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PREMIO INTERNAZIONALE ALLA LIBERTÀ

L'ECONOMIA DELLA LIBERTÀ.

La disciplina economica si sviluppa di pari passo con la nascita del pensiero liberale ed, in particolare, con l'individuazione del mercato sia come istituzione sociale sia come motore di crescita. In quanto istituzione sociale, il mercato fornisce regole per selezionare , vagliare ed ordinare i segnali ed i messaggi che i soggetti economici (individui, famiglie, imprese) si inviano e facilita, così, la loro interazione. In tal modo, le informazioni vengono organizzate speditamente in modo analitico e convergono verso equilibri competitivi.
In quanto motore di crescita, il mercato promuove la specializzazione produttiva tramite lo scambio di beni e servizi; crea, così, reddito e forma ricchezza. I mercati non distruggono le fondamenta da cui hanno origine - quali l'interazione all'interno della famiglia, tra amici, tra colleghi e soci. Anzi potenzia li potenziano, li facilitano e danno loro (ove necessario) un'impostazione in cui i legami familiari ed amicali non restano chiusi ma si aprono ed acquisiscono caratteristiche orientate verso la libertà.
La disciplina economica ha la sua centralità nel mercato; il mercato, a sua volta, assume parità di posizione tra i soggetti coinvolti e presuppone libertà di scelta; per queste ragioni, l'economia di mercato è sempre stata osteggiata da sistemi politici illiberali. Ivan il Terribile, ad esempio, imponeva la decapitazione dei mercanti il cui livello di reddito oltrepassasse una certa soglia; la Controriforma prevedeva l'espropriazione (a favore del delatore) di chiunque fosse in odore di eresia; in tempi recenti, i regimi totalitari anche europei hanno sempre individuato i loro principali avversar! nel mercato e nelle libertà che esso, al tempo stesso, richiede e comporta.
Queste caratteristiche liberali della disciplina economica sono rimaste immutate nei secoli. Tutti i tentativi di sradicarle - quali quelli di programmazione centralizzata - sono falliti sia concettualmente sia storicamente. L'economia, in effetti, non ha esistenza se non come disciplina della libertà e delle libertà.

ADAM SMITH.

Considerato padre della disciplina economica moderna è, in primo luogo, un filosofo morale i cui lavori sulla "teoria dei sentimenti morali" sono almeno tanto importanti quanto la più nota "inchiesta sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni". Contrariamente alle interpretazioni più frequenti, il contributo principale di Smith alla centralità del mercato e delle libertà non riguarda l'analisi del funzionamento, per così dire meccanico, dello scambio o dell'equilibrio tra domanda ed offerta tramite il meccanismo dei prezzi.
Il suo apporto più importante è la dimostrazione della virtù anche morale delle libertà economica. Il punto centrale del pensiero di Smith è che fare del bene agli altri, ed alla collettività, non richiede azioni deliberate per perseguire quello che viene percepito essere l'interesse degli altri. Grazie alla "mano invisibile" del mercato leale e plurale, ed alle sue libertà, non occorre essere "buoni", o volerlo essere, per produrre risultati "buoni" per la collettività.
L'operare della "mano invisibile", che trasforma l'egoismo individuale nel benessere sociale, richiede, però, le libertà: i produttori devono essere liberi di spostarsi da un luogo ad un altro ed i consumatori da una mercé ad un'altra; ogni attività economica deve essere aperta (cioè libera) all'ingresso di nuovo operatori in grado di entrare in concorrenza con i vecchi operatori già stabiliti nel mercato. Anche l'intervento dello Stato nell'economia deve essere limitato alla produzione ed offerta di beni pubblici non divisibili e non esclusivi (giustizia, difesa nazionale, sicurezza interna) e soprattutto deve evitare limiti all'operare delle forze del mercato.
Il funzionamento del mercato consente di economizzare informazioni, comprensione, razionalità e di ottimizzarle; è inerentemente virtuoso.
In tutti i suoi risvolti, il pensiero di Smith è ancora fondate nelle varie branchie della disciplina economica.

