Sezione Cultura
La Cultura della Libertà
Il liberalismo si intreccia indissolubilmente con la storia dell’Occidente, con la sua prosperità economica, fondata sul mercato e col suo costituzionalismo politico, teso a proteggere il singolo e le comunità dagli abusi del potere. La felice unione di questi elementi ha prodotto una specifica organizzazione socio-economica capace di garantire ampi spazi di libertà individuale ed una costellazione pluralistica di centri decisionali. In molti, primo fra tutti Max Weber, si sono chiesti quali siano state le ragioni di questa spettacolare avanzata della modernità che ha permesso l’uscita dell’Europa da una economia di sussistenza.
Il motivo lo si rintraccia nella particolare articolazione che il Potere pubblico ha assunto nel Medioevo: una struttura di dominio debole, senza apparati burocratici e senza una stabile base economico-finanziaria, ma anche priva di un esercito in grado di vincere la resistenza delle città e di estirparne definitivamente le pretese di autogoverno. Ad un potere frantumato e debole ha fatto poi riscontro il cedimento di modelli culturali unici e condivisi; il che ha consentito, nel tempo, la diffusione dello spirito pluralista e l’affermarsi dei principi fondamentali della "società aperta": la centralità dell'individuo, il rispetto e la garanzia di diritti inalienabili, la tutela delle minoranze, la tolleranza, la libertà politica ed economica.
Contestualmente, si sono sviluppati spazi privilegiati nei quali i soggetti che animavano la società civile hanno avviato il gioco della concorrenza: compravano, vendevano, producevano, elaboravano strategie, creavano sistemi di alleanze, saggiavano soluzioni imprenditoriali, nel tentativo di assicurarsi le condizioni più vantaggiose. In una parola, facevano mercato, realizzando spontaneamente quel complesso organico di scambi diventato, in seguito, il potente propulsore della civiltà liberale. L’affermarsi del mercato ha infatti sollecitato una nuova cultura; ha richiesto nozioni tecniche, conoscenze finanziarie e capacità di calcolo razionale ma, soprattutto, l’adozione sistematica di un atteggiamento critico, disposto a modificare le proprie convinzioni al fine di favorire l’adozione di scelte alternative.
Così mercato e istituzioni politiche di garanzia, concorrenza e diritti civili, pluralismo dei valori e tolleranza religiosa si sono ritrovati intimamente intrecciati, al punto da presentarsi sulla scena della storia come un unicum.
Erasmo da Rotterdam
Nato il 27 ottobre 1469 a Rotterdam e morto il 12 luglio 1536 a Basilea, l’umanista Erasmus Desiderius è il più noto studioso del Rinascimento nordico, un valente curatore del Nuovo Testamento e un’importante figura nel campo della patristica e della letteratura classica.
Fin dall’inizio dello scisma protestante, Erasmo temette che gli avversari del protestantesimo vedessero nello studio critico e filologico dei testi classici e sacri la radice dell’eresia e che uno scontro tra la Chiesa e Lutero avrebbe danneggiato irreparabilmente la libertà degli studiosi. La fede di Erasmo nell’unità della Chiesa era incrollabile, ma egli rifuggiva la rozza logica della persecuzione religiosa. Il Concilio di Trento e l’avvento del Calvinismo fecero sì che le posizioni di Erasmo divenissero marginali.
La figura di Erasmo da Rotterdam iniziò ad essere rivalutata verso la fine del Seicento e all’epoca di Voltaire l’umanista olandese veniva considerato alla stregua di un illuminista ante litteram. Questa visione di Erasmo è rimasta a lungo prevalente e solo negli ultimi anni gli studiosi ne hanno dato un’immagine più aderente alla realtà.
Tuttavia, in un certo senso, non è del tutto errato confrontare Erasmo con quei pensatori dell’Illuminismo che difesero ostinatamente la libertà individuale e attaccarono le cieche solidarietà corporative che esigono la fedeltà degli individui ad un gruppo precostituito.
