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AMMINISTRAZIONE E GESTIONE DEL TERRITORIO

di Sergio Mattia

 

 

1. Parte prima: politiche in atto 

1.1. Sviluppo sostenibile

La verifica dell’efficienza ed efficacia delle politiche in atto[1] non può che partire dalla constatazione che il momento della individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti strategici viene vincolato alla prevalente finalità del riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale[2]. Questa impostazione appare inopportuna, in quanto non riconosce interamente l’idea multidimensionale dello sviluppo sostenibile e, di conseguenza, è suscettiva di impedire l’assicurazione di un assetto armonico del territorio, in risposta alle istanze compresenti e generalmente conflittuali di sviluppo economico, tutela ambientale e equità sociale.

Non si vuole in tal modo disconoscere che l’azione avviata in questo ambito dal nuovo Governo risponda, in una logica innovativa sotto molteplici aspetti operativi, all’esigenza di intervenire con la dovuta urgenza per evitare l’aggravarsi dei divari regionali[3] che hanno condizionato la crescita economica del nostro paese, con un’alternanza tra le fasi “estensive” e “intensive” di utilizzazione della forza lavoro[4] sensibilmente influenzata, nel periodo più recente, dal fenomeno della mondializzazione dell’economia. Questa finalità non contrasta, peraltro, con le motivazioni etiche poste a fondamento del concetto di “sviluppo sostenibile”, le quali portano a ritenere corretto lo sviluppo economico finalizzato al soddisfacimento dei bisogni di importanza primaria dei gruppi sociali più poveri e, quindi, tale da tutelare il diritto al miglioramento della qualità della vita mediante il perseguimento di un obiettivo essenziale anche per l’espansione delle libertà umane[5]. Inoltre, non va sottaciuto che gli interventi da tempo attesi per la riduzione delle carenze strutturali non sono soltanto riferibili alle esigenze di potenziamento e riequilibrio del sistema produttivo ma riguardano anche molteplici altre sfere del benessere sociale, direttamente o indirettamente correlate al bisogno di disponibilità e qualità dei beni territoriali e dei sevizi.

Della triade sviluppo economico, tutela ambientale e equità sociale, rischia di essere posto in subordine l’obiettivo ecologico-ambientale[6].

Lo sviluppo sbilanciato in una tale direzione non può essere considerato realmente tale. Oltre alle interdipendenze in gran parte dimostrate tra il sistema economico e quello naturale con l’evidenziazione dei rischi di impoverimento derivanti dallo sfruttamento non controllato delle risorse ambientali, non si possono infatti ignorare i costi sociali, umani e culturali dovuti al peggioramento della qualità del paesaggio urbano o extra-urbano[7]. In ogni caso, non vi è alcun dubbio che la ridotta attenzione verso il problema ambientale costituisca una lesione al diritto di ogni individuo a non vedere posti in giuoco i valori percepiti nel rapporto con un dato territorio, in assenza di motivate ragioni di pubblico interesse e, quindi, di una attenta definizione della più appropriata strategia di intervento.

Ciò che crea le prime e motivate preoccupazioni al riguardo è il fatto che il Governo abbia posto, come principio guida per le politiche territoriali, l’opera in sé, precisando che la sua identificazione come obiettivo strategico comporta la legittimazione politica e giuridica del superamento delle leggi che ne potrebbero impedire o rallentare la realizzazione, fermi restando i principi comunitari, i principi costituzionali e i principi del codice penale[8].

Questa idea si rafforza nella lettura delle disposizioni[9] che riformano – limitatamente alle infrastrutture pubbliche e private, nonché agli insediamenti produttivi strategici e di preliminare interesse nazionale – le procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA) e l’autorizzazione integrata ambientale”[10]. Il tutto in una cornice che – pur rispondendo all’esigenza di semplificazione ed accelerazione delle procedure di localizzazione delle opere e di approvazione/abilitazione dei progetti – presenta molteplici profili di inadeguatezza sia rispetto allo svolgimento di un’approfondita istruttoria, sia per quanto riguarda la “consapevole” e non autoritativa assunzione delle decisioni[11].

 

1.2. Forme di concorsualità e di partnerariato pubblico/privato

Rispetto alla valutazione insoddisfacente degli obiettivi posti a fondamento della strategia di modernizzazione strutturale, un giudizio complessivamente positivo meritano le disposizioni che tendono a porre fine al ruolo improprio e troppo a lungo svolto dallo Stato nella realizzazione delle opere pubbliche.

Senza perdere di vista il fatto che il problema delle opere pubbliche va ricondotto nell’ambito di una tematica allargata al governo dei processi di trasformazione della città e del territorio, al modello “dirigista” dello Stato-appaltatore viene decisamente ri-affiancato quello “liberista” dello Stato-regolatore, che preferisce limitare l’utilizzo del capitale pubblico ai soli casi in cui vi sia una effettiva necessità di assicurare l’equilibrio economico-finanziario dei progetti, ferma restando la propria funzione di indirizzo e di governo del cambiamento. Questa governance moderna è proposta secondo principi e criteri direttivi aventi lo scopo di accelerare la realizzazione delle opere e di sottrarle in parte al regime  panpubblicistico, fermo il rispetto degli obblighi comunitari in tema di evidenza pubblica e concorrenza, nonché favorendo un più ampio ricorso allo strumento del project financing, al fine di limitare l’onere “tout court” dell’investimento pubblico nell’età della crisi del “welfare state”[12].

In una posizione centrale di tale politica è, quindi, posta l’economia imprenditoriale[13]. All’Impresa viene interamente riconosciuta la capacità di creare valore nel combinare, a proprio rischio, i molteplici fattori produttivi. La principale agevolazione che lo Stato concede in una tale attività è quella della sua partecipazione, attraverso la  “Infrastrutture Spa”,  al finanziamento dei progetti sulle durate superiori ai dieci anni al fine di renderli “bancabili” nell’ambito delle operazioni definite mediante gli strumenti di finanza strutturata[14]. Di non minore rilevanza e sempre rivolte a rendere più agevole il ricorso a tali strumenti sono le numerose modifiche alla disciplina del project financing, introdotte dall’art. 7 della legge 1 agosto 2002, n. 166[15].

