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La Cultura della Libertà

La garanzia delle libertà individuali contro poteri che rischiano di schiacciarle in nome dei diritti di maggioranze organizzate appare come una delle istanze più radicali del pensiero liberale o magari, come altri direbbe, libertario. Eretica è, nella tradizione religiosa occidentale, una dottrina che si oppone alla verità rivelata dall'autorità divina; ma, stando all'etimologia, eresia significa semplicemente scelta. E, scriveva il poeta John Milton, l'autore del Paradiso perduto (1667), nella sua Areopagitica (1644), "la verità ha più di una faccia". Da questo punto di vista il liberalismo, in nome non di una paradisiaca felicità futura, ma di una vita che, perduto qualsiasi paradiso, continua qui e ora, coincide con la difesa del diritto inalienabile all'eresia.
Oggi è di moda una certa retorica per cui si dovrebbe andare "oltre la tolleranza", non ci si dovrebbe cioè accontentare di "sopportare" punti di vista e stili di vita diversi dai propri, ma operare per una incessante partecipazione. Si tratta nel migliore dei casi di parole vuote. La tolleranza, che alcuni popoli d'Occidente, dai ribelli delle isole britanniche agli insorti delle colonie Nordamericane, hanno conquistato con sudore e sangue è in realtà l'altro volto della difesa della discussione spregiudicata e del conflitto di idee. La tolleranza è figlia del fallibilismo, cioè della chiara coscienza che ogni acquisizione è solo frammentaria e provvisoria. Ma essa è anche serio impegno ad argomentare le proprie posizioni in un confronto serrato e senza vincoli - diritto di critica che si salda a quello di replica. Infatti, l'arricchimento di tutti i punti di vista si verifica non in condizioni di unanimità e "quiete pubblica", ma proprio quando l'ordine pubblico è turbato da pensieri, usi, tradizioni, culture dissonanti; per così dire, in condizioni di competizione non cooperativa, in cui ciascuno segue la propria strada, perseguendo nella propria eresia.
Infine, ciò che si potrebbe definire, in modo piuttosto generale, "libertà di movimento" è, in maniera meno evidente, ma proprio perciò più profonda, una delle richieste più irrinunciabili della tradizione liberale e libertaria: movimento degli individui, i quali non sono possesso di chiese o stati né possono essere legittimamente reclusi entro confini diversi da quelli da loro scelti; movimento della conoscenza, che non è solo un sapere acquisito e determinato, ma un insieme, indefinibile a priori, di pratiche e nozioni in continuo mutamento e trasgressione di ogni steccato disciplinare. In questo senso la cultura della libertà è, a un tempo, pratica di resistenza contro ogni sistema coercitivo (anche se giustificato dalle "buone intenzioni" della partecipazione e dell'altruismo a buon mercato) e proposta di creatività che permetta - per dirla con Robert Musil - "di scoprire soluzioni, connessioni, costellazioni, variabili sempre nuove".

John Stuart Mill

"Ogni vincolo, in quanto vincolo, è male". Così scriveva John Stuart Mill (1806-1873) in un passo fondamentale del saggio Sulla Libertà (1859). Completato con la clausola che la mia libertà cessa dove incomincia la tua, quella battuta potrebbe valere come motto dell'intera ricerca milliana. John Stuart Mill non fu solo filosofo, teorico della politica ed economista di rilievo, ma seppe associare all'instancabile attività intellettuale l'impegno concreto in una serie di lotte per la libertà, intesa innanzi tutto come pluralità di opinioni e stili di vita: difese contro lo schiavismo la causa degli abolizionisti negli Stati Uniti; si schierò a favore dell'autogoverno irlandese con il movimento per la Home Rule; promosse la parità dei diritti tra donne e uomini, appoggiando le manifestazioni a sostegno del suffragio femminile.
Filo rosso delle proposte teoriche come delle scelte politiche era per Mill la salvaguardia dei diritti delle minoranze contro maggioranze che, per pura superiorità numerica, tentassero di schiacciare ogni dissenso. La "dittatura della maggioranza" significa comunque impoverimento della società nel suo insieme, che viene privata di quella "forza vitale" che ogni dispotismo "bandisce" per poter meglio funzionare. Tale forza per Mill si identificava con la libertà di pensare e agire in direzioni innumerevoli e contrastanti: essa era prefigurata dalla stessa dinamica della conoscenza scientifica, in cui la contesa spregiudicata tra i ricercatori, il libero scambio, la battaglia delle idee, costituivano continue occasioni di progresso. Nella società come nella scienza non era la ricerca del consenso, ma l'incremento del dissenso (ovvero la "mancanza di unanimità") a favorire lo sviluppo. Lungi dal rappresentare un blocco monolitico, una società libera si dispiega in un variopinto sistema di interazioni tra gruppi e individui con "funzioni di utilità" diverse ed eventualmente in conflitto. Questa versione dell'utilitarismo è ancor oggi alla base delle interpretazioni democratiche del Welfare (o "stato del benessere").
Certo, nella società come nella scienza ci sono vincitori e vinti, ma il vincitore scopre che rientra nella propria utilità non infierire sul perdente - come ha osservato un interprete di Mill come Marco Mondadori, "il contenuto stesso del programma vincente risulta modellato dal conflitto con i rivali; anzi, esso è tanto più ricco quanto più a lungo è durato il conflitto stesso". Mill occupa così non solo il suo degno posto nei manuali di storia del pensiero filosofico (per il suo Sistema di logica deduttiva e induttiva) e del pensiero politico ed economico (con i Principi di economia politica), ma rappresenta una delle più interessanti figure del ripensamento critico del liberalismo classico. Il suo libertarismo va ben oltre le ricette ideologiche (democrazia liberale, socialismo ecc.) e ancor oggi costituisce una sfida per qualsiasi metodologia normativa in epistemologia, etica e diritto.

