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La questione sicurezza

a cura di Ernesto U. Savona

PREMESSA

C’è molta confusione su che cosa sia il bene della sicurezza di cui tanto si parla. La domanda sembra indistinta e l’offerta politica di soluzioni da destra o da sinistra resta spesso un mero annuncio di provvedimenti che non vengono mai presi. Intanto cresce l’offerta privata di sicurezza e, insieme, cresce l’offerta pubblica, con l’aumento inutile del numero dei poliziotti e dei magistrati. Ma una politica della sicurezza efficace ed efficiente non è mai esistita e non sembra voler esistere. Eppure oggi molte cose si possono dire a riguardo e, senza pregiudizi politici, alcune cose si potrebbero cambiare, risparmiando molte risorse pubbliche.

Proviamo a ragionare sul problema della sicurezza, su quali sono i fattori che lo determinano, su quali possono essere le strategie efficaci per modificarne gli effetti negativi e quali sono le riforme necessarie in Italia.

LA PAURA DELLA CRIMINALITA’.

Dentro il problema "sicurezza" ci sono aspetti oggettivi e soggettivi. C’è l’andamento della criminalità ed il rischio di vittimizzazione, e ci sono le ansie e le paure di essere vittima di un atto criminale. Proprio questo aspetto è oggi prevalente in una società caratterizzata da una forte influenza dei mezzi di comunicazione di massa. La paura della criminalità, più che dipendere dalla probabilità oggettiva di essere vittime di un atto criminale, dipende dalla percezione che abbiamo del volume della criminalità. Questa percezione dipende, a sua volta, da una molteplicità di fattori. Ed è proprio questo aspetto che determina le variazioni nella domanda di sicurezza ed è su questo aspetto che prospera l’industria privata e pubblica di sicurezza. Che cosa è questa paura? Si tratta di una condizione di preoccupazione generalizzata, che diventa ansia quando relazionata alle conseguenze di un atto criminale ed alla percezione di poterne essere vittima. Questa paura produce stress e diminuisce la qualità della nostra vita, ha costi economici e di libertà, limitando i nostri movimenti e condizionando le nostre scelte, e può produrre reazioni xenofobe insieme a forti propensioni punitive.

Vediamo quali sono i fattori che la producono e proviamo a tracciare gli elementi di una formula della sicurezza. La paura della criminalità tende ad aumentare se:

  • aumenta la quantità di criminalità;
  • aumenta la probabilità di diventarne vittime;
  • aumenta la percezione che il volume della criminalità nella città nella zona, nel quartiere dove si vive sia in aumento;
  • aumenta il livello di vulnerabilità personale del soggetto (età (anziani) ,sesso (donne) condizioni di salute precarie;
  • si riducono le capacità di affrontare direttamente il problema e/o diminuisce la fiducia che altri, società e istituzioni possano risolverlo.

Ciascuno di questi fattori concorre alla formazione della paura ma ciascuno di essi è indipendente, nel senso che la percezione dell’aumento del volume può aumentare al diminuire dell’ammontare complessivo di criminalità. Lo stesso per le probabilità di vittimizzazione, che possono dipendere sia dall’ammontare di criminalità ma anche dalle condizioni di vulnerabilità. Si ha più paura e quindi si esce di meno e quindi di rischia di avere minori probabilità di essere vittime di criminalità. Proviamo a leggere uno per uno i fenomeni che caratterizzano la formula della paura della criminalità. Si tratta di fenomeni complessi per i quali una lettura semplificata come quella che si richiede nell’ambito di questo saggio può essere insufficiente ad una totale comprensione.

L’ANDAMENTO DELLA CRIMINALITA’ E LE PROBABILITA’ DI VITTIMIZZAZIONE.