Sotto quest’ultimo profilo, merita attenzione il modello[16] che consente la partecipazione dei soggetti promotori pubblici[17] o privati alla fase di programmazione dei lavori pubblici[18], con la presentazione di proposte di intervento relative alla realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità, nonché di studi di fattibilità. Questo coraggioso[19] allargamento del ruolo della finanza di progetto è suscettivo, infatti, di determinare un radicale cambiamento del sistema dei lavori pubblici. Il momento della programmazione verrebbe a mano a mano orientato verso un processo aperto di individuazione dei bisogni, non più vincolato (e reso inevitabilmente inefficiente) ad un unico riferimento costituito dal quadro restituito dagli studi di identificazione e quantificazione dei bisogni dal solo punto di vista dei soggetti attuatori degli interventi[20]. La limitazione degli effetti di una tale distorsione diventerebbe essenziale per assicurare una condizione di sostanziale eguaglianza tra bisogno collettivo e sommatoria algebrica di bisogni individuali. In ogni modo, sembra necessario il perfezionamento dell’attuale articolato con l’introduzione di disposizioni che attribuiscano un giusto spazio al bisogno collettivo di consultazione e negoziazione[21].

 

1.3. Interessi fondiari e modello perequativo

In un quadro che si rivela ampiamente incentrato sui contributi che le tecniche bancarie di finanza strutturata sono in grado di offrire nella realizzazione di rilevanti interventi di pubblica utilità, sorprende il perdurare dell’atteggiamento di chiusura verso il ricorso ad analoghe forme di concorsualità nel settore dell’urbanistica. In una direzione ben diversa e non dissimile dalle altre forme di programmazione complessa[22] sin ora sperimentate si muovono, infatti, i “Programmi di riabilitazione urbana”, introdotti all’art. 27 della legge 1 agosto 2002, n. 166.

Non può sfuggire la rilevanza dell’applicazione di questo nuovo approccio (urbanistica concorsuale), per la sua capacità di assicurare lo sviluppo di un processo decisionale rivolto a  stabilire, secondo regole certe e sotto il vincolo del contenimento degli investimenti pubblici, la correttezza dell’equilibrio economico e finanziario degli interventi, nell’osservanza del contesto normativo desumibile dall’ordinamento comunitario e dai conseguenti principi della parità di trattamento fra gli operatori economici. E ciò, con l’ulteriore beneficio consistente nella limitazione dell’alterazione della tensione concorrenziale per i proprietari-imprenditori operanti nel medesimo settore economico, che viceversa può verificarsi a fronte di una irragionevole ed arbitraria concentrazione, in un contesto territoriale omogeneo, della facoltà edificatoria in capo ad un soggetto e a detrimento dell’altro.

Le scelte avverrebbero, peraltro, in presenza di un quadro conoscitivo ampio, costituito da una pluralità di alternative di intervento generate nel riferimento ad un medesimo ambito territoriale. Il tutto secondo procedure tali da garantire, insieme alla piena autonomia del decisore, le più ampie possibilità di perseguimento del maggior consenso delle comunità interessate mediante l’equità nella distribuzione dei vantaggi connessi alla trasformazione del territorio. L’automatica esclusione dalla catena di decisione dell’anello costituito dalle reti private di potere e di influenza riconducibili agli interessi fondiari non penalizzerebbe affatto la proprietà immobiliare, tutelata sotto ogni aspetto da appropriate norme di perequazione urbanistica[23].

 

1.4. Procedimenti espropriativi e principi costituzionali di eguaglianza

 In questo contesto, va evidenziata in tutta la sua negatività il ritorno alla logica puramente emergenziale in materia espropriativa, con il reiterato rinvio[24] dell’entrata in vigore del nuovo T.U.[25] – nonché l’introduzione di alcune deroghe, modifiche e integrazioni[26] – che aveva creato non pochi motivi di giusta soddisfazione rispetto alle attese, sistematicamente promesse ma sempre deluse, di una razionalizzazione delle procedure e di sistemazione degli effetti di una legislazione divenuta autoritaria.

La concreta portata di questo ritorno al passato va colta, in particolare, riflettendo sulla questione che maggiormente aveva consentito una tale degenerazione. Con il mantenimento “in vita” dell’istituto dell’occupazione d’urgenza[27], tornerebbe a prevalere il principio della “mano che nasconde”. Ossia, l’idea che una sottostima del fabbisogno finanziario per il raggiungimento dell’obiettivo (in tal caso, la realizzazione dell’opera pubblica) possa  essere compensato dalla capacità di dare una successiva risposta “creativa” alle eventuali difficoltà. Anche per effetto delle stringenti disposizioni in materia di stima dei costi di esecuzione delle opere, questa capacità continuerà a svilupparsi – anziché a livello progettuale[28] o nelle fasi di affidamento e di esecuzione dei lavori – proprio nei momenti della determinazione provvisoria delle indennità. Un tale atteggiamento sarà avvalorato dalla convinzione – oramai ampiamente radicata nel nostro paese – che la proprietà fondiaria è destinata ad essere sacrificata in onore dell’opera pubblica e che le responsabilità individuali difficilmente saranno punite, in quanto molta polvere si sedimenterà sulle pratiche di esproprio e i pubblici poteri continueranno sempre ad intervenire per evitare problemi all’erario.

Le nostre perplessità aumentano nella constatazione che la stessa proprietà viene ulteriormente indebolita sia per effetto delle limitazioni alla sua partecipazione a rilevanti fasi della procedura  espropriativa, sia nella stessa facoltà di tutelare i propri diritti davanti ai Tribunali amministrativi. Le disposizioni inerenti a quest’ultima fattispecie[29] esaltano l’idea della prevalenza dell’interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell’opera rispetto a tutti gli interessi lesi[30].

 

1.5. Tutela della Baufreuheit

A questo livello, si rileva che un primo ma decisivo passo in avanti è stato compiuto per la semplificazione delle procedure di abilitazione dei progetti edilizi, mediante la reintroduzione[31] di uno spazio di scelta, per il soggetto privato interessato alla esecuzione dell’intervento, fra l’attesa del rilascio di un titolo abilitativo espresso (concessione o autorizzazione edilizia) e il ricorso all’istituto della denunzia di inizio di attività (D.I.A.), con l’assunzione diretta della responsabilità nell’interpretazione ed applicazione della normativa vigente alla singola fattispecie.

La disposizione – che di fatto reintroduce le leggi regionali che avevano previsto una generale estensione di questa disciplina a tutti gli interventi edilizi conformi alla vigente legislazione urbanistica comunale[32] - costituisce peraltro un premessa per il definitivo riconoscimento della potestà legislativa delle Regioni rispetto a tale materia, consentendo in definitiva il superamento in sede locale della rigidità delle definizioni in materia di qualificazione degli interventi edilizi presenti nella legislazione statale.

