La tradizione liberale
Nicola Matteucci
[tratto dal libro "La società libera e i poteri
neutri"]
Per una persona anziana risulta estremamente strano il
fatto che per più di mezzo secolo il liberalismo sia stato
condannato perché superato, inattuale oppure criticato -
anche con ferocia - perché al liberalismo si voleva
ricondurre assolutamente il fascismo. Ma il fascismo si
dichiara sempre antiliberale; come fu antiliberale il
comunismo e una parte del pensiero cattolico. Più
recentemente la scuola di Francoforte nacque con posizioni
decisamente antiliberali. Abbiamo passato molti anni in cui
i liberali dovevano o tacere o stare nascosti. Scrissi un
saggio sul liberalismo, ma venni preso in giro in quanto
l’argomento era un semplice oggetto di antiquariato da
esporre in qualche mercatuccio di provincia. Chi mi prese in
giro fu il grande corsivista de L’Unità Fortebraccio. Mi
definì il generale Dalla Chiesa del liberalismo. Fedele
come sono stato ai miei giovanili principi liberali, ho
studiato all’Istituto Croce, poi improvvisamente ho
scoperto che tutti erano diventati liberali. Mi sono trovato
così spaesato, prima avevo un’identità da irridere, come
faceva Fortebraccio; adesso dirsi liberali è presentare un
biglietto da visita che hanno tutti. Però, in questa
atmosfera nella quale tutti si definiscono liberali, scopro
che quasi tutti credono di parlare di una cosa nota: invece
c’è una profonda ignoranza dei principi del liberalismo.
Quindi ci si definisce liberali nell’aggettivo, ma non
liberali nella sostanza.
Per esperienza personale, è difficile scrivere la storia
del liberalismo, che è una storia plurisecolare, per
poterne condensare alcuni principi. L’unico che ha tentato
di tracciare una storia del liberalismo è stato Guido De
Ruggiero in un libro che tutti abbiamo letto: per
completezza, a mio avviso, sotto certi aspetti è un testo
insuperato, dato lo sforzo di abbracciare il fenomeno del
liberalismo sul piano europeo. Però, se noi andassimo ad
esaminare a fondo il contenuto di questo libro, ci
accorgeremo di due cose: innanzitutto De Ruggiero non parla
del liberalismo, parla dei liberalismi, al plurale: io li ho
definiti i liberalismi paralleli. In secondo luogo, se
andiamo a vedere i contenuti concreti degli autori
esaminati, con alcuni ci troveremo in consonanza e con altri
in piena dissonanza. Qualche volta ci dicono qualcosa di
importante per i problemi che noi dobbiamo affrontare nel
presente, altre volte invece sono pensatori a mio avviso
ormai superati.
Facciamo ora un breve esame di questi quattro liberalismi
paralleli. Una grande importanza per l’idealista De
Ruggiero viene data al liberalismo tedesco e ovviamente
subito ricorre il nome di Hegel. Ci siamo però dimenticati
che Croce ci ha ammonito che lo stato etico non appartiene
alla storia del liberalismo; perché il momento etico non può
essere rappresentato da un’organizzazione politica, che
sia uno stato o un partito, perché l’etica appartiene
solo e soltanto alla coscienza dell’individuo, il solo che
ha il diritto di pronunciare giudizi di carattere etico. Però
nella nostra attuale cultura politica non possiamo
respingere il liberalismo tedesco perché esso ci ha dato
quel concetto, che è fondamentale per noi e per il quale
ogni generazione deve combattere, che è lo stato di
diritto. Quello stato di diritto che è in pieno contrasto
con quello stato di giustizia che proprio qui a Milano nel
rito ambrosiano ogni tanto viene enucleato. Lo stato di
diritto è uno stato che procede secondo delle regole
giuridiche, ma che non pensa di realizzare la giustizia o lo
stato etico.
Se ritorniamo alle pagine di De Ruggiero, se guardiamo a
quelle dedicate alla Francia, mi sia consentito di avanzare
delle mie opinioni personali. Fra parentesi ogni liberale ha
le sue opinioni personali perché il liberalismo non è una
dottrina, non è una fede, ma una pluralità anche discorde
di voci che dialogano e discutono. Ebbene del liberalismo
francese sono avversario di quell’estremo laicismo
anticlericale che in gran parte lo denota. Laicismo
anticlericale che riaffiora molto spesso oggi sulle pagine
dei nostri giornali ed è emerso ultimamente sulla questione
del finanziamento alle scuole cattoliche. Però nel
liberalismo francese c’è un nome centrale: Alexis de
Tocqueville. Nella sua opera La democrazia in America, noi
troviamo la più vigorosa e convincente conciliazione dello
spirito di religione con lo spirito di libertà: di fronte
alla secolarizzazione, di fronte alla modernizzazione, di
fronte alle masse assetate soltanto di ottenere un maggior
benessere, Tocqueville insiste che come forza di resistenza
a questo materialismo può esserci soltanto lo spirito di
religione. Lo spirito di religione: altrimenti noi rischiamo
di abbandonarci a un dispotismo paterno, che amministri
soltanto il nostro benessere.
