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Nicola Matteucci

L'eredità di Von Hayek

1. La ricezione di Hayek in Italia
14 . Libertà e Giustizia
15 . L'epilogo etico

1. La ricezione di Hayek in Italia.

Nella cultura italiana il pensiero di Friedrich von Hayek non ha avuto ancora molta fortuna. Questo è dovuto al clima culturale di questo dopoguerra, dominato in gran parte dal marxismo e anche da un certo sociologismo cattolico.

La sua prima opera politica tradotta in italiano nel 1948 - su suggerimento di Luigi Einaudi - Verso la schiavitù (l'edizione inglese è del 1944) era già stata condannata dalla comunità scientifica degli economisti (alla quale Hayek apparteneva) inglesi e americani. Questo, però, non impedì a quest'opera di avere in America un grande successo. In Italia la sinistra la mise subito all'indice per essere un semplice libello antisocialista e antisovietico: il volume finì al macero ed è (o era) difficilmente rintracciabile nelle biblioteche italiane. Un'eguale sorte capitò a The Constitution of Liberty (1960), che venne tradotto nel 1969 col titolo La società libera: un titolo banale, che perdeva il significato forte che aveva nel pensiero di Hayek il termine constitution. Era un libro divulgativo, non specialistico, che conteneva il programma politico del suo liberalismo. Ma il suo liberismo ha squalificato il suo liberalismo, quasi questo dipendesse strettamente da quello, mentre entrambi sono comprensibili solo all'interno della sua filosofia.

Vi sono, però, altre ragioni, che possono spiegare la lenta ricezione del pensiero di Hayek in Italia. La traduzione nel 1967 di L'abuso della ragione avveniva in un periodo assai infelice: da un lato le scienze sociali erano dominate dalla cosiddetta rivoluzione comportamentista e, dall'altro, nella cultura filosofica italiana non marxista dominava il mito della scienza e della storia della scienza, destinate a sostituire la filosofia, ridotta a mera epistemologia, e la storia della filosofia. Hayek è stato anche con Popper un epistemologo, ma era un deciso avversario dello scientismo; e il suo deciso attacco all'Illuminismo francese (non a quello inglese) non poteva certo piacere a coloro che del "neoilluminismo" avevano fatto la propria bandiera, guardando soprattutto ai francesi. Il successo cominciò ad arridere ad Hayek con la traduzione nel 1968 di Law, Legislation and Liberty (l'edizione inglese è del 1979), giunta ora in una seconda edizione economica: il terzo volume ha come sottotitolo una parola chiave del lessico di Hayek, political order. Infine è uscita nel 1990 la benemerita traduzione di Sensory Order (1952), che per fortuna mantiene nel titolo la parola order. Ma questa traduzione ha lasciato indifferenti gli economisti, i filosofi, gli studiosi di scienze umane, mentre ha rallegrato gli studiosi di psicologia. Questo volume di "psicologia teorica", come avverte il sottotitolo, non è un capriccio, una divagazione o un hobby di Hayek: sin da giovane - come confessa nella Prefazione - era indeciso se studiare economia o psicologia, poi - fatta la scelta che lo rese famoso - questo volume gli è cresciuto dentro, occupando costantemente la sua mente per trent'anni. Dunque l'economista e lo psicologo Hayek sono cresciuti insieme a contatto con simili e diversi problemi che hanno in comune la complessità. Chi studia il liberalismo di Hayek non può scartare quest'opera, come, parlando del liberalismo di John Locke, non si può tralasciare il Saggio sull'intelletto umano. Vi sono state altre due difficoltà per una piena ricezione del pensiero di Hayek in Italia. Innanzi tutto è conosciuto come un economista: ha, certo, vinto nel 1974 il premio Nobel per l'economia e nel 1988 la società editrice Il Mulino ha pubblicato una raccolta dei suoi saggi nella prestigiosa collana "I grandi economisti contemporanei"; inoltre la maggior diffusione del suo pensiero si dà nella corporazione accademica degli economisti. Ma proprio uno di questi saggi Economia e conoscenza, che è del 1937, segna il distacco di Hayek dai problemi economici; e la maggior parte della sua produzione scientifica è posteriore a quella data. Ma, con Croce, potremmo rivolgerci la domanda se Hayek sia un semplice studioso di "economia", e i suoi contributi si limitino alla scienza dell'economia, o affronti anche i temi dell' "economica", cioè della filosofia dell' azione. In secondo luogo Hayek si è occupato di troppe cose: economia, psicologia, epistemologia, storia del pensiero politico; e poi, ancora, storia, filosofia del diritto, antropologia. Il lettore rischia di restare disorientato da questo apparente ecclettismo; e, purtroppo, i diversi aspetti del suo pensiero vengono troppo spesso esaminati separatamente, perdendo il vero centro del suo pensiero. Ma Hayek stesso - nemico della specializzazione - Ci spiega questo suo apparente ecclettismo: in un volume autobiografico egli scrive che il suo ecclettismo deriva dalla "tripartizione aristotelica dell'etica in morale, politica ed economia". Sin da giovane ha coltivato questi interessi, per cui si può dire che il filosofo Hayek sia un precursore della moderna rinascita della "filosofia pratica". Polemicamente, la nostra lettura dell'opera di Friedrich A. von Hayek è diretta ad un triplice fine: in primo luogo, sottrarlo all'interpretazione economicistica, in secondo luogo, svincolarlo radicalmente dall'utilitarismo, in terzo luogo, liberarlo dall'abbraccio della filosofia analitica. Ma c'è anche un'ambizione più alta: in tutto il mondo, e ora anche nei paesi dell'Est, le opere di Hayek si trovano anche in edizione economica, in Italia gran parte sono andate al macero e solo - ma con un titolo diverso - è stato ristampato Verso la schiavitù. Hayek merita un successo pari a quello che sta ottenendo oggi in Italia Karl Popper.

