REGOLAZIONE E LIBERALIZZAZIONE DELL’ECONOMIA
di Giuseppe de Vergottini
Premessa
Il
panorama politico-istituzionale nel settore delle liberalizzazioni si presenta
quest’anno particolarmente contraddittorio:
da una parte numerosi interventi legislativi in attuazione degli
indirizzi comunitari insistono nell’adeguamento dell’ordinamento nazionale ai
precetti europei e la nuova versione del testo costituzionale entrata in vigore
dopo l’esito del referendum del novembre 2001 (legge costituzionale n. 3/2001)
introduce per la prima volta in Costituzione la presenza della tutela della
concorrenza, dall’altra si varano misure autoritative, quali il blocco
temporaneo delle tariffe elettriche, in
apparente contraddizione col ruolo indipendente delle autorità di garanzia, e
si propongono misure di riconsiderazione della stessa validità del modulo di
ripartizione fra funzioni governative-ministeriali tradizionali di gestione
settoriale e funzioni delle autorità indipendenti.
L’impressione
che molti hanno tratto dagli orientamenti ondivaghi del governo di
centro-destra è che un esecutivo sorto come paladino di politiche liberiste si
stia a poco a poco convertendo, per far fronte al susseguirsi di emergenze
economiche, in un governo non alieno da interventi autoritativi di impronta
dirigista.
1. L’incidenza della riforma del Titolo V della
Costituzione sui processi di liberalizzazione.
L’introduzione
di principi che si ispirano al modello dello stato federale operata con la
legge 18 ottobre 2001, n. 3, che modifica il titolo V della seconda parte della
Costituzione italiana, comporta una ricaduta nel riparto delle competenze tra
stato, regioni ed enti locali con conseguenze di rilievo ancora non chiaramente
percepite che riguardano anche il profilo delle liberalizzazioni e dei poteri
regolatori.
La
materia “tutela della concorrenza” viene esplicitamente indicata dal nuovo
testo dell’articolo 117 della Costituzione come una materia che afferisce alla
potestà legislativa esclusiva dello stato. Ciò significa che spetta allo Stato
definire i processi di liberalizzazione attraverso i quali si assegnano
funzioni al mercato e alla concorrenza che lo caratterizza. Ma, ad un tempo,
spetta allo Stato la competenza legislativa esclusiva in tema di rapporti dello
Stato con l’Unione Europea e quella relativa alla fissazione dei livelli minimi
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Appaiono quindi
particolarmente penetranti i poteri che lo Stato è abilitato ad esercitare
utilizzando congiuntamente le competenze accennate. Ma il panorama tracciato
dal nuovo contesto costituzionale è reso complicato dal fatto che in molteplici
settori economici esiste una competenza concorrente Stato/Regioni e siccome le
attribuzioni in tema di concorrenza sono esercitabili in tali ambiti, è
inevitabile che lo Stato, di fatto, sarà costretto a tener conto di tale
situazione, dovendo quindi rispettare le prerogative regionali. A maggior
ragione ciò avverrà quando alle regioni spetti una competenza legislativa
esclusiva residuale in tutte le materie nelle quali non è espressamente
individuata una potestà legislativa esclusiva o concorrente dello stato:
secondo questa clausola generale di tipo federale le regioni hanno avuta
riconosciuta la competenza di disciplinare settori economici di grande rilievo
quali l’agricoltura, il commercio e l’industria.
Con
riferimento alle materie di competenza concorrente, sono molte e importanti
quelle che presentano uno spiccato collegamento con la normativa sulla
concorrenza. Basti pensare alle materie “porti e aereoporti civili”,
“ordinamento della comunicazione”, “produzione, trasporto e distribuzione
dell’energia”. A titolo di esempio, prendendo a riferimento l’energia, la
competenza in tema di concorrenza consente allo Stato di dettare disposizioni
quanto: alla determinazione dei livelli massimi di mercato che le diverse
imprese possono occupare in riferimento ad ogni singola attività della filiera
industriale della energia; alla separazione fra attività della stessa filiera,
riecheggiando le conclusioni della Presidenza del Consiglio Europeo di
Barcellona del 15 e 16 marzo 2002, che richiedono di separare trasmissione e
distribuzione dalla produzione e fornitura; alla separazione fra proprietà
degli impianti e gestione dei servizi; alla libertà di scelta per i consumatori
europei diversi da quelli domestici a far tempo dal 2004, secondo le stesse
conclusioni di Barcellona. Con riferimento ai rapporti dello Stato con l’Unione
europea, lo Stato terrà conto di quanto stabilito a Barcellona, essendo stato
individuato come interesse prioritario, in materia di energia, l’apertura del
mercato, il completamento delle reti e la loro ottimale utilizzazione, la
diminuzione della congestione l’aumento dei livelli di concorrenza e di quelli
di interconnessione dei sistemi elettrici. Di qui la prevedibile adozione di
provvedimenti comunitari cui lo Stato dovrà dare attuazione. Infine, con
riferimento alla competenza in tema di determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, lo Stato può
intervenire con riguardo al sistema tariffario, agli standard di qualità e di
sicurezza, agli obblighi del servizio pubblico e di raggiungimento di località
isolate e non commercialmente interessanti.
Una
volta ricordato come lo Stato sia in grado di mantenere un ruolo rilevante
soprattutto, ma non esclusivamente, utilizzando la sua competenza in tema di
concorrenza, vanno sottolineati gli elementi di contraddizione che discendono
da altri segmenti della revisione operata dalla legge costituzionale 3/2001. E
in effetti la legge riconosce un ruolo importante alle Regioni quando
stabilisce la loro competenza regolamentare piena nelle materie in cui hanno
competenza legislativa concorrente. Quindi, per rimanere nell’esempio fatto
dell’energia, non solo le Regioni hanno competenza concorrente in tema di rete
di trasmissione e distribuzione nazionale, ma in tal caso hanno la pienezza del
potere regolamentare. E ciò col rischio non remoto di frammentare la disciplina
della rete, in controtendenza con quanto richiederebbe una prospettiva non solo
nazionale ma continentale delle politiche energetiche, che per assicurare la
concorrenza in modo soddisfacente ha bisogno di un mercato non tormentato dalla
presenza di regole diversificate che provochino un frazionamento nella gestione
delle reti.