FRÈDERIC BASTIAT

Morto a Roma gridando "verità" e "libertà", Bastiat non è soltanto il vero ed autentico successore di Adam Smith nonché il precursore di Frederich Hayek e di Milton Friedman, è stato reso celebre dall'opera sui "sofismi economici" e per l'arguzia con cui poneva la centralità delle libertà nel funzionamento dell'economia e della società.
In uno dei suoi saggi di economia internazionale, simula la protesta dei fabbricanti di candele francesi, e la relativa petizione al Parlamento per l'imposizione di dazi e contingenti alla frontiera, contro "il rivale straniero" che inonda il mercato con luce "a costi incredibilmente bassi"; il rivale è il sole.
In un altro di economia dei trasporti, propone che la ferrovia allora in costruzione si fermasse a Angoulème, Poiters e tante altre città grandi e piccole "per fare fiorire attività economiche (facchini, locande, ristoranti)", sino al punto di avere tante stazioni da mettere in atto "una ferrovia negativa", tale da non danneggiare le carrozze a cavalli. In altro ancora, propone che per risolvere il problema della disoccupazione, a ciascun lavoratore venga legata una mano dietro la schiena (o meglio ancora amputata) in modo che il lavoro di uno debba venire fatto da due. Sono paradossi che valgono ancora oggi.
Sono rare le raccolte di libri di Bastiat. Ne esiste una completa alla Foundation for Economic Education, a Irvington (New York), www.fee.org. C'è un messaggio di fondo negli scritti di Bastiat; alla sua epoca (ed in gran parte ancora oggi), gli economisti concentravano la loro attenzione sull'efficienza della produzione, Bastiat si pone un po' controcorrente, dal punto di vista dei consumatori e sviluppa una teoria autonoma del valore in base alla quale il valore è frutto del "servizio reso".
In tal modo può calcolare il valore di beni e servizi che non hanno mercato: il valore della pubblica istruzione gratuita è il quello del "servizio reso" alle famiglie istruendone i figli. Bastiat giunge così a tre paradigmi ancora attuali: la spesa pubblica ha un impatto politico, prima ancora che economico poiché tanto più la Pubblica Amministrazione spende tanto meno lo possono fare i singoli e le imprese; dato che le politiche pubbliche sono il frutto della politica e nel plasmarle contano gli interessi che meglio si organizzano, è necessario assicurare a tutti accesso alla politica; perché tale accesso sia efficiente ed efficace occorre una netta separazione dei poteri e che né Esecutivo né Legislativo né Giudiziario travalichino dai loro campi.

MILTON FRIEDMAN

You can't fool the people alt the times (Non fare sempre fessa la gente). Questa massima di Milton Friedman, meno famosa ma più pregnante di quella, a lui attribuita (ma in effetti del Presidente Truman) secondo cui "there is'nt a free lunch" ("non esistono pranzi gratis") può essere assunta come guida del liberalismo e liberismo economico contemporaneo dopo decenni di pensiero e politiche economiche orientate, invece, in favore dell'intervento dello Stato (a tutti i livelli) nell'economia.
Milton Friedman, allievo e seguace di Hayek, è riconosciuto come il principale esponente della "scuola di Chicago" di liberalismo e liberismo economico. Gli è stato conferito nel 1976 il Premio Nobel per l'Economia; a lui si deve, in primo luogo, la riformulazione della teoria quantitativa della moneta e, più in generale, la paternità delle teorie monetariste, liberali e liberiste, che hanno ispirato molti Paesi occidentali dalla fine degli Anni Settanta e che, più recentemente, hanno plasmato anche quelle di numerosi Paesi in via di sviluppo ed in transizione dalla pianificazione al mercato.
Importante, pure a livello divulgativo, la "ipotesi delle isole": i soggetti economici operano su mercati "locali" o "parziali", separati gli uni dagli altri, come se fossero delle isole; le prime informazioni che acquisiscono sono quelle che riguardano i loro specifici mercati; se se interpretano in modo restrittivo, si lasceranno ingannare, almeno temporaneamente. Una politica economista di intervento pubblico può essere efficace nel breve periodo, ma solo se non sistemica; altrimenti, aumentano i rischi dell'inganno e la portata di quest'ultimo.
Teorico ed ideologo del neo-liberismo economico ha scritto anche opere di fondamentale importanza sul comportamento dei soggetti economici in situazione d'incertezza, sulla funzione aggregata del consumo e sulla teoria dei prezzi. Oltre ad autore di lavori teorici di grande spessore, è anche brillante polemista su quotidiani e periodici a favore di politiche economiche orientate a minimizzare l'intervento dello Stato alla sfera dei beni pubblici non divisibili e non esclusivi e di alcuni beni sociali (istruzione, sanità) molto ben selezionati; in questi casi, però, tuttavia i principi di concorrenza (e, quindi, il mercato e le sue libertà) dovrebbe funzionare e all'interno del settore pubblico e tra settore pubblico e settore privato.