Ernst Mach

"Se esiste il senso della realtà, deve esistere anche il senso della possibilità", scriveva Robert Musil ne L'uomo senza qualità. Il fisico e fisiologo Ernst Mach (1838-1916), dal 1895 titolare della cattedra di "Storia e filosofia delle scienze induttive" presso l'Università di Vienna, dal quale lo stesso Musil trasse più di un'ispirazione, avrebbe senz'altro sottoscritto. Contro il riduzionismo "meccanicistico", che avrebbe voluto ricondurre tutte le scienze - in primo luogo fisiologia e psico-logia - a una meccanica di "atomi e vuoto", ma anche contro chi, come il grandissimo fisico Max Planck (1858-1947), desiderava una "immagine fisica del mondo" unica, valida per sempre e per tutti, Mach ricordava, all'opposto, che ogni disciplina scientifica riflette solo un aspetto, per così dire un solo "colore", di una realtà vasta e sfaccettata, su cui esercita potenti idealizzazioni, tra loro tanto differenti da costituire talora nuclei di programmi di ricerca rivali. Peraltro Planck nel corso di un duro scambio polemico, non mancò di bollare Mach come "falso profeta": ricevette in cambio una decisa rivendicazione della libertà di pensiero - in scienza come altrove. "Non sono uomo di alcuna chiesa - ebbe a dire Mach in quella occasione - nemmeno della chiesa dei fisici".
Analogamente, testimoniando la propria "rara indipendenza di pensiero" - come ebbe a scrivere di lui Albert Einstein - Mach insegnava a riconoscere il "pregiudizio" del primato della meccanica, ricostruendone la storia in La Meccanica nel suo sviluppo storico-critico (1883), dove elaborò una profonda e influente critica ai concetti di spazio e tempo assoluti, un'eredità newtoniana da cui la fisica doveva emanciparsi solo con la relatività einsteiniana. È lo stesso Albert a riconoscere il proprio debito con l'analisi storico-critica proposta da Mach, fu proprio la critica "spietata" dell'idea di "un sistema di riferimento universalmente valido", a preparare le svolte del 1905 (relatività speciale) e del 1916 (relatività generale).
In uno dei capolavori di Mach - Conoscenza ed errore, 1905 - l'impresa scientifica appare non più come un cammino lineare e pacifico verso una verità definitiva, ma un percorso accidentato, di congetture e confutazioni, ipotesi errate e graduali conquiste attraverso la critica. Il processo di "adattamento delle idee ai fatti e delle idee tra loro" è per Mach una sorta di "processo darwiniano", un "canone evoluzionistico" che del sapere privilegia il momento dello scontro genuino tra teorie e metodologie rivali. Mach rende così omaggio alle intuizioni di Darwin ma anche a un'idea cara a John Stuart Mill: l'evoluzione delle idee scientifiche può avvenire purché sia soddisfatto il vincolo globale di un ambiente libero. Più specificatamente il vincolo che a tutti - uomini di scienza ma anche "uomini della strada" - sia concessa la libertà di sbagliare, ma anche di rivedere i propri comportamenti alla luce dell'esperienza passata, delle proprie minuscole conquiste così come dei madornali errori. È quasi superfluo aggiungere che questo tipo di libertà è anche la forma più impegnativa di responsabilità.