La situazione della criminalità in Italia è quella di una certa stabilità complessiva con alcune variazioni al suo interno. La mancanza di dati per singoli comuni e l’assenza di confronti con dati di vittimizzazione impone una certa prudenza. Comunque si può dire che i reati violenti come gli omicidi tendono a diminuire mentre le rapine tendono a crescere in modo non omogeneo. Quelli appropriativi (furti, scippi) subiscono variazioni in aumento o in diminuzione a secondo del periodo e del luogo. In sintesi i dati sull’andamento della criminalità non giustificano un allarme sicurezza. Considerato stabile l’andamento della criminalità sono anche stabili le probabilità oggettive di vittimizzazione. Anzi è da considerare che, crescendo la paura della criminalità tra le categorie più vulnerabili (anziani, donne) esse limitino le occasioni, come le uscite serali, che accrescono le probabilità di vittimizzazione. In poche parole le probabilità di vittimizzazione sono quasi inversamente proporzionali alla quantità di paura: proprio coloro che hanno più paura sono meno vittimizzati.

IL CIRCOLO VIZIOSO TRA PERCEZIONE DELLA CRIMINALITA’ E SUA PAURA.

Indipendentemente da quale sia l’ammontare effettivo della criminalità e dalla probabilità di vittimizzazione, c’è oggi una percezione diffusa che il volume della criminalità sia in aumento. La preoccupazione che si rileva dai vari sondaggi riguarda la città, la zona o il quartiere dove si abita. Questa percezione è mediata dalla vicinanza virtuale che fatti di criminalità che accadono lontano da noi siano percepiti come vicini perché trasportati dai mezzi di comunicazione di massa. Ci sono però anche segnali reali che determinano l’insicurezza e che coincidono con quelli che potremmo chiamare segnali di inciviltà o di disordine sociale. Si tratta di una grande varietà di segnali (dagli atti di vandalismo sulle cose, graffiti nei muri, prostituzione e spaccio di droghe in strada) che costituiscono segnali che i comportamenti sociali "incivili" sono tollerati dalle forze dell’ordine e dalla comunità. Questi segnali diffondono tra gli abitanti una preoccupazione per la propria sicurezza, accrescono la sfiducia che il controllo sociale formale (polizia) o informale (comunità) possa provvedere, e aumentano il livello di paura e di isolamento. Con l’abbassamento del controllo sociale, vero o percepito, offensori esterni al quartiere o alla zona entrano, attratti dalla scarsa vigilanza, e commettono atti criminali accrescendo a sua volta la paura e alimentando così, il circolo vizioso tra percezione della criminalità e sua paura. A questo circolo vizioso contribuisce la diminuzione della capacità di affrontare da soli il problema dell’insicurezza.

La quantità di insicurezza è infatti alimentata anche dal venire meno dei vincoli tradizionali di solidarietà che in piccole comunità svolgevano la funzione principale del controllo sociale. E’ chiaro che se la mancanza di questo sostegno non è compensata da una maggiore fiducia nei meccanismi del controllo sociale formale, come polizia e giudici, l’insicurezza tende a crescere. E sono proprio le categorie più vulnerabili, come anziani e donne, a soffrire di questa mancanza di protezione istituzionale che non sostituisce abbastanza l’assenza di protezione privata dei nuclei familiari di quelli amicali e più in generale della comunità.

ALCUNE STRATEGIE EFFICACI ED I LORO OBIETTIVI.

Ridurre l’ammontare di criminalità

Il problema criminalità e la sua paura sono oggetto di una continua riflessione di ricerca e di esperienze pratiche. L’Italia, purtroppo, non brilla per esperienze concrete di riduzione dell’ammontare di criminalità e quindi per un elenco dei modi e dei come si sviluppano queste strategie occorre fare riferimento soprattutto alla letteratura ed esperienze straniere. Di seguito alcune indicazioni che nascono da attività di ricerca e da una riflessione sulle strategie di riduzione della criminalità e sulle condizioni per il loro successo.