LIBERTÀ ED INTEGRAZIONE ECONOMICA INTERNAZIONALE NEL XX SECOLO

L'integrazione internazionale verificatasi tra il 1840 ed il 1914 è stata un processo molto simile a quello in atto da circa vent'anni. In quel periodo, grazie all'innovazione tecnologica, i costi di trasporto diminuirono molto più rapidamente di quanto non sia avvenuto dal 1980 ad oggi, i flussi migratori furono molto maggiori di quelli degli ultimi quattro lustri, i movimenti di capitale (da un Paese all'altro e da una piazza finanziaria all'altra) molto più rapidi e soprattutto il grado di aprire economie da considerarsi ad alto reddito (in essenza l'Europa in via di industrializzazione e gli Stati Uniti ancora in corso di costituzione) in modo molto più incisivo (se misurato in termini di percentuali delle transazioni internazionali sul pii dei singoli Paesi).
Un effetto importante: grazie alla libertà intrinseca all'integrazione economica internazionale, tra il 1850 (non esistono serie statistiche affidabili più antiche) ed il 1913, il divario tra i salari dell'Europa e quelli del Nord America divenne molto più basso di quanto non sia mai successo successivamente; i prezzi delle derrate e soprattutto dei manufatti espressero un forte grado di convergenza; ben 60 milioni di europei cambiarono Paese o continente (due terzi alla volta degli Stati Uniti), provocando, ad esempio, un aumento del 24% della forza lavoro Usa ed una contrazione del 45% di quella dell'Irlanda.
Cosa arrestò questo processo ed innescò le tensioni economiche che contribuirono alle determinanti della Prima Guerra Mondiale?
La crisi partì dal commercio: coloro che, a torto od a ragione, pensavano di essere i "perdenti" reagirono chiudendo le frontiere. Le derrate di granaglie dagli Usa (appena usciti dalla guerra di secessione) e dall'Ucraina inondarono il mercato europeo: attorno al 1870, Francia, Germania ed Italia cominciarono politiche agricole protezioniste. Solo la Gran Bretagna e l'Irlanda (ambedue importatori netti) mantennero i mercati aperti.
Fu, poi, la volta dell'industria: le migrazioni avevano comportato una riduzione di forza lavoro (ed un aumento dei salari reali), timori di perdita di competitività nel nascente manifatturiero, iniziò il "protezionismo imperfetto" (quali la "tariffa Luzzati" che si studia ancora nei libri di storia economica dell'Italia). Gli stessi Stati Uniti, principali beneficiari del processo in termini di risorse umane, tecnologia e flusso netto di capitali, non avevano dato il buon esempio: avevano serrato le saracinesche durante la questione "between the States" e alla fine del secolo cominciato a restringere l'immigrazione, anticipando l'Emergency Quote Act del 1921.
Con la prima guerra mondiale, l'integrazione economica internazionale finì; non solo vennero limitate le libertà economiche, ma pochi anni dopo iniziò il processo contrario e contrapposto - la corsa verso l'autarchia, accelerata con la "grande depressione".

