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6.
Gli intermediari.

La società è l'insieme dei servizi che gli uomini si rendono obbligatoriamente o volontariamente, gli uni agli altri, cioè i servizi pubblici e i servizi privati. I primi, imposti e regolamentati dalla legge, che non è sempre facile cambiare quando lo occorrerebbe, possono sopravvivere a lungo, con essa, alla loro propria utilità, e conservare ancora il nome di servizi pubblici, anche quando non sono più per niente servizi, anche quando non sono altro che vessazioni pubbliche. I secondi sono nel campo della volontà, della responsabilità individuale. Ciascuno ne fornisce e ne riceve quanto ne vuole, quanto ne può, dopo una discussione. Hanno sempre dalla loro parte la presunzione d'utilità reale, esattamente misurata dal loro valore comparativo. È per questo che i primi sono così spesso colpiti da immobilismo, mentre i secondi obbediscono alla legge del progresso. 

Mentre lo sviluppo esagerato dei servizi pubblici, a causa della perdita di forze che comporta, tende a costituire nell'ambito della società un parassitismo disastroso, è abbastanza singolare che molte sette moderne, attribuendo questo carattere ai servizi liberi e privati, cerchino di trasformare le professioni in funzioni. 

Queste sette si alzano con forza contro ciò che chiamano gli intermediari. Eliminerebbero volentieri il capitalista, il banchiere, lo speculatore, l'imprenditore, il commerciante e il negoziante, che accusano di interporsi tra la produzione ed il consumo per taglieggiare entrambi, senza rendere loro nessun valore. O piuttosto vorrebbero trasferire allo Stato il lavoro che compiono, poiché questo lavoro non può essere eliminato.

Il sofismo dei socialisti su questo punto consiste nel mostrare al pubblico ciò che paga agli intermediari in cambio dei loro servizi, ed a nascondergli ciò che occorrerebbe pagare allo Stato. È sempre la lotta tra ciò che colpisce gli occhi e ciò che non si mostra che allo spirito, tra quello che si vede e quello che non si vede. 

Fu soprattutto nel 1847 ed in occasione della carestia che le scuole socialiste cercarono e riuscirono a diffondere la loro teoria funesta. Sapevano bene che la propaganda più assurda ha sempre alcune possibilità presso gli uomini che soffrono; malesuada fames. 

Dunque, per mezzo delle grandi parole: sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, speculazione sulla fame, accaparramento, si misero a denigrare il commercio e gettare un velo sui suoi vantaggi. 

"Perché, dicevano, lasciare ai commercianti il compito di fare venire dalle scorte alimentari dagli Stati Uniti e dalla Crimea?" Perché lo stato, i dipartimenti, i comuni non organizzano un servizio d'approvvigionamento e dei depositi di riserva? Venderebbero al costo, e il popolo, il povero popolo sarebbe liberato dal tributo che paga al commercio libero, cioè egoista, individualista ed anarchico.

Il tributo che il popolo paga al commercio, è quello che si vede. Il tributo che il popolo pagherebbe allo stato o ai suoi agenti, nel sistema socialista, è quello che non si vede. In cosa consiste questo preteso tributo che il popolo paga al commercio? In questo: che due uomini si rendono reciprocamente servizio, in piena libertà, sotto la pressione della concorrenza ed ad un prezzo trattato. Quando lo stomaco che ha fame è a Parigi e il grano che può soddisfarlo è a Odessa, la sofferenza può cessare soltanto se il grano si avvicina allo stomaco. Ci sono tre modi perché questo ravvicinamento si realizzi: I. gli uomini affamati possono andare loro stessi a cercare il grano; II. possono affidarsi a quelli che fanno questo lavoro; III. possono pagare delle tasse ed incaricare funzionari pubblici dell'operazione. 

Di questi tre mezzi, quale è più vantaggioso? 

Dal momento che sempre, in qualsiasi paese, e tanto più quanto sono più liberi, più illuminati, più esperti, gli uomini hanno volontariamente scelto il secondo, riconosco che ciò basta a porre, ai miei occhi, la presunzione da questo lato. Il mio spirito si rifiuta di ammettere che l'umanità in massa si sbagli su un punto che la tocca da così vicino.

Esaminiamo la cosa, comunque. 

