Marco minghetti e le sue opere
Marco Minghetti: il liberalismo italiano tra scienza e
politica
Raffaella Gherardi*
"Non si può, crediamo, fare al Minghetti come
pubblicista elogio maggiore di questo; egli è l'unico in Italia che
splendidamente rappresenti quella scuola di pubblicisti inglesi nei quali
si fondono, si contemperano e vicendevolmente si completano l'uomo di
Stato e lo scrittore, la pratica della cosa pubblica e la nozione
scientifica di essa." (V.E. Orlando, 10 dicembre 1881)
La citazione sopra riportata, da parte di uno dei più illustri esponenti
della dottrina giuridica nonché della politica dell'Italia liberale tra
Otto e Novecento, Vittorio Emanuele Orlando, può essere assunta a
manifesto del criterio di fondo adottato quale giudizio positivo
dall'intellighenzia italiana ed europea contemporanea a proposito della
pubblicistica minghettiana. Da Gaetano Mosca a Émile de Laveleye i più
bei nomi del pensiero politico italiano ed europeo saranno infatti
concordi nel sottolineare come riflessione teorica e politica attiva siano
sfere strettamente congiunte e integrantesi in Marco Minghetti
(1818-1886), emulo, in ciò, del grande Gladstone che egli conobbe e di
cui fu amico. L'aspetto ritenuto più importante del liberalismo di
Minghetti consiste, appunto, nell'aver saputo evitare gli sterili lidi di
una teoria pura, asetticamente disancorata dalla concreta prassi politica,
così come, dal punto di vista di quest'ultima, egli è stato in grado di
utilizzare da vicino le direttive dell'analisi scientifica, evitando i
rischi di strategie improntate a un carattere contingente e meramente
empirico. Come uomo politico Marco Minghetti è uno dei principali
artefici della fondazione e della costruzione dello Stato nazionale;
chiamato alla politica attiva dallo stesso Cavour ed eletto per la prima
volta deputato per la Destra liberale nel 1860 egli verrà costantemente
rieletto dalla VII alla XVI Legislatura, rivestendo più volte la carica
di Ministro (degli Interni, delle Finanze, dell' Agricoltura, Industria e
Commercio) e di Presidente del Consiglio (dal 1873 al 1876 egli presiede
l'ultimo ministero della Destra storica e raggiunge l'obiettivo del
pareggio nel bilancio). Protagonista di primo piano della Destra di
governo1 e delle sue scelte di politica interna e internazionale, dopo
l'avvento al governo della Sinistra, egli continuerà a svolgere
un'intensa attività parlamentare e il suo nome comparirà tra i firmatari
di importantissimi progetti di legge (per esempio in tema di legislazione
sociale); egli sarà inoltre, a partire dai primi anni Ottanta, insieme
con Agostino Depretis, inventore del cosiddetto "trasformismo"
che rappresenterà, a giudizio di molti, una delle più durature costanti
della politica italiana, ben al di là dei limiti cronologici dell'età
liberale. Di contro ai rischi corsi dal giovane Stato unitario da parte
dei "rossi" (i nascenti movimenti socialisti) e dei
"neri" (i cattolici), Minghetti terrà costantemente fermo a un
liberalismo che sappia far perno sul centro degli schieramenti
parlamentari e darsi carico di un'attenta opera di riforme, tese a
smussare gli estremismi di volta in volta in campo. Riforme amministrative
e riforme sociali rappresenteranno le linee maestre di tale strategia, in
nome della costruzione di uno Stato che, facendosi forte dell'apporto
della "classe media" deve saper svolgere un'attenta opera di
composizione dei conflitti nell'età nuova che si va profilando
all'orizzonte: l'età dell'amministrazione. Anche dai banchi del
parlamento così come in molti suoi discorsi extraparlamentari Minghetti,
vera e propria punta di diamante del liberalismo italiano contemporaneo,
rivendicherà con forza a sé e al suo partito il merito di aver saputo
intraprendere la via di uno "sperimentalismo" che segue la legge
della "lenta evoluzione", secondo i dettami delle moderne
scienze sperimentali, sperimentalismo ormai affermatosi, a livello
metodologico, anche sotto il profilo delle nuove scienze politiche e
sociali (dall'economia, alla scienza delle finanze, alla scienza
dell'amministrazione, alla sociologia etc.). Più volte, in sintonia con i
più grandi esponenti del pensiero politico liberale italiano di fine
Ottocento egli dichiarerà ormai chiusa la cosiddetta "età della
costituzione", l'età cioè in cui si trattava di condurre la lotta
contro i regimi assolutistici e per la formazione dello Stato unitario, in
nome del costituzionalismo e della salvaguardia dei diritti individuali
(battendosi quindi per ottenere la costituzione, costituzione che l'Italia
unita si è già data estendendo al Regno lo Statuto albertino del 1848).
