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Presentazione dei volumi
La sovranità del consumatore e Le pretese e i poteri: le radici individuali del diritto e della politica, di Bruno Leoni.

Facoltà di Scienze Politiche - Università di Pavia - 25 novembre 1997
Intervento di Raimondo Cubeddu
In corso di pubblicazione su "Il Politico"

Queste due raccolte di saggi di Leoni appaiono a distanza di trent'anni dalla sua scomparsa e confermano l'attualità e l'importanza della sua riflessione sulla filosofia delle scienze sociali.
Il volume La sovranità del consumatore ripete il titolo di un saggio pubblicato da Leoni nel 1963 su "New Individualist Review" (una rivista americana che ha avuto una decisiva importanza per la nascita e per la delineazione del quadro teorico e problematico del Libertarianism giacché in essa affiora e si compie la distinzione tra il Libertarianism ed il movimento conservatore). I saggi raccolti in questo volume, anche se manca il fondamentale lavoro su Il problema del calcolo economico in un'economia di piano, del 1965 –che verrà ripubblicato autonomamente–, consentono infatti di far conoscenza del Leoni economista, e di comprendere i motivi della sua strenua opposizione a quella svolta politica ed economica che si andava realizzando in Italia negli anni Sessanta e che si fondava –come Leoni mise chiaramente in evidenza richiamandosi a Mises e ad Hayek– su una dottrina economica sorta all'inizio degli anni Venti e successivamente ampiamente discussa e criticata. Per Leoni era incredibile che essa venisse ripresa e proposta come la panacea a tutti i mali economici e sociali dell'Italia. Questa recezione fideistica lo indusse, praticamente inascoltato, a tentare di contrastarne la realizzazione. Tuttavia sarebbe sbagliato considerare questi saggi esclusivamente dal punto di vista del dibattito politico contingente. Nell'adozione della pianificazione economica Leoni vedeva soprattutto una rottura di quel fragile equilibrio tra scelte di gruppo e libertà individuale che aveva contraddistinto le democrazie occidentali. Una rottura che spalancava la via ad un incremento delle decisioni collettive che –come Leoni andava scrivendo in altri saggi di quegli stessi anni– si sarebbe rivelata fatale per la salvaguardia e per la stessa esistenza della libertà individuale. Insieme ai saggi che documentano il vigore e l'acutezza coi quali Leoni tentò di contrastare una svolta che non poteva essere considerata contingente, il volume comprende anche le due recensioni ad Hayek e a Mises che costituiscono uno spartiacque nella sua produzione scientifica. Infatti, a partire dal 1950, la sua problematica si arricchisce di interessi e di temi che non sono riducibili alla sua precedente produzione scientifica e neanche alle questioni dibattute nella cultura politica italiana di quegli anni. L'espressione più compiuta di questo mutamento di prospettiva è forse rappresentato dal saggio Individualismo, socialismo ed altri concetti politici, del 1952 –che confluirà in Il pensiero politico e sociale nell'Ottocento e Novecento, del 1953, e che ora è ripubblicato in Le pretese e i poteri: le radici individuali del diritto e della politica– nel quale Leoni, con notevole originalità, rielabora ed estende l'impostazione hayekiana.Della raccolta di saggi Le pretese e i poteri: le radici individuali del diritto e della politica c'è in realtà poco da dire in termini illustrativi. Il titolo, infatti, sintetizza felicemente ed efficacemente l'intera problematica di Leoni. E sono pienamente d'accordo con Stoppino quando sostiene che per Leoni "proprio [...] nel fenomeno essenziale dello "scambio di potere", sta dunque il fondamento della comunità politica o stato" (p. xvi), e che in ciò, oltre che nel suo concetto di ‘pretesa’, consiste l'importanza e l'attualità della sua riflessione non solo sulla politica, ma sulle scienze sociali.Per una di quelle casuali coincidenze delle quali non si può fare a meno di rallegrarsi, le due introduzioni, di Sergio Ricossa alla prima, e di Mario Stoppino alla seconda raccolta, mettono in luce due diversi, ma complementari aspetti della figura di Leoni. Se quella di Ricossa si incentra sulla figura umana, sulla sua partecipazione alla Resistenza, e ci mostra efficacemente e convincentemente il ruolo di primo piano che Leoni, come segretario della Mont Pélerin Society, svolse nelle vicende del liberalismo del Novecento; quella di Stoppino appare tesa a mostrare l'importanza e l'attualità del contributo che Leoni ha dato al dibattito sulle scienze sociali teoriche.
