Un evento della cultura giuridica e politica italiana: la traduzione di "Freedom and the Law" di Bruno Leoni.
Presentazione di Bruno, Leoni, La libertà e la legge, Macerata, Liberilibri, 1995, tenutasi presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pavia, il 6 marzo 1996.
In "Il Politico", 1995, anno LX, n. 2, pp.337-58.
Intervento di Raimondo CubedduLa solennità della sede in cui si svolge questa presentazione, e l'autorevolezza di quanti vi prendono parte e vi assistono, mi impongono di bandire dalla trattazione della fortuna italiana dell'opera di Leoni accenti polemici. Tuttavia, non mi sembra giusto ricordare Leoni nella sua sede universitaria tacendo di ciò che la nostra cultura politica ha compiuto nei suoi confronti. La verità è infatti che in Italia, Leoni è stato uno studioso che in questi ultimi trent'anni è vissuto solo nella memoria dei suoi cari, dei suoi allievi e in una ristretta cerchia di studiosi.
Non si può dunque fare a meno di rimarcare che la traduzione di questo libro in italiano, a distanza di oltre trent'anni dalla prima delle sue tre edizioni in inglese e dalle sue edizioni in spagnolo (la seconda, curata ed introdotta da Jesùs Huerta de Soto, è apparsa, per una felice circostanza, proprio in questi giorni, a riprova dell'interesse che la sua teoria politica e giuridica continua ad incontrare nel mondo) si configura, se si vuole involontariamente, come un atto di accusa nei confronti della cultura politica italiana. Anzitutto della cultura accademica e di quella editoria che in questi anni –accanto alla traduzione dei classici del pensiero politico e giuridico contemporaneo– hanno promosso anche la traduzione e la diffusione di opere di pensatori dei quali resta ben poco; non solo perché la sensibilità dei tempi è mutata, ma soprattutto perché appare ora evidente la loro povertà teorica.A questo cerchio di silenzio –che talora assumeva il carattere di una vera e propria rimozione, come se nella storia della Filosofia del diritto italiana non vi fosse posto per Leoni– reagì Mario Stoppino raccogliendo e pubblicando, agli inizi degli anni Ottanta, una pregevole ed accurata raccolta di alcuni dei suoi saggi: ma purtroppo non riuscì a spezzarlo. Non perché i tempi fossero immaturi, ma perché la nostra cultura politica e giuridica era in quegli anni quanto mai sorda ad una problematica come quella di Leoni, e preferiva indugiare ancora sulla possibilità e sulle modalità di una via italiana al socialismo in cui far confluire la dottrina giuridica kelseniana, l'interventismo di stampo keynesiano, l'avalutatività weberiana e neopositivistica, e la tradizione azionista e liberalsocialista. Il tutto entro una cornice di sfiducia e di pessimismo sulla sorte delle istituzioni liberali in cui motivi schumpeteriani si mescolavano a motivi dello storicismo marxista e crociano. Tutto ciò, se si vuole indirettamente, contribuiva a diffondere la credenza che tali istituzioni appartenessero ormai al passato e che fosse quanto mai opportuna una nuova formulazione della politica che considerasse le libertà individuali non come valori fondanti l'associazione politica, ma semmai come mezzi per il conseguimento di finalità sociali eticamente auspicabili.In contrapposizione alle tendenze politico-culturali ed economiche dominanti, Leoni era stato invece non solo un critico del positivismo giuridico di ispirazione kelseniana e dell'economia pianificata, ma anche un convinto e fermo assertore dell'indispensabile nesso tra istituzioni liberali e mercato. Facile immaginare, quindi, perché mai l'attenzione per il suo ‘individualismo integrale’ e per la sua concezione del liberalismo sia stata scarsa. Ma se questo è in generale spiegabile tenendo conto dell'egemonia che allora più di ora esercitavano la cultura marxista, azionista e cattolica, ciò che è difficile comprendere è come mai nell'ambito della cultura liberale l'opera di Leoni abbia subito un analogo destino. Per spiegare tale circostanza è doloroso ricordare che solo in tempi recenti, nel suo ambito, si è manifestata un deciso rigetto di quell'eredità crociana che aveva negato il nesso tra mercato e istituzioni politiche liberali, dando così vita alla credenza, tutt'ora diffusa, secondo la quale si poteva essere liberali per credendo che il mercato dovesse essere subordinato all'etica e alla politica. Una credenza, questa, che, al di là delle sfumature, costituisce il punto in comune tra marxisti, azionisti, gentiliani, crociani e cattolici, e che sarà destinata ad avere un'influenza di primo piano nelle vicende politiche italiane. Leoni –che pure aveva partecipato alla Resistenza, e da eroe– aveva poco in comune con quella che possiamo definire l'‘ideologia repubblicana’; e i suoi punti di riferimento, come ben mostrano La libertà e la legge (e non solo perché opera destinata ad un uditorio internazionale), e molti dei suoi saggi –tra i quali la piccola monografia dal titolo Il pensiero politico e sociale dell'Ottocento e del Novecento– non erano nella cultura filosofico-politica italiana. Il suo stesso liberalismo era di matrice empiristica, attento alla concrete condizioni istituzionali della libertà individuali e legato alla grande tradizione anglosassone del Rule of Law, piuttosto che, come quello crociano, all'idealismo e ad una ‘religione della libertà’.Che Leoni sia stato un pensatore di salde e profondamente motivate convinzioni liberali è noto, ma questo non ha impedito che l'impatto e l'influenza delle sue idee nella cultura liberale italiana sia stato pressoché analogo alla traccia che tali idee hanno esercitato nella cultura accademica. E non sto ad approfondire quanti, anche in questo campo, ne portino la responsabilità. Si tratta comunque di una responsabilità rilevante, anche perché la sua mancata influenza non può essere disgiunta dalla crisi della cultura liberale italiana e dall'uso ed abuso che viene ora fatto del termine liberalismo.