Inoltre,
per quanto riguarda le funzioni amministrative, il nuovo testo dell’articolo
118 della Costituzione attribuisce una competenza generale ai Comuni, “salvo
che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città
metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza”. In virtù di tale previsione, sempre con
riferimento all’energia, spetterà ad esempio ai Comuni intervenire in materia
di localizzazione, realizzazione ed esercizio di centrali elettriche.
Considerata
tuttavia la complessità di un raccordo fra i diversi livelli di governo (Stato,
Regioni, Comuni) e la capacità di reciproca interdizione che scaturisce da
procedimenti cui partecipano ad un tempo attori che sono portatori di diversi
interessi, è difficile pensare che non continuino a intervenire inevitabili
contenziosi giudiziari: da una parte il mercato richiede una agile capacità
decisionale dei soggetti pubblici di diverso livello; dall’altra si riscontrano
interessi quali la sicurezza, la tutela dell’ambiente, la tutela degli utenti
che impongono una attenta regolazione. In relazione a queste premesse sarà
anche essenziale il ruolo svolto dalla
Corte costituzionale alla quale spetterà la valutazione del raccordo tra le
diverse nuove attribuzioni agli enti sub-statali e l’operare delle materie e
funzioni attribuite allo Stato, ruolo il cui espletarsi potrebbe anche condurre a riallocare al livello
centrale competenze legislative e funzioni amministrative.
2. Le controindicazioni a una frammentazione delle
competenze fra Stato e Autonomie.
Pur
essendo confermato in costituzione che la materia “tutela della concorrenza”
rimane afferente alla potestà legislativa esclusiva dello Stato e pur mantenendosi quindi un ruolo centrale dello
stesso nel processo di
liberalizzazione, la moltiplicazione delle discipline regionali e
l’intervento delle amministrazioni degli enti locali nell’esercizio delle
funzioni amministrative in rilevanti settori dell’economia non soltanto
comporta un avvicinamento, secondo il principio di sussidiarietà, dei centri
decisionali alle attività da regolare, ma incoraggia altresì l’introduzione di vantaggi o di sistemi di
protezione delle situazioni di interesse locale, in contrasto con il principio,
ormai inserito anche espressamente nella costituzione, della libera
concorrenza.
A
titolo di esempio, nel settore del commercio, nonostante la liberalizzazione a
livello di disciplina nazionale avviata dal decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 114, sono stati evidenziati tentativi di mantenimento o reintroduzione di
vincoli alla concorrenza sulla base di
logiche locali. A tale riguardo non sembra però sufficiente richiamare la competenza esclusiva statale in tema di
concorrenza e quella diretta a fissare principi fondamentali nelle materie in
cui lo Stato ha competenza concorrente. La
sentenza delle Corte costituzionale del 19 giugno 2002, n. 282 ha
espresso un orientamento contrario ad una riappropriazione di competenza da
parte dello Stato mediante l’interpretazione di alcune competenze statali che
possono assurgere al ruolo di clausole generali – quali le materie “ordinamento
civile” e “determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale”– e favorevole al
riconoscimento delle competenze regionali.
Come
avvertiva l’OCSE nel suo rapporto del 2001, il proliferare dei livelli di
governo competenti in tema di regolazione introduce nuove complessità, rende
problematica la conoscenza delle regole per insufficienza di trasparenza,
aumenta i costi per gli operatori. Si aggiunga che a livello locale sembra non
esservi uniforme consapevolezza dei problemi attinenti alla concorrenza come di
quelli relativi alla qualità della regolazione. Dal punto di vista pratico, le
ridotte dimensioni dei bacini dei potenziali utenti a livello locale rendono
più complesso individuare misure che riescano a creare mercati competitivi.
Inoltre, la miriade di enti competenti in materia di servizi pubblici comporta
evidenti asimmetrie fra le diverse impostazioni seguite.
3. Concordanze e
discordanze fra normative statali e principi comunitari in tema di liberalizzazione
La
progressiva sovrapposizione alle singole costituzioni economiche nazionali di
una costituzione economica europea ha prodotto l’avvio di un processo che ha
costretto a grandi cambiamenti: le politiche economiche degli stati membri
devono realizzare gli obiettivi comunitari, la legislazione statale si deve
adeguare ai principi e regole comunitari, si affermano i principi del mercato
concorrenziale, le imprese pubbliche vengono privatizzate e la liberalizzazione
investe interi settori dei servizi pubblici.
Si
tratta di un processo che ha comportato diversi cambiamenti nell’ordinamento
italiano, dalla crescita numerica delle autorità amministrative indipendenti
incidenti su interi settori dell’economia all’adozione di provvedimenti di
liberalizzazione di diversi servizi di pubblica utilità (gas, elettricità,
telecomunicazioni, trasporti, poste).
Una
effettiva liberalizzazione comporta diversi momenti e la realizzazione di
ciascuno di questi momenti contribuisce alla maggiore o minore liberalizzazione
di un settore. La separazione tra rete e servizio consente di liberalizzare il
servizio anche permanendo la rete monopolistica: questa scelta è stata adottata
con riferimento ai settori del trasporto ferroviario e dell’energia elettrica.