Ma poiché non mi sembra elegante tessere le lodi dei curatori in loro presenza, e soprattutto perché ciò che posso dire io poco aggiunge a quanto di loro noi tutti già sappiamo, vorrei svolgere qualche riflessione sull'opera di Leoni e sui motivi per via dei quali ritengo che essa sia tuttora così importante ed attuale.
Nel marzo del 1995, alla presentazione della traduzione italiana di Freedom and the Law, Mario Stoppino fece un intervento che mi è rimasto impresso poiché richiamò la mia attenzione su un problema sul quale, in questi anni, ho spesso riflettuto. In quella circostanza, Stoppino, disse che "Leoni estese con grande originalità la logica del mercato e della libertà economica al campo del diritto", e che "cominciò l'impresa di estendere la logica della libertà economica e del mercato alla politica". Questo tentativo, purtroppo fu interrotto dalla sua prematura scomparsa. Stoppino non nasconde le difficoltà ed i punti discutibili di tale impostazione quando si chiede: "se davvero, sul piano teorico, la strada imboccata da Leoni possa essere percorsa fino in fondo: se cioè sia possibile ridurre pienamente il campo della politica alla logica dell'economia di mercato. O se non sia invece preferibile riconoscere che la logica dell'economia e quella della politica sono logiche diverse, sebbene trovino un'apprezzabile conciliazione pragmatica nella moderna liberal-democrazia"; vale a dire "nel compromesso o conciliazione, sempre approssimativa e rivedibile, della logica del mercato e di quella della rappresentanza democratica; e non già nella riduzione della politica al mercato, o del mercato alla politica".
Come Stoppino –il quale riprende il problema nella sua introduzione a Le pretese e i poteri– io sono del parere che l'indagine di Leoni sulla compatibilità tra ordine di mercato e ordine politico debba essere ripresa. Ma non tanto nella prospettiva dell'‘estensione’, quanto muovendo dal suo "individualismo integrale"; vale a dire dalla teoria secondo la quale le istituzioni sociali sono in gran parte la conseguenza inaspettata di decisioni di individui e di gruppi di individui dotati di una conoscenza scarsa e fallibile. Egli infatti, più che cercare di estendere la teoria dell'azione umana dell'‘economia soggettivistica austriaca’ alla politica, mi sembra avesse avvertito –già in Freedom and the Law– che lo stato liberal-democratico, in realtà, con era in grado di produrre ‘certezza’, e che pertanto, per via del fallimento di questo suo tentativo, si rendeva necessario indagare sulla possibilità di un ‘ordine’ nel quale la dimensione delle scelte di gruppo fosse minima. Di conseguenza, del modello di stato liberal-democratico Leoni critica il presupposto, vale a dire la rappresentanza, e, rigettandolo, e avvertendo che lo stato democratico sarebbe potuto diventare un pericolo per la sopravvivenza della libertà individuale, cerca di fondare lo stato su basi diverse non solo da quelle liberal-democratiche, ma anche da quelle del Classical Liberalism.. Per molti versi fu forse il primo ad esprimere la constatazione, oggi diffusa nell'ambito della tradizione Libertarian, che l'esercizio della democrazia è incompatibile con la salvaguardia della libertà individuale, e che neanche il costituzionalismo del Classical Liberalism si è mostrato in grado di contenere e di controllare l'estensione del potere dei governanti e delle competenze dello stato.Chi oggi legge le opere dei Libertarians anarco-capitalisti e le amare considerazioni con le quali Hayek apre l'opera Law, Legislation and Liberty, troverà analoghe considerazioni sugli esiti perversi della democrazia, ed avrà anche modo di rendersi conto di come Leoni sia stato un precursore della critica non più solo allo statalismo, ma allo stesso stato come strumento di produzione politica della ‘certezza’; vale a dire di quell'atteggiamento decisamente critico nei confronti dello stato che è oggi così diffuso tra i liberali classici e tra i Libertarians. Non intendo sostenere che se fosse vivo Leoni sarebbe oggi un anarco-capitalista., ma mi sento di sostenere che in quegli anni la sua critica allo stato era, anche nell'ambito del liberalismo classico, tra le più radicali ed e perspicueForse fu proprio questa insoddisfazione nei confronti di quel modello di ordine politico, che allora ancor più di oggi era inteso come l'orizzonte ineluttabile della politica, che indusse Leoni, nel saggio Diritto e politica, del 1961, a riformulare il concetto di stato prendendo appunto le mosse dallo scambio di pretese soggettive e di ‘poteri’. Neanche Hayek, in The Constitution of Liberty, del 1960, prospetta infatti la necessità di una revisione del tradizionale concetto di stato così radicale come lo si può trovare in Leoni. Da questo punto di vista, si può infatti sostenere che fu Leoni, e non Hayek, a portare per primo alle logiche conclusioni riguardo allo stato la teoria della nascita ed evoluzione delle istituzioni sociali che si trova nelle Untersuchungen di Menger. Per Menger, infatti, lo stato non è "un fenomeno originario, dato contemporaneamente all'esistenza del genere umano", ma un'istituzione sociale che –come il linguaggio, il diritto, il denaro, la religione, il mercato, etc.