 

2. Parte seconda: tempestività e trasparenza dell’azione amministrativa·

2.1. Caratteristiche del campione e modalità di raccolta dei dati

 La raccolta dei dati per la misurazione, nelle direzioni che preciseremo più avanti, di questi due indicatori del grado di liberismo è avvenuta nella considerazione di un campione composto da 300 comuni, individuati secondo i criteri della localizzazione geografica e della dimensione demografica. Più precisamente, la ripartizione è avvenuta in parti uguali tra il nord, il centro e il sud, in una definizione dei singoli comuni per le seguenti fasce di popolazione: inferiore a 30.000 abitanti, tra 30.000 e 70.000, tra 70.000 e 150.000, nonché superiore ai 150.000. In tale campione sono stati altresì ricompresi tutti i capoluoghi di provincia. Un ulteriore chiarimento riguarda il fatto che in questa opera di selezione una particolare attenzione è stata rivolta alla dotazione di siti internet per la comunicazione delle informazioni sulle attività amministrative (reti civiche).

L’indagine è stata condotta a questi due livelli.

Il primo ha riguardato il grado di efficienza dell’azione amministrativa nei processi di formazione e approvazione degli strumenti urbanistici generali e attuativi, in termini di tempestività della risposta rispetto alle attese del cittadino di conoscere i propri diritti di edificazione dei suoli e di trasformazione delle costruzioni esistenti, nonché i più generali caratteri dell’organizzazione funzionale ed economica del territorio comunale. Il tutto anche in rapporto all’esigenza di vedere salvaguardata la Baufreiheit (libertà di costruire entro i limiti dettati nell’interesse generale) nell’accelerazione dei processi di abilitazione dei progetti mediante i provvedimenti di rilascio delle concessioni e/o autorizzazioni edilizie. E ciò anche nella considerazione dei nuovi spazi offerti dalle più recenti disposizioni di legge in materia di ricorso all’istituto della D.I.A. richiamate nel precedente paragrafo. Le informazioni sono state ottenute nel diretto coinvolgimento di tutti i comuni facenti parte del campione, mediante l’invio di un apposito questionario.

Con un approccio profondamente diverso si è, invece, definita la connessione tra le politiche del territorio e l’aspettativa del cittadino di venirne a conoscenza in ”tempi reali”. La garanzia di trasparenza dei processi decisionali in tali termini è stata verificata mediante la formulazione di giudizi sui dati forniti dalle reti civiche in materia di: a) facilità nell’individuazione delle procedure e degli uffici a cui rivolgersi; b) accesso, disponibilità e qualità delle informazioni; c) tempestività delle risposte; d) soglie di soddisfacimento; e) punti di criticità e aspettative di miglioramento; f) partecipazione e ascolto. I punteggi attribuiti a ciascun criterio, secondo l’approccio del termometro vicinanza-lontananza, sono stati infine trasformati in un unico e complessivo giudizio mediante la tecnica della sommatoria pesata.  Gli esiti di tale lavoro sono stati raggruppati in cinque classi di soddisfacimento, poste in ordine crescente in relazione all’incremento del grado di trasparenza dei comportamenti. Rispetto a queste stesse classi sono stati ordinati i dati raccolti mediante l’uso dei questionari inerenti alla tempestività dell’azione amministrativa nelle procedure di pianificazione fisica e di abilitazione dei progetti. Il tutto nella precisazione che, a partire dalla scarsa propensione a restituire il questionario, l’esito di una tale indagine non può essere ritenuto soddisfacente.

 

2.2. Tempestività nelle procedure di formazione e di  approvazione degli strumenti urbanistici

Il primo aspetto che va colto è la conferma della mancata maturazione di una adeguata attenzione verso questa problematica, che si trae proprio riflettendo sulla percentuale dei questionari restituiti (14%)[33], nonostante l’avvio di un significativo processo per il riassetto delle strutture organizzative degli enti locali. Questa idea viene, in particolare, avvalorata dai dati inerenti ai comuni per i quali si è rilevato un buon livello di trasparenza dei websites (23%). In tali casi, la mancata partecipazione all’inchiesta trova una spiegazione nella constatazione che le informazioni richieste con i questionari non sono poste in rete, ad esclusione di Bologna e Prato per i soli dati inerenti alla tempestività nelle procedure di abilitazione dei progetti[34].

La scomposizione del dato per macroregioni geografiche rafforza i motivi di allarme rispetto ai rischi di estensione del divario regionale oltre i confini di natura strettamente economica. La disponibilità a rendere conto dell’attività amministrativa, in un settore ritenuto essenziale per la tutela dei diritti del cittadino, decresce progressivamente nel passaggio dal nord del paese (21%) alle regioni del centro (15%) e del sud (9%), sino a divenire persino nulla per le isole.

Pur nella limitatezza del campione, i dati pervenuti sono tali da confermare l’urgenza di un definitivo superamento del tradizionale sistema di pianificazione “a cascata”.

Non si tratta, infatti, di porre rimedio alle sole ragioni che rendono l’atto amministrativo di formazione e approvazione degli strumenti urbanistici generali, oltre che “autoritativo”, privo di adeguate garanzie sulla tempestività delle decisioni rispetto al rapido succedersi dei cambiamenti degli scenari in una economia evoluta. In tutta la sua rilevanza va affrontato il problema dell’equità delle decisioni.

Se, da un lato, appare naturale il contenimento dei tempi – pur sempre lunghi – di conclusione del procedimento con la scelta di imboccare la strada della variante generale al piano regolatore, anziché quella di una sua nuova redazione, dall’altro lato, sono indicatori dei rischi di inserimento di elementi di distorsione del processo decisionale il tempo relativamente “breve” impiegato per portare a termine le varianti puntuali, nonché la frequenza delle medesime. In effetti, non può che destare preoccupazione il dato inerente all’appartenenza di ben 34 varianti puntuali su 39 alla classe temporale 1[35], riferita ad un periodo non superiore a 12 mesi. Coerenti con gli obiettivi delle forme di programmazione complessa e/o negoziata si rivelano i dati relativi alla tempestività di tali atti. Il procedimento si conclude per l’82% dei casi entro i 24 mesi.

