Intervista a Giulio Giorello
Giulio Giorello è ordinario di Filosofia della scienza all'Università degli Studi di Milano, membro del Comitato Scientifico di Societa' Libera. In occasione del convegno Liberalismo e democrazia hanno futuro?, abbiamo incontrato il filosofo, che è stato tra i relatori del convegno, per fare il punto sui rapporti tra liberalismo e cultura scientifica nella società italiana.
In che modo il processo di liberalizzazione della società italiana passa attraverso un'adeguata educazione scientifica?
La modernizzazione e la liberalizzazione del Paese passano fortemente dall'impresa scientifica, che è uno dei migliori esempi di protezione del dissenso e di aggregazione del consenso: una specie di circolo in cui consenso e dissenso si sostengono vicendevolmente. Certo, il mondo scientifico è un mondo di uomini, e ha conosciuto controversie, polemiche e scontri. Ma si tratta di elementi che, se anche evidenziano aspetti umanamente negativi, sul lungo termine si rivelano invece produttivi di nuova conoscenza.
In questo senso sono d'accordo con chi, come Paolo Rossi, che l'ha rilevato recentemente sulla rivista Darwin, individua il primo vero esempio di libertà politica nella Repubblica delle lettere, ovvero ciò che per Galileo è la comunità scientifica. Ciò fa capire come l'educazione scientifica non sia solo importante, ma "portante", nel senso di fondamentale per l'essere umano.
Com'è il quadro complessivo, in Italia?
Pessimo. La ricerca scientifica è una cenerentola, non si capisce la differenza tra ricerca pura e ricerca applicata e come l'una sia funzionale all'altra. Si parla di chiudere il centro di Studi di Alta Matematica, si devono fare battaglie di retroguardia, e sottolineo "retroguardia", per mantenere l'insegnamento di Darwin e dell'evoluzionismo nelle scuole. Ancora: dobbiamo fare i conti con pesi morti e frenanti quali le commissioni di bioetica, strumenti tipicamente illiberali pensati per bloccare la ricerca scientifica. In queste commissioni, in Italia, si chiamano rappresentanti delle varie culture religiose, profeti, santoni, filosofi "laici" che, come Heidegger, pensano che la scienza non pensi. Altrove, come nel Regno Unito, i memorandum per Tony Blair li scrive gente come Richard Dawkins. Là, le commissioni le formano sulla base delle competenze scientifiche, lasciandosi guidare dall'obiettivo del "public understanding of science", di una comprensione della scienza a carattere pubblico, cioè per l'intera società. Da noi, le commissioni sono lottizzate dai partiti e dalle istituzioni religiose, che vi piazzano i loro rappresentanti e i loro imam.
C'è una ragione per questo stato di cose?
Sotto un profilo storico, scontiamo gli sciagurati giudizi di Benedetto Croce sulla cultura scientifica. Per lui, la scienza era un "sapere positivo e non dialettico". A ciò va aggiunta la tradizionale diffidenza delle forze popolari verso il sapere scientifico. Per quanto riguarda i cattolici, il caso Galileo è emblematico. Per quanto riguarda la sinistra, bisogna ricordare come Togliatti fu sempre acquiescente nei riguardi di Stalin anche in ogni aspetto culturale. Per tutti questi motivi, la scienza non è nel cuore di molti dei nostri intellettuali. Da par mio, sono piuttosto perplesso che possa affermarsi in Italia un'idea della scienza diversa da quella di cui ho detto, complici gli interventi, da sinistra con l'ex ministro Berlinguer e da destra con l'attuale ministro Moratti, sulla scuola: entrambi coerenti nello sfasciare senza costruire alcunché di adeguato.
Tutto ciò impedisce che il circolo virtuoso consenso-dissenso messo in moto dall'impresa scientifica, di cui ha parlato in precedenza, contribuisca ad affermare regole e metodi del liberalismo anche in altri settori, come la politica o l'economia?
Diciamo che in campi quali politica ed economia il rischio è che si determini la tirannia della maggioranza, grazie anche all'azione di quegli ingenui apologeti che non comprendono i meccanismi della critica sottostanti a suddetto circolo virtuoso. Contro costoro e contro quella possibile tirannia, la miglior arma è leggere Thomas Jefferson.
Pare di capire che l'orizzonte non è dei migliori.
Non lo è, vedo un progressivo imbarbarimento sociale. Condivido quindi il pessimismo espresso al convegno da Sergio Romano, Ferruccio de Bortoli e da Piero Ostellino. Ma, come ha detto de Bortoli, non possiamo arrenderci. Io non voglio vivere in un'Italia cattocomunista, statalista o in una società in cui, secondo le regole dei comunitarians, l'individuo debba soccombere alla comunità. Dobbiamo alzarci in piedi e rispondere alle minacce fondamentaliste con un liberalismo combattivo che non abbia paura di pestare sui denti i suoi nemici.
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