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Il sistema scuola: libertà e doveri nel paese dei diritti

a cura di Stefania Fuscagni e Luciana Lepri

Per analizzare il grado di libertà del sistema scuola in Italia e la corrispondenza tra doveri e diritti, occorre riconoscere che la responsabilità, presupposto indispensabile per l’osservanza dei doveri e per l’esercizio dei diritti, si esercita a titolo personale. Nel corso della trattazione cercheremo di giustificare il perché di tale premessa.

Si ritiene opportuno, ai fini della chiarezza dell’esposizione, analizzare i seguenti punti:

  • La situazione del sistema scuola in Italia prima dell’introduzione dell’autonomia.
  • La situazione del sistema scuola in Italia dopo l’entrata in vigore della L. 15/3/1997 n. 59 (legge Bassanini in particolare l’articolo 21 che introduce l’autonomia delle istituzioni scolastiche).

Per quanto riguarda il punto 2, l’analisi sarà condotta con riferimento ai seguenti indici o parametri:

  • coinvolgimento;
  • sistemi di valutazione;
  • grado di autonomia.

SCUOLA

Situazione prima della L.15/3/1997 n. 59 (art. 21 Bassanini)

Struttura.

MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
DIREZIONI GENERALI
ELEMENTARE CLASSICA

SCIENTIFICA MAGISTRALE

TECNICA PROFESSIONALE ARTISTICA
PROVVEDITORATI AGLI STUDI

(Amministrazione periferica Ambito provinciale)

SOVRINTENDENZE

(Anello intermedio tra il Ministero P. I. e i Provveditorati Ambito Regionale)

CAPI DI ISTITUTO

DOCENTI

ISPETTORI CENTRALI

ISPETTORI PERIFERICI

(Poi aboliti)

           

Caratteristiche della organizzazione.

  • Tipologia: accentrata e verticistica.
  • Valutazione del sistema: praticamente inesistente. (Il controllo affidato agli Ispettori ha un carattere prevalentemente fiscale ed è esercitato su singoli docenti, capi di Istituto o Istituti scolastici in forma non sistematica)
  • Organizzazione: tre livelli o ordini di scuola, che rispettano le tappe dell’età evolutiva (infanzia, preadolescenza, adolescenza/giovinezza):
    • Scuole dell’obbligo
      • Scuola Elementare (dai 6 agli 11 anni)
      • Scuola Secondaria di primo grado (dagli 11 ai 14 anni)
    • Scuole non dell’obbligo
      • Scuola Secondaria superiore (dai 14 ai 18/19 anni) divisa in vari ordini: Ginnasio/liceo Classico, Istituti Tecnici, professionali, Magistrali, etc.

Riforme.

L’ultima riforma di sistema è quella di Giovanni Gentile (1923) che riguarda sopratutto la scuola Secondaria Superiore ed è caratterizzata da una netta separazione tra istruzione classico-umanistica e istruzione tecnico-professionale. La prima ha come unico sbocco l’Università, la seconda il mercato del lavoro. Con la liberalizzazione dell’accesso alle Università anche gli studenti degli Istituti Magistrali, Tecnici e Professionali possono accedere alle Università. La scuola elementare ha avuto diverse riforme importanti a partire dal dopoguerra; riforme che hanno interessato più i programmi e le materie di insegnamento che la struttura (Riforma dei programmi 1985; riforma della scuola L. 148/1990). La scuola media ha avuto un’importante riforma nel 1962 che la ha trasformata in scuola media unica (abolendo le scuole di avviamento e il latino) e inserendola nel canale dell’obbligo scolastico. Nel 1979 è stata messa in atto un’importante riforma dei programmi. La scuola secondaria superiore ha avuto piccoli ritocchi di struttura e di programmi. Sono state condotte diverse sperimentazioni e, con la Commissione Brocca, è stata messa a punto un’importante riforma sia della struttura che dei contenuti della Secondaria Superiore. Tale riforma non fu mai attuata né è stata recepita dalla riforma Berlinguer.

Impianto culturale.