 

2.3. Tempestività nelle procedure di abilitazione dei progetti

In questo quadro, un certo sollievo si prova nel vedere sostanzialmente contenuti nei termini stabiliti dalla vigente legislazione[36] i tempi per il completamento del procedimento in materia di rilascio delle concessioni edilizie. Nonostante la possibilità, ancora generalmente prevista, del raddoppio del periodo minimo per l’emanazione del provvedimento amministrativo, anche i comuni ricadenti in tale fattispecie (popolazione superiore a 100.000 ab.) dimostrano di essersi dati una organizzazione tale da rendere mediamente inferiore a 90 giorni la durata dell’iter di approvazione delle pratiche[37]. Questo stesso giudizio non può che riguardare anche il comune di Bologna che, pur non avendo provveduto a restituire il questionario, nel proprio sito internet indica in 80 giorni il tempo medio per le concessioni, nonché in 45 giorni quello per le autorizzazioni edilizie. Il tutto, ponendo in evidenza che la propria azione al riguardo è stata avviata sin dal 1993, con l’abbattimento della precedente durata di 11 mesi, prima a 8-7 mesi (1993-1994) e poi a circa 3 mesi (1995-1996), sino a raggiungere l’attuale grado di tempestività.

Insorgono alcune perplessità di fronte alla constatazione che la quasi totalità dei comuni di minore dimensione abbia prestato una limitata attenzione al perseguimento di tale obiettivo. Pur collocandosi, salvo rare eccezioni, all’interno del limite stabilito dalla legge[38], questi comuni superano i 30 giorni. Tale termine, sicuramente sufficiente per l’esame di una pratica edilizia, dovrebbe essere imposto al più presto dal legislatore, al fine di stimolare l’orientamento dei comuni verso l’impostazione di una pubblica amministrazione “leggera” e volta al servizio del cittadino, mediante nuovi modelli organizzativi.

La capacità di agire potrebbe essere migliorata soprattutto mediante la definizione di norme in materia di individuazione di soggetti esterni alle amministrazioni comunali, secondo la logica già applicata al momento della validazione dei progetti di opere pubbliche. Il raggiungimento di un tale traguardo eviterebbe peraltro la stessa ragione d’essere del duplice canale di abilitazione dei progetti (D.I.A. o concessione/ autorizzazione edilizia). È auspicabile che sull’onda di un tale cambiamento sia stabilita – come avviene, ad esempio, da tempo in Francia – l’abolizione del momento abilitativo dei progetti mediante atto amministrativo, ferme restando la più ampia possibilità di controllo pubblico del rispetto di ogni vincolo posto a tutela dell’interesse diffuso nei processi edilizi, nonché la facoltà dei promotori degli interventi privati di avvalersi dei soggetti esterni abilitati alla validazione dei progetti, in relazione ad una autonoma esigenza di verifica del rispetto del quadro legislativo e normativo di riferimento nell’operato dei professionisti incaricati.

 

2.4. Qualità e completezza delle reti civiche

Come si è anticipato alla fine del paragrafo introduttivo, la capacità delle reti civiche di soddisfare il bisogno del cittadino di venire a conoscenza in “tempi reali” delle informazioni inerenti all’attività amministrativa è stata verificata mediante la logica dell’analisi multicriteria. Va da subito precisato che le informazioni ritrovate all’interno di ogni sito sono state ricondotte all’interno dei seguenti sei criteri: modulistica (0,05), accesso ai dati comunali (0,30), cartografia pianificazione fisica (0,15), linea diretta e forum (0,15), approvazione delle pratiche edilizie (0,10), informazioni sullo stato del territorio e sugli atti inerenti al governo del territorio (0,25). I numeri indicati tra parentesi indicano i pesi applicati ad ogni criterio per la formulazione del giudizio complessivo in materia di trasparenza dei websites.

In una tale impostazione, l’analisi ha fornito interessanti indicazioni, a partire dalla presenza di informazioni complete e facilmente consultabili in ben tre casi (Livorno, Pisa e Prato)[39], che portano a considerare la classe 5 di rilevanza assoluta, anziché relativa alla sola situazione italiana[40], nel rappresentare il livello di massimo soddisfacimento del bisogno di tale trasparenza dell’azione amministrativa.

La capacità di risposta alle esigenze di trasparenza di questi tre comuni non sorprende, in quanto coerente con molteplici altri aspetti di novità presenti nella legislazione della regione Toscana nell’ambito dell’affermazione del diritto di partecipazione, nonché nel più generale riconoscimento dell’esigenza di libertà del cittadino[41].

 

Questo giudizio non vuole, tuttavia, portare a ritenere che una tale correlazione sia l’unico elemento per stabilire un ordinamento, secondo questa medesima ottica, della rilevanza della legislazione urbanistica regionale. In ogni caso, si ritiene opportuno fornire, con la figura 5,  l’immagine del dato per regioni amministrative nella precisazione che i codici di ogni regione sono indicati nella presente nota[42]. L’intenzione è anche di stimolare la riflessione sul tema della trasparenza da parte degli enti locali di quelle regioni sicuramente all’avanguardia sul fronte della innovazione dei modelli di governo del territorio, con l’auspicio di un loro rapido allineamento nell’azione amministrativa anche a tale livello.

A questo fine, giova segnalare che l’inserimento in ogni singola classe di soddisfacimento dei websites comunali è dipeso, oltre che dalla natura e dal peso dei criteri, dalla formulazione di giudizi di valore non limitati alla semplice constatazione della presenza o assenza dell’attributo richiesto, ma concretizzatisi nell’attribuzione di punteggi compresi tra 0 e 10 e, quindi, tali da segnalare, pur nella soggettività della percezione della realtà osservata, il grado di soddisfacimento di ogni singola esigenza così come rappresentata dal criterio stesso[43]. Il tutto in una continua attenzione nei confronti del possesso di un ulteriore e più generale requisito costituito dalla facilità e rapidità di accesso alle informazioni.

Proprio in rapporto a questa ampia considerazione delle diversità sussistenti tra i diversi websites rispetto ad ogni criterio, si ritiene necessario fornire una rappresentazione meno sfocata di quanto rilevato, soffermandosi sulle ragioni che maggiormente hanno inciso nel determinare il mancato ingresso di molti comuni nella classe 5 di massimo soddisfacimento. Questo approfondimento riguarderà, in particolare, i capoluoghi di provincia. Il modo in cui il fenomeno si disaggrega rispetto ai singoli criteri, nei comuni rientrati nelle classi 4 e 3, sarà invece mostrato direttamente nelle figure 8 – 13.

