10^ RAPPORTO
SUL PROCESSO DI LIBERALIZZAZIONE DELLA SOCIETA' ITALIANA
Introduzione
Mauro Miccio *
* Presidente Società Libera
Se una crisi c’è, questa non è certamente solo
economico-finanziaria.
L’uomo occidentale vive uno sbandamento identitario
che gli rende difficile ritrovare le coordinate
valoriali per il conseguimento della natura che gli
è propria. In particolare la storia dell'Europa,
democratica e razionale, nella quale è stato
coinvolto tutto il mondo, nel suo percorso di
affrancamento, emancipazione e riscatto sembra aver
perso vigore e senso.
Fin dall’antichità l’evoluzione filosofico-giuridica
del concetto di cittadinanza altro non è stato che
il crescere della libertà di partecipazione alle
sorti della cosa-pubblica, dalla pòlis all’Impero.
La libertas si coniugava con la dignitas, la
possibilità di partecipare alla vita politica (o di
essere proprietario terriero), era data a chi ne era
meritevole e tale era riconosciuto. Questa dignità
era una verità di per sé stessa evidente che non
aveva bisogno di dimostrazione perché già provata.
Ma ad elevare in senso universale la dignitas
dell’uomo fu il Cristianesimo, con l’assunzione
dell’essere umano come l'imago Dei, senza
distinzione alcuna tra uomo o donna, giudeo o greco,
libero o schiavo, come disse San Paolo. Ad ogni modo
la fonte del diritto europeo non fu la rivelazione
cristiana, bensì la ragione (logos) e la natura (fysis),
che trovarono nel Tomismo il suo miglior accordo
armonico nel diritto naturale.
Quando però il giusnaturalismo razionalistico
moderno dimenticò proprio il logos per concentrarsi
solo sulla fysis, la dignitas dell’uomo venne
dimenticata e le categorie logiche di libertà ed
uguaglianza fraintese e contrapposte. La libertà
perse così il suo fondamento autorevole e morale che
segna il confine con l'arbitrio.
Neanche gli spazi immensi, che ci sono stati offerti
con la globalizzazione, sono stati in grado di
aprirci alla necessità di un confronto la cui unica
base è la libertà, garantita da uno stato laico, ma
non laicista. Se pensiamo al fallimento
dell’integrazione francese, dove proprio la terza
generazione degli immigrati islamici, quella dei
Beurs, stretta in periferie (intese in senso sia
geografico che sociale) si è ribellata, il
ragionamento diventa chiarissimo. Chi volesse farne
una lettura materialista ed esclusivamente
economicista, non riuscirà mai a comprendere quel
che accade. In discussione a Parigi è l’eidos
religioso; la possibilità di vivere la propria
identita in maniera aperta e libera.
L’interpretazione del principio costituzionale di
laicità impedisce infatti ogni manifestazione di
appartenenza anche religiosa dalla parte
dell’autorità pubblica come da quella dei privati
cittadini.
Il dogma laicista finisce per negare la laicità
stessa autoasserendosi principio universale. Lo
stesso melting pot statunitense è entrato in crisi
nel tentativo di proporre un’assimilazione tale da
creare una “nuova civiltà”, un nuovo sapore , un’
amalgama omogenea di diversi fattori culturali. Più
auspicabile invece sarebbe un modello di società
salad bowl, maggiormente rispettoso delle
individualità e delle peculiarità culturali, capace
di risolvere il rischio emarginazione, degrado
urbano, scontri e sommosse proprio partendo
dall’incontro e dal dialogo tra culture che
mantengono le rispettive identità.
Ma il caos e la con(-)fusione di voci del mondo
globalizzato non riguarda solo l’etica e la
religione. E’ proprio l’informazione, con le
crescenti ramificazioni della Rete in blog e social
network, ad essere a rischio. Se (infatti) per un
verso le notizie fanno il giro del mondo e superano
i limiti di censure politiche e lobbistiche delle
emittenti ufficiali, dall’altro lo stesso fanno le
menzogne, capaci anche queste di conformare e
plasmare gli utenti inabili di un serio
discernimento. Dove tutto e il suo contrario può
esser detto, niente più è vero. Anche questa
situazione contribuisce al disorientamento generale
che il nostro mondo sta vivendo.
Ma forse gli avvenimenti che, nell’ultimo decennio,
hanno scosso in maniera più evidente l’Occidente (e
di conseguenza il mondo) sono l’attacco alle Torri
Gemelle e la crisi finanziaria.
Difficilmente infatti il mondo occidentale, la cui
storia potrebbe essere proprio definita una storia
della libertà, avrebbe mai accettato una contrazione
di tale diritto-principio senza l’11 Settembre. La
paura è stato il moto base di tale contrazione delle
libertà: il nostro mondo cade, o si lascia guidare,
nel terrore e improvvisamente tutti si ritrovano a
dover essere sicuri, anche chi già ci si sente o non
ha bisogno di tali garanzie. Dagli USA un’ondata
legislativa di “pacchetti sicurezza” si abbatte
sull’Europa portando con se una conseguente e
rilevante riduzione della privacy. Inizia così il
nuovo millennio, con un bisogno di sicurezza nato
come barriera alla paura.