Sostanzialmente storico e fondato su una forte identità/distinzione delle discipline.

Valori di riferimento.

I principi fondamentali della Carta Costituzionale, ispirati al personalismo filosofico. L’uomo è considerato, sia come singolo che nella rete delle relazioni interpersonali e sociali, nella totalità delle sue dimensioni/espressioni: spirituali; intellettuali; civili; operative.

Contesto.

Sufficientemente omogeneo sul versante culturale e sufficientemente lineare nelle articolazioni. Non investito in maniera significativa dai processi di globalizzazione finanziaria e dalle tecnologie infotelematiche. Economia industriale di tipo tradizionale (capitale finanziario, materie prime solide, prodotti). Il progresso tecnico è un fattore di crescita economica, ma la conoscenza non è ancora un bene economico anche se accresce il valore aggiunto del sistema. La specializzazione è ancora un fattore di crescita della conoscenza.

Diritti

  • Docenti
    • libertà di insegnamento
  • Studenti
    • rispetto della libertà di coscienza
    • apprendimento
    • studio

Doveri

  • Docenti
    • svolgimento del programma
    • rispetto della libertà di coscienza degli alunni
    • rispetto del diritto di apprendimento (insegnamento individualizzato)
  • Studenti
    • apprendimento
    • disciplina

SCUOLA

Situazione dopo la L. 15/3/1997 n. 59 (art. 21 Bassanini)

Struttura.

Legge 15 marzo 1997 n. 59 art. 21 (Bassanini) "Delega al governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la Riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa". D.P.R. n. 275 8/3/1999 "Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della L. 15.3.1997 n. 59 . Il Regolamento è la carta fondamentale dell’autonomia organizzativa, finanziaria, di ricerca, di sviluppo e contiene il riconoscimento della personalità giuridica. L. 10/2/2000 n. 300. Legge quadro in materia dei cicli di istruzione.

Impianto culturale.

L’unico documento ufficiale finora a disposizione è il rapporto della Commissione dei Saggi sui saperi essenziali per il terzo millennio. Si evince un intento di dissoluzione degli impianti disciplinari a favore di un cosiddetto "sapere reticolare", cioè di un sapere costruito con elementi di varie discipline, usati come tessere di un mosaico. Vi è, poi, una enfatizzazione del valore istruttivo e formativo delle nuove tecnologie che vengono privilegiate nei con fronti di strumenti più tradizionali come i testi scritti. Infine si registra un abbandono della concezione unitaria del sapere a favore di una pluralità di "saperi", meccanicamente collegati tra loro.

Valori di riferimento.

Poiché al momento non è stata definita l’articolazione interna dei cicli, né sono state indicate le discipline o gli insegnamenti e neppure gli indirizzi per il ciclo secondario non è possibile individuare concretamente valori di riferimento, tranne ovviamente, quelli che afferiscono alla carta costituzionale, per i quali non si sa se sarà possibile trovare una traccia nell’impianto culturale complessivo.

Contesto.

Connotato essenzialmente da tre elementi:

  • Esplosione delle tecnologie infotelematiche

Il progresso scientifico e tecnologico, oltre ad aver dato luogo alla globalizzazione nel campo dell’economia e della comunicazione, produce una crescita quasi esponenziale della conoscenze che, in breve tempo, diventano obsolete. Esso rischia anche di portare ad una omogeneizzazione culturale e ad una massificazione che affievolisce la possibilità di uno spirito critico, aperto e libero.

  • Globalizzazione

Il secondo elemento, nel linguaggio comune, si riferisce prevalentemente all’economia. Più precisamente riguarda i mercati finanziari. L’applicazione delle tecnologie infotelematiche alla finanza fa si che ingenti capitali possano essere spostati, in tempo reale, da un mercato all’altro. Ciò ha ripercussioni in ambito politico, in quanto gli Stati non sono più padroni delle loro economie.