La soppressione della riserva originaria allo stato o di diritti speciali e il
libero accesso all’attività può vedere limitata la libertà di entrata nel
settore da una autorizzazione discrezionale motivata, trasparente e non
discriminatoria. La sottoposizione delle imprese di settori liberalizzati ai
controlli delle autorità amministrative indipendenti deve essere parziale e non
tale da comportare una eccessiva intensità del controllo quasi ai limiti della
cogestione. L’obbligo per tutti gli operatori si assicurare reciprocamente
accesso ed interconnessione agli altri operatori è lo strumento utilizzato nel
settore della telefonia mobile per consentire l’entrata di nuove imprese nel
settore. L’obbligo di tutti gli operatori di fornire (o contribuire
finanziariamente a) alcune prestazioni minime costituisce quella particolare
forma di intervento pubblico nell’economia che consiste nell’individuazione del
servizio universale da imporre a tutti gli operatori del settore per garantire
il soddisfacimento di un pubblico interesse. L’assegnazione mediante gara di
risorse scarse pare essere la via obbligata nel settore delle comunicazioni per
l’assegnazione delle frequenze radiotelevisive. L’obbligo imposto agli
operatori monopolistici e a quelli con una notevole quota di mercato di
sottostare a misure asimmetriche e a oneri differenziali consente di dare delle
possibilità reali a nuovi operatori di entrare nella concorrenza in settori
dominati da monopoli o oligopoli. Tutti questi strumenti sono stati utilizzati
per aprire effettivamente alla libera concorrenza interi settori dell’economia
secondo le linee della costituzione economica risultante dall’introduzione del
principio della libera concorrenza nel nostro ordinamento. A questo proposito è
già stato segnalato l’inserimento nella costituzione della competenza legislativa
esclusiva dello stato in materia di tutela della concorrenza ad opera della
legge costituzionale 3/2001, n. 3. Nonostante questa effettiva novità si devono
registrare anche dei rallentamenti nella fase di privatizzazione delle imprese
pubbliche ed in particolare la fase di stallo della c.d. privatizzazione
sostanziale e cioè della cessione effettiva di azioni di controllo delle
imprese pubbliche che hanno mutato la natura giuridica a seguito del processo
di privatizzazione formale.
Un
caso emblematico è quello che riguarda la c.d. privatizzazione della Rai,
oggetto di un disegno di legge governativo inteso a regolare il sistema
radiotelevisivo. L’impressione che si trae da una analisi del progetto è quella
di una privatizzazione meramente nominale, restando ben saldo il controllo
pubblico, tramite il governo e non tramite il parlamento, della concessionaria.
Non
si parla infatti della eventuale cessione di reti e la possibilità di cessioni
di rami d’azienda è rinviata al 2006, mentre la concessione è prorogata di
dodici anni.
La
privatizzazione è concepita sotto forma di accesso al capitale di azionisti
privati in termini del tutto contenuti. Infatti si vietano quote cedibili a
soggetti privati superiori al 1% e di fatto si vietano i patti di sindacato. L’idea
è quella di fare di RAI una public company, con il rischio meramente teorico
del venir meno di un soggetto controllante ‘forte’ (lo Stato). In verità, non
avendo il disegno di legge posto alcun termine entro cui il Ministero
dell’Economia, che controlla quasi il 100% del capitale della concessionaria,
dovrebbe uscire dal capitale, si assicura la permanenza del controllo dello
Stato sulla società concessionaria e quindi il mantenimento della stessa nel
circuito dei partiti di governo. Il
potere di scelta degli amministratori è ripartito tra i Presidenti delle camere
e l’assemblea degli azionisti, cioè principalmente il Ministero dell’economia.
Acquisterebbe dunque rango di legge la disposizione che prevede il gradimento
del Governo nella scelta dei componenti del Consiglio. Il solo presidente
sarebbe scelto dal consiglio previo il parere espresso in forma vincolante in
sede parlamentare a maggioranza qualificata. Tuttavia lo stesso si troverebbe a
presiedere un consiglio di totale nomina del Ministero dell’economia. Il nuovo
meccanismo di nomina scatterebbe col prossimo rinnovo del consiglio.
4.
Il nodo delle autorità di garanzia
Un
ruolo di notevole efficacia verso la liberalizzazione dell’economia viene di
solito riconosciuto agli interventi delle diverse autorità amministrative
indipendenti. Ma nei mesi trascorsi il governo sembra essersi orientato verso
un riesame della loro proliferazione e ad un tempo verso una riconsiderazione
del loro ruolo in rapporto a quello dei ministeri. Da tale stato di cose
qualcuno ha indotto il proposito governativo non solo di recuperare posizioni
di forza ministeriali in alcuni importanti settori di intervento ma anche di
indebolire le garanzie dei diritti di alcune categorie di soggetti.
Per
meglio comprendere la delicatezza di questo passaggio istituzionale occorre
ricordare che una importante innovazione in tema di garanzie era stata
individuata proprio nella istituzione di formule organizzatorie innovative,
dedicate alla assicurazione di particolari forme di garanzia nella
amministrazione di interessi pubblici, che venivano sottratti alla gestione
delle pubbliche amministrazioni legate da dipendenza gerarchica al governo
della repubblica e assegnate ad apposite “autorità” definite abi-tualmente
“indipendenti”.
Ad
un tempo, però, tale formula comportava la assegnazione alle autorità di
apposite competenze di regolazione, prevedendosi quindi attribuzioni che davano
inevitabilmente adito alla presenza di un ruolo moderatore o regolatore delle
stesse nei settori interessati alla loro azione. Il che, a prima vista,
sembrerebbe rivelare il para-dosso della introduzione di nuove forme
dirigistiche, in un panorama che abbina alla progressiva scomparsa della
tradizionale impresa pubblica la presenza di “imprese private regolamentate”,
proprio nel momento in cui si apriva la strada a una liberalizzazione delle
regole del mercato. Si aggiunga che l’introduzione del modello organizzativo
delle autorità non faceva del tutto scomparire, ma soltanto integrava in molti
settori, i tradizionali strumenti di regolazione carat-teristici dell’azione
dei pubblici poteri.
Per
quanto riguarda le funzioni di “regolazione” delle autorità, queste si
spiegavano facendo rinvio alla volontà del legisla-tore di affidare alle stesse
la gestione di un dato settore di intervento che, in caso diverso, sarebbe
rimasto affidato alla abituale catena di governo, costituita da Consiglio dei
Ministri - Ministero -Amministrazione, prevista esplicitamente dalla disciplina
costituzionale. Divergendo da tale schema organizzativo-funzionale le diver-se
leggi che istituivano autorità affidavano in blocco la responsabilità di
interventi a un unico centro di governo del settore, includendovi le funzioni
di normazione, di gestione amministrativa, di vigilanza, di intervento
sanzionatorio, di soluzione di contenziosi.