– ha origine da una "volontà comune" di individui che non è orientata alla sua fondazione.Nel saggio Diritto e politica, del 1961, lo stato viene definito da Leoni come
una situazione di potere o [...] una costellazione, sovente assai complessa, di poteri, i quali, cosa estremamente degna di nota, non si esercitano mai in una sola direzione, poiché coloro che obbediscono ottengono, o finiscono per ottenere, a loro volta obbedienza, e coloro che comandano consentono, o finiscono per consentire, all'obbedienza, almeno in certi rispetti ed entro certi limiti, nei confronti di coloro che normalmente non comandano, ma obbediscono.

Leoni rimprovera ad Aristotele di non essersi reso conto del fatto che "i rapporti di potere siano entro certi limiti scambievoli", e continua affermando che
il fenomeno dello "scambio" del potere sta [...] alla base degli "stati", anche se tale scambio è stato finora poco studiato e la stessa nozione di "scambio di potere" è stata non solo ignorata dagli studiosi di politica, ma anche trascurata o implicitamente respinta dagli studiosi di economia, i quali si occupano bensì dello scambio di beni o di servizi, ma non si occupano di quello di scambio di "potere" che in definitiva costituisce la base di ogni scambio.

Sempre secondo Leoni,
lo stato è dunque contenuto in nuce nella prima copia di individui che si scambiano, se così possiamo dire, il potere di farsi rispettare, e in particolare di far rispettare alcuni beni che essi considerano fondamentali, e senza la tutela dei quali gli individui stessi non potrebbero raggiungere alcuno dei loro scopi, e neppure sopravvivere. Questo scambio crea una "situazione" di sicurezza e di prevedibilità nei rapporti tra gli individui considerati: nella "situazione" di potere così instaurata ogni individuo può ormai formulare previsioni sui comportamenti più probabili dell'altro o degli altri individui e inoltre previsioni sull'efficacia di un proprio eventuale intervento per determinare i comportamenti stessi, qualora questi ultimi non vengano spontaneamente adottati.

Proseguendo, Leoni nota che
è una caratteristica comune alle teorie della politica fondate sul concetto di potere quella di porre in risalto il "potere" dei governanti come potere squisitamente politico. In base alla concezione che abbiamo sopra delineato, il potere dei governanti appare per contro una sottospecie del potere proprio di ognuno degli individui che appartengono alla "situazione". Questa concezione consente di distinguere il potere "politico" da ogni altro: il potere politico è precisamente la possibilità di ottenere rispetto tutela o garanzia dell'integrità e dell'uso di beni che ogni individuo considera fondamentali e indispensabili alla propria esistenza [...] L'attività politica è dunque l'attività che si esplica dagli individui nella tutela di taluni beni considerati da ogni individuo come fondamentali, così che il loro godimento è preliminare ad ogni altro: il che non esclude affatto, in ipotesi, che determinati individui abbiano maggiori poteri di altri, e quindi maggiori tutele, rispetto ad altri, degli stessi beni, o godano di tutele relative a beni che altri individui non riescono a vedere tutelati nella situazione cui appartengono. Ma il maggior potere politico di taluni individui sarà sempre in qualche modo riconnesso al potere di tutti gli altri, e riguarderà in ultima analisi la tutela dei beni che tutti gli individui appartenenti alla "situazione" considerano come fondamentali [...] Sul presupposto della "situazione" ossia dello "stato" come insieme di rapporti di potere (politico) fra gli individui, si esercitano le pretese. Queste sono "giuridiche" ossia corrispondono ad attività comunemente considerate "giuridiche", quando si esercitano relativamente a comportamenti considerati probabili nella "situazione" cui appartiene chi pretende, e considerati inoltre utili da chi pretende .