In maniera del tutto peculiare, fondendo le molteplici identità della sua figura intellettuale (olandese, umanista e cattolico pre-tridentino), Erasmo ha contribuito a creare la tradizione liberale della cultura europea.
Filippo Mazzei
Nato nel 1730 a Poggio a Caiano, nei dintorni di Firenze, Filippo Mazzei è stato un notevole esempio di quel genere di “avventuriero intellettuale” tipico del periodo illuministico. Ebbe una vita movimentata: trascorse parte della sua esistenza in varie città italiane, in Turchia, Austria, Francia, Paesi Bassi, Russia e Polonia, ma soprattutto fu attivo in Inghilterra e negli Stati Uniti.
A Londra, dove visse circa diciasette anni, Mazzei conobbe Benjamin Franklin. Venuto a conoscenza che il clima della Virginia assomigliava a quello della natìa Toscana, nel 1773 si stabilì nella colonia allo scopo di introdurre nel paese la coltivazione delle piante tipiche della penisola. Fu lì che conobbe Thomas Jefferson, che gli concesse un terreno sulla sua proprietà di Monticello e con il quale sviluppò una forte amicizia.
Mazzei ottenne la cittadinanza della Virginia e si appassionò alle vicende della Rivoluzione, scrivendo numerosi pamphlet. Mazzei può vantare un posto, per quanto minore, tra i Padri Fondatori: un documento scritto di suo pugno figura nella bozza della costituzione della Virginia.
Nel 1785 Mazzei tornò in Europa. In Francia pubblicò un’opera in quattro volumi in cui cercava di sfatare i numerosi miti e inesattezze circolanti in Europa in merito al suo paese d’adozione. A Parigi Mazzei scrisse numerose acute relazioni sugli avvenimenti della Rivoluzione francese.
Nel 1792 si ritirò in Toscana, intrattenendo un fitto scambio epistolare con Jefferson e numerosi intellettuali italiani ed europei. Gli ultimi anni della sua vita trascorsero a Pisa, dove si spense il 19 marzo del 1816, dopo avere descritto in due volumi di memorie gli avvenimenti della sua movimentata vita.
Albert Jay Nock
Albert J. Nock (1872-1945) è una delle figure più originali e geniali del panorama intellettuale americano. Grande conoscitore della cultura classica, nonostante gli studi incompleti (la sua formazione fu principalmente da autodidatta), Nock scoprì la vocazione di saggista e scrittore all’età di quarant’anni, quando si trasferì definitivamente a New York. La città americana era già, agli inizi del secolo scorso, uno dei principali centri culturali e intellettuali.
L’attività di scrittore di Nock si dipanò in oltre trent’anni, nei quali scrisse una decina di libri, principalmente di argomento letterario e collaborò a diverse riviste, tra le quali The American Magazine, The Nation, The Freeman e The American Mercury, diretta da H.L. Mencken.
Sebbene gli interessi intellettuali di Nock si siano rivolti prevalentemente verso la letteratura (è noto come traduttore e studioso di Rabelais), la sua fama è legata al volume Il nostro nemico, lo Stato (1935), nel quale l’autore compie una disamina della inesorabile crescita del potere statale a discapito delle energie vive e indipendenti della società nella storia americana. Il volume, tuttavia, è ben più di una semplice critica al nascente stato social-assistenziale, ma rappresenta una condanna dello Stato tout-court, senza possibilità di appello o di redenzione tramite la riduzione ai minimi termini. Lo Stato viene descritto con grande eleganza come il vero nemico della società e - quindi - della libertà e della dignità umana.
Per quanto appartenente alla tradizione radicale e libertaria Il nostro nemico, lo Stato merita di stare accanto alle maggiori opere di Hayek, Mises e degli altri grandi maestri del pensiero liberale classico.
Mikhail Afanasievich Bulgakov
Nato il 15 maggio 1891 a Kiev e laureatosi in medicina nel 1916, intorno al 1920 Bulgakov abbandonò la professione di medico per dedicarsi a tempo pieno all’attività di scrittore. Il suo primo romanzo, La Guardia Bianca, è ambientato a Kiev nel periodo della guerra civile e venne fortemente osteggiato dalla critica sovietica per l’assenza di un eroe comunista tra i personaggi e per il ritratto favorevole e a tratti nostalgico delle motivazioni e del comportamento di un gruppo di ufficiali anti-bolscevichi.
