Condividi |

ANGELO MARIA PETRONI

Domanda: Professor Petroni, come animatore del Centro Einaudi di Torino Lei ha senz'altro avuto modo di osservare l'atteggiamento prevalente tra i liberali italiani prima e dopo lo scoppio dell'epidemia di popperite dei primi anni ottanta. Qual era questo atteggiamento, e come mai gli intellettuali liberali si accorsero così tardi di Popper?

Risposta: Ma guardi, io degli intellettuali italiani non direi che si accorsero tardi di Popper. Alcuni di essi si accorsero molto presto di Popper e cercarono in ogni modo di non parlarne e cercarono in ogni modo di evitare che venisse diffuso. Quindi non direi che Popper non fosse conosciuto. Non lo era certo molto, ma non meno di altri autori, voglio dire. Io non vedo alcun trattamento differenziato di tipo conoscitivo nei confronti di Popper. Semmai c'è una differenza molto evidente rispetto ad altri autori, per il fatto che si è cercato di ostacolare la diffusione del suo pensiero e si è cercato in qualche modo di criticarlo al di là della ragionevolezza.
Io credo quindi che Popper sia un autore che in Italia è stato letto da molti, non meno di altri autori, ma che si è cercato di non far conoscere troppo. Quando lo si è diffuso, poi, lo si è diffuso trattandolo quasi come un cretino: basti pensare alla prefazione di Carlo Montaleone alla Miseria dello storicismo di Popper per l'editore Feltrinelli - la prima edizione, naturalmente (1975). Quindi io credo che ci sia stata nei confronti di Popper non so se una "congiura", come dice autorevolmente Dario Antiseri; sicuramente c'è stato un atteggiamento di disprezzo ed un tentativo di minimizzazione nei confronti del suo pensiero. Questo è stato fatto da parte degli intellettuali di sinistra, soprattutto, ma anche da parte di intellettuali cattolici, che l'hanno sempre considerato qualcuno di cui non valesse la pena di discutere.

D. Indifferenza o quale atteggiamento, invece, da parte dei liberali, anche tenuto conto che si trattava pur sempre di una minoranza?

R. Da parte dei liberali... Vede, io non sono poi così vecchio per ricordarmi molte cose. Tutto sommato io mi ricordo bene quello che capitava all'interno degli intellettuali vicini al partito liberale, a partire almeno dagli anni Settanta. Nei confronti di Popper non è che ci fosse poi tanta ostilità, francamente. Questa mi sembra una sciocchezza. Io mi ricordo che intellettuali liberali dell'epoca, e parlo degli anni '70, '75, '76, gente come Giuliano Urbani o Salvatore Carrubba o Stefano Monti Bragadin, erano tutti estremamente favorevoli a Popper, pubblicavano Popper, traducevano articoli di Popper, il giornale del partito liberale, "L'Opinione", pubblicava continuamente cose su Popper, nel '77 o '78 pubblicò un lunghissimo dibattito su Popper. L'idea che gli intellettuali liberali abbiano osteggiato Popper è un'emerita fesseria degli intellettuali di sinistra, che cercano come al solito di proteggere le loro schifezze, di giustificare le loro schifezze. Dire che nessuno ne parlava, nemmeno gli intellettuali liberali, non è vero per niente. Gli intellettuali liberali di Popper hanno parlato: la rivista "Controcorrente" di Monti Bragadin lo pubblicava; così "L'Opinione". Parlo del '76-'77, quegli anni lì. Parlo di ventidue anni fa, non dell'altro ieri. Non parlo della mania scoppiata nei primi anni Ottanta, quando anche Berlinguer diceva, nell'Ottantadue, che voleva rinascere una seconda volta, far l'epistemologo e studiare Popper. Queste erano sciocchezze che servivano a condire un impegno politico ignobile secondo ogni standard occidentale.

D. Molto forti queste dichiarazioni...

R. Prego, le scriva pure, guardi.

D. Quando nel gennaio 1983 si svolse il convegno Individuale e collettivo, quale accoglienza e quale attenzione ricevette Popper? E se ne mostrò sorpreso o infastidito?