Quattro sono le strategie tradizionalmente usate per ridurre l’ammontare di criminalità:

  1. programmi basati sulle comunità, sia che si tratti di un villaggio, un quartiere urbano, un vicinato, per lo sviluppo di forme di controllo sociale informale;
  2. socializzazione primaria e secondaria, attraverso i media ed il lavoro per ridurre i processi di esclusione sociale e scoraggiare la produzione di violenza;
  3. riduzione delle opportunità per rendere il comportamento criminale più difficile, meno profittevole e più rischioso;
  4. arresto-condanna-reclusione del criminale con doppio effetto alternativo o cumulativo quando si ha reclusione: deterrenza nel commettere ulteriori atti criminali e incapacitazione fisica per non ripeterli quando si ha la reclusione.

Ciascuna delle strategie indicate tocca una o più sedi dove si può fare riduzione della criminalità. Si tratta della Comunità, della Famiglia, della Scuola, dell’Ambiente urbano, del Mercato del lavoro, delle Agenzie di Polizia, della Giustizia, del Carcere. In questi luoghi si svolgono ruoli diversi: quello di genitore, di educatore scolastico, di datore di lavoro, quello di commerciante, quello di operatore di polizia, di giustizia e carcerario, quello di parroco, volontario, assistente sociale, e di cittadino. Ciascuno di essi entra in una relazione potenziale con eventi criminali e con la possibilità della loro prevenzione, sia perché ciascuno di essi può svolgere una pratica di prevenzione (cioè un comportamento di routine) oppure perché ciascuno di essi può essere il destinatario di un programma apposito di prevenzione. Per esempio è un pratica di prevenzione della criminalità chiedere il rientro dei figli ad un orario determinato, oppure per la Polizia rispondere ad una chiamata al 113, mentre è un programma apposito creare queste abitudini che possono prevenire la criminalità quando queste ed altre non sono praticate. È dimostrato da ricerche svolte che interventi mirati in ciascuno dei luoghi indicati, se coordinati tra di loro (effetto flusso), possono produrre effetti benefici in termini di riduzione dell’ammontare di criminalità. E’ dimostrato, ad esempio, che il carcere può avere effetti positivi in termini di riduzione della recidiva se all’uscita il recluso trova una adeguata e mirata assistenza sociale ed un percorso definito nel ciclo formativo-lavorativo. Spesso la validità di un intervento è legata alla sussistenza di un altro intervento in un altra delle sedi istituzionali indicate. Il circuito famiglia-scuola-comunità è un esempio di molteplicità delle sedi e degli interventi e della necessita’ della loro integrazione.

Per ciascuna delle sedi individuate si possono formulare una vasta gamma di interventi. Molti di questi sono stati già sperimentati altrove con risultati diversi, dalla massima efficacia alla totale assenza di risultati. Le variabili influenti sono state, il tipo di intervento, l’area prescelta, l’assenza o la presenza di un coordinamento con altri interventi mirati alla prevenzione. Di seguito soltanto alcuni esempi di interventi scelti a caso che si riferiscono ad una o più delle sedi indicate :

  • ridurre i fattori di rischio cioè quei fattori che, restando eguali gli altri, aumentano la probabilità che un evento criminale possa verificarsi (abuso di droghe, disordine mentale, abbandono scolastico, disoccupazione etc.)
  • sviluppare i fattori protettivi, cioè quelle caratteristiche , che restando eguali le altre, diminuiscono le probabilità che un dato evento criminale possa verificarsi (insegnare le capacità genitoriali a genitori molto giovani, incentivare l’assolvimento dell’obbligo scolastico, creare appositi percorsi formativi-lavorativi per giovani a rischio, sviluppare forme organizzative di tipo comunitario, etc.)
  • spostare la criminalità movendo la sua scena urbana. Per esempio, l’illuminazione o la chiusura di alcuni parchi o piazze caratterizzate da particolare intensità di transazioni criminali. Isolare, raggruppando attraverso un apposito uso di licenze, locali dove si consumano "all’aperto" una serie di "vizi" (pornografia, prostituzione, gioco d’azzardo, etc.) per l’effetto che questi hanno sulla aumento della produzione di criminalità comune e violenta nell’area circostante;
  • impedire lo sviluppo di comportamenti criminali e/o spostandoli da forme gravi a forme meno gravi attraverso la predisposizione di serrature, vetri infrangibili, numeri personali di identificazione personale sulle carte di credito, incentivi all’utilizzo di conti correnti bancari o postali per l’accredito di stipendi/pensioni, incentivi per l’uso di carte di credito e bancomat per pagamenti minimi, sollecitando l’apprendimento di forme di prevenzione individuale e sviluppando quella aziendale;
  • sviluppare l’assistenza sociale post-carceraria attraverso interventi di sostegno mirati al reinserimento individuale, familiare, sociale, educativo e lavorativo del recluso, soprattutto per i giovani e coloro che sono al primo reato.

