La questione sicurezza
a cura di Ernesto U. Savona
PREMESSA
C’è molta confusione su che cosa sia il bene della sicurezza di cui
tanto si parla. La domanda sembra indistinta e l’offerta politica di
soluzioni da destra o da sinistra resta spesso un mero annuncio di
provvedimenti che non vengono mai presi. Intanto cresce l’offerta
privata di sicurezza e, insieme, cresce l’offerta pubblica, con
l’aumento inutile del numero dei poliziotti e dei magistrati. Ma una
politica della sicurezza efficace ed efficiente non è mai esistita e non
sembra voler esistere. Eppure oggi molte cose si possono dire a riguardo
e, senza pregiudizi politici, alcune cose si potrebbero cambiare,
risparmiando molte risorse pubbliche.
Proviamo a ragionare sul problema della sicurezza, su quali sono i
fattori che lo determinano, su quali possono essere le strategie efficaci
per modificarne gli effetti negativi e quali sono le riforme necessarie in
Italia.
LA PAURA DELLA CRIMINALITA’.
Dentro il problema "sicurezza" ci sono aspetti oggettivi e
soggettivi. C’è l’andamento della criminalità ed il rischio di
vittimizzazione, e ci sono le ansie e le paure di essere vittima di un
atto criminale. Proprio questo aspetto è oggi prevalente in una società
caratterizzata da una forte influenza dei mezzi di comunicazione di massa.
La paura della criminalità, più che dipendere dalla probabilità
oggettiva di essere vittime di un atto criminale, dipende dalla percezione
che abbiamo del volume della criminalità. Questa percezione dipende, a
sua volta, da una molteplicità di fattori. Ed è proprio questo aspetto
che determina le variazioni nella domanda di sicurezza ed è su questo
aspetto che prospera l’industria privata e pubblica di sicurezza. Che
cosa è questa paura? Si tratta di una condizione di preoccupazione
generalizzata, che diventa ansia quando relazionata alle conseguenze di un
atto criminale ed alla percezione di poterne essere vittima. Questa paura
produce stress e diminuisce la qualità della nostra vita, ha costi
economici e di libertà, limitando i nostri movimenti e condizionando le
nostre scelte, e può produrre reazioni xenofobe insieme a forti
propensioni punitive.
Vediamo quali sono i fattori che la producono e proviamo a tracciare
gli elementi di una formula della sicurezza. La paura della criminalità
tende ad aumentare se:
- aumenta la quantità di
criminalità;
- aumenta la probabilità di
diventarne vittime;
- aumenta la percezione che il
volume della criminalità nella città nella zona, nel quartiere dove
si vive sia in aumento;
- aumenta il livello di
vulnerabilità personale del soggetto (età (anziani) ,sesso (donne)
condizioni di salute precarie;
- si riducono le capacità di
affrontare direttamente il problema e/o diminuisce la fiducia che
altri, società e istituzioni possano risolverlo.
Ciascuno di questi fattori concorre alla formazione della paura ma
ciascuno di essi è indipendente, nel senso che la percezione
dell’aumento del volume può aumentare al diminuire dell’ammontare
complessivo di criminalità. Lo stesso per le probabilità di
vittimizzazione, che possono dipendere sia dall’ammontare di criminalità
ma anche dalle condizioni di vulnerabilità. Si ha più paura e quindi si
esce di meno e quindi di rischia di avere minori probabilità di essere
vittime di criminalità. Proviamo a leggere uno per uno i fenomeni che
caratterizzano la formula della paura della criminalità. Si tratta di
fenomeni complessi per i quali una lettura semplificata come quella che si
richiede nell’ambito di questo saggio può essere insufficiente ad una
totale comprensione.
L’ANDAMENTO DELLA CRIMINALITA’ E LE PROBABILITA’ DI
VITTIMIZZAZIONE.