  • Complessità

Il terzo elemento riguarda processi a sviluppo non lineare e i cui effetti non sono prevedibili in tempi medio lunghi. Per quanto attiene il sapere si prende atto che le specializzazioni settoriali ad un certo punto ostacolano il progresso della conoscenza perché per la comprensione di una qualsiasi realtà o di un qualsiasi problema occorre il concorso di una pluralità di punti di vista e l’apporto di conoscenze provenienti da più ambiti disciplinari.

Nel Contesto socio politico si assiste, infine, alla trasformazione, in direzione multi-etnica, multi-religiosa e multi-culturale delle società e ad un lento dissolvimento dell’idea di stato nazione, in quanto molti problemi, a cominciare da quello dello sviluppo economico e del suo squilibrio planetario fino a quelli della repressione di vari crimini (mafia, droga, terrorismo etc.) non possono che essere risolti a livello mondiale.

1. GRADO DI COINVOLGIMENTO

Per quanto concerne l’autonomia delle istituzioni scolastiche, il dibattito iniziò con l’allora Ministro della Pubblica Istruzione, Giovanni Galloni. Fu organizzata una conferenza nazionale della scuola alla quale parteciparono docenti, forze politiche e sociali, associazioni professionali di insegnanti e rappresentanti del mondo della cultura. Il coinvolgimento fu, quindi, ampio. Il mondo della scuola era, però, in genere perplesso e diffidente, un poco per la novità, un poco per la difficoltà a rappresentarsi chiaramente che cosa, sul piano operativo, avrebbe significato "autonomia".

Sin d’allora si collegava l’autonomia al principio di sussidiarietà, ma anche in questo caso, le interpretazioni non erano univoche. Si profilavano due ipotesi, l’una delle quali riduceva l’autonomia ad un semplice decentramento amministrativo mentre l’altra, che legava strettamente autonomia e sussidiarietà, postulava una netta distinzione tra il governo e la gestione del sistema. Il primo, di pertinenza dello Stato che avrebbe dovuto dettare norme generali relative a programmi nazionali di apprendimento, livelli di preparazione da conseguirsi alla conclusione di ogni ciclo o segmento di istruzione e ordinamenti. Lo Stato, infine, avrebbe dovuto istituire un ente, terzo rispetto al sistema, per la valutazione. La gestione, cioè la messa in atto di iniziative per risolvere problemi di carattere educativo, didattico, organizzativo, finanziario e amministrativo avrebbe dovuto essere di pertinenza delle istituzioni scolastiche periferiche. In questo quadro una pluralità di soggetti (famiglie, cooperative, enti, vari, etc.) avrebbero potuto dar vita a scuole che, se conformi ai criteri e agli standard qualitativi fissati a livello nazionale, sarebbero state riconosciute "pubbliche" al pari di quelle istituite dallo Stato. Un tale tipo di autonomia, oltre permettere l’espressione dell’iniziativa e della creatività sociali, avrebbe liberato anche la creatività del corpo docente nell’ambito della programmazione degli apprendimenti (distinta e, in parte autonoma, rispetto ai programmi nazionali di insegnamento) e in quello delle soluzioni educative e didattiche. Dall’inizio del dibattito sull’autonomia, cambiarono, in rapida successione, tre ministri della P.I. : Galloni, Russo-Jervolino e D’Onofrio. Quest’ultimo fece decadere la deroga per l’attuazione dell’autonomia e l’argomento cadde nell’oblio. Si arriva, così, al 1997 e alla legge Bassanini. Le due ipotesi sopra citate, erano rimaste sospese: l’autonomia, quindi, poteva prendere l’una o l’altra strada. Il ministro Berlinguer emanò, nel 1998, il Regolamento in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche. Una bozza di tale regolamento fu inviata alle scuole e ad altri soggetti per essere analizzata, discussa ed eventualmente emendata. Questa fu la prima beffa, perché i tempi fissati per la restituzione delle proposte furono così ristretti da renderne la consultazione un semplice atto formale e da far scadere il presunto coinvolgimento democratico ad un mero rituale. Intanto gli Enti regionali provvedevano al cosiddetto "dimensionamento" delle scuole sul territorio cioè all’accorpamento (in senso orizzontale: scuole dello stesso ordine e in senso verticale: scuole di ordini diversi) e alla soppressione di istituti scolastici con conseguente destinazione del personale docente e direttivo. Per quanto attiene la valutazione essa è stata demandata al Centro Europeo dell’Educazione (CEDE) che non può propriamente dirsi un Ente terzo in quanto riceve dal Ministero della P. I. la quasi totalità dei finanziamenti attraverso apposite convenzioni.

