LIBERALIZZAZIONI TRA MIRAGGI E CONCRETEZZA
12° Rapporto sul processo di liberalizzazione della società italiana
Introduzione
Vincenzo Olita.
Lo scorso anno il Rapporto di Società Libera
evidenziava le liberalizzazioni come modello in
crisi in un Paese che fatica a superare la sua
crisi. Sostanzialmente la situazione non ha subito
significativi mutamenti, se non sul versante delle
aspettative crescenti non confortate, però, né da un
disegno strategico né da provvedimenti in grado di
smentire la dicotomia che le vede costantemente
oscillare tra miraggi e concretizzazioni.
Questa, in estrema sintesi, la valutazione
complessiva del dodicesimo Rapporto di Società
Libera che, quest’anno, vede tra i suoi punti forti,
a compendio della trattazione dei nove settori
analizzati, una serie d’indicazioni operative che,
auspichiamo, possano essere recepite dall’opinione
pubblica e, ancor più, dalla dirigenza, non solo
politica, del Paese.
A riprova della validità del lavoro svolto in questi
anni, con Ernesto Savona abbiamo ritenuto di
riproporre il testo, appena modificato, pubblicato
nel Rapporto 2009, in cui si anticipava la necessità
del miglioramento dell’apparato di sicurezza, della
sua razionalizzazione e, quindi, della riduzione del
suo costo. E’ un dibattito, dopo cinque anni, del
tutto attuale alla luce delle esigenze di spending
review che, purtroppo, si è gia incagliato tra
improbabili accorpamenti di corpi di polizia e
demagogiche invocazioni della politica
all’incremento del numero degli addetti, già
particolarmente elevato rispetto agli standard
europei, trascurando del tutto di realizzare
un’efficace razionalizzazione.
E’ la stessa esigenza che spinge Giorgio Ragazzi a
riconsiderare il comparto delle concessioni
autostradali, proponendo la fine delle loro proroghe
e un complessivo riassetto del settore.
L’impegno alla sburocratizzazione è ormai diventato
parola d’ordine, tanto cara alla politica,
dimenticando che l’asfissia burocratica, in effetti,
altro non è che il prodotto della sua stessa azione.
E’ del tutto superfluo richiamare i perversi effetti
indotti e provocati da un elefantiaco apparato
burocratico e da una visione culturale tesa a
privilegiare il controllo formalistico rispetto al
valore dell’efficienza e alla soddisfazione del
cittadino, cardini di una qualsiasi qualità di
processo.
Preme sottolineare, invece, che la
sburocratizzazione del Paese passa attraverso una
precisa consapevolezza del modello di Stato
auspicato e dei costi, anche in termini di mancata
occupazione, da affrontare. Non si riduce la
burocrazia implementando la normativa sulla privacy,
né varando il Registro sull’anagrafe condominiale,
né incrementando costantemente, con l’attività
legislativa, le incombenze dei cittadini e delle
imprese, invocando nel contempo la suadente parola
della semplificazione.
Le privatizzazioni, l’eterna incompiuta, delineate
da tanti, realizzate, almeno nell’ultimo
quindicennio, da nessuno, oggi perfino osteggiate da
uno statalismo di ritorno, vengono invocate, nel
migliore dei casi, come strumento per la riduzione
del debito, il più delle volte come un pronto cassa
funzionale ad immediate esigenze di bilancio. Così
com’è improprio continuare a parlare di
liberalizzazioni in termini
di cessioni di quote di minoranza, scelta che, se
accettabile per un ristrettissimo numero d’imprese
strategiche per il Paese, non lo è per il
capitalismo municipale o, meglio, per quello che
Giuseppe Pennisi individua come “ il socialismo
reale” di comuni, province e regioni. E’ su questo
terreno che si misurerà il concreto arretramento ed
il ridimensionamento dell’apparato politico, altro
che sui livelli retributivi dei parlamentari. Un
ulteriore banco di prova sarà la Rai, madre di tutte
le denazionalizzazioni, per il suo significato
simbolico, oltre che sostanziale, ad indicare una
reale volontà di mutamento e la concretezza di una
visione strategica capace di superare indirizzi
dirigistici e avviare il Paese sulla strada della
modernità favorendo concorrenza e merito.
E’ un percorso che non può prescindere anche da una
presa d’atto da parte delle Regioni dello stretto
rapporto che intercorre tra l’attuazione degli
indirizzi di razionalizzazione delle attività
economiche e la gestione della finanza pubblica.
Come sottolinea Giuseppe de Vergottini, è un
rapporto che implica di indirizzare l’attività e le
scelte degli enti territoriali ad una maggiore
attenzione ai mercati, in quanto le politiche di
liberalizzazione sono di fatto propedeutiche allo
sviluppo economico.