Vorrei porre l'attenzione su alcuni aspetti di queste lunghe citazioni in cui Leoni delinea la sua concezione dello stato sviluppando con originalità, ed applicando ad un caso concreto, la teoria ‘austriaca’ concernente il modo in cui dallo scambio di beni e di aspettative tra gli individui nascano forme sempre più complesse di organizzazione sociale.La prima è costituita dal suo porre l'attenzione sulla nozione di scambio inteso come presupposto del potere e dello ‘stato’. E' vero che qui Leoni imputa ad Aristotele di non aver colto l'importanza dello 'scambio’ (cosa che invece gli riconoscerà Menger nelle Untersuchungen), ma se prescindiamo da questo, ci troviamo di fronte all'enunciazione di una teoria generale dell'azione umana –e la si potrebbe anche definire una filosofia delle scienze sociali– che mira ad interpretarne le varie sfere (diritto, economia, politica, etc.) alla luce di un unico presupposto teorico, appunto lo scambio, e di una teoria unitaria e generale dell'azione umana. La seconda è che il fine di questa reciproca attribuzione di poteri, è quello di creare ‘sicurezza e prevedibilità’ rispetto alla tutela di ‘alcuni beni fondamentali’, e che, in loro mancanza, gli individui "non potrebbero raggiungere alcuno dei loro scopi, e neppure sopravvivere". La terza è che il potere politico consiste nella ‘tutela o garanzia’ di tali beni.Leoni si muove qui nell'ambito della tradizionale giustificazione dello stato del liberalismo classico e lo intende, al pari degli ‘austriaci’, come il risultato di una complessa serie di atti individuali di scambio. In Freedom and the Law, noi possiamo ancora una volta notare quanto Leoni sia vicino, per lo meno su questo problema, agli ‘austriaci’, ed a Menger in particolare, quando afferma che
la libertà individuale è perfettamente compatibile con tutti quei processi il cui esito è la formazione di una volontà comune senza ricorrere a gruppi di decisione e decisioni di gruppo. Il linguaggio ordinario, le transazioni economiche quotidiane, i costumi, le mode, i processi spontanei di formazione del diritto, e, soprattutto, la ricerca scientifica sono gli esempi più comuni e più convincenti di questa compatibilità –anzi, di questa intima connessione– fra la libertà individuale e la formazione spontanea di una volontà comune,
e quando sostiene che
la libertà individuale non può essere compatibile con la "volontà comune" ove quest'ultima sia solo un impostura per celare l'esercizio di coazione sulle minoranze [...] che, a loro volta, non accetterebbero mai la situazione se fossero libere di rifiutarla.

Ciò che intendo sostenere è che è possibile rivedere unitariamente l'insieme di saggi dai quali son tratti questi passi (saggi, peraltro, scritti negli stessi anni) come un tentativo di mostrare che un ordine politico si può formare senza presupporre un potere antecedente, e che, al suo interno, il potere (come il suo esercizio) ha dei limiti che sono invalicabili dall'atto della rappresentanza. Leoni, in altre parole, riflette sulla possibilità di un ordinamento politico-statuale non fondato sulla coercizione, e sicuramente non lo identifica col modello rappresentativo, ma col modello "rule of law - mercato" che contrappone al modello "legislazione - pianificazione".