La situazione della criminalità in Italia è quella di una certa
stabilità complessiva con alcune variazioni al suo interno. La mancanza
di dati per singoli comuni e l’assenza di confronti con dati di
vittimizzazione impone una certa prudenza. Comunque si può dire che i
reati violenti come gli omicidi tendono a diminuire mentre le rapine
tendono a crescere in modo non omogeneo. Quelli appropriativi (furti,
scippi) subiscono variazioni in aumento o in diminuzione a secondo del
periodo e del luogo. In sintesi i dati sull’andamento della criminalità
non giustificano un allarme sicurezza. Considerato stabile l’andamento
della criminalità sono anche stabili le probabilità oggettive di
vittimizzazione. Anzi è da considerare che, crescendo la paura della
criminalità tra le categorie più vulnerabili (anziani, donne) esse
limitino le occasioni, come le uscite serali, che accrescono le probabilità
di vittimizzazione. In poche parole le probabilità di vittimizzazione
sono quasi inversamente proporzionali alla quantità di paura: proprio
coloro che hanno più paura sono meno vittimizzati.
IL CIRCOLO VIZIOSO TRA PERCEZIONE DELLA CRIMINALITA’ E SUA PAURA.
Indipendentemente da quale sia l’ammontare effettivo della criminalità
e dalla probabilità di vittimizzazione, c’è oggi una percezione
diffusa che il volume della criminalità sia in aumento. La preoccupazione
che si rileva dai vari sondaggi riguarda la città, la zona o il quartiere
dove si abita. Questa percezione è mediata dalla vicinanza virtuale che
fatti di criminalità che accadono lontano da noi siano percepiti come
vicini perché trasportati dai mezzi di comunicazione di massa. Ci sono
però anche segnali reali che determinano l’insicurezza e che coincidono
con quelli che potremmo chiamare segnali di inciviltà o di disordine
sociale. Si tratta di una grande varietà di segnali (dagli atti di
vandalismo sulle cose, graffiti nei muri, prostituzione e spaccio di
droghe in strada) che costituiscono segnali che i comportamenti sociali
"incivili" sono tollerati dalle forze dell’ordine e dalla
comunità. Questi segnali diffondono tra gli abitanti una preoccupazione
per la propria sicurezza, accrescono la sfiducia che il controllo sociale
formale (polizia) o informale (comunità) possa provvedere, e aumentano il
livello di paura e di isolamento. Con l’abbassamento del controllo
sociale, vero o percepito, offensori esterni al quartiere o alla zona
entrano, attratti dalla scarsa vigilanza, e commettono atti criminali
accrescendo a sua volta la paura e alimentando così, il circolo vizioso
tra percezione della criminalità e sua paura. A questo circolo vizioso
contribuisce la diminuzione della capacità di affrontare da soli il
problema dell’insicurezza.
La quantità di insicurezza è infatti alimentata anche dal venire meno
dei vincoli tradizionali di solidarietà che in piccole comunità
svolgevano la funzione principale del controllo sociale. E’ chiaro che
se la mancanza di questo sostegno non è compensata da una maggiore
fiducia nei meccanismi del controllo sociale formale, come polizia e
giudici, l’insicurezza tende a crescere. E sono proprio le categorie più
vulnerabili, come anziani e donne, a soffrire di questa mancanza di
protezione istituzionale che non sostituisce abbastanza l’assenza di
protezione privata dei nuclei familiari di quelli amicali e più in
generale della comunità.
ALCUNE STRATEGIE EFFICACI ED I LORO OBIETTIVI.
Ridurre l’ammontare di criminalità
Il problema criminalità e la sua paura sono oggetto di una continua
riflessione di ricerca e di esperienze pratiche. L’Italia, purtroppo,
non brilla per esperienze concrete di riduzione dell’ammontare di
criminalità e quindi per un elenco dei modi e dei come si sviluppano
queste strategie occorre fare riferimento soprattutto alla letteratura ed
esperienze straniere. Di seguito alcune indicazioni che nascono da attività
di ricerca e da una riflessione sulle strategie di riduzione della
criminalità e sulle condizioni per il loro successo.
