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Sezione Economia

L’Economia della Libertà

Come già ricordato nel 2003, la disciplina economica si sviluppa di pari passo con la nascita del pensiero liberale ed, in particolare, con l’individuazione del mercato sia come istituzione sociale sia come motore di crescita. Nella disciplina economica, lo Stato sorge per assicurare il più pieno funzionamento del mercato sia come istituzione sociale (ossia insieme di regole per selezionare, vagliare ed ordinare i segnali ed i messaggi che i soggetti economici si inviano) sia come motore di crescita (ossia strumento per promuovere la specializzazione produttiva tramite lo scambio di beni e servizi e creare, così, reddito e ricchezza). 
Lo Stato produce e distribuisce i beni pubblici che non possono essere forniti dal mercato in quanto sono indivisibili e non-esclusivi: giustizia, democrazia, libertà, difesa nazionale, ordine pubblico, nonché le regole che assicurano il buon funzionamento del mercato. Lo Stato produce e distribuisce anche i beni meritori i cui effetti esterni sono tali da non essere catturati dal mercato; senza l’intervento dello Stato tali beni meritori non verrebbero prodotti o di-stribuiti in maniera ottimale.
Quante risorse devono essere destinate alla produzione e distribuzione dei beni pubblici e dei beni meritori? Sino alla seconda metà del XIX secolo, in Europa e negli Stati Uniti a tali funzioni veniva dedicato non più del dieci per cento del reddito nazionale. La sfera dell’intervento pubblico si è progressivamente dilatata, a partire dal periodo tra le due guerre mondiali in parallelo con il sorgere di sistemi politici illiberali. E’ aumentata ulteriormente dopo la seconda guerra mondiale di pari passo con l’affermarsi di una visione sociale dello Stato. 
Dal 1993 è in corso un graduale processo di arretramento in tutti i Paesi Ocse; mentre dieci anni fa, undici Paesi Ocse accusavano una spesa pubblica superiore al 50 per cento del prodotto interno lordo (ed entrate corrispondenti per finanziarla); nel 2003, il numero dei Paesi in cui la spesa pubblica superava la metà del pil era sceso a cinque. In Svezia ed in Finlandia, nell’arco del decennio, la proporzione del pil destinata a spesa pubblica è scesa rispettivamente dal 73 al 59 e dal 64 al 51per cento. E’ iniziato il processo che dovrà riportare la mano pubblica in un alveo appropriato ad esaltare la politica economica come veicolo per la libertà e per le libertà.

Léon Walras

Da Adam Smith, considerato padre della disciplina economica moderna, a Léon Walras il percorso metodologico dell’economia come disciplina della libertà e delle libertà è immenso: ciò che in Smith era una parabola letteraria (la “mano invisibile” del mercato come strumento per indurre a comportamenti moralmente virtuosi pure chi virtuoso non intende essere), in Walras diventa modello analitico. Walras edifica una teoria del valore costruita sull’utilità marginale (“rareté”) come principio per la determinazione dei valori di scambio o prezzi, da lui abilmente espressi in termini di unità fisica di uno di essi (“numéraire”). 
Il modello viene arricchito recependo da Cournot il calcolo infinitesimale ed applicandolo all’economia pura. In tal modo Walras arrivò a dimostrare come, in condizioni di concorrenza perfetta (ossia di più pura libertà), è possibile determinare un sistema di prezzi d’equilibrio tra consumatori; con brillante intuizione, estese il modello alla produzione di beni. Quindi, il sistema dei prezzi d’equilibrio, risultato, a sua volta, della concorrenza perfetta, comporta l’eguaglianza tra domande ed offerte desiderate in tutti i mercati, nonché l’eguaglianza tra costo di produzione e prezzo di vendita per ciascun bene e per ciascun imprenditore.
In tal modo, viene eliminato il mistero della “mano invisibile” in quanto non ce n’è più esigenza: mentre in Smith e nei classici, l’equilibrio era un missile a due stadi - il primo era costituito dalla dimostrazione dell’esistenza logica dell’equilibrio, il secondo dalla dimostrazione del modo per arrivarvi - con Walras i due stadi sono diventati uno solo: dato che la dimostrazione dell’esistenza logica dell’equilibrio incorpora anche come arrivarvi, la “mano invisibile” non è più necessaria. Dato che l’equilibrio generale prodotto dalla concorrenza corrisponde all’ottimo sociale, viene esaltata la libertà. Ciò traspare anche negli eredi di Walras (Arrow, Debreu, McKinzie) anche quando sottolineano le condizioni estreme su cui regge il modello analitico.