Per concludere: l’autonomia, considerata nel versante giuridico, risulta essere pericolosamente carente sia rispetto al parametro del coinvolgimento sia rispetto a quello della valutazione. Come si può agevolmente dedurre "autonomia" ha voluto dire decentramento amministrativo con la progressiva cessione alle regioni della maggior parte delle funzioni svolte dall’amministrazione centrale e periferica e con il conseguente fardello di burocratizzazione che tali istituzioni tradizionalmente impongono, mentre alle istituzioni scolastiche sono state demandate funzioni di scarso valore e incidenza innovativa.

2. PROCESSO DI VALUTAZIONE DELLE RISORSE UMANE

Per quanto concerne la libertà della scuola e la sua autonomia sotto il profilo strutturale pensiamo sia sufficiente quanto detto nel par. 1. Si tratta, ora, di analizzare il processo di valutazione delle risorse umane. Per prima cosa occorre sottolineare che non è stato preso alcun provvedimento significativo, cioè serio e rigoroso, per la riqualificazione del personale docente (fatta eccezione per i capi di istituto) che deve operare in una realtà radicalmente trasformata. Di qui il disorientamento degli insegnanti che non percepiscono più nemmeno quali siano i loro compiti specifici né in che cosa consista la loro professionalità. Tale confusione si registra anche a livello di linguaggio: oggi sempre più si usa il termine "operatori scolastici" al posto di quella di "docenti".

Il completamento di questa operazione si è avuto con la messa in atto di politiche di reclutamento a dir poco assai approssimative. Nel 1998 si è provveduto ad accorpare numerose classi di concorso. In pratica ciò ha permesso ai docenti di insegnare una materia in ordini di scuola tra loro diversi per impianto culturale e per età degli allievi (per esempio: chi aveva per tutta la sua carriera insegnato storia alle scuole medie poteva insegnarla ad un liceo classico o ad un Istituto tecnico e così via). Uno degli elementi caratterizzanti la funzione docente viene così a cadere: il come insegnare, cioè la capacità di rapportare il sapere disciplinare alle caratteristiche cognitive, emotive ed affettive dello studente, non ha più alcun significato nell’identificare il profilo della professione docente. I corsi di riconversione (1) tenuti sempre nel 1998, hanno, di fatto, permesso a docenti di ruolo di abilitarsi in materie che non solo non avevano mai insegnato ma per le quali potevano non aver neppure frequentato corsi o dato esami all’Università. Con questo provvedimento viene a cadere un altro elemento, certamente non marginale, della professionalità docente: il cosa insegnare (cioè la specificità disciplinare e la competenza culturale nell’ambito di tale specificità).

Infine, nel 1999 (L. 25/5/1999 n. 124) si sono aperti concorsi riservati a coloro che avessero insegnato per 360 giorni negli ultimi dieci anni dei quali, la metà, doveva decorrere dal 1994. Si demolisce così un terzo elemento che valorizza non solo la professionalità docente ma qualsiasi professione: l’esperienza accumulata nello svolgimento della medesima in modo non saltuario né occasionale.

Diventa ora comprensibile il passaggio linguistico da docente insegnante ad operatore. Giuseppe Bertagna in un suo acutissimo saggio individua in questi provvedimenti un chiaro messaggio: "La scuola riformata non avrà più bisogno di specialisti disciplinari" (2) ma, aggiungiamo noi, solo di generici operatori.