Ora, come governare la paura è un compito
essenzialmente politico, governare per mezzo della
paura è una delle forme che la politica può
assumere, specialmente quando viene meno il consenso
che deve sostenerla: la società politica, per
dominare la paura, costituisce il potere
determinando delle disuguaglianze artificiali che
contraddicono i principi della democrazia
occidentale. In uno stato di pericolo o di paura,
causato da avvenimenti esterni al patto democratico,
la fiducia cresce molto, ma la legge non ha più
riferimento alla morale o alla cultura: diventa solo
il risultato di una prova di forza, perdendo il suo
valore morale e assumendo un mero carattere
repressivo. Governare con la paura quindi non è che
l’atto estremo che testimonia la crisi di una
cultura, fino all’avvento di una nuova, capace di
consolidarsi attorno ad altri valori.
“Nel passaggio dalla società di classe alla società
di rischio, la qualità della vita collettiva
comincia a modificarsi… In luogo del sistema di
valori della società ‘ineguale’ subentra il sistema
di valori della società insicura” (Ulrich Beck).
Nella sua decadenza lo stato di diritto, con la sua
eticità e lo sforzo di preservare la morale
pubblica, e il Welfare State, con il suo tentativo
di sfruttare lo sviluppo economico per il benessere
del maggior numero, cedono il posto allo stato di
sicurezza che ha come suo compito quello di
proteggere dai rischi e dalla paure, compito che
assolve, come si è visto, utilizzando e manipolando
la paura stessa per ottenere consenso. Molta libertà
e molte garanzie sono barattate con un po’ di
sicurezza, ottenuta controllando i sintomi,
generalizzando vincoli e limitazioni, non risalendo
alle radici dei mali.
Forse anche peggio però è successo con la crisi
finanziaria, che sempre dagli USA si è spostata in
Europa. Tutti convinti che la crescita economica
sarebbe stata illimitatamente a rialzo, in una sorta
di delirio collettivo, si è iniziato a trasformare
aspettative future in apparente realtà presente. Ciò
ha portato a un gioco di investimenti crescenti
facendo gonfiare quella bolla speculativa che poi
scoppiò con la crisi dei mutui sub-prime, il
fallimento della Leman-Brother e, in Europa, la
crisi dei debiti sovrani.
Di fronte alla paura del default molti sono stati
disposti ad ogni sorta di controllo e se prima si
sono trovati favorevoli all’installazione di
telecamere ovunque fuori casa (per il bisogno di
sicurezza dal terrorismo), ora lo sono per il loro
uso "interno". Il ragionamento di base è “mi
controllino pure il portafoglio, purché sia
controllato quello di tutti”.
Sorge un paradosso. Sotto accusa è il liberalismo,
quando causa della crisi è il suo esatto opposto.
L’origine negli USA fu il potere distorcente
dell’intervento politico in economia, in Europa è
stata la politica della spesa che ha fatto crescere
debiti insostenibili.
Nelle politiche postmoderne la libertà individuale è
il valore supremo. Ma all’idea di bene comune non
coincide quello di sacrificio delle libertà
individuali a favore degli interessi generali. Ora,
il problema si pone di fronte alla pretesa
autosufficienza, che la crisi morale ha causato.
L’altro ,infatti ,fa capire al soggetto che, da
solo, non è tutto e dà la consapevolezza di non
bastare a sé stessi: è il pensiero di Levinas
esposto in L'autre me regarde, l'altro mi guarda, mi
riguarda.
La grande lezione di Frankl è proprio questa. Egli,
che fu internato in tre campi di concentramento
perché ebreo, padre del decisionismo psicologico
(qualunque cosa accada, si è sempre liberi di
scegliere come viverla), insegna che l’apertura
trascendente rompe lo schema “libertà di” e “libertà
da”, troppo aleatorio e piatto, introducendo il
concetto di relazionalità: la “libertà per”. L’uomo
è libero non solo di dire o fare, non solo da
un’imposizione, la qual cosa terminerebbe sul
momento la propria causa, ma egli è libero per
amare, l’altro come sé. Bisogna tornare al bene
comune e a i valori alti mancanti nella modernità e
indifferenti nella post modernità.
Negando la trascendenza o almeno il suo surrogato
immanentista che è la Morale, si nega la dignità
integrale dell’uomo e senza questa la libertà decade
in arbitrio. Il bisogno di moralità è insieme
bisogno di fede religiosa, magari anche
semplicemente in una religione che crede in una
rinnovata cittadinanza identitaria.
E’ impossibile dare una risposta soddisfacente alla
fondazione di nuovi valori giuridici condivisi, se
questi non si fondano su quelli morali e ovviamente,
per chi crede, in Dio, ridando alla società delle
minoranze una ritrovata Dignitas. |
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