Iniziò così la lunga serie di problemi con le autorità che avrebbe caratterizzato il resto della vita di Bulgakov. Numerose sue opere teatrali vennero proibite dopo poche rappresentazioni o addirittura già dopo le prove.
Le descrizioni disincantate dei difetti, delle piccinerie e meschinità della società sovietica, insieme allo stile ironico e satirico, non potevano certo incontrare il favore del potere comunista. In effetti, a partire dal 1930 venne in pratica proibita la pubblicazione di qualsiasi opera di Bulgakov. Durante questo periodo di ostracismo, scrisse alcune delle sue opere più importanti e significative, come il dramma teatrale La vita del signor De Molière e i suoi romanzi più noti, Romanzo teatrale e Il Maestro e Margherita.
Le opere di Bulgakov conobbero una riscoperta nel breve periodo di disgelo successivo alla morte di Stalin, ma la mano pesante della censura continuò a farsi sentire: Il Maestro e Margherita, ad esempio, venne pubblicato solo nel 1966, con numerosi tagli per renderlo meno scopertamente critico della vita sovietica degli anni Trenta.
I “blog”
Una delle più significative novità nel campo dell’informazione e della rete Internet venute alla ribalta nel corso degli ultimi due-tre anni è rappresentata dai “blog”. Un blog (abbreviazione di web log) è sostanzialmente un diario disponibile in rete. Tipicamente i blog vengono aggiornati quotidianamente servendosi di software gratuiti facilmente utilizzabili anche da chi non possiede competenze tecniche.
Le due caratteristiche più importanti dei blog, oltre a costi di pubblicazione molto prossimi allo zero, sono la presenza di collegamenti ipertestuali alla fonte citata o commentata e la possibilità da parte degli utenti di inviare commenti e informazioni aggiuntive al redattore del blog.
I blog hanno permesso una vera liberalizzazione del giornalismo, almeno negli Stati Uniti: grazie a questo mezzo, un autore può scrivere liberamente, senza doversi piegare alle volontà o eventualmente ai soprusi di proprietari e direttori di giornali. Ciò significa che la gamma di opinioni disponibili si espande, senza tenere conto dei pregiudizi, dei gusti o degli interessi della vecchia élite mediatica. Non è un caso che, negli Stati Uniti, in cui i media tradizionali sono generalmente liberal, la maggior parte dei blogger sia costituito da conservatori e (in maggioranza) libertarian.
È ancora presto per dire se il fenomeno dei blog rappresenti una vera rivoluzione nel campo dell’informazione. Certamente i blog incarnano l’autentico spirito della rete, ossia la capacità di permettere a chiunque quello che un tempo era possibile solo a pochi e di fare a meno del freno rappresentato da strutture fisiche e intermediarie. Sotto tale aspetto, il “blogging” è probabilmente il primo modello giornalistico in grado di liberare la vera natura democratica della rete.
La rete delle Libertà
La fine del Ventesimo secolo è stata testimone di un’autentica rivoluzione, che ha visto la rinascita delle idee liberali e il crollo del paradigma statalista-dirigista imperante per quasi tutto il secolo.
La radicale trasformazione del panorama politico, economico e culturale, avviata in Gran Bretagna e negli Stati Uniti più di due decenni or sono, ha fatto da contraltare alla progressiva disgregazione del socialismo reale, culminata nel crollo del regime sovietico alla fine degli anni Ottanta.
Al nuovo impulso liberale in economia e in politica si accompagnava dunque la delegittimazione e l’abbattimento del “pensiero unico” statalista in Europa e, in seguito, in gran parte del mondo. Agli inizi degli anni Novanta erano in molti a ritenere che il modello anglosassone di libertà economica e politica fosse ormai l’unico sostenibile, al punto che Francis Fukuyama, partendo da una prospettiva peculiare e con una buona dose di avventatezza, annunciava la “fine della storia”.
