 mesi; 36 mesi < classe 4 £
48 mesi; 48 mesi < classe 5 £
72 mesi; 72 mesi < classe 6 £
96 mesi; classe 7 >
96 mesi.
[36]
Al proposito, va rilevato il contributo di alcune legislazioni regionali nella
riduzione di tale termine, a cominciare dalla Campania, che – con la legge
regionale 29 novembre 2001, n. 19 – prevede il dimezzamento dei tempi di attesa
per il rilascio, o il diniego, delle concessioni edilizie, a 30 giorni anziché
agli attuali 60, senza deroghe neanche per i comuni al di sopra di 100.000
abitanti, per i quali le normative statali ne prevedono 120 (cfr. legge 4
dicembre 1993, n. 493 e s.m.i.).
[37]
Dei tre comuni del campione, con popolazione superiore ai 100.000 abitanti,
soltanto Prato supera tale termine, riuscendo comunque a non superare i 120
giorni. Non si può poi non riconoscere il fatto che gli altri comuni capoluogo,
che hanno restituito i questionari, con popolazione di poco inferiore ai
100.000 abitanti, si ritrovano nelle classi per le quali l’intervallo è
compreso tra 60 e 90 giorni (Vicenza, Udine e Gorizia) e “persino” in quello
compreso tra 30 e 60 giorni (Bolzano e Lecce). Primeggia al riguardo il comune
di Treviso che, pur avendo una popolazione di circa 80.000 abitanti, completa
le procedure di rilascio delle concessioni in un tempo medio inferiore ai 30
giorni.
[38]
Questa affermazione tiene conto anche dell’effetto di slittamento dei termini,
dovuto ai casi di interruzione del procedimento per la incompletezza delle
informazioni fornite dai professionisti all’atto della presentazione della
pratica.
[39]
Sono stati collocati nella classe 5 anche i comuni di Modena e Udine con websites molto vicini al punteggio
massimo, nonché – elencati in ordine decrescente – i comuni di Bolzano, Parma,
Roma, Selargius (CA), Siena, Torino, Venezia. Per questi ultimi casi il livello
di soddisfazione si discosta da quello massimo per uno scarto di circa il 15%.
[40]
Questa verifica è stata condotta con particolare riferimento ai websites di Amsterdam, Berlino,
Helsinki, Londra, Lisbona, Madrid e Parigi.
[41]
Cfr. legge regionale 16 gennaio 1995, n. 5 – Norme per il governo del territorio – e s.m.i.
[42] 1. Piemonte; 2. Liguria;
3. Valdaosta; 4. Lombardia; 5. Trentino Alto Adige; 6. Friuli Venezia Giulia;
7. Veneto; 8. Emilia Romagna; 9.
Toscana; 10. Lazio; 11. Marche; 12. Umbria; 13. Sardegna; 14. Abruzzo; 15.
Molise; 16. Campania; 17. Puglia; 18.
Basilicata; 19. Calabria; 20. Sicilia.
[43]
Al proposito, si precisa che nell’attribuzione dei punteggi hanno assunto un
ruolo determinante questi principali elementi: a) l’accesso agli atti deliberativi garantito mediante la
consultazione di una banca dati aperta a diversi percorsi di ricerca (tipo di
documento, data, numero, parole chiave), a partire dall’ultimo decennio; b)
la pronta diffusione – quale forma di conoscenza e di partecipazione – degli
studi inerenti ai principali problemi di assetto e funzionamento del sistema
territoriale (aspetti normativi-culturali, organizzativi-funzionali e fisici),
nonché dei documenti inerenti alle politiche in atto e ai progetti in corso di
definizione; c) l’apertura ai
contributi critici e/o propositivi del cittadino, non limitata al solo momento
dell’inoltro delle istanze ma resa più efficace dall’attivazione del forum; d) la possibilità di notevole riduzione
dei tempi di presentazione delle pratiche edilizie, con un conseguente effetto
di certezza sul modo richiesto per la loro definizione, consentita non soltanto
dalla disponibilità in rete della modulistica, ma anche e soprattutto da informazioni
complete (cartografia e norme) inerenti alle previsioni urbanistiche e ai
regolamenti edilizi e d’igiene. E ciò con un indubbio valore aggiunto dato
dalla indicazione dei nominativi dei funzionari a cui rivolgersi per
l’ottenimento di ogni ulteriore ausilio. e)
l’istituzione di banche dati sulle pratiche edilizie ai fini di una ricerca in
tempo reale delle informazioni sull’iter di approvazione delle pratiche.
[44]
Cremona, Como, Milano, Pesaro, Napoli, Firenze e Genova, indicati in rapporto
all’ordine decrescente dei livelli di soddisfacimento.
[45]
Firenze, Genova, Milano, Napoli, Pesaro.
[46]
Mantova, Crotone, Ancona, Grosseto, Ragusa, Pescara, Pordenone, Ferrara, Imola,
Ravenna, Piacenza, Massa, L’Aquila, Trento, Brescia, Caserta, Bergamo e
Trieste, sempre in ordine decrescente del livello di soddisfacimento.
[47]
Agrigento, Alessandria, Aosta, Bari, Brindisi, Carrara, Catanzaro, Chieti, Enna, Foggia, Imperia, Macerata, Matera, Oristano, Reggio Calabria, Savona,
Sondrio, Terni, Trapani, Vercelli, Vibo Valentia. Va rilevato che nonostante
ciò nove di questi comuni dimostrano l’attenzione verso il problema
dell’ascolto del cittadino, con il comune di Chieti che conquista un punteggio
di quasi complessivo soddisfacimento rispetto tale obiettivo. Più precisamente gli
altri comuni, indicati in rapporto all’ordine decrescente del livello di
soddisfacimento, sono Brindisi, Matera, Trapani, nonché , a parità di
punteggio, Enna, Macerata, Reggio Calabria, Sondrio e Vibo Valentia.
[48]
Non arriva ad affiancare Livorno, Pisa e Prato soltanto per aver sottovalutato
la rilevanza dell’accesso alle informazioni sull’iter di approvazione delle
pratiche edilizie.
[49]
Questo discorso non riguarda il comune di Follonica che ha soddisfatto tale
obiettivo nel modo più completo. A proposito, non si può sottacere la
difficoltà di andare in tale direzione per problemi di bilancio.
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