I motivi che inducono Leoni ad escludere che il modello politico democratico rappresentativo sia in grado di far coesistere le 'decisioni di gruppo' con la libertà individuale sono esposti nei capitoli di Freedom and the Law in cui si tratta del rapporto tra libertà individuale da una parte e certezza del diritto, legislazione, rappresentanza, e volontà comune dall'altra. Qui egli rivolge a queste ultime una serrata critica che non ritroviamo in altri scritti, se non in Una teoria "neo-jeffersoniana" della funzione del potere giudiziario in una società democratica, e i qui punti centrali possono essere individuati nelle seguenti affermazioni:
 1. "nessun libero mercato è veramente compatibile con un processo di legislazione centralizzato da parte di autorità";
 2. "la libertà individuale –nel senso di assenza di costrizione esercitata da altri– è incompatibile con la democrazia, intesa come potere egemonico del numero"; "in una società democratica nessun processo legislativo ha luogo senza dipendere dal potere del numero"; 3. "mentre un mercato libero implica un'adeguamento spontaneo della domanda e dell'offerta in base alla scala di preferenza degli individui", la legislazione fa sì che "la domanda può essere obbligata a venire incontro all'offerta, o viceversa, in base a certe regole decretate da corpi legislativi che decidono [...] in forza di un espediente procedurale come la regola di maggioranza";
 4. "nel voto c'è una potenzialità di coercizione che non c'è nel mercato";
 5. "il votante, anche se onnisciente nella previsione delle conseguenze di ogni possibile decisione collettiva, non può mai predire con certezza quale delle alternative verrà adottata";
 6. "il fatto che nel processo di legislazione la coercizione e l'incertezza non possono essere evitate neppure dai membri dei corpi legislativi conduce alla conclusione che neppure gli ordinamenti politici basati sulla democrazia diretta permettono agli individui di sfuggire all'incertezza e alla coercizione";
 7. "nessun sistema rappresentativo basato su elezioni può funzionare bene, ove le elezioni siano tenute allo scopo di raggiungere decisioni collettive tramite la regola di maggioranza o qualunque altra regola il cui effetto è coercire la parte perdente dell'elettorato. Perciò, i sistemi "rappresentativi" come di solito concepiti, in cui elezione e rappresentanza sono connesse, risultano incompatibili con la libertà individuale";
 8. "non dico che si dovrebbe fare completamente a meno della legislazione[...] in alcuni casi le questioni riguardano tutti e non possono essere affrontate con aggiustamenti spontanei e scelte individuali pur reciprocamente compatibili [e] non c'è prova storica che sia mai esistita una situazione anarchica come quella che si avrebbe se la legislazione, le decisioni collettive e la coercizione delle scelte individuali fossero eliminate del tutto. Ma sono convinto che più riusciamo a ridurre la vasta area attualmente occupata dalle decisioni collettive nella politica e nel diritto, con tutti i parafernali delle elezioni, della legislazione e così via, più riusciremo a stabilire uno stato di cose simile a quello che prevale nell'ambito del linguaggio, della common law, del libero mercato [etc.] ove tutte le scelte individuali si adattano reciprocamente e nessuna è mai messa in minoranza";
 9. "quando la regola di maggioranza sostituisce senza necessità la scelta individuale, la democrazia confligge con la libertà individuale".
Pur senza abbracciare una prospettiva anarchica, Leoni ritiene che l'esercizio della democrazia, lo strumento della rappresentanza e la legislazione, non possano essere considerati strumenti validi per garantire i diritti individuali; e, soprattutto, che non siano neanche in grado di produrre quella certezza che costituisce l'unico motivo per accettare la coercizione e, in questo modo, per legittimare lo stato. Lo stato descritto da Leoni nei passi precedentemente citati, sembra infatti poter fare a meno sia della democrazia come metodo decisionale, sia della rappresentanza, sia della legislazione.
