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LIBERALIZZAZIONI UN'INCOMPRESA NECESSITA'

13° Rapporto sul processo di liberalizzazione della società italiana

Introduzione

Vincenzo Olita.

Tra gli effetti deleteri prodotti dalla crisi economica vi è sicuramente la riscoperta, particolarmente percepita dalla pubblica opinione, del positivo ruolo dello Stato nella sfera economica, è un aspetto inquietante a dimostrazione della crisi, prima di tutto culturale, che il liberalismo sconta nel Paese. Ed allora non sembri fuori luogo che un rapporto sulle liberalizzazioni si apra con un excursus storico sulla vita quotidiana in Occidente nell’ultimo millennio.
Il saggio di Marco Romano sulle libertà individuali ha il pregio di esplorare, parafrasando Karl Popper, la natura stessa della libertà e dei suoi nemici, senza l’intenzione di riprendere un campo teorico lungamente frequentato dai classici, da John Stuart Mill ad Isaiah Berlin, ma, sostanzialmente, mettendo in primo piano i termini concreti della libertà individuale, quelli sui quali noi, ancor oggi e per alcuni aspetti, quotidianamente sperimentiamo la nostra libertà.
Se nel Manifesto liberale per la città, riportato in conclusione del volume, Società Libera insiste sulla concezione di “libertà negativa” intesa come diritto al non-impedimento e alla non-interferenza, naturalmente senza arrecare danni ad altri e riconoscendo loro le stesse possibilità, aspetti questi che caratterizzano una società aperta, sono proprio le considerazioni di Romano a ricordarci che il limitare gli impedimenti e le interferenze, un tempo si sarebbe detto dell’Autorità, oggi dello Stato, ha caratterizzato un costante impegno umano per l’affermazione di società sempre più libere ed economicamente sempre più avanzate.
Con altrettanta chiarezza è doveroso esprimere anche una valutazione complessiva sul processo di liberalizzazione che ha interessato il Paese in questi anni. Tutto accettabile e condivisibile? Certamente no. Pensiamo solo al cosiddetto mercato libero dell’energia; essere passati da un gestore all’altro, ad esempio in una città come Roma, ha significato entrare in un girone infernale per quanto attiene alla fatturazione, fuori ogni credibile misura, dei consumi realmente effettuati. Il palleggiamento, interessato, tra i due gestori, tale da far rimpiangere il vecchio regime di monopolio, dovrebbe essere oggetto d’intervento della magistratura e, certamente, non additabile come un riuscito esempio di liberalizzazione. Non a caso lo abbiamo evidenziato, anche per sottolineare la nostra non adesione acritica ad un modello economico.
Se liberalizzare deve significare apertura al mercato, concorrenza, calo delle tariffe e maggiore soddisfazione degli utenti, questo non è neppure il caso, secondo Giorgio Ragazzi, dell’intricato nodo delle concessioni autostradali. Qui, il fallimento della regolazione, soprattutto tariffaria, e l’inesistenza di gare riportano ad un regime di concessioni eterne, tutto a discapito dell’interesse generale su cui la politica, nella sua totalità, ha delle precise responsabilità per la mancata riconsiderazione normativa del complesso sistema delle concessioni.
Così come poco si è fatto, secondo Marco Ponti, al di là dei modesti tagli ai contributi statali, sul versante dei trasporti pubblici locali che continuano a soffrire di scarsa competitività, di estesa inefficienza e d’insostenibile indebitamento per le casse degli Enti locali. Il comparto dei trasporti pubblici locali è tra quelli, senza alcun dubbio, più bisognosi di liberalizzazione, capace di sciogliere il perverso intreccio che vede, tra l’altro, gli Enti locali “arbitri”, come enti appaltanti, e “concorrenti”, in quanto proprietari di società erogatrici di servizi.
Sicuramente vi è un’esigenza di revisione, semplificazione e sfoltimento normativo di difficile attuazione, resa ancor più difficoltosa da una diffusa incrostazione culturale che, come detto in apertura, la crisi economica ha contribuito ad essere vieppiù popolare: l'appartenenza delle imprese alla proprietà pubblica serve l'interesse generale meglio della proprietà privata. E’ una convinzione fideistica, storicamente non dimostrabile, né suffragata da positivi risultati, allo stesso modo della convinzione che individua in una corposa attività legislativa il rimedio per ogni patologica situazione o devianti comportamenti.
E’ la presunzione fatale del positivismo, come viene definita da Andrea Bitetto, che calza perfettamente con il persistente ricorso del legislatore ad inorganiche riforme del sistema giudiziario; è il caso della legge 10 novembre 2014, n.162 che prevede di delegare la decisione di parte del contenzioso pendente ad arbitri e l’introduzione della negoziazione assistita. Due provvedimenti di dubbia efficacia, causa la non ragionevole prevedibilità dei giudizi che impatta direttamente sulla stessa certezza del diritto, condizione che invoglia ad intraprendere contenziosi avanti l’Autorità Giudiziaria.