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14. Libertà e giustizia.

Veniamo ora - rapidamente - al pensiero politico di Hayek. Dobbiamo sempre tenere presente che, alle sue spalle, c'è un'ottica storica che spazia dall'orda primitiva alle diverse società contemporanee: nel concreto sviluppo storico vede in modi e in guise differenti la compresenza della nomocracy e della teleocracy, perché anche nell'orda primitiva il capo branco impartiva i suoi ordini per la caccia e poi spartiva il bottino. Nel mondo contemporaneo, però, c'è un progressivo prevalere della taxis sul nomos, dell'organizzazione sull'istituzione: egli non guarda soltanto agli Stati socialisti, ma anche e soprattutto agli occidentali Stati sociali, frutto della collaborazione dei socialisti con i cattolici. Idue valori ultimi, ai quali ormai tutti fanno riferimento, sono quelli della libertà e della giustizia sociale; e quasi tutte le filosofie politiche contemporanee ne cercano un'armonia. Invece, Hayek - come il Croce e come H. Arendt - li ritiene inconciliabili.

La difesa della libertà deriva direttamente dalla sua teoria individualistica della conoscenza e dell'azione e della conseguente scoperta della catallaxy, un'evoluzione spontanea che non implica affatto l'assenza di norme, ma soltanto l'esistenza di norme generali e astratte, la maggior parte delle quali non sono di produzione legislativa, ma prodotte dalla stessa evoluzione culturale. La nomocracy è un insieme di princípi e di regole che si riferiscono soltanto alla condotta umana, le quali consentono all'uomo di decidere liberamente e di non essere deciso dagli altri. Fra questi princípi e queste norme, per regolare la convivenza, nella società moderna emergono per importanza le Costituzioni, anche se è necessario ravvisare una differenza di quelle attuali rispetto a quelle della fine del Settecento: queste dichiaravano dei diritti civili e politici per limitare i poteri del governo e stabilivano quindi soltanto delle norme procedurali al processo politico, mentre oggi le Costituzioni contengono norme programmatiche, indicano precisi obiettivi al governo per realizzare i diritti sociali, e così rispondono al modello della teleocracy. Hayek, invece, respinge con coerente fermezza la cosiddetta giustizia sociale, oggi intesa in Occidente da socialisti e da cattolici come "giusta" redistribuzione della ricchezza attraverso una tassazione progressiva. Le sue argomentazioni sono numerose, alle quali possiamo soltanto accennare: esse si riferiscono soprattutto all'uso sbagliato del termine "giusto". Questo termine può essere riferito soltanto all' azione umana, e - in questo senso - la vera giustizia è solo quella amministrata dai tribunali; non al risultato dell'azione, alla catallaxy che - in quanto casuale e spontanea - non è né giusta né ingiusta. In secondo luogo non abbiamo criteri obiettivi per definire una società giusta, per determinare la validità delle richieste al governo e la loro misura, per fondare razionalmente princípi obiettivi per stabilire progressività nella tassazione e nella ridistribuzione. La giustizia sociale è soltanto un concetto vuoto e privo di senso, quindi meramente ideologico, se non demagogico. Con questo Hayek non respinge le teorie di John Rawls, ma della Theory of Justice accetta soltanto il principio dell'eguale libertà degli altri, mentre fa propria la tesi di un lavoro precedente, Constitutional Liberty and the Concept of Justice, secondo la qualè la giustizia consiste nel modo in cui è attuata la concorrenza, non nel risultato, e si riferisce in primo luogo al sistema istituzionale e al suo complesso di vincoli di cui le persone, che ne fanno parte, non devono avere ragioni per lamentarsi. Eguaglianza e giustizia sociale sono per Hayek due cose diverse: trattare in modo uguale gli individui non vuol dire renderli uguali nei risultati, e i diritti non devono essere scambiati per benefici. Il mito assai recente della giustizia sociale è solo il frutto di istinti ben radicati in un tempo remoto, un residuo metaconscio di regole di convivenza dell'orda primitiva. Allora il piccolo gruppo, dove tutti si conoscevano, doveva cercare la massima coesione per la propria sopravvivenza e si affidava alla giustizia distributiva del capo: in questo contesto la giustizia distributiva aveva un senso. La vera rivoluzione - come si è detto - fu rappresentata dal lento passaggio dal piccolo gruppo, dalla società chiusa, nella quale l'individuo non era libero, alla grande società aperta di uomini liberi, anche se non sempre politicamente, che venne progressivamente realizzata dal mercato. Nella lunga durata la catallaxy ha consentito un aumento del reddito nonostante il vertiginoso aumento della popolazione. Ora la giustizia sociale - questo residuo preistorico - può rappresentare un ostacolo allo sviluppo della civiltà, creando interferenze e disordine nella catallaxy e imponendo alla società una taxis nella quale la maggioranza è irrigimentata da minoranze al potere e costretta a realizzare fini non suoi. Il mito della giustizia sociale serve soltanto a costringere gli altri: così la giustizia sociale è in pieno contrasto con la libertà.