Quattro sono le strategie tradizionalmente usate per ridurre
l’ammontare di criminalità:
- programmi basati sulle
comunità, sia che si tratti di un villaggio, un quartiere urbano, un
vicinato, per lo sviluppo di forme di controllo sociale informale;
- socializzazione primaria e
secondaria, attraverso i media ed il lavoro per ridurre i processi di
esclusione sociale e scoraggiare la produzione di violenza;
- riduzione delle opportunità
per rendere il comportamento criminale più difficile, meno
profittevole e più rischioso;
- arresto-condanna-reclusione
del criminale con doppio effetto alternativo o cumulativo quando si ha
reclusione: deterrenza nel commettere ulteriori atti criminali e
incapacitazione fisica per non ripeterli quando si ha la reclusione.
Ciascuna delle strategie indicate tocca una o più sedi dove si può
fare riduzione della criminalità. Si tratta della Comunità, della
Famiglia, della Scuola, dell’Ambiente urbano, del Mercato del lavoro,
delle Agenzie di Polizia, della Giustizia, del Carcere. In questi luoghi
si svolgono ruoli diversi: quello di genitore, di educatore scolastico, di
datore di lavoro, quello di commerciante, quello di operatore di polizia,
di giustizia e carcerario, quello di parroco, volontario, assistente
sociale, e di cittadino. Ciascuno di essi entra in una relazione
potenziale con eventi criminali e con la possibilità della loro
prevenzione, sia perché ciascuno di essi può svolgere una pratica di
prevenzione (cioè un comportamento di routine) oppure perché ciascuno di
essi può essere il destinatario di un programma apposito di prevenzione.
Per esempio è un pratica di prevenzione della criminalità chiedere il
rientro dei figli ad un orario determinato, oppure per la Polizia
rispondere ad una chiamata al 113, mentre è un programma apposito creare
queste abitudini che possono prevenire la criminalità quando queste ed
altre non sono praticate. È dimostrato da ricerche svolte che interventi
mirati in ciascuno dei luoghi indicati, se coordinati tra di loro (effetto
flusso), possono produrre effetti benefici in termini di riduzione
dell’ammontare di criminalità. E’ dimostrato, ad esempio, che il
carcere può avere effetti positivi in termini di riduzione della recidiva
se all’uscita il recluso trova una adeguata e mirata assistenza sociale
ed un percorso definito nel ciclo formativo-lavorativo. Spesso la validità
di un intervento è legata alla sussistenza di un altro intervento in un
altra delle sedi istituzionali indicate. Il circuito
famiglia-scuola-comunità è un esempio di molteplicità delle sedi e
degli interventi e della necessita’ della loro integrazione.
Per ciascuna delle sedi individuate si possono formulare una vasta
gamma di interventi. Molti di questi sono stati già sperimentati altrove
con risultati diversi, dalla massima efficacia alla totale assenza di
risultati. Le variabili influenti sono state, il tipo di intervento,
l’area prescelta, l’assenza o la presenza di un coordinamento con
altri interventi mirati alla prevenzione. Di seguito soltanto alcuni
esempi di interventi scelti a caso che si riferiscono ad una o più delle
sedi indicate :
- ridurre i fattori di rischio
cioè quei fattori che, restando eguali gli altri, aumentano la
probabilità che un evento criminale possa verificarsi (abuso di
droghe, disordine mentale, abbandono scolastico, disoccupazione etc.)
- sviluppare i fattori
protettivi, cioè quelle caratteristiche , che restando eguali le
altre, diminuiscono le probabilità che un dato evento criminale possa
verificarsi (insegnare le capacità genitoriali a genitori molto
giovani, incentivare l’assolvimento dell’obbligo scolastico,
creare appositi percorsi formativi-lavorativi per giovani a rischio,
sviluppare forme organizzative di tipo comunitario, etc.)