All’inizio del nuovo secolo, tuttavia, lo statalismo e le filosofie sociali collettiviste (sia pure sotto nuove forme) danno segnali di rinascita: in Europa e in America Latina ogni difficoltà economica e ogni problema vengono attribuiti al “mercato” e alla “privatizzazione”. In Gran Bretagna la rassicurante incombenza dello “stato balia” si ammanta delle vesti di una fumosa “terza via”, quella che già von Mises aveva definito impraticabile. Negli Stati Uniti alla battaglia di retroguardia degli epigoni del New Deal e della Great Society si contrappone un’amministrazione che si dimostra sotto molti aspetti interventista.
È facile concludere che la battaglia delle idee è ben lungi dall’essere vinta: la liberalizzazione dell’economia e la riduzione del ruolo dello Stato, specialmente in Europa continentale, sono state accettate obtorto collo, più per l’evidente insostenibilità del modello interventista statale che per una convinta adesione ai principi di libertà.
La rivoluzione delle idee nel mondo anglosassone aveva potuto attingere ad un patrimonio di idee e di concetti propugnati da autorevoli istituti di ricerca e di diffusione delle tematiche liberali, i cosiddetti “think tanks”. Il terreno era stato culturalmente preparato da decenni a non vedere nello Stato l’alfa e l’omega dell’attività economica e politica.
Heritage Foundation
Fondata nel 1973 con sede a Washington, la Heritage Foundation si dichiara un istituto dedicato a ricerca e istruzione, con la missione di formulare e promuovere politiche pubbliche conservatrici (nel senso corrente in America, vale a dire liberali classiche) basate sui principi di libertà d’impresa, governo limitato, libertà individuale, valori tradizionali americani, con in più l'accento sulla forte difesa militare. Lo scopo dichiarato della fondazione è quello di “costruire un’America nella quale possano fiorire la libertà, le opportunità, la prosperità e la società civile”. Riassumendo la filosofia dei “think tanks”, la Heritage Foundation dichiara di credere che le idee abbiano conseguenze, ma che debbano essere attivamente promosse: la ricca serie di rapporti, pubblicazioni e conferenze favorite dalla fondazione ne sono la prova migliore.
Ludwig von Mises Institute
La data di nascita del von Mises Institute risale al 1982. Sotto la presidenza di Margit von Mises, vedova del grande esponente della scuola austriaca e diretto da Llewellyn H. Rockwell, l’Istituto ha un’impostazione più accademica ed è diventato il principale centro di studio e di ricerca nel campo della Scuola Austriaca di economia, del liberalismo classico e del libertarismo. Tra i grandi studiosi che hanno collaborato a vario titolo con questa istituzione che ha sede a Auburn, in Alabama, si contano F.A. Hayek, Lawrence Ferttig, Henry Hazlitt e - soprattutto - Murray N. Rothbard, che ne ha diretto le attività accademiche fino alla morte, avvenuta nel 1995. Una delle più importanti responsabilità dell'Istituto consiste nel portare a conoscenza degli studenti universitari americani le idee e i principi del libertarismo, tramite corsi estivi, borse di studio annuali e finanziamenti di dottorati.
Atlas Economic Research Foundation
Fondata nel 1981 da Sir Antony Fisher, l’Atlas è un’organizzazione non-profit che ha sede a Fairfax, in Virginia. Il suo scopo è di sviluppare e rafforzare l’intera rete di istituti e centri di ricerca dedicati alla difesa del libero mercato. Si tratta, in sostanza, di una sorta di “istituto degli istituti”, che tenta di coordinare gli sforzi verso l’obiettivo comune: “realizzare una società di individui liberi e responsabili, fondata sui diritti di proprietà, il governo limitato, lo stato di diritto e un ordine di mercato”. Gli sforzi dell’Atlas si concentrano nel campo delle relazioni fra i centri di ricerca indipendenti in tutto il mondo e i potenziali finanziatori di queste attività essenziali alla nascita di una società libera. |
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