Si
trattava di un fenomeno di grande rilevanza se si considera che le autorità
hanno avuto assegnate responsabilità in
tema di concorrenza, pubblici servizi, energia, comunicazioni, appalti
pubblici, tutela dei dati personali. E questo solo per una indicazione
incompleta dei settori di competenza e segnalando come permanessero ampi
margini di arbitrarietà nell’individuare i confini della categoria di questi
recenti enti.
In
pratica, le varie leggi istitutive affidavano alle autorità una sorta di
esclusività di competenza settorializzata che include diversi livelli di
interventi, al vertice dei quali si colloca quello normativo, che tuttavia non
esaurisce l’ambito della “regolazione”, nozione di non agevole definizione. Al
riguardo è appena il caso di ricordare che le nozioni di “regolazione”, di
“poteri regolatori” di “stato regolatore”, di “autorità regolatrice” e simili,
derivate da una terminologia estra-nea alle tradizioni culturali ed al lessico
legislativo italiani, indicano prevalentemente le attitudini del potere
pubblico a farsi arbitro dei processi spontanei del mercato, intervenendo come
moderatore degli stessi utilizzando diverse modalità.
Il
termine "regolazione” è entrato nell’uso corrente derivando dall’attributo
regulatory utilizzato per le authorities inglesi. In tale quadro era riferito
alle esigenze della transizione dal monopolio pubblico alle privatizzazioni in
cui avrebbero operato le regole di concorrenza. Le Regulatory Agencies erano incaricate
di utilizzare poteri regulatory al fine di proteggere i consumatori. Di qui la
diffusa affer-mazione secondi cui il “regolatore” opererebbe come “surrogato
della libera concorrenza”, proteggendo consumatori e utenti e assicurando le
garanzie sociali connesse alle Public Utilities, come in particolare la
caratteristica di universalità del servizio. Ma il pragmatismo inglese non si è
certo occupato del rispetto di soluzioni in linea con esigenze formali,
ricorrendo spesso a soluzioni informali in cui il produttore o il fornitore del
servizio, che è il soggetto “regolato”, deve offrire garanzie in ordine a
prezzi, tariffe e qualità del servizio offerto all’utente/consumatore. La
trasposizione nell’ordinamento italiano del modello delle autorità indipendenti
ha implicato l’assorbimento affrettato di un concetto omnicomprensivo di
“regolazione”, incurante della esigenza di rispettare i principi che la
Costituzione imporrebbe in tema di uso dei poteri delle autorità pubbliche,
poteri che sono disciplinati da apposite fonti normative. Di fatto è avvenuto
che la regolazione delle autorità veniva solitamente richiamata in
contrapposizione alla tradizionale figura del potere interventista dello Stato
che agisce per moduli autoritari.
Tralasciando
questo aspetto del problema, deve piuttosto notarsi che le funzioni di
regolazione delle autorità sono orientate ad interessare soggetti pubblici e
privati che operano in un determinato settore, e che vengono variamente
indirizzati, vigilati, ma anche tutelati e sostenuti, da parte di nuove entità
organizzative (le autorità) distinte ed autonome rispetto alla amministrazione
tradizionale dello Stato, e tendenzialmente indipendenti dall’indirizzo degli
organi politici. Tali entità andrebbero viste come centri di potere "neutro”
rispetto agli interessi coinvolti, avendo per missione la soddisfazione degli
interessi attribuita loro dalle diverse leggi istitutive utilizzando un ampio
fascio di possibilità, dalla normazione all’applicazione di sanzioni, che sono
tutte riconducibili al proposito ultimo di “gestire” il settore loro assegnato,
conseguendo quindi gli obiettivi voluti dal legislatore (la trasparenza del
mercato, la garanzia della riservatezza, il pluralismo dell’informazione, etc.)
ma godendo di notevole discre-zionalità nel definire in concreto le modalità di
intervento e tenendo conto delle esigenze che via si presentano, dei dati della
comune esperienza, delle diverse prassi.
Di
conseguenza si è rilevato come gli strumenti a disposizione delle autorità
siano particolarmente flessibili, anche a causa dalla ten-denziale
indeterminatezza risultante dal tenore dei testi legislativi che le
istituiscono. Ovviamente, si potrebbe in proposito notare che men-tre la
flessibilità è elemento positivo se si tiene presente l’aspettativa di
efficacia della loro azione, altrettanto non può dirsi con riferimen-to alla
esigenza di garanzia dei soggetti coinvolti nella loro azione qualora gli
stessi si considerino pregiudicati dalla medesima.
Il
dibattito prodottosi in seguito all’espandersi del modulo organizzativo delle
autorità indipendenti, introdotto prescindendo dalle previsioni costituzionali
che si limitano a disciplinare autorità amministrative nettamente subordinate
all’indirizzo parlamentare e governativo, è stato particolarmente vivace. Tra i diversi aspetti problematici emersi vi
è quello del rischio connesso ad un espandersi incontrollato dei poteri
regolatori delle stesse autorità. Infatti l’indipendenza delle autorità si
presenta nel suo profilo positivo come garanzia di assenza di condizionamenti
da parte di governo, amministrazione, forze politiche e interessi economici di
varia estrazione, mentre nel suo profilo negativo comporta una sorta di
autorefenzialità delle autorità. Le stesse infatti rispondono solo in modo formale
al Parlamento, per lo più tramite invio di relazioni annuali, mentre un
penetrante controllo giudiziale può intervenire soltanto in caso di
contestazione di aspetti puntuali della loro azione, tramite riesame di singoli
atti.