Interventi come quelli in precedenza considerati per produrre effetti positivi in termini di riduzione dell’ammontare di criminalità devono essere programmati tenendo conto che il massimo dispiegamento della loro efficacia dipende da alcune condizioni di partenza, e tra queste:

  • la creazione di un effetto flusso, cioè facilitare la trasmissione degli effetti da una sede all’altra, quindi la scelta di una area omogenea, per interventi mirati alle prime quattro delle sedi istituzionali (comunità, famiglia, scuola, ambiente urbano);
  • la conoscenza della situazione pre-intervento e verifica della fattibilità dell’intervento prima del suo inizio;
  • le possibilità di coordinamento tra gli interventi nell’area definita e gli altri interventi (trasversali) relativi alle altre quattro sedi istituzionali: Mercato del lavoro, Polizia, Giustizia, Carcere.

Incidere sulla percezione del volume di criminalità e sulla capacità di affrontarla.

Si tratta di un secondo obiettivo importante, considerato che la paura è alimentata dalla comunicazione dei media e che a sua volta gioca un ruolo centrale nel circolo vizioso tra segni di inciviltà o di disordine sociale, percezione dell’abbassamento del controllo sociale formale, produzione di paura e conseguente apertura della zona o del quartiere all’ingresso di criminalità effettiva. Per troppo tempo abbiamo trascurato ed ancora oggi lo facciamo il costo economico e sociale dell’inciviltà. Accorgerci che il disordine sociale costa non solo economicamente ma anche socialmente producendo insicurezza dovrebbe farci riflettere su quanto i cittadini italiani pagano in termini di insicurezza dall’assenza di politiche serie dirette ad affrontare il vandalismo e a regolare tutte quelle occasioni che producono disordine sociale. Interventi di prevenzione situazionale sviluppati in altri paesi attraverso un mix di politiche penali ed amministrative hanno prodotto risultati positivi a costi bassi. Forse una attenzione maggiore al problema e lo studio di soluzioni adeguate insieme con tutte le Istituzioni (Comuni) ed Enti (Ferrovie, Telefoni, etc.) che oggi giorno per giorno soffrono costi elevatissimi per la diffusione delle "inciviltà" potrebbe farci vivere meglio a costi inferiori.

CHE COSA RIFORMARE E PERCHE’?

Per raggiungere i due obiettivi di ridurre l’ammontare delle criminalità e la sua paura occorre mettere mano ad una serie di riforme urgenti e necessarie, altrimenti la spirale tra criminalità e paura tenderà ad andare verso l’alto, con un peggioramento dei livelli di criminalità ed una sostanziale ingovernabilità della paura dei cittadini. Nel predisporre le riforme necessarie ci sono problemi culturali e politici e organizzativi. Proviamo a schematizzarli.

Un problema culturale: necessità di lenti multifocali per il problema criminalità-sicurezza.

L’andamento discontinuo dell’attenzione politica alla grande criminalità e a quella piccola ha prodotto una notevole sfasatura tra i problemi e la loro soluzione. Sembra che in Italia gli occhiali della politica siano stati dotati per molto tempo di sole lenti da lontano. Abbiano cioè visto i problemi della criminalità legati alla criminalità organizzata di origine mafiosa trascurando quelli della criminalità urbana. Il rischio che gli occhiali oggi indossati dalla politica siano forniti solo da lenti da vicino e guardino alla criminalità urbana trascurando quella organizzata fa parte di questo andamento discontinuo che sconta una incapacità di guardare alla questione criminale come un problema unico con diversi aspetti.