- spostare la criminalità
movendo la sua scena urbana. Per esempio, l’illuminazione o la
chiusura di alcuni parchi o piazze caratterizzate da particolare
intensità di transazioni criminali. Isolare, raggruppando attraverso
un apposito uso di licenze, locali dove si consumano
"all’aperto" una serie di "vizi" (pornografia,
prostituzione, gioco d’azzardo, etc.) per l’effetto che questi
hanno sulla aumento della produzione di criminalità comune e violenta
nell’area circostante;
- impedire lo sviluppo di
comportamenti criminali e/o spostandoli da forme gravi a forme meno
gravi attraverso la predisposizione di serrature, vetri infrangibili,
numeri personali di identificazione personale sulle carte di credito,
incentivi all’utilizzo di conti correnti bancari o postali per
l’accredito di stipendi/pensioni, incentivi per l’uso di carte di
credito e bancomat per pagamenti minimi, sollecitando
l’apprendimento di forme di prevenzione individuale e sviluppando
quella aziendale;
- sviluppare l’assistenza
sociale post-carceraria attraverso interventi di sostegno mirati al
reinserimento individuale, familiare, sociale, educativo e lavorativo
del recluso, soprattutto per i giovani e coloro che sono al primo
reato.
Interventi come quelli in precedenza considerati per produrre effetti
positivi in termini di riduzione dell’ammontare di criminalità devono
essere programmati tenendo conto che il massimo dispiegamento della loro
efficacia dipende da alcune condizioni di partenza, e tra queste:
- la creazione di un effetto
flusso, cioè facilitare la trasmissione degli effetti da una sede
all’altra, quindi la scelta di una area omogenea, per interventi
mirati alle prime quattro delle sedi istituzionali (comunità,
famiglia, scuola, ambiente urbano);
- la conoscenza della
situazione pre-intervento e verifica della fattibilità
dell’intervento prima del suo inizio;
- le possibilità di
coordinamento tra gli interventi nell’area definita e gli altri
interventi (trasversali) relativi alle altre quattro sedi
istituzionali: Mercato del lavoro, Polizia, Giustizia, Carcere.
Incidere sulla percezione del volume di criminalità e sulla capacità
di affrontarla.
Si tratta di un secondo obiettivo importante, considerato che la paura
è alimentata dalla comunicazione dei media e che a sua volta gioca un
ruolo centrale nel circolo vizioso tra segni di inciviltà o di disordine
sociale, percezione dell’abbassamento del controllo sociale formale,
produzione di paura e conseguente apertura della zona o del quartiere
all’ingresso di criminalità effettiva. Per troppo tempo abbiamo
trascurato ed ancora oggi lo facciamo il costo economico e sociale
dell’inciviltà. Accorgerci che il disordine sociale costa non solo
economicamente ma anche socialmente producendo insicurezza dovrebbe farci
riflettere su quanto i cittadini italiani pagano in termini di insicurezza
dall’assenza di politiche serie dirette ad affrontare il vandalismo e a
regolare tutte quelle occasioni che producono disordine sociale.
Interventi di prevenzione situazionale sviluppati in altri paesi
attraverso un mix di politiche penali ed amministrative hanno prodotto
risultati positivi a costi bassi. Forse una attenzione maggiore al
problema e lo studio di soluzioni adeguate insieme con tutte le
Istituzioni (Comuni) ed Enti (Ferrovie, Telefoni, etc.) che oggi giorno
per giorno soffrono costi elevatissimi per la diffusione delle
"inciviltà" potrebbe farci vivere meglio a costi inferiori.
CHE COSA RIFORMARE E PERCHE’?
Per raggiungere i due obiettivi di ridurre l’ammontare delle
criminalità e la sua paura occorre mettere mano ad una serie di riforme
urgenti e necessarie, altrimenti la spirale tra criminalità e paura
tenderà ad andare verso l’alto, con un peggioramento dei livelli di
criminalità ed una sostanziale ingovernabilità della paura dei
cittadini. Nel predisporre le riforme necessarie ci sono problemi
culturali e politici e organizzativi. Proviamo a schematizzarli.
Un problema culturale: necessità di lenti multifocali per il problema
criminalità-sicurezza.
L’andamento discontinuo dell’attenzione politica alla grande
criminalità e a quella piccola ha prodotto una notevole sfasatura tra i
problemi e la loro soluzione. Sembra che in Italia gli occhiali della
politica siano stati dotati per molto tempo di sole lenti da lontano.