Se non esiste un "dovere morale di sottomettersi ad un potere che possa coordinare gli sforzi dei membri della società allo scopo di mantenere un modello di distribuzione particolare, considerato come giusto", restano però in vigore le obbligazioni morali di solidarietà, pur che siano volontarie, liberamente decise dall'individuo e non imposte dall' alto. Nel volume II capitalismo e gli storici Hayek mostra il proliferare nell'Inghilterra dell'Ottocento di libere associazioni filantropiche. Ma questo rientrava in un'autocorrezione del mercato da parte della catallaxy. Ma Hayek procede oltre: egli sa bene come la moderna società di massa abbia distrutto quelle solidarietà che si danno nella famiglia, nei piccoli gruppi, nelle associazioni e nelle comunità naturali e vede la necessità di un intervento dello Stato, purché non turbi il mercato. Egli è favorevole ad una "rete di protezione" per i poveri, cioè per coloro che non fossero capaci di provvedere al proprio sostentamento all'interno del mercato (malati, vecchi, handicappati fisici e mentali, vedove e orfani), rete di protezione che consenta loro un minimo livello di vita, in base ad una comprovata necessità. Questa, assistenza, garantita dallo Stato, sarà pagata con le imposte; ma - bisogna ricordarlo - Hayek, con ragioni sia economiche sia di giustizia, è un fermo assertore della tassazione proporzionale contro quella progressiva. Per gli altri bisogna ritornare all'antico. Ciascuno dovrà premunirsi contro le vicende e gli imprevisti della vita attraverso un sistema assicurativo: la concorrenza fra le diverse assicurazioni renderà il sistema più efficiente. Gli individui sono ormai adulti, più colti e più ricchi rispetto al passato: hanno il diritto di decidere da soli con chi assicurarsi (mentre l'assicurazione resta obbligatoria). Non avranno un danno economico, perché lo Stato dovrà rinunciare a tutte quelle trattenute sulla busta paga volte a realizzare lo Stato assistenziale. Bisogna eliminare quella trasformazione dell'antico sistema assicurativo, che ha portato, in nome dell'efficienza, ad un'organizzazione unitaria, fortemente burocratizzata e controllata dallo Stato, la quale si è posta altri fini, come la redistribuzione del reddito e la giustizia sociale. Ne sono derivate conseguenze profondamente illiberali: non era la maggioranza di chi pagava a determinare che cosa si doveva dare ai pochi sfortunati; era la maggioranza di chi otteneva benefici a decidere quanto si doveva prendere ad una minoranza più ricca.

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15. L'epilogo etico.