Per i sette capoluoghi[44] ricaduti nelle classe di soddisfacimento 4, le principali criticità riguardano le tematiche della disponibilità delle informazioni inerenti alle procedure, nonché dell’apertura a contributi del cittadino mediante l’attivazione del forum. In ben cinque casi[45] tale disattenzione risulta totale nei confronti dell’iter di approvazione dei procedimenti edilizi. Una tale criticità permane nel passaggio ai dati inerenti alla terza classe[46], con una decisa manifestazione del problema dell’accesso ai dati inerenti agli atti. L’obiettivo della trasparenza viene complessivamente disatteso, pur se con qualche eccezione rispetto alle informazioni sul governo del territorio, dai rimanenti capoluoghi, che si collocano nelle classi due e uno, con queste rispettive incidenze percentuali 20% e 40%. E questo nella ulteriore precisazione che il 50% di quelli rientranti nella classe 1 sono dotati di website contenente informazioni di carattere generale[47].

In questo quadro, fa piacere poter segnalare che dimostrano attenzione ai rapporti con l’utenza non pochi comuni di minore rilievo. Oltre a Selargius, che si colloca, come già rilevato in nota, nella classe di maggiore soddisfacimento[48], si ricordano tutti i comuni della classe 4: Jesi, Follonica, Empoli, Sesto Fiorentino, Montepulciano e Vittorio Veneto. L’aspetto che va maggiormente sottolineato, che porta a determinare il posizionamento di questi ultimi in tale classe, riguarda la mancata messa in rete della cartografia inerente alle previsioni urbanistiche, nonché agli studi sia riferiti alla natura e al funzionamento del sistema territoriale[49].  Il tutto nella precisazione che anche per tali comuni si presentano, sia pure in termini meno accentuati, gli stessi elementi di criticità indicati per i capoluoghi di provincia.

3. Valutazioni conclusive

Il quadro normativo delineatosi nella prima fase della XIV legislatura presenta alcuni interventi innovativi rivolti al potenziamento dell’offerta di beni e servizi di pubblica utilità, funzionali a produrre significativi effetti sul tessuto economico, sia rispetto alla riduzione degli squilibri regionali che al superamento del modello dello Stato-imprenditore.

Tra i diversi aspetti problematici, è lecito avanzare alcune perplessità rispetto alla tutela degli interessi diffusi. L’aspetto che più colpisce è dato dal fatto che non siano stati posti a fondamento delle politiche di modernizzazione infrastrutturale i principi dell’economia sostenibile, con i conseguenti rischi di non vedere prestata la dovuta attenzione nei confronti del problema ambientale. A queste perplessità si aggiungono motivi di forte disappunto, nel momento in cui il grado di liberismo dell’attività del nuovo governo viene misurato anche nella direzione della tutela dei diritti della proprietà fondiaria nei procedimenti espropriativi. Il ritorno alla logica puramente emergenziale in tale campo rischia, peraltro, di far dubitare sulla reale volontà di assicurare l’applicazione – come strumento di riforma delle politiche territoriali – della sussidiarietà orizzontale, nel pieno rispetto delle regole dell’economia imprenditoriale, instancabilmente insegnate da Einaudi.

La situazione è allo stesso modo complessa sul versante della pianificazione fisica. Se si vuole il più possibile salvaguardare le libertà individuali, alcune scelte di fondo vanno operate per assicurare – mediante una legge cornice “leggera” – il definitivo superamento dell’attuale modello autoritativo a cascata. Il tutto nella individuazione di strumenti capaci di assicurare il governo del territorio secondo regole certe e procedure flessibili, caratterizzate dai requisiti di tempestività, trasparenza, efficienza, equità e correttezza delle decisioni. Nel contesto che verrà a determinarsi, uno scopo da non sottovalutare dovrebbe  riguardare l’estensione/implementazione dei websites, in risposta alle esigenze di informazione, di partecipazione e di ascolto del cittadino.

 

Note.



[1] Più precisamente, seguendo le linee tracciate nel rapporto dello scorso anno, si farà principalmente riferimento ad alcune innovazioni del quadro normativo introdotte dalle seguenti disposizioni: legge 21 dicembre 2001, n. 443 – Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive;  legge 31 luglio 2002, n. 179 – Disposizioni in materia ambientale; legge 1 agosto 2002, n. 166 – Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti; decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 – Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale.

[2] Per completezza, si trascrive qui di seguito il testo integrale di tale disposizione, inserita al comma 1 dell’art. 1 della Legge 21 dicembre 2001, n. 443, con l’avvertenza che in corsivo è riportata l’integrazione introdotta con l’art. 13, comma 3, della Legge 1 agosto 2002, n. 166: “Nell’individuare le infrastrutture e gli insediamenti strategici di cui al presente comma il Governo procede secondo finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale, nonché ai fini di garanzia della sicurezza strategica e di contenimento dei costi dell’approvvigionamento energetico del Paese e per l’adeguamento della strategia nazionale a quella comunitaria delle infrastrutture e della gestione dei servizi pubblici locali di difesa dell’ambiente.”

[3] Va osservato che una recente indagine sui livelli occupazionali nei paesi Ue ha stabilito che ben cinque regioni italiane [Calabria (24,8%), Campania (22,4%), Sicilia (20,8%), Sardegna (19,1%) e Basilicata (15,7%)] si collocano tra le ultime dieci a più elevato tasso di disoccupazione. Ancora più preoccupante è il dato inerente al rapporto tra i tassi massimi (24,8) e minimi (3) di disoccupazione: non soltanto è il più elevato (8,1) ma supera notevolmente il valore medio (3) inerente agli altri paesi.  Fonte: Il Sole24Ore 7.08.2002.

[4] “Queste due fasi corrispondono a differenti strategie di sviluppo messe in atto dai settori e dai gruppi sociali di volta in volta egemoni. Le fasi estensive sono caratterizzate da uno sviluppo in cui il rapporto capitale/lavoro cresce moderatamente e, in cui, l’occupazione totale è crescente. Le fasi intensive, al contrario, sono connotate da un più elevato saggio di variazione del rapporto capitale/lavoro e, solitamente, da un saggio di variazione dell’occupazione negativo.” Cfr. B. Secchi, Squilibri regionali e sviluppo economico, Venezia, 1974. Per quanto riguarda i principali caratteri della teoria tradizionale dello sviluppo economico si veda altresì C.P. Kindleberger, Lo sviluppo economico, Milano, 1967.