L’aspetto
che colpisce è dato dal fatto che, come ampiamente ricordato, le autorità non
soltanto si ergono a tutrici di diritti di uten-ti, consumatori, operatori
economici, ma utilizzano altresì poteri atti-vi di intervento racchiusi nella
formula dei poteri regolatori. Per tale caratteristica il loro potere di
regolazione in vario modo si aggiunge o sostituisce ai poteri regolatori
tradizionali delle varie amministra-zioni pubbliche. Si comprende dunque come
sia consigliabile valutare con prudenza l’indiscriminato espandersi dei poteri
di regolazione delle autorità. Sostiene infatti l’OCSE che "l’Italia
dovrebbe monitorare la loro diffusione con cura: le autorità si aggiungono come
ulteriori attori in un sistema di regolazione già complesso. La duplicazione e
il contra-sto tra politiche regolatorie delle authorities potrebbero generare
inefficienze e reazioni impreviste da parte delle imprese, oltre che causare
una balcanizzazione del settore pubblico ed incrementare rigidità e ulte-riori
oneri di bilancio.”. A ciò si aggiunga la già richiamata assenza di centri di
verifica della loro azione che praticamente esclude la possibilità di
impegnarne la responsabilità di fronte a organi investiti democraticamente di
potere, ai sensi della Costituzione, con una vistosa deroga a uno dei principi
cardine dell’attuale ordinamento.
Su
queste premesse è più agevole valutare l’indirizzo inteso a introdurre una
netta distinzione tra Autorità, intese come soggetti preposti alla tutela di
valori costituzionali e quindi caratterizzati da assoluta indipendenza e dotati
di poteri di intervento rapido e incisivo, e Agenzie, ovvero altri organismi
preposti alla regolamentazione settorializzata, con caratteristiche di
autonomia meno marcate, ma senza per questo ricondurle tout court al modello
amministrativo ministeriale. Questo tertium genus di soggetti dovrebbe
garantire, special-mente in settori particolari come quello dei servizi
pubblici, una ade-guata transizione da una situazione di monopolio e di esteso
inter-vento pubblico, sottoposto al modello di amministrazione ministeria-le
tradizionale, ad un mercato concorrenziale, sorvegliato dalle auto-rità
indipendenti. In definitiva si tratterebbe di creare un organismo regolatore
per una fase intermedia, in modo tale da evitare le inadeguatezze dei due
modelli di controllo già esistenti, e quindi tutelare compiutamente i diritti e
le posizioni dei soggetti che in tale delicata fase si trovano ad operare.
Sempre
sulle stesse premesse si può comprendere il significato del progetto di legge
governativo che mira a ridurre le autorità ai soli casi in cui si faccia
questione della esigenza di tutela di diritti (bioetica, dati personali,
diritto di sciopero, informazione e comunicazione, concorrenza e mercato,
prodotti finanziari e assicurativi). Le modalità di nomina verrebbero
omogeneizzate, affidandosi la nomina al Governo previo parere parlamentare
espresso a maggioranza qualificata. Si prevedono norme comuni quanto ai
requisiti di nomina e alle incompatibilità. Si disciplinano i poteri
regolamentari e sanzionatori, nonché i rimedi giurisdizionali avverso i loro
atti. Queste nuove disposizioni dovrebbero valere solo per la autorità
qualificabili in senso proprio “di
garanzia” in considerazione della rilevanza costituzionale dei diritti
da tutelare. Al contrario, le attuali autorità che rappresentano veri e propri
regolatori di settore (energia, lavori pubblici, aspetti delle
telecomunicazioni) subirebbero una
sostanziale revisione in quanto il Governo ritiene che esse non dovrebbero
sfuggire agli indirizzi definibili da Parlamento ed esecutivo. Da questo punto di vista la vicenda del
decreto c.d. “blocca tariffe” pare illuminante, in quanto il Ministero delle
attività produttive ha mostrato di intendere di riappropriarsi, anche se per un
periodo transitorio di novanta giorni, di una competenza formalmente attribuita
alla autorità per l’energia. L’episodio non resterebbe una anomalia momentanea
ma rientrerebbe nel disegno di “riministerializzazione” accennato.
5. Recenti provvedimenti legislativi con riferimento alla
concorrenza.
La
legge 5 marzo 2001, n. 57 ha posto una normativa generale finalizzata
all’apertura e regolazione dei mercati incidente contemporaneamente in diversi
settori dell’economia mediante integrazione di leggi già in vigore. Sono
contenuti in questa legge: interventi
volti a favorire la trasparenza e la concorrenzialità nei servizi assicurativi
per i veicoli a motore e nuove attività di controllo dell’ISVAP proprio in
riferimento a questi aspetti; disposizioni in materia di privatizzazioni con
particolare riferimento alle norme sulla cessione di energia elettrica;
modifiche alle leggi 18 giugno 1998, n.
192 (recante “Disciplina della subfornitura nelle attività produttive) e alla
legge 10 ottobre 1990, n. 287 (recante, come è noto, “Norme per la tutela della
concorrenza e il mercato”) in materia di abuso di dipendenza economica e
concorrenza; incentivi ed agevolazioni a sostegno delle piccole e medie imprese
mediante il finanziamento delle iniziative dell’Istituto per la promozione
industriale (IPI); agevolazioni nel settore del turismo e misure atte a
favorire la riqualificazione delle imprese di facchinaggio e di movimentazione
delle merci; norme per l’ammodernamento della rete distributiva dei carburanti
volte ad assicurare la qualità e l’efficienza del servizio ed il contenimento
dei prezzi di vendita; misure a sostegno dell’internazionalizzazione delle
imprese; interventi nel settore delle comunicazioni quali contributi a favore
delle emittenti televisive locali e l’introduzione di un contributo per
l’acquisto di ricevitori-decodificatori per la ricezione e trasmissione di dati
o di un apparato per la trasmissione di dati a banda larga via Internet
destinato alle persone fisiche e giuridiche, ai pubblici esercizi ed agli
alberghi; interventi a favore delle infrastrutture intermodali e per il
completamento della rete interportuale nazionale.
Si
deve in particolare segnalare come alcune novità normative introdotte dalla
legge n. 57 del 2001 completino il sistema antitrust dell’ordinamento italiano
consentendo all’Autorità garante della concorrenza e del mercato di procedere a
diffide e sanzioni nel caso in cui un abuso di dipendenza economica abbia
rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato. Tuttavia la
molteplicità dei settori di intervento e delle scelte normative volte alla
modernizzazione e all’apertura dei mercati contenuta in un unico testo
normativo sembra corrispondere alle esigenze del momento piuttosto che a
disegnare un impianto organico ed uniforme.