Ben diversi sono per Minghetti gli obiettivi che il liberalismo degli
ultimi decenni dell'Ottocento deve perseguire, soprattutto, nella
fattispecie italiana, una volta portata a termine la costruzione dell'unità
con Roma capitale (1870): per l'Italia si tratta infatti di affrontare da
vicino la "questione finanziaria", la "questione
amministrativa" e la "questione sociale", quest' ultima, in
particolare, secondo le linee dei grandi modelli europei, in primo luogo
il modello inglese e il modello tedesco. Sullo sfondo c'è naturalmente un
processo di amministrativizzazione della politica che egli, come i suoi più
illustri contemporanei italiani ed europei (basti citare in tal senso le
opere di Lorenz von Stein), ha ben presente e che rappresenterà un
riferimento obbligato anche per le sue più importanti opere teoriche, al
di là delle singole tematiche prese in esame, pur di per sé rilevanti
per il dibattito politico.
Se i contemporanei erano concordi nel riconoscere in Minghetti un maestro
dal punto di vista della riflessione politica, tale dimensione verrà man
mano sfuocandosi nel corso del Novecento da parte della storiografia,
sotto il profilo, almeno, dell'analisi complessiva e della metodologia
d'indagine del "politico". Il nome di Minghetti resterà in
ombra anche da parte di numerosi storici italiani che analizzeranno le
differenti eredità teoriche del liberalismo italiano della seconda metà
del diciannovesimo secolo. Sarà per iniziativa di Nicola Matteucci che la
figura di Marco Minghetti come pensatore politico ritornerà alla ribalta,
dopo molti decenni di oblìo della dimensione suddetta, da parte degli
storici del pensiero politico2. Nel centenario della morte dello statista
bolognese, la pubblicazione degli Scritti politici e il convegno
internazionale tenutosi a Bologna, dal 7 al 10 ottobre 1986, su Marco
Minghetti e la cultura politica europea3 rappresenteranno un momento
fondamentale per un nuovo confronto con l'opera minghettiana nel suo
insieme, spettro d'osservazione privilegiato sia della politica che della
cultura politica del liberalismo italiano ed europeo4.
A partire dalla sua prima, grande opera dal titolo Della economia pubblica
e delle sue attinenze colla morale e col diritto (1859) (opera che verrà
tradotta in francese nel 1863), Minghetti scenderà sul campo del grande
dibattito metodologico e politico relativamente ai princìpi della scienza
economica e alle molteplici dimensioni dell'interventismo statale; egli si
dimostrerà poi in grado di misurarsi con i grandi temi del liberalismo
contemporaneo, dal rapporto tra la Chiesa e lo Stato (l'opera Stato e
Chiesa, pubblicata nel 1878, fu tradotta in tedesco nel 1881 e in francese
nel 1882), alla problematica dei partiti politici nel governo parlamentare
(l'opera I partiti politici e la ingerenza loro nella giustizia e
nell'amministrazione del 1881, sarà un punto di riferimento obbligato per
la pubblicistica successiva in proposito). Il filo rosso delle sue
considerazioni terrà ben fermo alla chiave di volta del rapporto tra il
cittadino e lo Stato e dei compiti che quest'ultimo deve assumersi
direttamente o, invece, lasciare alla società civile, di fronte
all'evolversi della civiltà contemporanea.