Abbiano cioè visto i problemi della criminalità legati alla criminalità
organizzata di origine mafiosa trascurando quelli della criminalità
urbana. Il rischio che gli occhiali oggi indossati dalla politica siano
forniti solo da lenti da vicino e guardino alla criminalità urbana
trascurando quella organizzata fa parte di questo andamento discontinuo
che sconta una incapacità di guardare alla questione criminale come un
problema unico con diversi aspetti.
A questa arretratezza culturale si aggiunge quella organizzativa che è
centralizzata perché basata sull’assunto che i problemi della
criminalità siano pressoché simili nel territorio e che quindi
giustifichino una struttura centralizzata, quale è quella oggi esistente,
che gode di corpi di polizia centralizzati, ad esclusione della polizia
municipale che non ha compiti di controllo dell’ordine pubblico. Questa
visione centralizzata non corrisponde alla qualità stessa della questione
criminale, che è legata ai processi di sviluppo economico, urbanistico e
del mercato del lavoro, e dove la qualità della criminalità è più
simile tra Milano e Londra che tra Milano, Pescara o Gela. Caduto il
presupposto dell’eguaglianza dei problemi e sostituito con quello della
diversità non ha più senso organizzare il controllo della criminalità
predisponendo strumenti organizzativi centralizzati. Le stesse strategie
prima sviluppate per ridurre l’ammontare di criminalità richiedono
l’intervento dei poteri locali. Proprio l’effetto "flusso"
tra le diverse strategie richiamato in precedenza, richiede che il governo
della sicurezza dei cittadini e le conseguenti strategie per ridurre
l’ammontare di criminalità abbiano il loro centro a livello di città,
di provincia o di regione. Questo non vuol dire contrapporre poteri
centrali a poteri locali, ma al contrario integrare questi due poteri
considerando due criteri: quello dell’efficacia e dell’efficienza
degli interventi.
Si tratta di due criteri importanti scarsamente usati per valutare
l’impatto delle politiche di sicurezza. Se queste valutazioni si fossero
fatte si sarebbe scoperto che il tasso di addetti al controllo della
criminalità (poliziotti,cara-binieri, Guardia di Finanza e tutte le altre
Polizie esistenti) è in Italia di 488 per 100.000 abitanti, il più alto
dei 15 paesi dell’Unione Europea (media europea=375) e che a questo dato
non corrisponde una maggiore efficacia nel controllo della criminalità,
considerata l’alta percentuale di autori di reato che restano più
ignoti in Italia che
negli altri paesi. Soltanto di recente, e dopo che questi dati sono
stati diffusi da un settimanale italiano, il Ministero dell’Interno ha
iniziato a censire gli addetti ai Corpi di Polizia impegnati in compiti
impropri. Si aspettano i dati di questo censimento e le misure
conseguenti. Certamente questi dati fanno riflettere sulla proprietà
della richiesta dell’aumento degli organici delle Polizie da parte dei
Ministri succedutisi via via durante questi anni al Viminale.
L’ignoranza, condita con un poco di malafede, ha fatto sì che il
Parlamento, sull’onda emotiva dell’insicurezza dei cittadini, abbia
finanziato l’aumento degli organici delle Polizie causando un
ingolfamento dei meccanismi di controllo. Se si aggiunge che la formazione
di questi addetti è costosissima e spesso non adeguata ai compiti che gli
addetti di Polizia devono intraprendere in un quadro cambiato di
cooperazione internazionale, si potrebbe affermare che oggi in Italia ci
sono troppe Polizie, e troppi Poliziotti, che sono allocati male e anche
mal addestrati. Ovviamente il discorso riguarda anche il numero dei Corpi,
troppi in relazione al fatto che sono tutti centralizzati e non godono di
alcuna particolarità operativa ad esclusione della Guardia di Finanza,
Guardia forestale e le Polizie di settore compresa quella penitenziaria.
Le sovrapposizioni e le conflittualità competitive sono inevitabili
lasciando le possibilità di coordinamento alla dimensione del sogno più
che della realtà.
Una politica per la giustizia.