Le ragioni di tale crisi non possono essere affrontate esaurientemente in questa occasione. E tuttavia non si può fare a meno di rilevare che una maggiore attenzione al pensiero politico di Leoni avrebbe potuto evitare da una parte l'infausta e sterile focalizzazione della cultura liberale sui nomi di Croce, Einaudi e Gobetti, e dall'altra parte che venissero spacciati per liberali pensatori che con la tradizione liberale avevano ben poco da spartire. Senza nulla togliere al rilievo storico e scientifico di Croce, Einaudi e Gobetti, si deve però riflettere sul fatto che la lezione di Leoni avrebbe potuto consentire alla nostra cultura politica un maggiore respiro. Proprio perché nella sua problematica si riflettono le tematiche più attuali e feconde della cultura liberale contemporanea.
La rinnovata attenzione nei confronti della figura di Leoni si lega così alle pagine recentemente dedicategli da Morlino, il quale ne ha richiamato il fondamentale contributo alla nascita della scienza politica italiana nel dopoguerra; e ad un piccolo, coraggioso e raffinato editore di Macerata: il dr. Aldo Canovari.
Come pensatore politico, e come direttore della rivista "Il Politico", l'attenzione di Leoni era infatti rivolta ai grandi temi della tradizione liberale e alle idee dei suoi principali esponenti. Basti citare Hayek, Mises, Buchanan. Leoni aveva così iniziato un'opera di rinnovamento della nostra cultura politica e giuridica che si è sfortunatamente interrotta con la sua morte, e che è ripresa solo molti anni dopo con il quasi contemporaneo interesse nei confronti dei presupposti teorici del liberalismo che –sia pure da posizioni filosofiche diverse e talora contrapposte– si è manifestato con l'attenzione per la filosofia politica di Rawls, Dworkin e Nozick, e per il liberalismo della Scuola Austriaca. L'interruzione di tale processo coincide con la recezione, la fortuna e la rielaborazione delle tematiche del positivismo giuridico, di Kelsen e della filosofia analitica nel campo della filosofia del diritto, con le applicazioni del paradigma neopositivistico, e delle teorie del ‘realismo politico’ nel campo della scienza politica. Non intendo tuttavia deprecare, né tanto meno esprimere un giudizio negativo su questi eventi –i quali hanno indubbiamente arricchito la nostra cultura politologica–, quanto sostenere che vi era in Leoni un nucleo problematico e teorico che non sfigurava affatto nei loro confronti, e che avrebbe meritato di essere ripreso e sviluppato più di quanto lo sia stato.Mi limiterò quindi ad accennare alle tematiche secondo me più importanti.
— La teoria del diritto come scambio di pretese soggettive, con la quale Leoni mostra come anche nell'età della democrazia politica sia possibile –dato che lo scambio di pretese soggettive è all'origine tanto delle regole del diritto, quanto delle regole del mercato– una fondazione del diritto e dell'obbligazione politica diversa da quella che le vede sorgere da una atto legislativo e perciò, in definitiva, politico.— La distinzione tra modelli politici fondati sul binomio Rule of Law - mercato, e modelli fondati sul binomio legislazione - pianificazione. Una distinzione che anticipa quella di Hayek e di Oakeshott tra modelli nomocratici e modelli teleocratici, e che, nel campo della teoria della comparazione dei sistemi politici, si configura come un paradigma alternativo a quello di ispirazione neo-positivistico.La rivalutazione della tradizione del Rule of Law intesa come presupposto del liberalismo e come fondamento istituzionale dei diritti individuali.
La preoccupazione per il problema della certezza del diritto nell'epoca che ha visto il trionfo, ed il contemporaneo fallimento, della credenza che soltanto la produzione legislativa del diritto avrebbe potuto assicurare quella certezza del diritto che la produzione giurisprudenziale non era ritenuta in grado di assicurare.
L'attenzione al rapporto tra politica, diritto e mercato e la denuncia dei pericoli insiti nel considerare il diritto e il mercato come strumenti per conseguire finalità etico-politiche .
La denuncia dei pericoli rappresentati dalla congiunzione di legislazione e statalismo per le libertà individuali e per la sopravvivenza della democrazia.