R. No, guardi, fu molto divertito. Popper era un grande vanesio, gli faceva piacere che ci fosse tanta gente intorno a lui. Poi, come tutti i vanesi, faceva finta che gli desse fastidio la folla, mentre in realtà adorava solo quello. Ci fu una grande accoglienza di pubblico a Torino ed una grande accoglienza di pubblico a Milano. Il "Times" mandò una giornalista, Felicity Jones, che scrisse di questo avvenimento in prima pagina sul "Times" e poi dedicò una pagina anche su "The Times Higer Education Supplement", e scrisse che Popper aveva imparato che in Italia gli epistemologi sono trattati come stelle del football, e di tutto ciò Popper era solamente contento e felice. Gli piacevano la folla ed il successo, era uno dei limiti di un grand'uomo, però molti di questi ne hanno. Del resto non ci vedo niente di male.
In questo era diverso per esempio da persone come Hayek, personaggio che ho conosciuto piuttosto bene, al quale del successo pubblico non importava assolutamente nulla. Ed aveva ragione. Hayek non credeva affatto che bisognasse aver successo, l'idea di Hayek era che bisognasse aver ragione. Il successo seguiva, eventualmente, e se non seguiva, non cambiava niente. Era decisamente una diversa tempra di personalità rispetto a Popper.

D. Lei ha curato l'edizione italiana del testo della maturità di Hayek, Legge, legislazione e libertà. Al pari di Popper, anche Hayek rimase a lungo sconosciuto in Italia. Ritiene ci sia una sostanziale affinità tra la sorte di questi pensatori le cui vicende presentano anche altre somiglianze e sovrapposizioni?

R. Guardi, io credo che ci siano più differenze che affinità tra le sorti italiane di questi due autori. Evidentemente ad entrambi è successo che la sinistra abbia cercato di tenerli ai margini, li abbia trattati male... con una differenza: mentre Popper ha una filosofia politica talmente debole, rispetto a quella di Hayek, ha una pars costruens liberale così debole rispetto a Hayek, e con risvolti socialdemocratici, umanistici, qualunquistici e qualsiasi altra cosa uno voglia, che la sinistra alla fine è riuscita a metabolizzarlo; evidentemente, invece, con Hayek non c'è riuscita. E questo perché non è possibile riconvertire Hayek al "buonismo" socialdemocratico o a cose di questo tipo. È molto difficile, in realtà, farlo anche con Popper sul serio. In un'antologia che pubblicai ormai tantissimi anni fa, nel 1981, distinguevo tra quello che c'era di interessante in Popper e quello che non c'era: e c'erano molte cose interessanti in Popper e che erano strettamente liberali, poi cerano diverse cose che potevano esser interpretate in maniera socialdemocratica e che di interessante non avevano niente, come l'affermazione che in una società è meglio avere una democrazia piuttosto che una dittatura, che è bene che i poveri non muoiano di fame, che quando uno fa una riforma ci deve pensare bene perché deve pensare alle possibili conseguenze; tutte queste osservazioni, evidentemente, uno le interpreta in maniera socialdemocratica, ma anche in maniera fascista o come gli pare. Siccome però in Popper c'è una grande quantità di analoghe affermazioni, allora sono possibili in quantità operazioni come quelle compiute da Bosetti con "Reset". Si può anche dire che Popper era un socialdemocratico, ma, come dire, perché no? Pigliatevelo! Non è questo il problema.
Certo con Hayek questo non è possibile. Ed infatti nel caso di Hayek notiamo che ormai è diventato un personaggio piuttosto noto, evidentemente, tra gli studiosi, ma non certo al livello di dimensioni di massa, di penetrazione in quello che Hayek chiama il livello dei "rivenditori di seconda mano". Hayek diceva sempre che il liberalismo non è che mancasse di intellettuali, perché gli intellettuali liberali, da sempre, sono stati di più e più importanti rispetto agli intellettuali socialisti o comunisti, soltanto che il liberalismo mancava di "rivenditori di seconda mano" delle idee: insegnanti di liceo, quelli cattivi, non quelli bravi, i giornalisti di serie B, i direttori di biblioteche comunali nell'Emilia Romagna, tutto un insieme di personaggi nei confronti dei quali è possibile rivendere Popper per riciclarlo come autore riformista, ma non è possibile rivendere loro Hayek, che ha una visione liberale più coerente e più argomentata. Poi ci sono pezzi della sinistra che questa operazione invece l'hanno fatta. Penso per esempio a Michele Salvati, o intellettuali della sinistra cattolica come Stefano Zamagni, che da intellettuali di ottimo livello, molto onesti, si sono posti il problema di fare i conti con Hayek. Per fortuna, voglio dire. Questo atteggiamento, il riconoscimento della necessità di fare i conti con Hayek, non ha però certo riguardato i "rivenditori di seconda mano", ma ha riguardato alcuni pochi intellettuali, i pochi veri studiosi della sinistra; gli altri semplicemente non sono in grado di farci i conti. Così ci metteranno altri quindici anni, come al solito, poi un giorno capiranno... Sono molto fiducioso: la sinistra alla fine impiega tra i quindici anni ed il mezzo secolo per capire certe cose, ma alla fine, poveretti, riescono a capire qualcosa anche loro. Ci vuole un po', ci vuole. Il loro problema è che mancano di strumenti mentali. È talmente evidente il loro fallimento intellettuale e la loro rincorsa verso il liberalismo, sempre almeno quindici anni dopo... Aveva ragione del resto Friedman quando diceva che i socialisti sono falliti come commercianti all'ingrosso e cercano di rivendersi come commercianti al minuto.