Samuel Butler

Il possesso di un orologio può costare un processo, con la prigione per conseguenza. Accade a Erewhon, il mondo "che non ha luogo" (letta al contrario e spostata una lettera la parola Erewhon si trasforma in nowhere), invenzione del romanziere inglese Samuel Butler (1835-1902). Figlio e nipote di ecclesiastici anglicani, riserverà alla Chiesa d'Inghilterra e alla società vittoriana, in Così muore la carne (1873, pubblicato nel 1903), un ritratto sarcastico. Con il proprio mondo Butler aveva rotto già quindici anni prima, quando, dopo una lite col padre, si era imbarcato per la Nuova Zelanda in cerca di fortuna.
In Nuova Zelanda ha la sua ambientazione il mondo antiutopico descritto in Erewhon (1872). Protagonista della finzione è l'ambizioso Higgs, cristiano e colonizzatore per vocazione, che parte per "una nuova colonia britannica" con l'intento dichiarato di far soldi - ma anche con lo scopo, ipocritamente nobile e vittoriano, di convertire e addomesticare i selvaggi, facendosi pastore di anime non meno che di bestiame. Ma, al suo arrivo nella colonia, terre già occupate lo spingono di nuovo in marcia in cerca del coronamento dell'ambizione. Che non troverà! Ad attenderlo, invece, uomini sani e forti, donne gentili e belle, alberghi accoglienti, buon cibo a sazietà. Gli abitanti di Erewhon non mostrano bisogno di essere istruiti in alcunché - è piuttosto il loro visitatore che rischia di essere "rieducato" a pratiche che sembrano il totale capovolgimento del suo mondo: se nelle scuole di Sua Maestà la Regina si insegnano la chiarezza di azioni e di pensiero non meno che la loro concretezza, nelle scuole di Erewhon trionfano l'Ipotetica e l'Irragionevolezza, si istituiscono cattedre di Illogicità ed Evasione, per preparare i giovani ad affrontare le situazioni eccezionali e le stravaganze della vita. Se la medicina vedeva a fine Ottocento i suoi primi trionfi, a Erewhon ogni malattia è crimine incurabile, la salute è virtù indeperibile. Per equilibrare la cosa, la miseria (anche quella dovuta agli altrui raggiri) è punita col carcere, la ricchezza (persino quella conquistata con la truffa) è premiata; ladri e imbroglioni sono persone da accudire con affetto. E infine. se gli anni della regina Vittoria sono quelli di un progresso tecnico e industriale inarrestabile, Erewhon è una società senza macchine, le quali infatti "servono l'uomo soltanto a patto di essere servite".
Si capisce allora perché l'orologio costi al protagonista il carcere: esso, lungi dal preservare il tempo libero, fa dell'uomo lo schiavo di un tempo che in realtà gli espropria. Da questo punto in poi, per Higgs, il paradiso di una società altamente organizzata si trasformerà in un inferno, straordinariamente simile a quello della realtà sociale di cui l'alter ego del protagonista, Samuel Butler, fa parte. Erewhon ne è lo specchio fedele, anche se rovesciato: perché la logica non è meno irragionevole dell'illogicità, né le "magnifiche sorti e progressive" sono meno crudeli di un mondo selvaggio. E da ribaltamento innocuo, perché presente in nessun posto, Erewhon finisce per essere l'immagine speculare di un mondo sin troppo noto che è sempre qui: non più Nowhere, come vorrebbe la lettura destrorsa del titolo, ma Now Here, come suona il suo sinistro anagramma.

