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V Rapporto sul Processo di Liberalizzazione della Società Italiana

LIBERALIZZAZIONE PER SOPRAVVIVERE.
LE “CATTIVE ISTITUZIONI” E IL DECLINO COMPETITIVO ITALIANO

Raimondo Cubeddu*, Alberto Vannucci**

1. Introduzione: alcuni indicatori della persistenza di “cattive istituzioni”
Agli inizi del nuovo millennio, nel marzo 2000, i capi di governo dei paesi dell’Unione Europea riuniti a Lisbona si sono posti l’ambizioso obiettivo di trasformare il sistema economico del vecchio continente nella “più dinamica e competitiva economia del mondo basata sulla conoscenza, capace di una crescita economica sostenibile, con maggiori e migliori posti di lavoro, e una più forte coesione sociale”. In quella sede, sono state delineate politiche volte a conseguire una crescita della produttività e della competitività attraverso la costruzione di una società dell’informazione aperta a tutti, di in uno ambiente istituzionale favorevole all’avvio di nuove attività d’impresa, incline all’innovazione, con mercati finanziari efficienti ed integrati.
La strategia di Lisbona ha rappresentato la bussola di riferimento per le politiche di sviluppo realizzate negli ultimi anni dai paesi dell’Unione europea. Nonostante questo, in diversi paesi europei i progressi nell’attuazione di misure coerenti con questo piano sono stati lenti e contrastati. Il caso italiano rappresenta però un’anomalia particolarmente stridente: secondo un indicatore sintetico, in tutte le dimensioni nelle quali è possibile scomporre gli obiettivi di crescita della competitività e dell’innovazione il nostro paese si colloca nelle posizioni di fondo, con un crollo dal 14° posto del 2004 al 24° del 2006 nell’Europa a 25 (vedi tabella 1).1

Tra tutti i paesi europei, “L’Italia mostra di gran lunga il cambiamento maggiore, con un incredibile declino di 10 posizioni fino al 24° posto, penultima dopo la Polonia. Rispetto agli altri membri dell’Unione Europea, l’Italia ha visto un significativo deterioramento in diverse aree, tra cui la liberalizzazione (dal 15° al 23° posto), le network industries (dal 13° al 20°), i mercati finanziari (dal 17° al 24°), l’inclusione sociale (dal 17° al 24°)”. (World Economic Forum, 2006a, 5).

* Professore ordinario di Filosofia Politica, Università di Pisa
** Docednte di Analisi delle Politiche Pubbliche, Università di Pisa

 

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