Se le istituzioni del controllo della criminalità sono lontane da
soglie minime di efficacia e di efficienza quelle della giustizia seguono
a ruota. I problemi anche qui sono culturali ed organizzativi. Le ragioni
della loro inefficacia ed inefficienza stanno sia nelle procedure, che
nell’organizzazione giudiziaria e nella professionalità dei suoi
addetti. Le procedure con i tre gradi di giudizio sono inadeguate alla
domanda di giustizia dei cittadini ed a misure razionali di difesa
sociale. Il trade-off tra garanzie per l’imputato e necessità di
efficacia deterrente della sanzione penale, che è inversamente
proporzionale al tempo trascorso tra la commissione del reato e
l’esecuzione della pena, deve essere oggetto di attenta riflessione e
scelta. In sua assenza la giustizia procede selettivamente per autori e
crimini avvantaggiando con la prescrizione i reati di criminalità
economica ed i suoi autori, spesso dotati di avvocati capaci e costosi, e
lasciando nei carceri i meno dotati di risorse economiche e di consulenze
professionali. Se questo è il risultato, la riduzione dei gradi di
giudizio, una facilitazione all’uso del patteggiamento, sollecitata
anche da una generale riduzione dei tempi di giudizio, sono obiettivi che
vanno raggiunti da riforme urgenti. Una giustizia che ha i tempi di quella
italiana non serve né a scoraggiare i possibili recidivi, né a
neutralizzare i delinquenti pericolosi. Serve probabilmente ad
autoriprodursi indipendentemente dal raggiungimento degli obiettivi per i
quali è costituita.
La finanziaria di quest’anno dedica 11.500 miliardi alla giustizia.
Si tratta di un investimento massiccio che potrebbe essere usato per
riforme strutturali. Se però ancora una volta in questo
"pacchetto" troviamo la richiesta dell’aumento del numero dei
magistrati credo che siamo nel solito provvedimento auto-referenziale che
non tiene conto di parametri di efficacia e di efficienza ai quali la
macchina della giustizia dovrebbe pur attenersi insieme,ovviamente, a
quelli di giustizia. Cerchiamo di capire gli intoppi, riformiamo le
procedure, cambiamo i processi di formazione dei magistrati e poi, solo
poi, dopo avere visto quanti ne servono procediamo alle nuove assunzioni.
Gli attuali 8.500 magistrati italiani su una popolazione di 58 milioni
circa di persone sono una cifra considerevole se si operano i confronti
con altri paesi europei dove il numero è inferiore e i tempi della
giustizia sono decisamente inferiori. Ridisegnare la carriera dei
magistrati attraverso un sistema di incentivi che ne premi la
professionalità e l’efficienza è il necessario complemento alle
riforme ordinamentali. I magistrati italiani hanno un percorso di carriera
garantito da scatti di anzianità e non hanno alcun disincentivo alla
inefficienza del loro lavoro. Ci sono eccezioni meritorie che non ci
possono far dimenticare il valore dell’indipendenza. Un valore che in
una condizione di inefficienza della magistratura rischia di essere una
declamazione e basta. Le riforme da prendere in quest’area sarebbero
numerose. Basterebbe iniziare dalla tanto discussa "separazione delle
carriere" per cui un pubblico ministero viene formato e selezionato
per fare il pubblico ministero ed un giudice viene formato per fare un
giudice. Ambedue, oggi, ricevono la stessa formazione, quasi
esclusivamente teorica e generalistica nelle Facoltà di Giurisprudenza,
fanno lo stesso concorso e scelgono se di volta in volta fare il P.M. o il
giudice, spesso per opportunità logistiche. Ci si dimentica spesso che il
P.M. dirige le indagini di polizia giudiziaria e che quindi dovrebbe avere
capacità e conoscenze che nessuno, né in sede di formazione né di
selezione gli dà. Le responsabilità del P.M. sono simili (me ne scusino
i P.M. e i direttori dei lavori) a quelle di un direttore dei lavori che
in un cantiere edile deve guidare la squadra di piastrellisti, idraulici
ed elettricisti insieme a muratori e varie altre figure. Come farebbe un
direttore dei lavori a guidare queste squadre senza la minima informazione
sulle tecniche per ciascuna di queste attività? Come potrebbe valutare se
il loro operato è adeguato a raggiungere al meglio il risultato finale
(identificazione degli autori di reato) producendo prove resistenti al
giudizio? Coordinare le indagini richiede una grande professionalità che
è diversa da quella di giudicare. Per realizzarla occorre una apposita
formazione e selezione.