D. Come nacque il numero monografico che, nel 1982, "Biblioteca della libertà" dedicò a Popper?

R. All'epoca la rivista era diretta da Giovanna Zincone, che insegnava Scienza della politica a Torino, o Dottrine politiche, non mi ricordo, e che era stata una borsista di Sartori. Per noi degli ambienti liberali, benché di diversa tendenza - Giovanna Zincone era una liberale di sinistra molto più di quanto non sia io -, all'epoca Popper, non dico che fosse già una lettura vecchia, ma quasi. Noi avevamo pubblicato sulla nostra rivista articoli di Popper molti anni prima; uno dei fondatori del 'Centro Einaudi' fu Bruno Leoni, che era stato segretario e presidente della 'Mont Pelérin Society' di cui Popper era membro, per cui Popper per noi non rappresentava nulla di misterioso. Quando decidemmo di fare il numero monografico su Popper, io ero arrivato al 'Centro Einaudi' da un po' di tempo, dal 1980 dopo i miei studi a Lovanio; si discuteva di quali numeri fare, e decidemmo di fare un numero su Popper. Ma lo facemmo più perché cominciava ad esserci interesse da parte della sinistra piuttosto che da parte nostra. Per noi non è che fosse un autore - tra virgolette - "superato", ci interessava però di più discutere nemmeno di Legge, legislazione e libertà di Hayek, ma già del successivo Hayek, c'erano tanti altri temi che ci interessavano, ma facemmo un numero monografico su Popper perché curiosamente, a distanza di trentacinque-quarant'anni, la Società aperta di Popper interessava la sinistra e cominciava a diffondersi in Italia. Noi quel libro l'avevamo già letto tanti anni prima, ne avevamo tratto quel che c'era da trarne, ma già ci interessavamo di altri temi. Noi Popper l'avevamo pubblicato quindici anni prima.
Non vorrei che lei scambiasse queste cose per una sorta di disdegno aristocratico di quelli che arrivano prima. Qui non si tratta di stabilire chi è il primo, chi il secondo. Il problema intellettuale che bisogna risolvere è capire perché la sinistra scoprì Popper soltanto in un'epoca in cui gli intellettuali liberali lo conoscevano già e lo consideravano come un autore che aveva già dato un notevole contributo, ma da cui non c'era più da aspettarsi molto. Il problema è perché oggi non si faccia la stessa cosa nei confronti di Hayek, o per esempio nei confronti di Richard Posner e nei confronti di cento altri autori della scuola di "Law and Economics". Questo è il ritardo culturale di questo paese dovuto fondamentalmente al mondo della sinistra laica e cattolica. Purtroppo Norberto Bobbio non ha fatto niente di meglio di quanto abbia fatto Gruppi, sostanzialmente, per far conoscere questo tipo di cose. E non dico che si trattasse di diffonderle, ma almeno di discuterne. Il problema non è certo di crederci in queste teorie, ma il fatto di non parlarne, o parlarne con un senso di disprezzo non contribuisce certo alla crescita culturale di un paese. Mi torna alla mente la circostanza demenziale per cui proprio un allievo di Gioele Solari come Norberto Bobbio ha propagandato il Positivismo giuridico in questo Paese per mezzo secolo, ignorando o fingendo di ignorare che al mondo esisteva altro che il Positivismo giuridico. Ignorando completamente la Scuola di Chicago, ignorando completamente Hayek, ignorando tutto e facendolo evidentemente apposta. Soprattutto non confrontandosi. La cosa che mi dispiace soprattutto della sinistra - ciò per cui li considero intellettualmente inferiori, e lo dico in maniera oggettiva, sono intellettualmente inferiori ai liberali - consiste nel fatto che non si pongono mai il problema del confronto. Non se lo pongono forse perché hanno paura, non so perché, ma oggettivamente non se lo pongono. Credo che con Popper si sia trattato di un fenomeno analogo. Non si sono confrontati con Popper, mai, non lo hanno fatto finché non è arrivato l'ordine: "Compagni, Popper è uno dei nostri!", quando sono riusciti a convertire Popper in un teorico della democrazia. Laddove è impossibile farlo, non se ne parla.

Frédéric Bastiat

Baldassarre Labanca
Bruno Leoni
Nicola Matteucci
Giovanni Sartori
Interviste su Karl Popper
I Levellers della rivoluzione Inglese