Ed è la stessa dannosa persistenza di un’impostazione culturale positivista, che produce iper-regolazione ed asfissia legislativa, ad aver indotto Ernesto Savona, ed i suoi collaboratori dell’istituto Transcrime, ad elaborare il metodo del crime proofing atto ad individuare opportunità criminali, indirettamente favorite dagli effetti criminogeni di norme varate proprio per il contrasto ad attività criminali. E’ notorio, ad esempio, che nel settore degli appalti l’aver introdotto il principio del massimo ribasso spesso favorisce imprese appartenenti o di diretta emanazione del crimine organizzato. Il 2014 sarà ricordato come l’anno in cui si sono intensificate politiche e strategie anti-corruzione, ma se è positivo l’obiettivo dichiarato di “ridurre le opportunità che si manifestino casi di corruzione”, Sergio Mattia esprime perplessità in merito all’ulteriore incremento di burocrazia, cui sono sottoposte le pubbliche amministrazioni che devono adottare “Piani triennali di prevenzione della corruzione”. Uno strumento scarsamente applicativo se trasmette solo semplici elenchi di dati ed informazioni; siamo, ancora, all’implementazione di un sistema burocratico e del peso amministrativo cui sono sottoposti enti pubblici ed imprese.
Un processo di liberalizzazione, con le relative indispensabili privatizzazioni e l’alienazione di società di proprietà degli Enti locali, Giuseppe Pennini le individua come l’asse portante del capitalismo municipale, è certamente utile a ridurre lo stock del debito, rendendo più snello e quindi più produttivo l’apparato pubblico. Il trasferimento nella sfera privata di molte attività, oggi gestite da monopoli pubblici, è da tempo sostenuto da Società Libera, non solo perché ne avremmo forse qualche vantaggio in termini di costi sociali - la gestione privata sarebbe più razionale - e talvolta anche in termini di costi individuali, se una libera concorrenza diminuisse i prezzi soprattutto dei servizi, ma anche perché si offrirebbero maggiori chance alle libertà individuali.
Da questa angolazione possiamo senz’altro affermare, senza tema di smentita, che, per la dirigenza del Paese nel suo complesso, forse le liberalizzazioni sono solo un’incompresa necessità.
La privatizzazione della Rai ne è un plastico esempio: si alternano i governi, si moltiplicano le proposte di riforma, in nome e per conto di pluralismo e libertà d’informazione, ma il moloch del duopolio non viene minimamente scalfito e, con l’obbligo di un canone per un presunto servizio pubblico, siamo costretti ad acquistare un prodotto che non abbiamo scelto.
Il Rapporto tratta, sotto un duplice aspetto, del comparto scuola, Stefania Fuscagni, Lucia Tanti e Carlo Arrigo Pedretti offrono uno spaccato critico sull’ultimo Disegno di Legge. Pur riconoscendo all’Esecutivo il merito di aver riportato il tema all’attenzione del Parlamento e di aver riscoperto la necessità di introdurre nel sistema scolastico concetti quali autonomia, merito e valutazione, per lungo tempo considerati dei tabù, indicazioni del resto già previste ma non attuate dalle precedenti riforme, in particolare in quella del ministro Giovanni Berlinguer, non individuano nelle linee guida governative, a parte l’immissione in ruolo di centomila precari, scelte concrete tali da poter rendere operative e fruibili le stesse indicazioni prospettate.
Il richiamo al principio della responsabilità in ambito scolastico, lo evidenziamo, è del tutto innovativo e da accogliere favorevolmente, in linea, d’altronde, con la visione di riforma sostenuta da tempo da Società Libera. Le condizioni della Scuola sono tali da necessitare di una profonda riforma strutturale, oltre che culturale, ed è per questo che proponiamo l’elezione diretta dei presidi da parte di tutte le componenti d’Istituto: insegnanti, studenti, personale ATA e famiglie. L’innovazione consentirebbe, sulla scia di esperienze nord europee, la trasformazione degli Istituti in vive comunità in cui possa trovare piena attuazione l’autonomia scolastica.
La libertà di educazione è l’altro aspetto, preso in considerazione da Riccardo Pedrizzi, che evidenzia la sostanziale mancata equiparazione, frutto di una concezione statalistica, tra scuola statale e scuola paritaria in un unico sistema formativo pubblico. E’ evidente, infatti, l’esiguità delle detrazioni fiscali, previste nel Disegno di Legge, per le famiglie che usufruiscono degli Istituti paritari. Nella comparazione con i principali sistemi scolastici europei risulta inequivocabilmente l’arretratezza del nostro Paese in merito al superamento della dicotomia tra scuola statale e paritaria.
Contribuire a creare un clima favorevole verso l’accettazione e la realizzazione di una scuola libera e destatalizzata è tra i compiti di Società Libera, perché la libertà, a non rifletterci bene, a non essere sempre consapevoli del suo irrimediabile carattere individuale, viene spesso insidiata da quelli stessi che ritengono di essere liberali.

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