Eugene von Böhm-Bawerk

Sia nella sua attività di teorico dell’economia e di docente sia nella sua veste di ministro dell’Economia e delle Finanze dell’Impero Austro-Ungarico, Eugene von Böhm- Bawerk (1851-1914) scardinò il pensiero economico marxista che cominciava ad influenzare la scuola economica tedesca, allora ancorata a studi di carattere storico più che analitico. Il suo principale contributo teorico è la teoria dell’interesse in quanto basato simultaneamente sulla pura preferenza temporale e sulla produttività marginale; essa rappresenta tuttora il caposaldo per dimostrare perché, in un contesto di concorrenza (quindi, di libertà), il capitale genera profitto. 
Il contributo specifico di Böhm- Bawerk è nell’idea secondo cui la caratteristica di ogni attività produttiva, in cui si usa capitale, è quella di collegare eventi in sequenze temporali; sono le relazioni di complementarità, più di quelle di sostituibilità, a contraddistinguere le trasformazioni tecnologiche possibili e, quindi, crescita e sviluppo. Poiché la produzione richiede tempo, e poiché il soggetto preferisce sistematicamente i beni presenti rispetto a quelli futuri, i processi di produzione che utilizzano capitale devono generare un prodotto che consenta di pagare un interesse a coloro che in periodi precedenti hanno investito.
Parimenti importante, la sua polemica con Marx. Nel 1896 diede alle stampe Zum Abschluss des Marxscehn Systems (il terzo libro del capitale era stato pubblicato due anni prima) in cui dimostra “la grande contraddizione” dell’opera di Marx: “la teoria del saggio medio di profitto e dei prezzi di produzione non può essere riconciliata con la teoria del valore; questa è la conclusione, ritengo, che ogni pensatore logico deve trarre”. 
Dalla confutazione del pensiero marxista elaborata da Böhm- Bawerk nasce la tensione tra socio-economisti di stampo marxista e studiosi neoclassici della scuola austriaca che, nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, alimenteranno il dibattito sulla possibilità di calcolo economico, e di libertà di scelta, in un’economia centralmente pianificata. I seminari di Böhm- Bawerk avevano, tra l’altro, von Mises e Schumpeter tra i loro frequentatori assidui.

Peter Bauer

Negli ultimi vent’anni della sua vita, lo hanno chiamato Lord Bauer in quanto Margaret Thatcher lo nominò Pari di Gran Bretagna. In precedenza, era conosciuto come Prof. Bauer, nella veste di titolare di cattedra alla London School of Economics. Gli piaceva, però, essere chiamato “professore” pure alla Camera dei Lord e precisava agli amici che il titolo se lo era meritato non insegnando ma “professando”. 
Studioso dei problemi dello sviluppo e grande conoscitore dell’Africa e dell’Asia indo-pakistana, ha professato l’eterodossia della libertà quando l’economia dello sviluppo era plasmata da teorie e politiche dirigiste. La programmazione centralizzata era il “credo” del pensiero e della prassi in materia di sviluppo economico. In India venivano varati piani quinquennali omnicomprensivi che scimmiottavano quelli dell’Unione Sovietica. Nell’Africa, soprattutto quella di espressione francese ma anche in quella formata dalle ex-colonie britanniche, i Paesi donatori richiedevano la messa a punto di dettagliati programmi di sviluppo. La stessa “alleanza per il progresso” tra Stati Uniti ed America Latina era all’insegna della programmazione economica, posta dai governi Kennedy e Johnson come condizione per ricevere gli aiuti americani.
Bauer fu un “bastian contrario” nei confronti di una “dottrina dominante” che non ha contribuito al decollo dei Paesi di quello che allora veniva chiamato il Terzo Mondo. In decine di libri – da West African Trade del 1954 a Reality and Rethoric del 1984 al suo ultimo grande lavoro From subsistance to exchange - ha dimostrato che le politiche demografiche e migratorie, le restrizioni agli scambi e la tentazione statalista sono i principali vincoli allo sviluppo. Ha messo in guardia nei confronti del formalismo della modellistica ed i trabocchetti che essa comporta quando i dati di base sono di cattiva qualità. Lo ha ripetuto in centinaia di articoli a carattere divulgativo che andavano maledettamente controcorrente, ma le cui diagnosi e prognosi si sono rivelate corrette.
Al termine della sua avventura umana, Peter Bauer non era più isolato, anzi veniva considerato un caposcuola. Non perché avesse cambiato idea, ma perché gli altri si erano finalmente accorti che le sue erano giuste.