NET ECONOMY E LIBERTÀ TRA LA FINE DEL XX E L'INIZIO DEL XXI SECOLO

La "new economy" o "net economy" è caratterizzata da tre elementi di fondo: a) l'impiego, al tempo stesso intenso e diffuso, di tecnologie dell'informazione e della comunicazione; b) la prevalenza di struttura di rete all'interno dell'impresa ed al suo esterno; e) l'importanza dello stock di conoscenza e del flusso di informazioni nel determinare i vantaggi comparati. 
Una delle implicazioni principali è la riduzione delle barriere all'ingresso, specialmente di quelle che dipendono dal fatto che, per la propria esistenza e sopravvivenza, l'impresa ha l'esigenza di mettere insieme una massa critica di risorse allo scopo di sfruttare le economie di scala generate dal fatto di funzionare come contesto ed intermediario di contratti in vari mercati (dei capitali, del lavoro, delle merci, dei servizi); si tratta di una vasta rete di contratti, sia espliciti sia, soprattutto, impliciti, all'interno dell'impresa, tra tutti i soggetti coinvolti nell'impresa medesima. Questa funzione e questo modo di operare dell'impresa viene sfidata dalla "net economy" che, richiedendo una massa modesta di risorse finanziarie e grande flessibilità (nonché, di conseguenza, minimizzando i contratti all'interno dell'organizzazione-impresa), spinge verso dimensioni ridotte dell'impresa medesima e l'impiego di servizi esterni.
La "net economy" promuove la libertà economica.
Gran parte del dibattito ha posto l'accento sui nessi tra "net economy" e produttività, e sulla sfida che tali interconnessioni comportano alla politiche economiche che si propongono di governarli oppure sulle "nuove discriminazioni":

  • la relazione tra "net economy" e aumenti della produttività. Il caso più studiato è, senza dubbio, quello dell'economia degli Stati Uniti d'America. Dal 1990 la crescita di lungo periodo, escludendo, quindi, fluttuazioni cicliche, dell'economia americana (2,4% l'anno) è stata di mezzo punto percentuale inferiore a quella registrata nel 1973-1990 (2,9%), a sua volta molto più lenta di quella contabilizzata nel 1948-1973 (4%.). Senza la "net economy", però, il tasso sarebbe stato ancora più contenuto: non avrebbe sfiorato il 2% l'anno perché almeno un sesto della crescita Usa post-1990 deve imputarsi ad investimenti in computer, ad acquisti di computer da parte delle famiglie ed ai pertinenti flussi di servizi che hanno inciso principalmente sulla produttività del settore manifatturiero. Negli Usa le opportunità della "net economy" sono state colte meglio che in Europa proprio perché il contesto generale ed istituzionale è più favorevole alla libertà economica.
  • la relazione tra "net economy" e ciclo economico. Dato che la tecnologia dell'informazione e della comunicazione è una "general purpose technology" (Gpt, ossia tecnologia a uso plurimo), la sua introduzione comporta una fase di rallentamento durante il periodo di sperimentazione, quando risorse fisiche ed umane vengono distolte da altri impieghi, più "sicuri", ed incanalate in operazioni ad alto rischio e di cui molte hanno una bassa probabilità di successo; quindi non smussa i cicli economici ma in certi casi può anche accentuarli. Negli Usa il periodo di sperimentazione è stato più breve che in Europa a ragione di un contesto più liberale.
  • la relazione tra "net economy" e diseguaglianza. Nonostante l'ipotesi di qualche anno fa secondo cui la tecnologia dell'informazione e della comunicazione avrebbe creato nuove esclusioni, l'aumento del gap tra fasce di reddito appare contenuto anche nei Paesi in cui viene comunemente giudicato "spettacolare": negli Stati Uniti e nel Regno Unito il rapporto tra i redditi da lavoro medi di coloro nel decimo percentile più alto della scale e di quelli nel gradino più basso è passato, rispettivamente, da 4,76 a 5,63 e da 2,53 e 3,21. Anche in questo caso, le libertà accentuate dalla "net economy" hanno favorito la riduzione delle disparità sociali.

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