[5] Il rapporto tra liberalismo e sviluppo sostenibile è stato ampiamente trattato da Amartya Sen in Lo sviluppo è libertà e Globalizzazione e libertà, edizioni Mondadori.

[6] Al proposito, va ricordato che l’attribuzione di un valore economico totale (VET) all’ambiente è essenziale per il rispetto del principio di giustizia intergenerazionale posto a fondamento dello sviluppo sostenibile. In tal modo, si vuole garantire che le politiche rivolte al soddisfacimento dei bisogni dell’attuale generazione siano sottoposte al vincolo della più ampia conservazione delle risorse naturali e ambientali al fine di evitare di danneggiare le future generazioni.

[7] Per un primo approfondimento dei rapporti tra economia e ambiente, si rinvia a D.W Pearce, P.K. Turner, Economia delle risorse naturali e dell’ambiente, Bologna, 1991.

[8] Cfr. Relazione illustrativa al disegno di legge “Delega al Governo in materia di infrastrutture  ed insediamenti strategici e altri interventi per il rilancio delle attività produttive”, deliberato dal Consiglio dei Ministri del 28 giugno 2001.

[9] Cfr. Capo II del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190.

[10] Al riguardo, appare del tutto illogica – nonché in contrasto con le direttive comunitarie – la norma introdotta all’art. 18, comma 6, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, che prescrive l’adozione da parte del Cipe del provvedimento di compatibilità ambientale contestualmente all’approvazione del progetto preliminare. Non forniscono peraltro alcuna garanzia sull’effettiva riapertura dell’istruttoria le disposizioni inerenti ai casi in cui sia riscontrata una i sensibile diversità del progetto definitivo rispetto a quello preliminare (verifica di ottemperanza, di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 20).

[11] Ci si riferisce in particolare alle disposizioni di cui all’art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443 e successive modifiche ed integrazioni,  ed all’art. 13, comma 6, della legge 1 agosto 2001, n. 166, nonché agli artt. 3, 4 e 5 dal decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190. Va osservato che l’art. 13, comma 6, della legge 1 agosto 2001, n. 166, integra l’art. 1 della legge n. 443/2001 con il comma 3-bis, consentendo l’approvazione dei progetti mediante “… decreto del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Cipe integrato dai presidenti delle regioni o delle province autonome interessate, sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari. Con il predetto decreto sono dichiarate la compatibilità ambientale e la localizzazione urbanistica dell’intervento nonché la pubblica utilità dell’opera; lo stesso decreto sostituisce ogni altro permesso, autorizzazione o approvazione comunque denominati, e consente la realizzazione di tutte le opere ed attività previste nel progetto approvato”.  Per  quanto riguarda la procedura “ordinaria” di cui all’art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, va rilevato che l’approvazione sia del progetto preliminare che definitivo spetta al Cipe, allargato ai presidenti delle regioni e province autonome di volta in volta interessate dalle singole infrastrutture e insediamenti produttivi. il quale deve in tute le circostanze adottare il provvedimento di compatibilità ambientale nel momento dell’approvazione del progetto preliminare, ai sensi di quanto stabilito all’art. 18, comma 6 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190.

[12] Cfr. Relazione illustrativa al disegno di legge “Delega al Governo in materia di infrastrutture  ed insediamenti strategici e altri interventi per il rilancio delle attività produttive”, deliberato dal Consiglio dei Ministri del 28 giugno 2001.

[13] Al proposito, degne di rilievo sono anche le disposizioni introdotte all’art. 9 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, in materia di affidamento a contraente generale dei lavori.

[14] Si vedano al riguardo le disposizioni di cui all’art. 8 (Società per il finanziamento delle Infrastrutture) della legge 15 giugno 2002, n. 112, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 15 aprile 2000, n. 63. 

[15] Esse riguardano gli artt. 37-bis/37-quinquies della legge 1 febbraio 1994, n. 109 e s.m.i.. Sempre ai fini dell’agevolazione della “bancabilità” delle opere, si ricordano le disposizioni inerenti alla eliminazione dei limiti di 30 anni per la durata della concessione e del 50% per il contributo pubblico.

[16] Più precisamente, ci riferiamo alle modifiche al comma 1 dell’art. 37-bis.

[17] Al proposito va osservato che, con le modifiche al comma 2 del medesimo art. 37-bis, gli studi di fattibilità e le  proposte di intervento possono essere presentate anche dalle “Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, nell’ambito degli scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico dalle stesse perseguiti”.

[18] Cfr. art. 14 della legge 1 febbraio 1994, n. 109 e s.m.i...

[19] Non appare tale e, per di più,  può rappresentare un serio ostacolo ad una trasparente ed efficiente applicazione di tale modello, la successiva disposizione che non impone alle amministrazioni l’obbligo di esaminare e valutare tali proposte. 

[20] La rilevanza di questa diversità non va sottovalutata. La teoria economica è ben chiara al riguardo. La distinzione delle azioni economiche tra individuali e collettive viene operata proprio per evidenziare il fatto che l’azione svolta da un organo dichiarativo della volontà di un ente collettivo non vada considerata – tout court – tale da determinare effetti positivi sul benessere di una collettività. Essa è rivolta soltanto all’ottenimento di condizioni di conservazione e sviluppo dell’ente stesso. Quando si hanno azioni economiche collettive è un gruppo o una classe economica che costringe tutta una collettività a compartecipare per perseguire gli obbiettivi prefissati. Va considerato, pertanto, il principio che l’ente collettivo non può rappresentare perfettamente la risultante delle molteplici e diversificate pretese individuali, e quindi collettive, presenti in una data società. Questa risultante non viene in nessun caso a coincidere con la semplice sommatoria delle volontà e attività degli individui considerati nel loro complesso e con quelle del gruppo al potere. In primo luogo, non è pensabile che quelli che abbiamo chiamato organi dichiarativi della volontà dell’ente possano essere espressione dell’insieme dei desideri individuali e, quindi, della somma algebrica dei loro bisogni. A tutti noi è perfettamente noto il fatto che nella realtà non sia sempre la volontà dei più a prevalere. Non si può, peraltro, ipotizzare che i soggetti collettivi abbiano la libertà di agire in durature ed equilibrate condizioni, senza dover subire – volenti o nolenti – l’influenza e le sollecitazioni di particolari gruppi sociali che momentaneamente tentano di imporre la propria volontà.