Il liberalismo italiano: qui sono un po’polemico perché
l’ Italia ha un grande pensatore liberale, un pensatore le
cui opere sono state tradotte in francese, in inglese e in
tedesco. Ma gli italiani continuano a ignorarlo. La casa
editrice Società Aperta ha ripubblicato una sua opera
estremamente importante pubblicata in questo dopoguerra
anche in Germania. Parlo di Marco Minghetti e della sua
opera "L’ ingerenza dei partiti nella pubblica
amministrazione e nella giustizia". Egli appronta nella
seconda metà dello scorso secolo un problema che oggi
stiamo affrontando anche noi: l’ingerenza dei partiti
nella pubblica amministrazione e soprattutto nella
giustizia, in quelle realtà che Marco Minghetti riteneva
dovessero essere neutre. Neutre rispetto alla politica. Mi
dispiace, ma in Italia Marco Minghetti nessuno lo legge.
Venendo alla tradizione anglosassone - intendendo sia
l’inglese che l’americana - ritengo essa sia la
tradizione oggi più forte: dalla Magna Charta Libertatum
del 1215 sino ad oggi c’è un filo continuo che si chiama
la difesa dei diritti dell’uomo. Quando nel medioevo si
parlava di libertà nella Magna Charta Libertatum si
intendevano proprio i diritti dei cittadini. E oggi il
dibattito non solo filosofico ma anche in gran parte
politico è proprio incentrato sul tema dei diritti
dell’uomo. Cito solo un libro di grande successo di uno
dei protagonisti dell’attuale filosofia del diritto: R.
Dworkin con la sua opera i diritti presi sul serio.
Se il dibattito culturale è questo, anche la battaglia
politica si appunta sul problema dei diritti. E noi italiani
ci siamo dimenticati che abbiamo sottoscritto la Convenzione
Europea dei Diritti dell’Uomo. Ora questa Convenzione non
è una semplice enunciazione di principi, è la base della
nuova Costituzione dell’Unione Europea, quindi noi siamo
tenuti a sottostare ai principi di questa Convenzione che è
superiore alla nostra Costituzione. Tanti inutili dibattiti
che ci sono oggi sulla distinzione tra la magistratura
giudicante (la vera) e la magistratura inquirente sono tutti
sorpassati, perché questo principio è già stato stabilito
chiaramente nella Convenzione Europea dei Diritti dell’
uomo, che fa parte del nuovo diritto pubblico europeo, cioè
della Costituzione che è alla base dell’Unione Europea.
Noi abbiamo sottoscritto questo impegno attraverso i nostri
governi, per i governi se la sono dimenticata.
Il liberalismo non è una teoria chiusa ferma, immutabile,
una dottrina che si tratta di imparare, perché il
liberalismo non ha un testo fondamentale (io vi ho citato
tre o quattro autori importanti, ma per comodità di
discorso ne ho tralasciati altri). Nel liberalismo non c’è
un interprete ufficiale: per il marxismo c’è il partito,
per la chiesa c’è il Pontefice. Ma se noi ripercorriamo
questa storia lunga e secolare noi vediamo che il
liberalismo cambia secondo i tempi. Cambia i suoi contenuti,
cambia i suoi problemi: nella storia plurisecolare del
liberalismo esistono sempre dei momenti di discontinuità
nella continuità. Questo cambiamento non è per
opportunismo, ma è dovuto al fatto che muta l’avversario
del liberalismo. Il vero avversario del liberalismo è il
dispotismo, ma nei secoli il volto del dispotismo cambia.
Quindi abbiamo grandi stagioni liberali: la prima nel
Settecento quando il liberalismo aveva come nemico, come
avversario, l’assolutismo e il primo a stabilire le
coordinate necessarie per questa battaglia fu John Locke. Il
secondo avversario era una certa concezione della democrazia
egualitaria e livellatrice nell’Ottocento, qui la risposta
ci è venuta da un pensatore che si chiama Alexis de
Tocqueville. La terza sfida al liberalismo è nel nostro
secolo: il totalitarismo. E quindi il liberalismo ha dovuto
rinnovare i suoi contenuti, i suoi temi proprio nel suo
scontro con questa realtà ignota nel passato. Contro il
totalitarismo forte abbiamo le stupende pagine di Hannah
Arenot. Contro un totalitarismo più debole, che si ispira
al socialismo, abbiamo le pagine di Friedrich von Hayek.
Se io dovessi riassumere rapidamente in due battute, in uno
slogan, in cosa consiste il liberalismo direi: il
liberalismo è stato sempre una risposta alla sfida dei
propri tempi. Ed è in questa chiave che noi abbiamo pensato
a questo convegno. In questo convegno e in questa sede non
vogliamo, come io ho fatto, ma a scopo meramente
introduttivo, celebrare il nostro passato: veniamo da
lontano, ma la tradizione non basta. No, noi siamo dei
liberali e, se il liberalismo è una risposta a una sfida,
proprio in quanto liberali vogliamo rispondere alla sfida
del nostro tempo. Il liberalismo è una teoria empirica da
un lato perché realistica, ma che ha anche dei valori,
perché non accetta una realtà così. E’ una teoria
critico-pratica del presente. A questo noi vogliamo
ispirarci, perché non dobbiamo dimenticarci che il
dispotismo è sempre dietro l’angolo. Il liberalismo non
ha mai conosciuto momenti sicuri per la sua vittoria.
Abbiamo visto in questi ultimi anni il panorama
sociale-politico affollarsi di nuovi soggetti, le fondazioni
e le authority di cui parleranno i relatori. Ma insisto
sulla parola: nel suo senso forte io l’ho trovata in
Montesquieu ma l’ho ritrovata anche in Humboldt.
Con questo seminario vogliamo guardare al futuro e non
limitarci a celebrare il nostro passato.
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