Allo stesso modo lo è il sistema giudiziario che per
la sua inefficienza, ma ancor più per l’inefficacia,
tutti, ormai stancamente, indicano tra le principali
criticità del Paese. Andrea Bitetto e Umberto
Fantigrossi muovendo dall’incertezza giuridica,
piaga del nostro ordinamento processuale, avanzano
specifiche proposte per una riforma sistemica del
processo centrata sulla revisione delle finalità e
della struttura dell’istituto dell’impugnazione sia
civile che penale. Sono indicazioni che, unitamente
ad una riforma strutturale ed organizzativa della
giustizia amministrativa, dovrebbero essere in grado
di incidere su una sostanziale riduzione del
contenzioso giudiziario.
Di razionalizzazione il Paese ha bisogno anche in
materia urbanistica il cui ordinamento,
necessariamente, dovrà superare l’attuale modello
basato su tre livelli di pianificazione
territoriale, se vorrà favorire unitarietà
d’indirizzo al sistema di governo del territorio. Il
modello partecipativo, valutato positivamente da
Sergio Mattia, attraverso l’obbligatorietà dei Piani
Territoriali Regionali, come unico Piano strutturale
d’indirizzo strategico, è funzionale alla
diminuzione dell’esorbitante peso degli adempimenti
burocratici. Si avverte la necessità di soluzioni
condivise sul futuro urbanistico che vanno dalla
limitazione del consumo di suolo al superamento di
una logica formale in materia di vincoli, dalla
semplificazione delle norme edilizie ai processi di
sostanziale partecipazione-informazione per le
grandi opere di interesse collettivo.
Certo non possiamo parlare di scelte partecipate a
proposito della nostra politica dei trasporti, Marco
Ponti lo sostiene con grande vigore. Lo scorso anno
il nostro Rapporto si è diffusamente soffermato
sull’antieconomicità della TAV, della sua faraonica
inutilità richiamando su Società Libera negative
valutazioni. Non è accettabile, si è detto, per un
think tank di cultura liberale assumere posizioni in
sintonia con ambienti avversi; nel ribadire ancor
più quella posizione vogliamo sottolineare il tratto
specifico della nostra Associazione basato sul
rifiuto ad assumere posizioni acritiche e
precostituite avulse da un qualsivoglia razionalismo
critico. Ed è in quest’ottica che abbiamo
evidenziato l’esigenza di urgenti interventi
a beneficio del trasporto pubblico locale,
un’insufficiente liberalizzazione nel trasporto
ferroviario e accolto positivamente la costituzione
dell’Autorità indipendente per la regolazione dei
trasporti, purtroppo non dotata di poteri
sanzionatori, a conforto della difficoltà che il
Paese riscontra nel separare scelte e realizzazioni
di infrastrutture da interessati orientamenti della
politica.
Di una svolta in senso liberale ha bisogno la scuola
italiana che, ostinatamente, resta un sistema in cui
autonomia degli istituti, valutazione e meccanismi
premianti per i docenti non hanno cittadinanza.
Stefania Fuscagni e Lucia Tanti, dopo averla
analizzata per undici anni, in questo Rapporto
avanzano proposte e soluzioni organiche capaci di
smuovere la sua stagnante condizione: dall’elezione
diretta dei dirigenti scolastici alla possibilità di
scegliere e valutare i docenti da parte degli stessi
dirigenti, a quella di devolvere il 5 per mille per
la manutenzione delle scuole. Indicazioni che,
insieme allo soppressione degli Uffici scolastici
regionali, sono in grado di assicurare un mutamento
epocale di un sistema immobile e incapace di
interpretare le esigenze d’innovazione. La Scuola
occorre scuoterla, non ha bisogno di burocratiche
fumose riforme, è necessario che ogni Istituto si
trasformi in una comunità viva e pulsante, aperta
all’esterno e non vissuta come un terminale di un
lontano Ministero. Ha bisogno che le varie
componenti della comunità scoprano il valore e la
soddisfazione dell’appartenenza e dell’identità ad
un organismo che non perpetua solo se stesso, i
propri interessi corporativi o le esigenze
burocratiche. Ed allora quale migliore strumento
della partecipazione attiva dei docenti, degli
studenti, del personale, delle famiglie attraverso
l’elezione del proprio responsabile d’Istituto?
Dal saggio di Alberto Vannucci emergono le
preoccupazioni sulle condizioni strutturali del
Paese, dalla densità delle procedure al loro costo,
dalla percezione della corruzione alla difficoltà di
avviare un processo di semplificazione. Sono indici
elaborati da World Bank che, anche se con modesti
progressi rispetto al 2013, ci vedono ancora agli
ultimi posti tra i Paesi OECD.
Da anni facciamo appello alla politica affinché
avvii un “corposo percorso di liberalizzazioni”,
oggi la novità è che se ne parla con maggiore
frequenza e con un’assortita combinazione di parole
liberalizzare, semplificare, modernizzare, in una
sorta di frenesia per la politica del fare. Ma fare
perché e per chi, secondo quale visione del futuro
di una società in trasformazione? Purtroppo a questi
interrogativi il Paese, nel suo complesso, non è
ancora in grado di rispondere. |
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