[21] In una tale direzione, un valido contributo potrebbe essere fornito da una procedura che renda obbligatoria la pubblicazione degli studi di identificazione e quantificazione dei bisogni, con la possibilità di modificare i risultati sulla base di osservazioni e contributi presentati dai cittadini e dalle forze politiche, economiche, culturali e sociali.

[22] Al proposito, degne di interesse appaiono le norme in materia di cofinanziamento privato delle opere che costituiscono i programmi, formazione di consorzi tra i proprietari per l’attuazione dei programmi, nonché di determinazione e corresponsione – anche mediante permute di altre proprietà site nel comune – delle indennità di espropriazione.   

[23] Va ricordato che il modello dell’urbanistica concorsuale è stato definito da Società Libera in una propria proposta di legge recante “Norme in materia di riqualificazione urbana”, inserita sul proprio sito internet, nonché presentata e discussa nel corso di tre convegni organizzati a Milano, Napoli e Foggia.

[24] L’entrata in vigore inizialmente prevista dal 1 gennaio 2002 è stata spostata al 30 giugno 2003 con il terzo – e probabilmente non ultimo –  provvedimento di proroga (cfr. art. 3 della legge 1 agosto 2002, n. 185)

[25] D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 – Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità.

[26] Queste nuove disposizioni, raramente migliorative,  sono state introdotte agli artt. 3 e 5 della legge 1 agosto 2002, n. 166, nonché agli artt. 3 commi 3 e 8, 4 comma 2, 5 e 14 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190.

[27] Nella prassi l’autorità espropriante si immette nel possesso del bene in base all’ordinanza di occupazione d’urgenza, poi cominciando la realizzazione dell’opera; il decreto di esproprio speso acquista un carattere dovuto. Peraltro, per evitare le conseguenze della realizzazione dell’opera in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, la Corte di Cassazione ha elaborato l’istituto della “occupazione appropriativa” o “espropriazione sostanziale”, nonché quello, più recente, della “occupazione usurpativa”. La Corte di Cassazione ha in tal modo affermato che l’autorità espropriante acquista a titolo originario l’area resasi necessaria per realizzare l’opera pubblica. Sul punto si è espressa la Corte Europea per i diritti dell’uomo (sez. II, 30 maggio 2000, ric. 31524/96) ha stabilito che l’istituto si pone in contrasto con l’art. 1 del protocollo n. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Cfr. Relazione al testo unico approvata dal Consiglio di Stato nell’Adunanza Generale del 29 marzo 2001.

[28] È opportuno precisare che, nella realizzazione di opere pubbliche a nastro, il riconoscimento di un equo ristoro per l’acquisizione dello spazio determina un esborso dell’ordine del 5% del costo di esecuzione dei lavori.

[29] Cfr. Art. 14 comma 1, lettera b, del decreto legislativo  20 agosto 2002, n. 190.

[30] Per completezza dell’informazione si ritrascrive integralmente tale comma:  Nei giudizi davanti agli organi di giustizia amministrativa che comunque riguardino le procedure di progettazione, approvazione e realizzazione delle infrastrutture ed insediamenti produttivi e relative attività di espropriazione, occupazione ed asservimento: a) l’udienza di merito del ricorso non richiede domanda di fissazione ed avviene non più tardi del quarantacinquesimo giorno dalla data di deposito dello stesso preso la segreteria del giudice competente; b) la valutazione del provvedimento cautelare eventualmente richiesto deve tener conto delle probabili conseguenze del provvedimento stesso per tutti gli interessi che possono essere lesi,  nonché del preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell’opera; nel concedere la misura cautelare il giudice non potrà prescindere dal motivare anche sulla gravità ed irreparabilità del pregiudizio all’impresa del ricorrente, il cui interesse dovrà comunque essere comparato con quello del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure; c) per quanto non espressamente previsto dal presente articolo si applicano le disposizioni dell’articolo 23-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.

[31] Art. 1, comma 6 della Legge 21 dicembre 2001, n. 443.

[32] Art. 13, commi 7 e 8 della legge 1 agosto 2002, n. 166, che così modifica il comma 12 dell’art. 1, Legge 21 dicembre 2001, n. 443: “Le disposizioni di cui al comma 6 si applicano nelle regioni a statuto ordinario a decorrere dal novantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della presente legge, salvo che le leggi regionali emanate prima dell’entrata in vigore della presente legge siano già conformi a quanto previsto dalle lettere a), b), c) e d) del medesimo comma 6, anche disponendo eventuali categorie aggiuntive e differenti presupposti urbanistici. Le regioni a statuto ordinario possono ampliare o ridurre l’ambito applicativo delle disposizioni di cui al periodo precedente.” Questa fattispecie, come ricordato nel precedente Rapporto, era stata esclusa dalla Sentenza della Cassazione penale, sez. III, 24 luglio 2001 n. 204.

· Alessandra Oppio ha partecipato alla stesura di questa sezione del Rapporto, nella quale sono esposti i risultati di una recente indagine svolta dalla medesima nell’ambito delle attività dell’Osservatorio sul governo del territorio, che abbiamo voluto istituire presso il dipartimento BEST (Building & Environment Science & Technology) del Politecnico di Milano. Al proposito, si ricorda che Corrado Baldi è responsabile del monitoraggio delle politiche in materia di lavori pubblici.

[33] Questo dato è riferito al periodo 15 luglio - 6 settembre 2002.

[34] Va rilevato che a volte le ragioni di questo ritardo dipendono, più che da una scelta politica, dalle difficoltà incontrate nell’attivazione di un sistema di raccolta e trattamento dei dati. Un caso emblematico è quello del comune di Milano, che, con rilevanti atti deliberativi, è stato tra i primi a porsi – raggiungendolo – l’obiettivo di limitare sensibilmente i tempi di completamento delle procedure di formazione e di approvazione degli strumenti urbanistici attuativi. 

[35] Questo raggruppamento è stato effettuato in sette classi, rispettivamente riferite ai seguenti intervalli temporali: classe 1 £ 12 mesi; 12 mesi < classe 2 < 24 mesi; 12 mesi < classe 2 £ 24 mesi; 24 mesi < classe 3 £ 36 mesi; 36 mesi < classe 4 £ 48 mesi; 48 mesi < classe 5 £ 72 mesi; 72 mesi < classe 6 £ 96 mesi;  classe 7 > 96 mesi.