Resta da vedere se la critica alla democrazia rappresentativa e alla legislazione sia un atteggiamento che si esaurisce nella denuncia di limiti, o se Leoni prospetti la possibilità di ordini politici alternativi. Si è già visto come egli ritenga possibile ed auspicabile, per non dire ‘doveroso’, "ridurre la vasta area attualmente occupata dalle decisioni collettive nella politica e nel diritto". A consentire questa possibilità è infatti la constatazione che le scelte individuali non sono "reciprocamente incompatibili", o del tipo ""tutto-o-niente"". Ciò che permette a Leoni di essere in qualche misura ottimista riguardo alla possibilità di ordini politici alternativi a quello dello stato democratico fondato sulla coercizione, è, ancora una volta, rappresentato dall'‘economia soggettivistica’ misesiana quando essa mette in luce come il soddisfacimento dei bisogni individuali non sia necessariamente legata al possesso o allo scambio di singoli beni, ma può anche essere realizzata dallo scambio di parti di beni diversi, di servizi, o di tempo.La critica al sistema maggioritario consiste quindi principalmente –e non a caso essa ritorna insistentemente– nella constatazione del fatto che l'esito del voto non consente a tutte le pretese di realizzarsi; vale a dire nella denuncia del suo essere un processo decisionale dall'esito decisamente incerto.Tuttavia –e concludo esponendo una serie di obiezioni alla soluzione di Leoni– occorre osservare come, ammesso che anche in un regime di scarsità chi compra trova sempre soddisfazione, questa capacità del mercato di giungere ad una soluzione soddisfacente valga soltanto nei casi di scambio di beni contro beni. Nel caso di scambi beni contro tempo o di tempo contro tempo, le pretese potrebbero restare insoddisfatte né più, né meno di quanto può avvenire in seguito al risultato di una votazione. A favore del mercato resta pur sempre il fatto che in esso l'individuo non si assoggetta ad una coercizione; tuttavia, l'esito del processo della catallassi è altrettanto incerto di quello elettorale. Infatti, anche in questo caso, la posizione individuale sarà il risultato del verificarsi, nel tempo atteso dall'agente, di una previsione concernente il gradimento sociale dei beni o dei servizi che l'agente medesimo si propone di scambiare con gli altri partecipanti al sistema della catallassi. E ciò senza toccare il problema concernente il rilievo che, sia per quanto concerne l'offerta, sia per quanto concerne la domanda, assume la distribuzione individuale e sociale della conoscenza nel processo della catallassi. Riguardo agli esiti temporanei del processo della catallassi, si può infatti notare che in essi trova realizzazione (e talora per circostanze casuali) solo parte delle aspettative iniziali dei partecipanti, e che, poiché tali esiti non sono determinati dalle motivazioni iniziali degli agenti, una valutazione etica, politica o razionale di queste ultime è irrilevante al fine di comprendere e di spiegare come tali esiti si producano.Indubbiamente Leoni non riuscì a portare al termine la sua ricerca, ma altrettanto indubbiamente essa consiste in un tentativo di ‘pensare la politica senza lo stato’ che si fonda sulla constatazione che la scienza sociale teoretica ha prestato poca attenzione al fatto che la società non esiste come entità fisica, ma è composta da individui che cambiano e che si succedono, mischiando aspettative soggettive (con parole di Leoni: 'pretese' e 'poteri') ed equilibri temporali. Ed è proprio questo che rende particolarmente difficile l'avverarsi delle aspettative soggettive degli individui: esse, infatti vengono concepite dinamicamente ma, troppo spesso, immaginando come statiche quelle degli altri individui che compongono la società.Il problema teorico di Leoni, problema comune agli Austriaci, era di vedere se il modello di ordine che liberamente si produce dagli scambi individuali in condizione di libertà potesse avere una valenza universale nell'ambito delle scienze sociali. In altre parole, dato che la filosofia politica non può in nessun modo giustificare o legittimare la coercizione, se fosse possibile eliminare la coercizione dalla politica. Leoni, pertanto, inizia a confrontare economia e politica convinto della superiorità del modello che produce ordine senza violenza, e, soprattutto, muovendo dalla consapevolezza del fallimento del tentativo della politica di produrre certezza tramite la produzione legislativa del diritto.
Anche i suoi scritti sulla pianificazione sono infatti volti a dimostrare il fallimento del tentativo di subordinare l'economia alla politica, e a sfatare la credenza che i ‘fallimenti’ del mercato, oltre che essere maggiori di quelli della politica, sono in realtà da attribuire ai tentativi di subordinare il mercato alla politica o all'etica.Tuttavia, anche se alla luce degli sviluppi teorici della filosofia delle scienze sociali potessimo affermare che il suo tentativo era ed è destinato al fallimento, non possiamo negare che si sia trattato di un tentativo estremamente fecondo e, per molti versi, che si tratta di una via obbligata per chi avverte la minaccia che l'estensione delle decisioni di gruppo può rappresentare per la sopravvivenza della libertà individuale. Tale tentativo potrebbe essere anche definito come utopistico, ma, se il suo problema era quello di indagare sulla possibilità di un ordine politico senza coercizione, forse sarebbe meglio considerarlo come la dimensione ineludibile della filosofia politica.

Frédéric Bastiat

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