A questa arretratezza culturale si aggiunge quella organizzativa che è centralizzata perché basata sull’assunto che i problemi della criminalità siano pressoché simili nel territorio e che quindi giustifichino una struttura centralizzata, quale è quella oggi esistente, che gode di corpi di polizia centralizzati, ad esclusione della polizia municipale che non ha compiti di controllo dell’ordine pubblico. Questa visione centralizzata non corrisponde alla qualità stessa della questione criminale, che è legata ai processi di sviluppo economico, urbanistico e del mercato del lavoro, e dove la qualità della criminalità è più simile tra Milano e Londra che tra Milano, Pescara o Gela. Caduto il presupposto dell’eguaglianza dei problemi e sostituito con quello della diversità non ha più senso organizzare il controllo della criminalità predisponendo strumenti organizzativi centralizzati. Le stesse strategie prima sviluppate per ridurre l’ammontare di criminalità richiedono l’intervento dei poteri locali. Proprio l’effetto "flusso" tra le diverse strategie richiamato in precedenza, richiede che il governo della sicurezza dei cittadini e le conseguenti strategie per ridurre l’ammontare di criminalità abbiano il loro centro a livello di città, di provincia o di regione. Questo non vuol dire contrapporre poteri centrali a poteri locali, ma al contrario integrare questi due poteri considerando due criteri: quello dell’efficacia e dell’efficienza degli interventi.

Si tratta di due criteri importanti scarsamente usati per valutare l’impatto delle politiche di sicurezza. Se queste valutazioni si fossero fatte si sarebbe scoperto che il tasso di addetti al controllo della criminalità (poliziotti,cara-binieri, Guardia di Finanza e tutte le altre Polizie esistenti) è in Italia di 488 per 100.000 abitanti, il più alto dei 15 paesi dell’Unione Europea (media europea=375) e che a questo dato non corrisponde una maggiore efficacia nel controllo della criminalità, considerata l’alta percentuale di autori di reato che restano più ignoti in Italia che

negli altri paesi. Soltanto di recente, e dopo che questi dati sono stati diffusi da un settimanale italiano, il Ministero dell’Interno ha iniziato a censire gli addetti ai Corpi di Polizia impegnati in compiti impropri. Si aspettano i dati di questo censimento e le misure conseguenti. Certamente questi dati fanno riflettere sulla proprietà della richiesta dell’aumento degli organici delle Polizie da parte dei Ministri succedutisi via via durante questi anni al Viminale. L’ignoranza, condita con un poco di malafede, ha fatto sì che il Parlamento, sull’onda emotiva dell’insicurezza dei cittadini, abbia finanziato l’aumento degli organici delle Polizie causando un ingolfamento dei meccanismi di controllo. Se si aggiunge che la formazione di questi addetti è costosissima e spesso non adeguata ai compiti che gli addetti di Polizia devono intraprendere in un quadro cambiato di cooperazione internazionale, si potrebbe affermare che oggi in Italia ci sono troppe Polizie, e troppi Poliziotti, che sono allocati male e anche mal addestrati. Ovviamente il discorso riguarda anche il numero dei Corpi, troppi in relazione al fatto che sono tutti centralizzati e non godono di alcuna particolarità operativa ad esclusione della Guardia di Finanza, Guardia forestale e le Polizie di settore compresa quella penitenziaria. Le sovrapposizioni e le conflittualità competitive sono inevitabili lasciando le possibilità di coordinamento alla dimensione del sogno più che della realtà.

Una politica per la giustizia.