3. GRADO DI LIBERTÀ DEI SOGGETTI

Fatte queste premesse proviamo a valutare il grado di libertà goduto dai soggetti all’interno della scuola. Esso appare pericolosamente vicino allo zero, perché non può esserci libertà senza identità, e il generico operatore non ha un’identità. Anzi egli deve essere così flessibile da potersi trasformare in relazione ai compiti che via via si decida di assegnargli. In una tale situazione si affievolisce il senso di appartenenza al proprio contesto lavorativo e, conseguentemente, si indebolisce il senso di responsabilità. Poco spazio ci sembra possa essere riservato ai diritti e ancor meno a doveri riconosciuti come tali e dotati di una specifica imprescindibilità.

In questo quadro è gravemente limitato il diritto dovere di insegnamento da parte dei docenti e, parallelamente, quello di insegnamento-apprendimento degli allievi. Per quanto concerne le famiglie il discorso è analogo: non hanno, praticamente, altra possibilità di scelta se non quella di iscrivere i propri figli ad una scuola statale; non hanno canali istituzionali né, tanto meno, poteri contrattuali per pretendere alti livelli di qualità di insegnamento per i loro figli: rimane solo la risorsa propria degli utenti, protestare, così come si protesta per il prezzo della benzina o per le

tariffe delle assicurazioni e, ci pare chiaro, con le stesse probabilità di successo.

Per concludere l’argomento riportiamo il pare del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione (protocollo 5812 del 28/9/199) sul D.M. 7/12/1999), meglio conosciuto come decreto sui libri di testo: "Per quanto riguarda l’allegato A., il C.N.P.I. non condivide le norme ed avvertenze in esso contenute che, in qualche modo, sembrano condizionare la libertà di insegnamento, la libertà di apprendimento e la libertà degli autori dei libri di testo. Ad esempio, un libro di testo può definire obiettivi conoscitivi, ma non obiettivi di apprendimento il cui raggiungimento non può che avvenire attraverso la mediazione dell’insegnante che attiva i necessari processi".

CONCLUSIONI.

Occorre segnalare che l’autonomia, (per altro molto parziale) è dell’istituzione e non di coloro che vi operano come docenti, o di coloro che la scelgono, come le famiglie. Nella realtà dei fatti le decisioni di carattere culturale, educativo, didattico e metodologico tendono a spostarsi decisamente verso il livello collegiale, perciò per il singolo docente si restringe sempre più lo spazio nel quale esercitare liberamente le proprie opzioni culturali, metodologiche e didattiche. Il C.N.P.I. ci avverte che un provvedimento legislativo emanato dal Ministero della Pubblica Istruzione può legittimare il sospetto che possa condizionare "La libertà di insegnamento, la libertà di apprendimento e la libertà degli autori dei libri di testo" (parere del C.N.P.I. già citato). E il Consiglio Nazionale è organo consultivo del Ministro che, di diritto, lo presiede e che lo ospita nel proprio ministero. È facile immaginarsi quale possa essere la valutazione dei cittadini che vivono e lavorano in contesti diversi. La conclusione è amara: non c’è libertà sufficiente né della scuola, né nella scuola e perciò è difficile individuare, doveri, diritti, e responsabilità dei soggetti che vi operano dal momento che tali requisiti dovrebbero di poter essere esercitati a livello personale e condivisi collegialmente solo per gli aspetti che effettivamente lo richiedano. Un progetto di riforma credibile dovrebbe, a nostro avviso, interrogarsi e confrontarsi su questi problemi anche per individuare la finalità intrinseca della scuola la quale, nella misura in cui è condivisa dagli insegnanti e, poi, anche dagli allievi richiede una legittimazione politica e viene riconosciuta anche dalla società civile. Solo a queste condizioni la scuola ha la possibilità di riconquistare quella centralità che da tempo ha perduto.

Note.

1. Si tratta di corsi di 80 ore delle quali quasi un terzo potevano essere non frequentate per cause motivate e certificate.

2. G. BERTAGNA, La scuola nell’epoca del postfordismo

 

archivio rapporti

Introduzione

Comunicazione e libertà

Libertà nel welfare e nel lavoro

Diritti umani

Evoluzione del sistema politico

I diritti: costanti e variabili

Il sistema scuola: libertà e doveri nel paese dei diritti

Giustizia e integrazione europea

La questione sicurezza