La
legge 20 luglio 2001, n. 301 converte il decreto legge 25 maggio 2001, n. 192,
recante disposizioni urgenti per salvaguardare i processi di liberalizzazione e
privatizzazione di specifici settori dei servizi pubblici fino alla
realizzazione all’interno dell’Unione europea di un mercato pienamente
concorrenziale nei settori dell’elettricità e del gas. Le novità normative
riguardano i soggetti controllati direttamente o indirettamente da uno stato o
da altre amministrazioni pubbliche, titolari nel proprio mercato nazionale di
una posizione dominante e non quotati in mercati finanziari regolamentati, i
quali acquisiscano, direttamente o indirettamente o per interposta persona
anche mediante offerta pubblica a termine o in via differita partecipazioni
superiori al 2% del capitale sociale di società operanti nei settori
dell’elettricità e del gas.
Rivestono
invece carattere prevalentemente tributario le norme introdotte dalla legge 18
ottobre 2001, n. 383 finalizzate al rilancio dell’economia attraverso incentivi
agli imprenditori che fanno emergere il mancato adempimento agli obblighi
previsti dalla normativa vigente in materia fiscale e previdenziale, mediante
la detassazione del reddito di impresa e di lavoro autonomo reinvestito,
finalizzata a favorire gli investimenti e lo sviluppo, con l’introduzione di
nuove disposizioni in materia di sottoscrizione del capitale sociale delle
società per azioni, delle società in accomandita per azioni e delle società a
responsabilità limitata, consentendo la sostituzione della sottoscrizione del
capitale con la stipula di una polizza di assicurazione o di una fideiussione
bancaria, mediante l’introduzione di nuove regole sulla titolarità dei diritti
relativi a brevetti per invenzioni industriali.
Notevole
è stata anche la ricaduta normativa conseguente alla messa in circolazione sul
territorio italiano della nuova moneta
unica europea prevalentemente contenuta nella legge 23 novembre 2001, n. 409
che ha convertito il decreto legge 25 settembre 2001, n. 350, recante
disposizioni urgenti in vista dell’introduzione dell’euro. Tutti i settori
dell’economia sono investiti dalla novità della circolazione dell’euro e
puntuali norme hanno dato attuazione agli indirizzi fissati in sede di Unione
Europea. Non è necessario sottolineare come l’introduzione della nuova moneta
abbia comportato una concreta affermazione della concorrenza rendendo
immediatamente confrontabili i prezzi delle merci e dei servizi degli stati
membri dell’Unione europea che hanno aderito alla sostituzione della moneta
nazionale con quella comune europea.
Il
Ministro dell’economia e delle finanze è stato autorizzato dalla legge 23
novembre 2001, n. 410 (che ha convertito, con modificazioni, il decreto legge
25 settembre 2001, n. 351, recante disposizioni urgenti in materia di privatizzazione
e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi
comuni di investimento immobiliare) a costituire o a promuovere la
costituzione, anche attraverso soggetti terzi, di più società a responsabilità
limitata aventi ad oggetto esclusivo la realizzazione di operazioni di
cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla privatizzazione del patrimonio
immobiliare pubblico (dello Stato e degli altri enti pubblici). Sono inoltre
previste le concrete modalità per la cessione degli immobili facenti parte del
patrimonio dello Stato alle società promosse o costituite dal Ministro
dell’economia. Viene previsto opportunamente il concerto tra il Ministro
dell’economia e il Ministro per i beni e le attività culturali nel caso di
cessione di beni dello Stato di particolare valore artistico e storico.
Tra
i provvedimenti conseguenti la grave crisi internazionale successiva all’11
settembre 2001 bisogna registrare il decreto legge 12 ottobre 2001, recante
misure urgenti per reprimere e contrastare il finanziamento del terrorismo
internazionale, convertito con modificazioni dalla legge 14 dicembre 2001, n.
431. Viene così istituito il Comitato di sicurezza finanziaria al quale devono
essere trasmesse da parte degli uffici pubblici, in deroga ad ogni disposizione
vigente in materia di segreto d’ufficio, e dall’autorità giudiziaria tutte le
informazioni utili ai fini del contrasto alle attività connesse al terrorismo
internazionale. L’introduzione di una normativa che aumenti in controlli
relativi sugli scambi e sulle transazioni internazionali al fine di disarmare
anche finanziariamente il terrorismo internazionale fa pensare ad una attività
normativa d’eccezione che deve incidere per un tempo limitato. L’istituzione
del Comitato di sicurezza finanziaria ha infatti durata limitata ma può
tuttavia ottenere una proroga con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, previa delibera conforme del Consiglio dei ministri.
Con
il decreto legge del 15 aprile 2002, n. 63 convertito dalla legge 15 giugno
2002, n. 112 è stato sospeso in attuazione della decisione della Commissione CE
dell’11 dicembre 2001 il regime delle agevolazioni rese disponibili in favore
delle banche. Si tratta di un necessario adempimento imposto a seguito di una
condanna al regime italiano di aiuti di stato nel settore bancario. Nel
medesimo decreto legge convertito dalla legge n. 112 del 2002 sono previste
norme per un progressivo adeguamento ai principi comunitari del regime
tributario delle società cooperative.
Sempre
in adempimento di decisioni degli organi comunitari (decisioni della
Commissione CE n. 93/496/CEE, del 9 giugno 1993 e n. 97/270/CE del 22 ottobre
1996, confermate dalle sentenze della Corte di giustizia CE del 29 gennaio 1998
e del 19 maggio 1999) viene convertito dalla legge 17 maggio 2002, n. 96 il
decreto legge 20 marzo 2002, n. 36 recante disposizioni urgenti per ottemperare
agli obblighi comunitari in materia di autotrasporto. Sono previste le modalità
di recupero, imposto dalle decisioni sopra richiamate, delle somme destinate
agli autotrasportatori nella forma del riconoscimento di un credito di imposta
per gli anni 1992, 1993 e 1994.
Si
dimostra così sempre incisivo l’intervento comunitario, sia a livello
giurisprudenziale che di produzione normativa, finalizzato a determinare una
maggiore unità del mercato ed effettiva concorrenza tra le imprese.