Se le istituzioni del controllo della criminalità sono lontane da soglie minime di efficacia e di efficienza quelle della giustizia seguono a ruota. I problemi anche qui sono culturali ed organizzativi. Le ragioni della loro inefficacia ed inefficienza stanno sia nelle procedure, che nell’organizzazione giudiziaria e nella professionalità dei suoi addetti. Le procedure con i tre gradi di giudizio sono inadeguate alla domanda di giustizia dei cittadini ed a misure razionali di difesa sociale. Il trade-off tra garanzie per l’imputato e necessità di efficacia deterrente della sanzione penale, che è inversamente proporzionale al tempo trascorso tra la commissione del reato e l’esecuzione della pena, deve essere oggetto di attenta riflessione e scelta. In sua assenza la giustizia procede selettivamente per autori e crimini avvantaggiando con la prescrizione i reati di criminalità economica ed i suoi autori, spesso dotati di avvocati capaci e costosi, e lasciando nei carceri i meno dotati di risorse economiche e di consulenze professionali. Se questo è il risultato, la riduzione dei gradi di giudizio, una facilitazione all’uso del patteggiamento, sollecitata anche da una generale riduzione dei tempi di giudizio, sono obiettivi che vanno raggiunti da riforme urgenti. Una giustizia che ha i tempi di quella italiana non serve né a scoraggiare i possibili recidivi, né a neutralizzare i delinquenti pericolosi. Serve probabilmente ad autoriprodursi indipendentemente dal raggiungimento degli obiettivi per i quali è costituita.

La finanziaria di quest’anno dedica 11.500 miliardi alla giustizia. Si tratta di un investimento massiccio che potrebbe essere usato per riforme strutturali. Se però ancora una volta in questo "pacchetto" troviamo la richiesta dell’aumento del numero dei magistrati credo che siamo nel solito provvedimento auto-referenziale che non tiene conto di parametri di efficacia e di efficienza ai quali la macchina della giustizia dovrebbe pur attenersi insieme,ovviamente, a quelli di giustizia. Cerchiamo di capire gli intoppi, riformiamo le procedure, cambiamo i processi di formazione dei magistrati e poi, solo poi, dopo avere visto quanti ne servono procediamo alle nuove assunzioni.

Gli attuali 8.500 magistrati italiani su una popolazione di 58 milioni circa di persone sono una cifra considerevole se si operano i confronti con altri paesi europei dove il numero è inferiore e i tempi della giustizia sono decisamente inferiori. Ridisegnare la carriera dei magistrati attraverso un sistema di incentivi che ne premi la professionalità e l’efficienza è il necessario complemento alle riforme ordinamentali. I magistrati italiani hanno un percorso di carriera garantito da scatti di anzianità e non hanno alcun disincentivo alla inefficienza del loro lavoro. Ci sono eccezioni meritorie che non ci possono far dimenticare il valore dell’indipendenza. Un valore che in una condizione di inefficienza della magistratura rischia di essere una declamazione e basta. Le riforme da prendere in quest’area sarebbero numerose. Basterebbe iniziare dalla tanto discussa "separazione delle carriere" per cui un pubblico ministero viene formato e selezionato per fare il pubblico ministero ed un giudice viene formato per fare un giudice. Ambedue, oggi, ricevono la stessa formazione, quasi esclusivamente teorica e generalistica nelle Facoltà di Giurisprudenza, fanno lo stesso concorso e scelgono se di volta in volta fare il P.M. o il giudice, spesso per opportunità logistiche. Ci si dimentica spesso che il P.M. dirige le indagini di polizia giudiziaria e che quindi dovrebbe avere capacità e conoscenze che nessuno, né in sede di formazione né di selezione gli dà. Le responsabilità del P.M. sono simili (me ne scusino i P.M. e i direttori dei lavori) a quelle di un direttore dei lavori che in un cantiere edile deve guidare la squadra di piastrellisti, idraulici ed elettricisti insieme a muratori e varie altre figure. Come farebbe un direttore dei lavori a guidare queste squadre senza la minima informazione sulle tecniche per ciascuna di queste attività? Come potrebbe valutare se il loro operato è adeguato a raggiungere al meglio il risultato finale (identificazione degli autori di reato) producendo prove resistenti al giudizio? Coordinare le indagini richiede una grande professionalità che è diversa da quella di giudicare. Per realizzarla occorre una apposita formazione e selezione.

Iniziare a fare una politica per le vittime.