Il trattato di Schengen e la libera circolazione delle persone

Un piccolo borgo di soli 375 abitanti; l'ultimo paese dell'ultimo Granducato della storia europea, quello del Lussemburgo; la tappa iniziale della breve, ma incantevole Rue du vin lussemburghese: tutto questo è Schengen. Località giunta alla fama internazionale, tuttavia, non per l'eccezionalità di una lunga storia passata né per la qualità dei vini, ma per essere stata teatro, nel 1985, della firma di un importante trattato tra Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi. L'accordo sanciva un territorio, chiamato Spazio Schengen, libero da frontiere, proponendo una progressiva soppressione dei controlli sulle persone ai confini comuni dei Paesi partecipanti. Anche il luogo scelto per la firma richiamava simbolicamente un'infinita libertà di movimento (almeno nelle intenzioni): i rappresentati delle nazioni si riunirono infatti sulla nave passeggeri Princess Marie-Astrid, lungo la Mosella, in una zona neutrale, nel punto di convergenza tra le frontiere di Francia, Germania e Benelux.
Poco più di dieci anni dopo, nel 1997, l'accordo si è esteso all'intera Unione Europea con la ratifica del trattato di Amsterdam, entrato in vigore nel 1999. Ciò ha eliminato i controlli di documenti agli aeroporti per i voli diretti ai Paesi aderenti, mentre permangono i controlli con il metal detector e i raggi X. In nome del trattato viene inoltre esteso il diritto di transito agli immigrati dotati di visto (ma non quelli di permesso e di soggiorno). Anche gli extracomunitari, se provvisti di permesso di soggiorno di lunga durata, possono circolare liberamente all'interno dell'area Schengen.
Al di là degli aspetti formali, gli accordi di Schengen e di Amsterdam hanno stabilito il diritto delle persone a circolare liberamente, dando la possibilità agli individui di creare reti (e non solo virtuali!) in cui interagire su diversi piani: da quello economico e commerciale, già previsto dalla creazione della Comunità Economica Europea prima e dell'Unione (con conseguente ampliamento) poi, al piano più propriamente culturale. Così, parte di questa progressiva liberalizzazione è anche il "Processo di Bologna", percorso che i ministri dell'istruzione dei Paesi europei si sono impegnati a seguire per costruire uno spazio comune dell'istruzione superiore, integrato a quello della ricerca.

"L'Enciclopedia Einaudi" e il libero movimento dei saperi

"Le enciclopedie riflettono un momento o l'altro della vita culturale: quello della perfetta stabilità del sapere, della certezza intellettuale, della convinzione che una vetta è stata raggiunta […], e l'altro momento di un sapere mutante, in crisi, come suol dirsi comunemente, di una cultura che si cerca, di una società che vede emergere nuovi valori. È questo il caso del quadro generale in cui nasce l'enciclopedia settecentesca". Si tratta naturalmente dell'apertura di un'enciclopedia, l'Enciclopedia edita da Einaudi (1977-1982): forse l'ultima capace di testimoniare un sapere mutante e in crisi, in cammino e in continua ricerca. Autore di queste righe era lo storico Ruggiero Romano (1923-2002), che dell'Enciclopedia fu il principale ideatore, coordinatore e curatore. A suo modo, aveva recepito le indicazioni dei teorici del Circolo di Vienna, in particolare di Otto Neurath, orientandosi così verso quella costruzione e ricostruzione delle scienze rappresentata dall'opera enciclopedica; con l'importante differenza che, contrariamente a quanto riteneva Neurath, nel quadro della neopositivistica Encyclopedia of Unified Science (Chicago, 1938-1970), Romano pensava che un'enciclopedia non potesse essere "unificata" attorno a un unico nucleo di irraggiamento del sapere.
L'Enciclopedia Einaudi - questo il nome con cui è soprattutto nota - è organizzata secondo lemmi che si rimandano reciprocamente, in modo da individuare, anziché un unico centro sovrano, una molteplicità di "nodi" collegati tra loro, istituendo così, già sul supporto cartaceo molto prima dell'irresistibile ascesa del silicio, una rete vasta - almeno idealmente - quanto il mondo: di qui la possibilità di scegliersi una varietà enorme di punti di partenza e percorsi di ricerca, secondo uno schema che ha non poche somiglianze con il Castello dei destini incrociati (1973) di Italo Calvino.
Nel progetto di Ruggiero Romano non era tanto in gioco una semplice proposta di interdisciplinarità, capace di utilizzare conoscenze acquisite e pacifiche in campi disparati, quanto la produzione di vere e proprie interferenze tra le discipline stesse, quasi a provocare un'azione di disturbo di ogni quadro assodato, di ciò che parrebbe conquistato una volta per tutte, in modo da scombinare qualsiasi pretesa di fissità della conoscenza. L'operazione dell'Enciclopedia, in altri termini, staccava il tentativo enciclopedico dall'immagine di un vacuo nozionismo: non si trattava di offrire nozioni all'interno di un quadro già assodato e raggiunto una volta per tutte, né di aggiungere un contenuto a una forma vuota data in anticipo, semmai di proporre sempre più contenuto sino a far esplodere ogni quadro, mettendo letteralmente sotto gli occhi, con una pratica incessante e ostinata, nuove prospettive e nuove ricostruzioni di una globalità che non è mai data da principio, ma viene costruita solo nella molteplicità delle sue forme.

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Libertà come prassi 

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