Libertà e capitale sociale nell’esperienza 
delle repubbliche comunali

Theodor W. Adorno, filosofoso e musicologo non necessariamente di cultura liberale, ha scritto che I maestri cantori di Norimberga di Richard Wagner sono la più completa espressione del genio della civiltà occidentale. Cosa rappresenta il capolavoro di Wagner? Il passaggio dal feudalesimo alle repubbliche comunali; ed, in aggiunta, la “conversione” del rampollo dei principi feudali alle regole comunali. Nei comuni, lo ha scritto Robert Putman, al termine di una ricerca empirica durata un quarto di secolo, “nasce non solo la democrazia ed il modo di farla funzionare ma anche e soprattutto l’economia moderna, basata sull’intrapresa commerciale e manifatturiera, sulla specializzazione del lavoro, su simmetrie informative e posizionali, su reti di rapporti liberamente scelti tra pari, su regole semplici ed eguali per tutti, sulla certezza dei titoli, primo tra tutti quello di proprietà. Nasce specialmente quel capitale sociale che da un quarto di secolo è universalmente riconosciuto come la vera molla dello sviluppo”.
I mercanti e gli artigiani diventano il ceto cittadino dominante; la produzione manifatturiera pure meramente artigianale ed il commercio possono essere esercitati solamente in un contesto di libertà economica e di certezza di regole e di titoli. Le “corporazioni di arti e mestieri” nascono come associazione di uomini liberi per l’esercizio dell’”intrapresa” in un quadro in cui la libertà è vincolata solo da norme tecniche definite collegialmente e liberamente. I “maestri” delle corporazioni sono tali non per primogenitura o per eredità, ma in quanto riconosciuti liberamente tali per la loro professionalità e leadership: i salari, gli orari di lavoro, l’acquisto delle materie prime e le condizioni di vendita vengono anche loro definite non più in modo centralizzato (ed arbitrario) ma collegialmente secondo procedure consensuali o maggioritarie. Si sviluppa una struttura semi-capitalistica: i mercanti, che disponevano di liquido, acquistavano la materia prima, la distribuivano ai lavoranti a domicilio e successivamente rivendevano i manufatti. Sorgono gradualmente e progressivamente gli opifici e nasce, in parallelo, il sistema bancario; quindi, il processo di accumulazione di capitale fisico e finanziario che coniugato con il capitale sociale, alla base delle repubbliche comunali, è il primo passo per il processo di sviluppo della produzione, del reddito e dei consumi e di una loro più equa distribuzione.
Adorno è stato contrapposto a Popper nella dialettica filosofica degli ultrimi cinquanta anni. Il fatto che anche lui considerasse l’esperienza delle repubbliche comunali, letta attraverso I maestri cantori di Norimberga, come il genio della civiltà occidentale dimostra il ruolo fondamentale delle libertà economiche alla base di quella esperienza.

Le libertà economiche nella 
Amsterdam del XVII secolo

Le libertà economiche (unitamente alla tolleranza religiosa ed etnica ed alle libertà politiche) fiorirono a pieno nella Repubblica delle Sette Province Unite (oggi l’Olanda) del XVII secolo. Era una confederazione in cui ogni città era governata in modo quasi indipendente da un consiglio di cittadini. Nell’ambito di regole chiare e semplici, la tolleranza era massima perché “il commercio esige la libertà”- non si stancava mai di ripetere Pietre de la Court, uno dei rappresentati più autorevoli del partito dei mercanti-reggenti. “In Olanda - scriveva un osservatore francese del Seicento - l’interesse dello Stato in campo commerciale e quelli dei privati procedono di conserva”.
La città più importante, Amsterdam, diventò un vero e proprio laboratorio dove “le diverse innovazioni ed istituzioni - ha scritto Douglas C. North - crearono i precedenti di un efficiente e moderno sistema di mercati per lo sviluppo degli scambi e del commercio”. In quel laboratorio “era possibile osservare e studiare quasi allo stato puro - ha documentato Luciano Pellicani - la società capitalistico borghese : laica, industriosa, tollerante, liberale, anzi liberista”. Mostrava la via ad un autosviluppo propulsivo della crescita economica che si autogenerava ed autogovernava.
In tal modo, funzionò come una calamita: attirò capitale finanziario ed umano (e quindi innovazione) dal resto del mondo, adattando e razionalizzando quanto inventato altrove. Attirò ad esempio i banchieri ed i finanzieri italiani che fuggivano dai rigori illiberali della Controriforma ed i produttori e mercanti ebrei alla ricerca di una sede dove operare al riparo di discriminazioni. Tanto i primi quanto i secondi cambiarono progressivamente i loro nomi originari (e ne assunsero in lessico fiammingo) quando si stabilivano per sempre nella nuova Patria.
Il “miracolo economico olandese”, tuttavia, durò solamente un secolo. Dopo avere dimostrato di poter operare efficacemente, nonostante un territorio ed una popolazione di modeste dimensioni, nel contesto della mondializzazione dell’epoca, si trovò a doversi fronteggiare con due grandi potenze in grado di mobilitare risorse di gran lunga superiori a quelle di cui poteva disporre una confederazione di due milioni di abitanti: la Francia e la Gran Bretagna. Né la prima né la seconda seguivano principi di libertà politica ed economica. Ne conseguì una svolta nella storia del capitalismo. 
Colbert aveva importato uomini, tecnologie e metodi organizzativi dall’Olanda, ma il suo programma si basava su un forte intervento dello Stato e sulla limitazione delle libertà economiche e politiche che mal si conciliava con il liberismo di quella che era stata la Repubblica delle Sette Province Unite.

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