Le politiche per le vittime in Italia brillano per la loro assenza. Se si escludono quelle per le vittime di terrorismo, criminalità organizzata e usura, il problema di una serie politica per le vittime non esiste. Cenni di giustizia ristorativa cominciano ad affacciarsi all’orizzonte, ma sono ancora problemi per addetti ai lavori. L’assenza di politiche per le vittime che consistano in informazione, assistenza, compensazione ed altri interventi contribuisce enormemente alla sfiducia dei cittadini italiani verso le istituzioni di polizia e giustizia. Si tratta di equilibrare l’attenzione politica tra autori e vittime di reato e predisporre tutte quelle misure che in altri paesi fanno ormai parte delle politiche di giustizia. Si tratta di rendere presente lo Stato e le istituzioni là dove è stato commesso un reato, spesso informando la vittima sui progressi nelle indagini, per individuarne l’autore, oppure assistendola psicologicamente e fisicamente nel caso abbia ricevuto delle conseguenze psicologiche e fisiche. Lo Stato e le sue istituzioni dovrebbero essere capaci di convogliare la domanda di vendetta che vittime e loro parenti hanno in presenza di reati violenti, in un percorso fatto di assistenza, istituzioni, provvedimenti rapidi ed esemplari. Oggi, purtroppo, in Italia la vittima di un reato, o i suoi familiari sono un numero di procedimento, una pratica burocratica dalla quale nascono altrettanti adempimenti burocratici che vanno fatti perché le procedure lo richiedono. Spesso e volentieri giudici e polizia dimenticano che dietro quel numero di pratica c’è una grande sofferenza per il torto o il male subito. Basterebbe poco per riformare molto, e questo molto servirebbe ad accrescere quella solidarietà istituzionale che produce fiducia nelle istituzioni e diminuisce la paura della criminalità.

E per ultimo la riforma delle riforme...quella di parlare meno e fare di più e meglio.

Sarebbe ingenuo sperare che le politiche di sicurezza possano uscire dal dibattito politico. Che ci sia il dibattito ma che ci siano anche le soluzioni! E’ irresponsabile annunciare politiche per la sicurezza che non si traducono in iniziative reali. Sotto il vestito di queste politiche c’è spesso poco e niente. Esse valgono per l’annuncio che viene dato dalle varie parti politiche per rivendicare il merito di occuparsene. Quando poi qualcosa si riesce a realizzare i risultati sono deludenti e mai sottoposti a un serio monitoraggio. Le politiche che sono approvate sono spesso contingenti ed influenzano poco la situazione generale. Spesso quelle organiche (pacchetti) rimangono a livello di annuncio. Lo stesso per misure come amnistia ed indulto annunciati e mai realizzati. Mai come in questo caso il silenzio è d’oro! Politiche per la sicurezza annunciate e non realizzate aggiungono insicurezza. Politiche annunciate che hanno implicazioni per la durata di permanenza dentro il carcere producono notevoli disagi psicologici e comportamentali, e tra questi la delegittimazione di quelle istituzioni che dovrebbero essere capaci di punire ed anche di rieducare. Un desiderio: sarebbe da augurarsi un Patto per la Sicurezza tra i Poli in previsione delle prossime elezioni, iniziando una faticosa opera di ricostruzione del sistema del controllo penale e di giustizia. E’ un opera che richiede consenso, intelligenza e progettualità. Alcune cose si possono fare nei tempi brevi, altre in quelli medi e gran parte degli effetti positivi si possono scorgere nei tempi lunghi. La politica ha tutto da guadagnare, la società pure e noi tutti avremmo più sicurezza a costi inferiori di quella attuale che non abbiamo. Forse più che di un desiderio si tratta di un sogno.

archivio rapporti

Introduzione

Comunicazione e libertà

Libertà nel welfare e nel lavoro

Diritti umani

Evoluzione del sistema politico

I diritti: costanti e variabili

Il sistema scuola: libertà e doveri nel paese dei diritti

Giustizia e integrazione europea

La questione sicurezza