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9.
Il Credito.

Da sempre, ma soprattutto negli ultimi anni, si è pensato di universalizzare la ricchezza universalizzando il credito. Non credo di esagerare dicendo che, dalla rivoluzione di febbraio, la stampa parigina ha vomitato più di dieci mila opuscoli che raccomandano questa soluzione del problema sociale. Questa soluzione, ahimè! ha per base una pura illusione ottica, se una illusione può essere una base. Si comincia con il confondere la carta-moneta con il numerario, ed è da queste due confusioni che si pretende di individuare una realtà. 

Occorre assolutamente, nella questione, dimenticare il denaro, la moneta, i biglietti e gli altri strumenti per mezzo dei quali i prodotti passano di mano in mano, per vedere soltanto i prodotti in se stessi, che sono la vera materia del prestito. Poiché quando un contadino prende in prestito cinquanta franchi per comperare un aratro, non sono effettivamente cinquanta franchi che gli sono prestati, è l'aratro. E quando un commerciante prende in prestito ventimila franchi per comperare una casa, non è ventimila franchi che deve, è la casa. Il denaro non compare che per facilitare l'accordo tra molte parti. Pietro può non essere disposto a prestare il suo aratro, e Giacomo può esserlo a prestare il suo denaro. Cosa fa allora Guglielmo? Prende in prestito il denaro di Giacomo e, con questo denaro, compera l'aratro di Pietro. Infatti nessuno prende a prestito denaro per il denaro stesso. Si prende in prestito il denaro per arrivare ai prodotti. Ma, in nessun paese, non si può trasmettere da una mano all'altra più prodotti di quanti ce ne sono. Indipendentemente dalla somma di numerario e di carta che circola, tutti i mutuatari non possono ricevere più aratri, più case, più attrezzi, approvvigionamenti, materie prime, di quanto tutti i prestatori insieme possano fornire. 

Mettiamoci bene in testa che qualsiasi mutuatario suppone un prestatore, e che qualsiasi debito implica un prestito. Ciò posto, quale bene possono fare le istituzioni di credito? Quello di facilitare, tra mutuatari e prestatori, il mezzo per trovarsi ed accordarsi. Ma quello che non possono fare, è di aumentare istantaneamente la massa degli oggetti presi in prestito e prestati. Tuttavia ciò sarebbe necessario affinché lo scopo dei riformisti sia raggiunto, poiché essi non aspirano a niente di meno che mettere aratri, case, attrezzi, approvvigionamenti, materie prime, tra le mani di tutti coloro che ne desiderano.

E per questo che cosa pensano? Di dare al prestito la garanzia dello stato. Approfondiamo la materia, poiché c'è qualcosa che si vede e qualcosa che non si vede. Proviamo a vedere entrambe le cose. 

Supponiamo che ci sia un solo un aratro nel mondo e che due contadini vi pretendano. Pietro è proprietario del solo aratro che sia disponibile in Francia. Giovanni e Giacomo desiderano prenderlo in prestito. Giovanni, con la sua probità, con le sue proprietà, con la sua buona reputazione, offre delle garanzie. Si crede in lui; ha del credito. Giacomo non ispira fiducia o ne ispira meno. Naturalmente avviene che Pietro presti il suo aratro a Giovanni. 

Ma ecco che, sotto l'ispirazione socialista, lo Stato interviene e dice a Pietro: Prestate il vostro aratro a Giacomo, io vi garantisco il rimborso, e questa garanzia è meglio di quella di Giovanni, poiché egli non ha che se stesso per risponderne, mentre io, io non ho nulla evidentemente, ma dispongo della fortuna di tutti i contribuenti; è con il loro denaro che se del caso vi pagherò il capitale e l'interesse.

Di conseguenza, Pietro presta il suo aratro a Giovanni: è quello che si vede. E i Socialisti si sfregano le mani, e dicono: Vedete come il nostro piano è riuscito. Grazie all'intervento dello stato, il povero Giacomo ha un aratro. Non sarà più obbligato a zappare la terra; ecco sulla strada della fortuna. È un bene per lui ed un profitto per la nazione presa in massa. 

Eh non! signori, non è un profitto per la nazione, poiché ecco quello che non si vede. Non si vede che l'aratro è stato dato a Giacomo soltanto perché non è stato dato a Giovanni. Non si vede che, se Giacomo ara anziché zappare, Giovanni sarà ridotto a zappare anziché arare. Che, quindi, ciò che si considerava come un aumento di credito è soltanto uno spostamento di credito. 

Inoltre, non si vede che questo spostamento implica due ingiustizie profonde. Ingiustizia verso Giovanni che, dopo avere meritato e conquistato il credito con la sua probità e la sua attività se ne vede spogliato. Ingiustizia verso i contribuenti, esposti a pagare un debito che non li riguarda. 

Si dirà che il governo offre a Giovanni le stesse facilitazioni che a Giacomo? Ma poiché c'è soltanto un aratro disponibile, due non possono essere prestati. L'argomentazione ritorna sempre perché, grazie all'intervento dello Stato, si faranno più debiti che non possano farsi prestiti, poiché l'aratro rappresenta qui la massa dei capitali disponibili.

Io ho ridotto l'operazione, è vero, alla sua espressione più semplice; ma, provate con la stessa pietra di paragone le istituzioni governative di credito le più complicate, e vi convincerete che possano avere soltanto questo risultato: spostare il credito, non aumentarlo. In un paese ed in un tempo determinato, c'è soltanto una certa somma di capitali disponibile e tutti si collocano. Garantendo gli insolventi, lo Stato può pure aumentare il numero dei mutuatari, e fare aumentare così il tasso d'interesse (sempre a danno del contribuente), ma ciò che non può fare, è aumentare il numero dei prestatori e il volume del totale dei prestiti. 

Che non mi si attribuisca, tuttavia, una conclusione dalla quale Dio mi salvi. Io sostengo che la legge non deve favorire artificialmente i prestiti; ma non dico che debba artificialmente ostacolarli. Se si trovano, nel nostro regime ipotecario o altrove, degli ostacoli alla diffusione e all'applicazione del credito, che li si faccia scomparire; nulla di meglio, nulla di più giusto. Ma è là, con la libertà, tutto ciò che devono chiedere alla legge dei riformisti degni di questo nome.

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