E' significativo che il tema centrale dell'Epilogo a Law, Legislation and Liberty, un epilogo che è quasi un testamento spirituale, sia dedicato all'etica. Dopo tante scorribande nei diversi campi del sapere, nell'economia e nella psicologia, nella storia e nel diritto, nell'antropologia e nella politica, s'imbatte in questo problema ultimo, che riassume e condensa tutti quelli che aveva affrontato. Lo dichiara esplicitamente: "strettamente parlando, nessuno scopo finale è economico, e i cosiddetti fini economici perseguiti sono al massimo fini intermedi, che indicano come servire altri per fini, in ultima analisi, non economici". E in questo epilogo si trova a dialogare, ma più spesso a polemizzare, con i suoi vecchi amici o conoscenti viennesi . I valori - afferma in velata polemica con 1' amico Lorenz - sono ciò che distingue il comportamento umano da quello animale; ma non accetta neppure - in coerenza col proprio pensiero - la distinzione della sociobiologia fra valori primari, determinati geneticamente, e valori secondari, prodotti dal pensiero razionale. Ciò che "ha reso buono l'uomo non è né la natura, né la ragione, ma la tradizione". E' ovvio - dopo tutto quanto si è detto - che, per Hayek, i veri valori sono un prodotto storico, della catallaxy, valori di cui non abbiamo sempre una piena consapevolezza, appartenendo a quel mondo metaconscio che ispira la nostra azione. La lenta evoluzione culturale, che fa uscire l'uomo dalla foresta, si svolge proprio contro gli istinti naturali. Ritorna la polemica con Marx e Comte, che abbiamo già visto in The Counter-revolution of science, ma con una maggior accentuazione al problema morale, proprio perché il costruttivismo priva i singoli individui della possibilità di scegliere e trovare fondamenti all'etica diversi da quelli imposti dal potere. Ma la vera polemica è rivolta contro autori assai più recenti: alle volte si tratta di una semplice presa di distanza, altre volte di un radicale dissenso, ma c'è sempre un filo costante che le accomuna: sono le nuove superstizioni scientifiche che ci indicano false vie verso la libertà.

Per Hayek vi sono filosofie che hanno azzerato il problema del valore, come il neopositivismo logico di Carnap o il neopositivismo giuridico di Hans Kelsen. Ma non concorda neppure con Ludwig von Mises per il suo utilitarismo e il suo costruttivismo, che lo porta ad affermare: "l'utilità sociale è il solo criterio di giustizia, è la sola guida della legislazione". I veri nemici li trova soprattutto nel campo della psicologia scientifica o behaviorista, che giustifica tutto con l'ambiente, distruggendo così quei valori su cui si regge una società: essa ha il suo naturale punto d'arrivo nelle posizioni radicali di Burrhus F. Skinner, che vorrebbe liberare l'umanità dalla sua storia per andare Oltre la libertà e la dignità". Ma il nemico ultimo è il viennese Sigmund Freud, che pretendeva di curare la gente liberandone gli istinti, cioè eliminando le repressioni culturalmente acquisite; anche se poi riconosce il tardo ripensamento di Freud in Das Unbehagen in der Kultur. In definitiva egli condanna con violenza il sogno di molti scienziati di "liberare la razza umana dal 'peso paralizzante del bene e del male' e dai 'concetti perversi di giusto e sbagliato'. Tutto questo è solo una superstizione diffusa in cui la gente - ammaestrata da falsi scienziati - immagina di sapere di più di quanto poi sappia veramente. Nel campo dell'etica Hayek respinge i profeti religiosi e i messaggi dei filosofi morali, è contro le teorie etiche progettate a tavolino, è avversario del puro soggettivismo morale, per cui tutte le idee, purché sostenute con convinzione, sono egualmente legittime, disprezza quella società di massa nella quale il conformismo generalizzato trova cittadinanza. Hayek crede solo nei valori espressi nel lungo corso storico della catallaxy. Eppure, in poche righe - di sapore greco - egli trova una verifica sui valori giusti e quelli ingiusti. "Le morali - egli scrive - presuppongono lo sforzo verso l'eccellenza e il riconoscimento che in questo alcuni riescono meglio di altri". La morale infatti si basa sulla diversa stima in cui le persone sono tenute dai loro simili, secondo la loro conformità a criteri morali da tutti accettati e condivisi. Solo liberandoci dalle nuove superstizioni scientifiche, solo restando fedeli alle proprie tradizioni, l'umanità potrà continuare il suo viaggio: con parole che guardano al futuro il vecchio Friedrich von Hayek conclude la sua opera con la speranza che essa non rappresenti la fine, ma un nuovo inizio. Egli scrive: "I'uomo non è e non sarà mai il padrone del proprio destino: la sua stessa ragione progredisce sempre portandolo verso l'ignoto e l'imprevisto, dove egli impara nuove cose". In conclusione, volendo definire sinteticamente il pensiero di Friedrich von Hayek, saremmo costretti a contraddire alcune sue provocatorie affermazioni, quando dice di non essere conservatore e di non essere democratico. Egli è un pensatore conservatore alla Burke, il cui conservatorismo è stato definito "vitalizzante" perché non è chiuso nel passato, ma anche cosciente che un positivo futuro per gli uomini si può costruire solo nell'alveo della tradizione, che è e sarà sempre più forte di ogni utopia razionalistica. Egli non è un pensatore antidemocratico, perché nella catallaxy ha spazio per esprimersi ogni individuo del demos; egli è piuttosto avversario delle minoranze dirigenti quando pretendono, in nome del popolo, di plasmare la società e costruire la storia. Hayek così rientra nel novero dei grandi interpreti del liberalismo storicistico del nostro secolo.

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