Che trentasei milioni di cittadini partano per andare cercare a Odessa il grano di cui hanno bisogno, ciò è ovviamente impossibile. Il primo mezzo non vale nulla. I consumatori non possono agire da soli, ma sono obbligati a ricorrere ad intermediari, funzionari o commercianti. 

Osserviamo tuttavia che questo primo mezzo sarebbe più naturale. In fondo, tocca a quello che ha fame, di andare cercare il suo grano. È una fatica che lo riguarda; è un servizio che deve a sé stesso. Se un altro, a qualunque titolo, gli rende questo servizio e prende questa fatica al suo posto, questa altro ha diritto ad un compenso. Ciò che dico qui, è per constatare che i servizi degli intermediari portano in loro stessi il principio della retribuzione. In ogni caso, poiché occorre ricorrere a quello che i socialisti chiamano un parassita, quale è, tra il commerciante ed il funzionario, il parassita meno esigente?

Il commercio (che io suppongo libero, in caso contrario come potrei ragionarne?) il commercio, dico, è portato, per interesse, a studiare le stagioni, a constatare giorno dopo giorno lo stato dei raccolti, a ricevere informazioni di tutti i punti della terra, a prevedere le necessità, a garantirsi in anticipo. Ha navi sempre pronte, corrispondenti ovunque, ed il suo interesse immediato è di comperare al prezzo più conveniente, economizzare su tutti i dettagli dell'operazione, e raggiungere i maggiori risultati con gli sforzi minori. Non sono soltanto i commercianti francesi, ma i commercianti del mondo intero, che si occupano dell'approvvigionamento della Francia per il giorno della necessità; e se l'interesse li porta invincibilmente a svolgere il loro compito a costi inferiori, la concorrenza che si fanno tra loro porta non meno invincibilmente a fare profittare i consumatori di tutte le economie realizzate. Una volta arrivato il grano, il commercio ha interesse a venderlo non appena possibile per estinguere i suoi rischi, realizzare i suoi capitali e ricominciare se è possibile. Diretto dal confronto dei prezzi, distribuisce i prodotti alimentari su tutta la superficie del paese, cominciando sempre con il punto più caro, cioè dove la necessità si fa più sentire. Non è dunque possibile immaginare un'organizzazione meglio calcolata nell'interesse di quelli che hanno fame, e la bellezza di quest'organizzazione, invisibile per i socialisti, risulta precisamente da questo, che è libero. Per la verità, il consumatore è obbligato a rimborsare al commercio le sue spese di trasporti, di trasbordi, di magazzinaggio, di commissioni, ecc.; ma in quale sistema non è necessario che quello che mangia il grano rimborsi le spese che fanno sì che sia alla sua portata? In più vi è da pagare la retribuzione del servizio reso; ma, quanto alla sua parte, è ridotta al meno possibile dalla concorrenza; e, quanto alla sua giustizia, sarebbe strano che gli artigiani di Parigi non lavorassero per i commercianti di Marsiglia, quando i commercianti di Marsiglia lavorano per gli artigiani di Parigi.

Se, secondo l'invenzione socialista, lo stato si sostituisse al commercio, cosa accadrebbe? Prego che mi segnalano dove sarà, per il pubblico, il risparmio. Sarà nel prezzo d'acquisto? Ma immaginatevi i delegati di quarantamila comuni che arrivano a Odessa ad un giorno dato ed al momento della necessità; e immaginatevi l'effetto sui prezzi. Il risparmio sarà nelle spese? Ma occorreranno forse meno navi, meno marinai, meno trasbordi, meno magazzinaggi, o saremo dispensati dal pagare tutte queste cose? Il risparmio sarà nel profitto dei commercianti? Ma forse che i vostri delegati funzionari andranno gratis a Odessa? È che viaggeranno e lavoreranno sul principio della fraternità? Non occorrerà che vivano? non occorrerà che il loro tempo sia pagato? E credete che ciò non superi mille volte il due o tre per cento che guadagna il commerciante, tasso al quale è pronto a sottoscrivere? 

E quindi, pensate alla difficoltà di recuperare tante imposte, e di distribuire tanti alimentari. Pensate alle ingiustizie, agli abusi inseparabili da tale impresa. Pensate alla responsabilità che peserebbe sul governo. 