L'attenzione sulla necessita di riformulare la teoria della tripartizione dei poteri onde renderla compatibile con la teoria democratica salvaguardando e rendendo più marcata la distinzione tra potere esecutivo, potere legislativo e potere giudiziario.
La necessità di ridiscutere i presupposti e i limiti della rappresentanza politica: ovvero di porre dei limiti effettivi al potere dei politici-legislatori.
Sono solo alcuni dei problemi affrontati oltre trent'anni fa da Leoni. Il fatto che oggi li sentiamo quanto mai attuali sta a significare che la sua opera ha resistito al mutare del tempo poiché ha il respiro dei classici. Non è quindi un caso che essa sia un classico della filosofia politica e giuridica liberale, ma la sua attualità indica anche che i problemi trattati e le soluzioni proposte vanno ben al di là del suo contributo alla tradizione politica liberale per configurarsi come una riflessione sui temi canonici della teoria politica.
Nell'ambito specifico della cultura liberale, il grande merito di Leoni è stato quello di aver esteso i principi fondamentali della filosofia delle scienze sociali della Scuola Austriaca al campo del diritto e di averlo fatto prima di Hayek. Non è questa l'occasione per fare un paragone tra il modo in cui tale estensione è stata compiuta da Leoni e il modo in cui è stata compiuta da Hayek. Mi limiterò a dire, e non sono il solo, che Hayek deve a Leoni più di quanto non gli riconosca; anche se è vero che riguardo al non secondario problema della legislazione le loro opinioni erano discordi. Leoni, come chiaramente appare da La libertà è la legge, era infatti contrario a qualsiasi forma di produzione legislativa del diritto, Hayek, invece, era favorevole; a condizione, però, che essa fosse limitata alle norme di condotta universalizzabili, e che tale produzione avenisse in un quadro istituzionale improntato ad una rigida distinzione tra potere esecutivo e potere legislativo.
Non è quindi un'esagerazione sostenere che Freedom ad the Law sia, accanto a The Constitution of Liberty di Hayek, e a Capitalism and Freedom di Friedman, tra le opere che hanno segnato il revival del liberalismo del Novecento, dandogli un impulso che non si è esaurito, proprio perché in quelle opere è contenuta quella rifondazione teorica che ha consentito al liberalismo di affrontare i problemi del mondo contemporaneo. Tuttavia, come già detto, tutto ciò non è stato da noi avvertito con la necessaria chiarezza, e questa rifondazione, insieme alle prospettive che apriva, è passata quasi inosservata. Si tratta però di problemi quanto mai attuali: soprattutto in un momento storico e politico in cui si avverte l'urgenza di una separazione rigorosa e precisa tra potere esecutivo e potere legislativo e di una ridefinizione del rapporto tra liberalismo e democrazia alla luce delle mutate ed accresciute competenze attribuite allo stato e della sua reale capacità di farvi fronte.
Consapevole delle implicazioni politiche della questione, mi limito ad accennare a tali problemi. Tuttavia, non mi sembra possibile fare a meno di rimarcare la stretta attualità del pericolo denunciato da Leoni: la sorte delle liberta individuali in un contesto istituzionale in cui il parlamento assomma il potere di stabilire il diritto, di esprimere il capo dello stato e dell'esecutivo, di nominare i membri delle istituzioni e i responsabili degli enti di gestione dello stato interventista.
In questa prospettiva, quello che era il principale interrogativo di Leoni: se sia bene che i politici facciano anche le leggi, è un interrogativo non solo quanto mai attuale, ma destinato anche a restare tale. E questo, proprio perché in esso si riflette il nucleo teorico della filosofia politica liberale la quale non si configura tanto come una giustificazione dello stato, quanto come un tentativo di porre dei limiti reali all'esercizio del potere politico, configurandosi quindi come una riflessione sul miglior ordine politico.
L'opera di Leoni, in definitiva, rimane un classico perché affronta il problema classico della filosofia politica: se sia preferibile un governo degli uomini o un governo della legge. E dalla sua risposta, al pari delle sue motivazioni, abbiamo ancora molto da imparare. Soprattutto in un momento in cui lo stato, il quale non è che una soluzione storica al problema dell'associazione politica, appare ormai incapace di assicurare l'ordine e la previsone degli esiti dello scambio delle pretese soggettive in un ambito territoriale definito ma esposto alle conseguenze di dinamiche internazionali che non può regolare, né controllare. Ma nel momento del tramonto della concezione dello stato come creatore dell'ordine tramite i due strumenti della legislazione e della pianificazione economica, assistiamo anche al sorgere di nuovi interrogativi sulla politica. La nostra concezione della politica e della sua funzione è infatti intimamente connessa alla concezione dello stato che si è affermata negli ultimi secoli. Diventa così evidente che il rapporto della politica con le sfere della vita associativa come l'informazione, l'economia e il diritto, che più di altre risentono del mutare di contingenze internazionali che la politica nazionale non può più dominare, deve essere rivisto.
Ciò che Leoni aveva capito già trenta e più anni orsono. |
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