Deve
probabilmente collegarsi al tentativo di prevenire la possibile ripresa di una
possibile tendenza inflazionistica successiva all’introduzione nel territorio
italiano della nuova moneta unica europea la decisione del Governo di prevedere
mediante il decreto legge 4 settembre 2002, n. 193 fino al 30 novembre 2002 il
blocco delle tariffe dei servizi pubblici di cui alla legge 14 novembre 1995,
n. 481 che prevede le norme per la regolazione e la concorrenza nei servizi di
pubblica utilità. Il decreto legge prevede la possibilità, mediante decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei
ministri, su proposta del Ministro competente, di fissare dei criteri generali
integrativi per la determinazione delle tariffe dei servizi previsti dalla
legge n. 481 del 1995 e quindi con riferimento all’energia elettrica e al gas.
Si tratta di un intervento che deve considerarsi d’emergenza e quindi
necessariamente limitato nel tempo. Tuttavia viene prevista anche la
possibilità da parte del Governo di introdurre in modo permanente e comunque
per un certo periodo di tempo indeterminato dei criteri integrativi per la
determinazione delle tariffe per i servizi di pubblica utilità, interferendo
nell’attività di regolazione della autorità amministrativa indipendente
istituita nel settore sempre dalla legge n. 481 del 1995.
6.
Evoluzione della regolazione e della concorrenza
Un
primo settore di estremo interesse riguarda la riforma dei servizi pubblici
locali introdotta dalla legge 28 dicembre 2001, n. 448 – Legge Finanziaria per
il 2002 (articolo 35). La nuova normativa prevede il mantenimento della
proprietà pubblica degli impianti e della rete e non provvede all’affermazione
della portata generale della regola della separazione fra la gestione della
rete ed erogazione del servizio, lasciando ampio spazio alle discipline
settoriali (gas. acqua, ecc.) di prevedere dei casi in cui la gestione della rete
possa essere separata dall’erogazione del servizio. Le gare previste da questa
disciplina si limitano ad attuare una privatizzazione del precedente monopolio
pubblico del servizio, attribuendo alla vincitrice della gara la gestione del
servizio. In questo modo non si attua una reale apertura del mercato a più
operatori in concorrenza, anche se si persegue l’obiettivo di favorire
l’economicità e l’efficienza delle gestioni. Una effettiva liberalizzazione del
mercato dei servizi pubblici locali dovrebbe prevedere la possibilità per
diversi operatori di misurarsi contemporaneamente sul mercato, in assenza di
diritti speciali e di procedure di assegnazione ad evidenza pubblica (si parla,
a tale proposito, di “concorrenza nel mercato” in contrapposizione alla disciplina
introdotta, che privilegia invece la c.d. “concorrenza per il mercato”).
Il
processo di adeguamento alla normativa comunitaria del settore dell’energia
elettrica non raggiunge tutti gli obiettivi fissati a livello europeo: mentre
sono state realizzate la separazione dell’Enel in diverse società
corrispondenti alle diverse fasi dell’attività di fornitura dell’energia,
l’apertura della concorrenza alle attività di produzione e di vendita
dell’energia elettrica a particolari clienti, l’affidamento della gestione
della rete di trasmissione nazionale al Gestore delle Rete Nazionale (un
soggetto indipendente di proprietà del Ministero del tesoro). Rimane da
istituire sia la ‘borsa elettrica’, sia l’aquirente unico conformemente alla
normativa nazionale di recepimento (decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79)
della direttiva comunitaria (direttiva 96/92/CE). Alcune reti di distribuzione
in ambiti comunali sono state cedute dall’Enel mentre alcuni impianti di
generazione dell’energia elettrica a mezzo di fonti rinnovabili sono stati
acquisiti sempre in ottemperanza alla normativa nazionale di recepimento.
Sempre
in relazione all’attività dell’Enel risulta evidente la continuazione della sua
strategia di diversificazione settoriale nel perseguimento dell’obiettivo della
creazione di un gruppo impegnato in tutti i settori di pubblica utilità
(distribuzione secondaria di gas naturale, attività di telecomunicazioni,
gestione delle risorse idriche). L’Autorità garante della concorrenza e del
mercato ha in corso diverse istruttorie per la verifica del rispetto della
normativa sulla concorrenza da parte dell’Enel quale operatore dominante del
settore dell’energia elettrica in Italia.
L’evoluzione
della concorrenza nel settore delle telecomunicazioni vede positivamente
incrementare il numero degli operatori destinatari di licenze per
l’installazione di reti e per la fornitura di servizi. Si è realizzata
l’assegnazione delle licenze per il servizio pubblico di comunicazioni mobili
di terza generazione UMTS. Nel corso del 2001 è stato concluso un procedimento
dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato che non rilevava la
presenza di elementi comprovanti una intesa in violazione delle norme antitrust
sul divieto di intese lesive della concorrenza. Tuttavia una effettiva
concorrenza stenta ancora a realizzarsi nel settore della telefonia mobile che
risulta ancora concentrata a favore delle due prime imprese che si sono
impegnate nel settore e l’attività dei vincitori della gara per le licenze UMTS
non ha ancora comportato una effettiva concorrenza nei confronti dei due primi
operatori a causa degli ingenti costi di attivazione dei servizi, sui quali
ricade anche il notevole corrispettivo pagato per l’acquisizione delle licenze.
Per quanto riguarda la telefonia fissa non risulta completamente realizzata la
“liberalizzazione dell’ultimo miglio” dato che nessuno dei principali operatori
attualmente offre su tutto il territorio nazionale servizi di telefonia fissa
con una rete autonoma. Tutti gli operatori utilizzano la rete del principale
operatore (precedente monopolista pubblico) e provvedono a distribuire il
servizio sostanzialmente diminuendo di una piccola porzione il corrispettivo
del servizio. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha pubblicato nel
novembre del 2001 una relazione che constata il perdurare della posizione quasi
di monopolio di Telecom Italia nei servizi per accesso locale di telefonia
fissa e ha indicato nella adozione di misure asimmetriche nei confronti del
leader del mercato l’unica via per consentire l’instaurarsi di un regime
concorrenziale.