Iniziare a fare una politica per le vittime.
Le politiche per le vittime in Italia brillano per la loro assenza. Se
si escludono quelle per le vittime di terrorismo, criminalità organizzata
e usura, il problema di una serie politica per le vittime non esiste.
Cenni di giustizia ristorativa cominciano ad affacciarsi all’orizzonte,
ma sono ancora problemi per addetti ai lavori. L’assenza di politiche
per le vittime che consistano in informazione, assistenza, compensazione
ed altri interventi contribuisce enormemente alla sfiducia dei cittadini
italiani verso le istituzioni di polizia e giustizia. Si tratta di
equilibrare l’attenzione politica tra autori e vittime di reato e
predisporre tutte quelle misure che in altri paesi fanno ormai parte delle
politiche di giustizia. Si tratta di rendere presente lo Stato e le
istituzioni là dove è stato commesso un reato, spesso informando la
vittima sui progressi nelle indagini, per individuarne l’autore, oppure
assistendola psicologicamente e fisicamente nel caso abbia ricevuto delle
conseguenze psicologiche e fisiche. Lo Stato e le sue istituzioni
dovrebbero essere capaci di convogliare la domanda di vendetta che vittime
e loro parenti hanno in presenza di reati violenti, in un percorso fatto
di assistenza, istituzioni, provvedimenti rapidi ed esemplari. Oggi,
purtroppo, in Italia la vittima di un reato, o i suoi familiari sono un
numero di procedimento, una pratica burocratica dalla quale nascono
altrettanti adempimenti burocratici che vanno fatti perché le procedure
lo richiedono. Spesso e volentieri giudici e polizia dimenticano che
dietro quel numero di pratica c’è una grande sofferenza per il torto o
il male subito. Basterebbe poco per riformare molto, e questo molto
servirebbe ad accrescere quella solidarietà istituzionale che produce
fiducia nelle istituzioni e diminuisce la paura della criminalità.
E per ultimo la riforma delle riforme...quella di parlare meno e fare
di più e meglio.
Sarebbe ingenuo sperare che le politiche di sicurezza possano uscire
dal dibattito politico. Che ci sia il dibattito ma che ci siano anche le
soluzioni! E’ irresponsabile annunciare politiche per la sicurezza che
non si traducono in iniziative reali. Sotto il vestito di queste politiche
c’è spesso poco e niente. Esse valgono per l’annuncio che viene dato
dalle varie parti politiche per rivendicare il merito di occuparsene.
Quando poi qualcosa si riesce a realizzare i risultati sono deludenti e
mai sottoposti a un serio monitoraggio. Le politiche che sono approvate
sono spesso contingenti ed influenzano poco la situazione generale. Spesso
quelle organiche (pacchetti) rimangono a livello di annuncio. Lo stesso
per misure come amnistia ed indulto annunciati e mai realizzati. Mai come
in questo caso il silenzio è d’oro! Politiche per la sicurezza
annunciate e non realizzate aggiungono insicurezza. Politiche annunciate
che hanno implicazioni per la durata di permanenza dentro il carcere
producono notevoli disagi psicologici e comportamentali, e tra questi la
delegittimazione di quelle istituzioni che dovrebbero essere capaci di
punire ed anche di rieducare. Un desiderio: sarebbe da augurarsi un Patto
per la Sicurezza tra i Poli in previsione delle prossime elezioni,
iniziando una faticosa opera di ricostruzione del sistema del controllo
penale e di giustizia. E’ un opera che richiede consenso, intelligenza e
progettualità. Alcune cose si possono fare nei tempi brevi, altre in
quelli medi e gran parte degli effetti positivi si possono scorgere nei
tempi lunghi. La politica ha tutto da guadagnare, la società pure e noi
tutti avremmo più sicurezza a costi inferiori di quella attuale che non
abbiamo. Forse più che di un desiderio si tratta di un sogno.
|
|