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GIANCARLO BOSETTI

Domanda: Dottor Bosetti, Lei è vice-direttore del quotidiano "L'unità", già organo del partito comunista italiano. Nei decenni scorsi ha sicuramente assistito ai dibattiti svoltisi intorno alla filosofia politica di Popper. Come è nata la sua proposta di considerare Popper come un importante punto di riferimento per la sinistra post-comunista?

Risposta: È stato fin dagli anni ottanta, quando i regimi comunisti dell'Est europeo avevano non solo perso ogni attrattiva (questo era accaduto già molto prima) ma apparivano sull'orlo di una crisi disastrosa, io ero interessato all'idea di conoscere personalmente Karl Popper. Nella sinistra italiana, e nel giornale in cui lavoravo, si erano create nel 1988 con la segreteria di Occhetto le circostanze favorevoli per l'incontro con le maggiori figure del pensiero liberale contemporaneo. Questo era possibile per due ragioni: prima di tutto perché i mesi che precedettero e seguirono la "svolta della Bolognina" furono di grande fermento, vivacità e apertura mentale, e poi perché quella stessa svolta rendeva la vicenda del Pci e della sua trasformazione interessante sul piano internazionale. Io ero interessato a conoscere e a trarre iniziative giornalistiche dagli incontri con intellettuali come Ralf Dahrendorf, Amartya Sen, Michael Walzer, Isaiah Berlin, Karl Popper, Albert Hirschman. E loro dimostravano interesse per le mie proposte.

D. Come e quando ha conosciuto Popper?

R. L'ho conosciuto prima attraverso un rapporto telefonico e poi andandolo a trovare nel 1889. Ho raccontato questi vari incontri e gli scambi di lettere e fax che li hanno preparati consentendo di realizzare diverse interviste per "l'Unità" e due libri, tra il 1991 e il 1994, anno della sua morte, nelle introduzioni a La lezione di questo secolo (Marsilio, Venezia 1992) e a Cattiva maestra televisione (Reset, Milano 1994), che lei conosce. Lì ho spiegato estesamente sia le mie aspettative che le reazioni di Popper alla mia curiosità. Io volevo riprendere il discorso della sua critica al marxismo, lui riteneva più interessante sviluppare temi di attualità (la crisi balcanica, le ricerche storiche su Kruscev e Sacharov, la televisione). Sul piano del suo orientamento politico mi è stato subito chiaro che la sua visione della società aperta era in quegli anni, dopo la caduta del comunismo, da lui interpretata in una chiave progressista, riformista. Si stava avvicinando, sia con le sue dichiarazioni che con alcuni saggi dell'ultimo periodo, alle posizioni del riformismo socialdemocratico. Non aveva alcun timore di apparire troppo interventista, contraddiceva esplicitamente il liberismo che pure aveva sostenuto in periodi precedenti. La caduta del comunismo era come liberatoria: sconfitta la società chiusa, la società aperta non aveva da farsi troppi scrupoli nell'usare gli strumenti dello Stato. La visione di Popper era diversa da quella di Mises e Hayek. Lo ha visto bene un francese, uno dei pochi che ha studiato il Popper degli ultimi anni, Jean Baudouin (La philosophie politique de Karl Popper, Puf, Paris 1994) e lo ha recentemente riconosciuto Dario Antiseri: è un errore quello di identificare Popper come uno dei teorici del neoliberalismo. La sua simpatia per la destra liberale, e anche per la Thatcher, erano dovute al suo impegno prioritario contro il comunismo.
Una volta caduto questo, il filosofo liberale poteva tornare alle sue istintive propensioni progressiste. Un discorso analogo a quello che può essere fatto anche per Berlin.

D. Quali reazioni ha suscitato negli ambienti intellettuali della sinistra degli anni novanta la simpatia da Lei mostrata nei confronti di un ex-avversario come Popper?

R. Ha suscitato generalmente reazioni positive ma, salvo qualche eccezione, superficiali. E anche alcune reazioni negative da parte dei marxisti e dei socialisti più legati all'ideologia del movimento operaio. In generale a sinistra il pensiero di Popper è poco conosciuto e non si può dire che sia avvenuto un confronto approfondito con la critica popperiana del determinismo storico, dell'ingegneria sociale, del costruttivismo utopistico e con la sua teoria democratica. Fa eccezione naturalmente Norberto Bobbio, che recensì favorevolmente fin dalla sua uscita, nel 1946, la Società aperta e i suoi nemici, cogliendone subito l'elemento essenziale, lo spostamento della domanda fondamentale: non "chi governa", ma "come".

D. Quali ritiene che siano stati gli errori - se di errori si può parlare - compiuti in passato dalla sinistra italiana nei confronti del pensiero politico di Popper?

R. L'errore fondamentale della sinistra italiana, di quella comunista in particolare, è stato quello di non averne accolto la teoria democratica, la sua visione della democrazia fondamentalmente come strumento di tutela nei confronti del totalitarismo. Nonostante l'evoluzione benigna del Pci attraverso l'acquisizione di una pratica democratica nei decenni del dopoguerra, è rimasto fino ad anni molto recenti un residuo di ambiguità nella sua concezione della democrazia. Con la diffusione del pensiero di Popper sono convinto di avere contribuito allo sviluppo, per quanto tardivo, di una cultura democratica di questa parte della sinistra. Questo sforzo è stato accolto positivamente da diversi studiosi liberali italiani che si erano adoperati molto prima di me per la diffusione del pensiero di Popper. Voglio citare tra tutti Dario Antiseri, il traduttore della Società aperta e i suoi nemici, che non riuscì a pubblicare quel testo fino al 1972. Proprio come Popper, anche Antiseri reagì alle proposte di iniziative comuni da parte di uno, come me, che rappresentava "l'Unità" e dunque gli ex-comunisti, senza alcun risentimento e con uno spirito generoso di collaborazione. Io sono tuttora loro grato di una cortesia che so peraltro corrispondere, oltre che a una dote umana, alla convinzione liberale che la conoscenza procede attraverso gli errori e che con gli errori dobbiamo imparare a convivere. Sostenere un'opinione sbagliata e difenderla nonostante le smentite della storia per puro desiderio di coerenza è una follia autodistruttiva. Cambiare opinione è umano, correggere gli errori è necessario. Anche questo è un campo in cui Popper ha molto da insegnare.

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