I socialisti che hanno inventato queste pazzie, e che, i giorni di disgrazia, li soffiano nello spirito delle masse, si attribuiscono generosamente il titolo di uomini avanzati, e non è senza qualche pericolo che l'uso, questo tiranno delle lingue, ratifichi la parola ed il giudizio che implica. Avanzati! questo suppone che questi signori abbiano la vista più lunga che il popolo; che il loro solo torto è di essere troppo avanti al secolo; e che se il momento non è ancora venuto di eliminare certuni servizi liberi, presunti parassiti, l'errore sta nel popolo che è rimasto dietro al socialismo. Nel mio cuore e nella mia coscienza, è vero l'opposto, e non so a quale secolo barbaro occorrerebbe risalire per trovare, su questo punto, il livello delle conoscenze socialiste.

I settari moderni oppongono incessantemente l'associazione alla società attuale. Non osservano che la società, sotto un regime libero, è un'associazione vera, ben superiore a tutte quelle che escono dalla loro immaginazione fertile. 

Delucidiamo con un esempio.

Affinché un uomo possa, alzandosi, vestire un vestito, occorre che una terra sia stata chiusa, dissodata, essiccata, arata, seminata di un certo tipo di piante; occorre che greggi se ne siano nutrite, che abbiano dato la loro lana, che questa lana sia stata filata, tessuta, colorata e convertita in panno; che questo panno sia stato tagliato, cucito, lavorato in un abito. E questa serie di operazioni ne implica una folla di altre; poiché suppone l'uso di strumenti di aratura, di ovili, di fabbriche, di carbone, di macchine, di carrozze, ecc.. 

Se la società non fosse un'associazione molto-reale, quello che vuole un vestito sarebbe ridotto a lavorare nell'isolamento, cioè a compiere gli atti innumerevoli di questa serie, dal primo colpo di zappa che lo comincia fino all'ultimo colpo d'ago che lo conclude.

Ma, grazie alla sociabilità che è il carattere distintivo della nostra specie, quest'operazioni si sono distribuite tra una moltitudine di lavoratori, e suddividono sempre più per il bene comune, a misura che, mentre il consumo diventa più attivo, un atto speciale può alimentare un'industria nuova. Viene in seguito la ripartizione del profitto, che si opera secondo la quota di valore che ciascuno ha portato all'opera totale. Se questa non è associazione, mi domando che cosa sia. 

Osservate che, dato che nessuno dei lavoratori ha tirato fuori del nulla la minima particella di materia, i lavoratori si sono limitati a rendersi servizi reciproci, ad aiutarsi reciprocamente per uno scopo comune, e che tutti possono essere considerati, gli uni in relazione agli altri, come intermediari. Se, ad esempio, nel corso dell'operazione, il trasporto diventa importante per occupare una persona, la filatura una seconda, la tessitura una terza, perché la prima dovrebbe essere vista come più parassita delle altre due? Non occorre che il trasporto sia realizzato? Quello che lo fa non vi dedica del tempo e della fatica? non ne occorre ai suoi soci? Questi fanno di più o fanno un'altra cosa che quella? Tutti non sono anche sottoposti egualitariamente alla remunerazione, cioè per la divisione del profitto, alla legge del prezzo trattato? Non è, in tutta libertà, solo per il bene comune, che questa separazione di lavoro si opera e che questi accordi sono presi? Cosa abbiamo dunque che un socialista, sotto il pretesto di organizzare, venga dispoticamente a distruggere i nostri accordi volontari, a fermare la divisione del lavoro, a sostituire gli sforzi isolati agli sforzi associati e a fare arretrare la civilizzazione?

L'associazione, così come la descrivo qui, ne è meno associazione, perché ciascuno vi entra e vi esce liberamente, sceglie il suo posto, giudica e stipula per sé stesso sotto la sua responsabilità, e vi porta la molla e la garanzia dell'interesse personale? Affinché meriti questo nome, è forse necessario che un presunto riformatore venga ad imporre la sua formula e la sua volontà e a concentrare, per così dire, l'umanità in sé stesso? 

Più si esaminano queste scuole avanzate, più si resta convinti che ci sia soltanto una cosa in fondo: l'ignoranza che si proclama infallibile e che chiede il dispotismo in nome di quest'infallibilità. 

Che il lettore voglia scusare questa digressione. Forse non è inutile, nel momento in cui, sfuggite dai libri sansimoniani, falansteriani ed icariani, le declamazioni contro gli intermediari invadono il giornalismo e le tribune, e minacciano seriamente la libertà del lavoro e dei commerci.

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