La
regolamentazione relativa alla fornitura di servizi di accesso Internet trova
ora nelle legge 8 aprile 2002, n. 59 la propria disciplina. La nuova legge
introduce l’equiparazione degli Internet service providers (operatori
autorizzati ai servizi di trasmissione dati e di accesso a Internet) agli
operatori destinatari di licenze di telecomunicazioni: viene riconosciuto loro
il diritto di fruire delle condizioni economiche applicate agli organismi di
telecomunicazioni titolari di licenza individuale sulla base dell’offerta di
interconnessione di riferimento pubblicata da un organismo di
telecomunicazioni, secondo i criteri definiti dalla Autorità per le garanzie
nelle telecomunicazioni. Un obiettivo da raggiungere in riferimento alla
fornitura di servizi Internet consiste nel passaggio dall’utilizzo di
numerazioni con prefisso geografico alla numerazione in decade 7 per l’accesso
ai servizi Internet.
Per
lo sviluppo della televisione digitale in Italia la legge 22 marzo 2001, n. 66
ha fissato al 31 dicembre 2006 la scadenza ultima entro la quale tutti gli
operatori che trasmettono via etere su frequenze terresti, via cavo e via
satellite in tecnica analogica, sono tenuti ad irradiare esclusivamente in
tecnica digitale. Si tratta di un provvedimento senza precedenti in altri
paesi. E’ un’opzione di politica industriale che priva gli imprenditori
televisivi di una scelta di investimento effettuata in autonomia.
Conclusioni
Il
percorso seguito fino a questo momento sembra indicare come si sia prodotta una
situazione apparentemente contraddittoria fra continuazione del processo di
liberalizzazione, in linea con le prescrizioni europee, e rallentamento del
medesimo soprattutto a causa della situazione di stallo del sistema economico
che ha imposto al governo una riconsiderazione del suo iniziale slancio
liberista.
Ulteriore
elemento di perplessità è dato dalla riforma costituzionale che, nel
riconoscere le regioni e gli altri enti territoriali come protagonisti di un
ordinamento autonomistico particolarmente spinto, ha, ad un tempo, riconosciuto
loro la capacità di porre in crisi la omogeneità e razionalità dei processi di
liberalizzazione.
Infatti
la riforma del Titolo V ha prepotentemente inserito nel confronto tra le
istituzioni competenze e materie del tutto inedite per la Carta costituzionale,
ma non si è preoccupata di considerare alcuni fattori che possono rivelarsi
determinanti per il cammino delle liberalizzazioni.
Si
tratta innanzitutto del regime transitorio, non esplicitamente regolato dal
legislatore della riforma, e per il quale lo stesso non ha previsto alcun
meccanismo espresso di raccordo, nelle materie di competenza concorrente, tra
cui rientrano la maggior parte di quelle che toccano i diversi settori
economici, tra la fonte legislativa dello Stato e quella regolamentare
regionale che viene chiamata a dare normative di dettaglio, che si rileveranno
in molti casi determinanti e tali da poter porre in crisi la necessaria
omogeneità di scelte di politica economica che dovrebbero essere uniformi su
tutto il territorio nazionale.
In
particolare la riforma ha introdotto nella Costituzione l’inedita materia della
tutela della concorrenza, attribuendola, come già ricordato, alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato, e quindi al livello di governo necessario
per assicurare l’armonizzazione degli ordinamenti europei in una delle materie
fondanti l’Unione. Nel far ciò, essa pare aver sottovalutato il potenziale
svuotamento di tale rilevante competenza ad opera delle autonomie territoriali,
in primo luogo le Regioni, alle quali è stato riconosciuta una potestà
legislativa di tale ampiezza da mettere seriamente a rischio le
liberalizzazioni già faticosamente avviate e rendere realizzabile addirittura
un percorso a ritroso sulla strada della apertura al mercato di settori
nevralgici quali l’energia, il commercio o l’industria.
Appare
tuttavia incoraggiante il recente indirizzo giurisprudenziale espresso dal
Consiglio di Stato con la sentenza n. 2922 della IV Sezione, che il 27 maggio
scorso ha dichiarato manifestamente infondate due questioni di legittimità
costituzionale di norme del D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79 (c.d. decreto Bersani),
in relazione alla presunta lesione delle competenze regionali in materia di
liberalizzazioni del settore elettrico ha stabilito, con riferimento agli artt.
117 e 118 Cost., che “da un lato rientra nella competenza statale la tutela
della concorrenza e dall’altro il principio di sussidiarietà tollera le deroghe
necessarie per l’esercizio unitario delle funzioni amministrative”. Inoltre il
Collegio, a proposito della disciplina a livello statale delle regole per la
privatizzazione delle società di gestione degli impianti di produzione
dell’energia elettrica, ha riconosciuto, rispetto agli artt. 5 e 114 Cost., che
“la relativa disciplina, avendo per oggetto esclusivo la dismissione di imprese
pubbliche, non lede le prerogative costituzionali delle Regioni e degli Enti
locali.”.
Deriva
da quanto affermato dal massimo organo della giustizia amministrativa
l’evidente esigenza di recuperare unitarietà, rispetto al frammentato quadro
normativo e costituzionale, nelle politiche strutturali di liberalizzazione di
un settore strategico quale quello dell’energia elettrica.
Va
comunque ribadito che l’attuale incertezza è determinata solo in parte dalla
incongruenza del dato normativo, per quanto rilevante, mentre pare maggiormente
condizionata dalla fase di stagnazione economica che l’intero occidente sta
attraversando.
Purtuttavia,
resta il dato inconfutabile per cui occorre pensare a normative di attuazione
della riforma costituzionale che tengono conto della esigenza di chiarezza e
affidabilità tentando di razionalizzare, nei limiti del possibile, i rapporti
fra competenze statali e locali in modo da non compromettere quel principio di
libera concorrenza che costituisce il caposaldo dei trattati europei e che ora
è testualmente recepito in costituzione.
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