Nel sottolineare più e più volte il suo rifiuto di ogni apriorismo, egli
innalza, ne Il cittadino e lo Stato (1885) un vero e proprio inno a un'
ottica scientifico-sperimentale che gli appare come la sola, appropriata
guida di una politica che si possa configurare al tempo stesso come
scienza e prassi concreta. Il tema classico della libertà dell'individuo
nei confronti dello Stato segue dunque l'itinerario di uno sperimentalismo
che traccia con precisione i limiti delle diverse polarità in campo:
Io credo che la determinazione dei limiti della libertà del cittadino e
della ingerenza dello Stato non si possa fare a priori, ma che si debba
esaminare ogni speciale questione, pesare e notare ogni circostanza,
procedere insomma sperimentalmente. E' questa la conseguenza naturale del
principio che io posi dalle prime parole di questo scritto, cioè che il
problema non si può sciogliere in modo assoluto, ma relativamente alle
condizioni di tempo, di luogo, di civiltà di un popolo.5
Egli avrà comunque cura di ribadire costantemente il postulato liberale
secondo il quale lo Stato non deve sostituirsi alla iniziativa privata, ma
soltanto integrarla:
La prima [condizione] è che lo Stato non deve sostituirsi alla iniziativa
privata, ma integrarla e compierla. Laddove quella basti, l'ingerenza
dello Stato è soverchia e perciò non buona. Ciò che la giustifica, e la
rende opportuna è la necessità di provvedere ad interessi generali, ai
quali non giunge l'azione dei singoli cittadini, o delle loro libere
associazioni. Il determinare poi questa necessità è opera di accurato
esame delle condizioni speciali del tempo, del luogo, della vita economica
di un popolo, in relazione al fine che si vuol conseguire; è frutto di
esperienza e non può essere indicato a priori.
Ancora una volta e di nuovo a Bologna, il convegno su Marco Minghetti e le
sue opere, tenutosi in data 11 novembre 2000, ha ora il compito di
rivisitare il ruolo di Minghetti come statista e, soprattutto, come
osservatore-scienziato della politica e delle sue problematiche
fondamentali; si tratta inoltre di mettere in rilievo se e fino a che
punto le opere suddette possano risultare significative per l'indagine
odierna della complessa sfera del "politico". Gli atti che qui
vengono presentati testimoniano, (alla luce delle tematiche politiche e
scientifiche più vive del passato-presente, attentamente indagate da
parte degli illustri studiosi partecipanti al convegno), quanto l'indagine
di Minghetti continui a rappresentare una sfida anche per la politica del
ventunesimo secolo.
1 Per una puntuale indagine sul ruolo
svolto da Minghetti come uomo di governo della Destra cfr. A.BERSELLI, Il
governo della Destra. Italia legale e Italia reale dopo l'Unità, Bologna,
Il Mulino, 1997.
2 Cfr. N.MATTEUCCI, Introduzione a N.MATTEUCCI-R.LILL, Il
liberalismo in Italia e in Germania dalla rivoluzione del del'48 alla
prima guerra mondiale, Bologna, Il Mulino, 1980, pp. 7-14. Matteucci
svilupperà ancora più compiutamente la sua tesi sull'importanza del
pensiero politico di Minghetti in N.MATTEUCCI, Marco Minghetti pensatore
politico, in R.GHERARDI-N.MATTEUCCI (a cura di), Marco Minghetti statista
e pensatore polit
I, Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri, 1986. Gli atti del
convegno suddetto sono pubblicati nei due volumi seguenti:
R.GHERARDI-N.MATTEUCCI (a cura di), Marco Minghetti statista e pensatore
politico. Dalla realtà italiana alla dimensione europea, Bologna, il
Mulino, 1988; N.MATTEUCCI-P.POMBENI (a cura di), L'organizzazione della
politica. Cultura, istituzioni, partiti nell'Europa liberale, Bologna, Il
Mulino, 1988.
4 Cfr. in tal senso, oltre alla mia Introduzione a
M.MINGHETTI, Scritti politici cit., pp. 1-54, R.GHERARDI, L'arte del
compromesso. La politica della mediazione nell'Italia liberale, Bologna,
Il Mulino, 1993.
5 Cfr.M.MINGHETTI, Il cittadino e lo Stato, in M.MINGHETTI,
Scritti politici cit., p. 813. Questo scritto fu pubblicato dalla
"Nuova Antologia", come lunga recensione dell'opera di Spencer
allora appena pubblicata in italiano L'individuo e lo Stato. Per la
citazione successiva cfr. Ibidem, p. 825.
* Professore Ordinario di Storia delle
dottrine politiche Università di Bologna
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