[36] Al proposito, va rilevato il contributo di alcune legislazioni regionali nella riduzione di tale termine, a cominciare dalla Campania, che – con la legge regionale 29 novembre 2001, n. 19 – prevede il dimezzamento dei tempi di attesa per il rilascio, o il diniego, delle concessioni edilizie, a 30 giorni anziché agli attuali 60, senza deroghe neanche per i comuni al di sopra di 100.000 abitanti, per i quali le normative statali ne prevedono 120 (cfr. legge 4 dicembre 1993, n. 493 e s.m.i.).

[37] Dei tre comuni del campione, con popolazione superiore ai 100.000 abitanti, soltanto Prato supera tale termine, riuscendo comunque a non superare i 120 giorni. Non si può poi non riconoscere il fatto che gli altri comuni capoluogo, che hanno restituito i questionari, con popolazione di poco inferiore ai 100.000 abitanti, si ritrovano nelle classi per le quali l’intervallo è compreso tra 60 e 90 giorni (Vicenza, Udine e Gorizia) e “persino” in quello compreso tra 30 e 60 giorni (Bolzano e Lecce). Primeggia al riguardo il comune di Treviso che, pur avendo una popolazione di circa 80.000 abitanti, completa le procedure di rilascio delle concessioni in un tempo medio inferiore ai 30 giorni.

[38] Questa affermazione tiene conto anche dell’effetto di slittamento dei termini, dovuto ai casi di interruzione del procedimento per la incompletezza delle informazioni fornite dai professionisti all’atto della presentazione della pratica.

[39] Sono stati collocati nella classe 5 anche i comuni di Modena e Udine con websites molto vicini al punteggio massimo, nonché – elencati in ordine decrescente – i comuni di Bolzano, Parma, Roma, Selargius (CA), Siena, Torino, Venezia. Per questi ultimi casi il livello di soddisfazione si discosta da quello massimo per uno scarto di circa il 15%.

[40] Questa verifica è stata condotta con particolare riferimento ai websites di Amsterdam, Berlino, Helsinki, Londra, Lisbona, Madrid e Parigi.

[41] Cfr. legge regionale 16 gennaio 1995, n. 5 – Norme per il governo del territorio – e s.m.i.

[42] 1. Piemonte; 2. Liguria; 3. Valdaosta; 4. Lombardia; 5. Trentino Alto Adige; 6. Friuli Venezia Giulia; 7. Veneto; 8. Emilia Romagna;  9. Toscana; 10. Lazio; 11. Marche; 12. Umbria; 13. Sardegna; 14. Abruzzo; 15. Molise; 16. Campania; 17.  Puglia; 18. Basilicata; 19. Calabria; 20. Sicilia.

[43] Al proposito, si precisa che nell’attribuzione dei punteggi hanno assunto un ruolo determinante questi principali elementi: a) l’accesso agli atti deliberativi garantito mediante la consultazione di una banca dati aperta a diversi percorsi di ricerca (tipo di documento, data, numero, parole chiave), a partire dall’ultimo decennio;  b) la pronta diffusione – quale forma di conoscenza e di partecipazione – degli studi inerenti ai principali problemi di assetto e funzionamento del sistema territoriale (aspetti normativi-culturali, organizzativi-funzionali e fisici), nonché dei documenti inerenti alle politiche in atto e ai progetti in corso di definizione; c) l’apertura ai contributi critici e/o propositivi del cittadino, non limitata al solo momento dell’inoltro delle istanze ma resa più efficace dall’attivazione del forum; d) la possibilità di notevole riduzione dei tempi di presentazione delle pratiche edilizie, con un conseguente effetto di certezza sul modo richiesto per la loro definizione, consentita non soltanto dalla disponibilità in rete della modulistica, ma anche e soprattutto da informazioni complete (cartografia e norme) inerenti alle previsioni urbanistiche e ai regolamenti edilizi e d’igiene. E ciò con un indubbio valore aggiunto dato dalla indicazione dei nominativi dei funzionari a cui rivolgersi per l’ottenimento di ogni ulteriore ausilio. e) l’istituzione di banche dati sulle pratiche edilizie ai fini di una ricerca in tempo reale delle informazioni sull’iter di approvazione delle pratiche.

[44] Cremona, Como, Milano, Pesaro, Napoli, Firenze e Genova, indicati in rapporto all’ordine decrescente dei livelli di soddisfacimento.

[45] Firenze, Genova, Milano, Napoli, Pesaro.

[46] Mantova, Crotone, Ancona, Grosseto, Ragusa, Pescara, Pordenone, Ferrara, Imola, Ravenna, Piacenza, Massa, L’Aquila, Trento, Brescia, Caserta, Bergamo e Trieste, sempre in ordine decrescente del livello di soddisfacimento.

[47] Agrigento, Alessandria, Aosta, Bari, Brindisi, Carrara, Catanzaro, Chieti, Enna, Foggia, Imperia, Macerata, Matera, Oristano, Reggio Calabria, Savona, Sondrio, Terni, Trapani, Vercelli, Vibo Valentia. Va rilevato che nonostante ciò nove di questi comuni dimostrano l’attenzione verso il problema dell’ascolto del cittadino, con il comune di Chieti che conquista un punteggio di quasi complessivo soddisfacimento rispetto tale obiettivo. Più precisamente gli altri comuni, indicati in rapporto all’ordine decrescente del livello di soddisfacimento, sono Brindisi, Matera, Trapani, nonché , a parità  di  punteggio, Enna, Macerata, Reggio Calabria, Sondrio e Vibo Valentia.

[48] Non arriva ad affiancare Livorno, Pisa e Prato soltanto per aver sottovalutato la rilevanza dell’accesso alle informazioni sull’iter di approvazione delle pratiche edilizie.

[49] Questo discorso non riguarda il comune di Follonica che ha soddisfatto tale obiettivo nel modo più completo. A proposito, non si può sottacere la difficoltà di andare in tale direzione per problemi di bilancio.

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Introduzione

Informazione: prigionieri del passato

Welfare e lavoro

Il “dinamismo immobile”politiche di liberalizzazione e cambiamento istituzionale agli inizi della xiv legislatura

Regolazione e liberalizzazione dell’economia

I) la scuola fra tradizione e innovazione: luci ed ombre dei processi riformatori

II) l'università alla verifica: tra consolidamento e reindirizzo

Amministrazione e gestione del territorio

L’erta via delle privatizzazioni

La sicurezza tra controllo formale e controllo informale

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