Intervista a Salvatore Carrubba
26 gennaio 2004.
Fiore all’occhiello della Giunta Albertini, della quale è Assessore alla Cultura da sette anni, Salvatore Carrubba vanta un curriculum liberale di tutto rispetto. Nato a Catania nel 1951 e laureato in Giurisprudenza a Milano, è stato direttore della Fondazione Einaudi, di “Mondo Economico” dal 1990 al 1993 e de “Il Sole 24 Ore” dal 1993 al 1996. Nel 1997 è stato anche direttore editoriale del gruppo “Sole 24 Ore”. Tra i suoi libri, “La trasparenza difficile. Storia di due giornali economici: il Sole e 24 Ore” (Sellerio, 1990, con Piero Bairati) e “Una bussola per il Nord” (Sellerio, 1993). Componente del Comitato Scientifico di Società Libera, ha rilasciato questa intervista in occasione del nostro convegno milanese sulla classe dirigente.
- A dieci anni dalla nascita quale bilancio si può fare di Forza Italia, il primo partito liberale di massa italiano?
Da osservatore esterno, perché tale io sono, visto che non mi sono mai iscritto a FI, faccio un bilancio d’attesa. Il consenso ricevuto nel 1994 fu un’esperienza straordinaria. È stato incredibile che così tanti elettori votassero un partito dichiaratamente liberale e liberista. Certo, non si può dire che Forza Italia abbia mantenuto le promesse, realizzando le riforme liberali annunciate, dalla lotta alle corporazioni alle liberalizzazioni alle privatizzazioni. Mi piacerebbe sapere se questi valori liberali siano veramente condivisi in Forza Italia, ma temo prevalga anche lì una cultura democristiana-consociativa.
- Perché in Italia le idee liberali faticano così a prendere piede?
Storicamente la nostra è una cultura corporativa, una cultura, va detto, che ha avuto anche una sua efficacia. Nel Quattrocento a Firenze se volevi fare il pittore dovevi iscriverti alla corporazione. Però da quel sistema lì veniva fuori anche un Botticelli. Il dramma è quando, come succede oggi, il sistema corporativo non fa nemmeno più la selezione.
Ricordiamo sempre qual è la nostra storia quando pensiamo alle difficoltà del liberalismo: le corporazioni, i dazi tra città e città, ecc. Certe cose entrano nella psiche di un popolo. Il nostro, inoltre, è un Paese che non crede nel conflitto.
- Che ruolo ha avuto il cattolicesimo nell’ostacolare il diffondersi del liberalismo?
Ha giocato un ruolo anti-liberale, ma la mancata diffusione del liberalismo non la si può ascrivere solo al cattolicesimo. C’è stato il gentilismo, il marxismo, il gramscismo. E non dimentichiamo, poi, che nel cattolicesimo c’è stato anche un filone liberale (Rosmini, Sturzo).
- Un altro fattore, in questo senso, è dato dall’egemonia culturale della sinistra. Esiste ancora?
Sì, esiste ancora, anche se non è più organica al partito, come una volta. Si può invece parlare di conformismo ideologico, di correttezza politica. Lo si nota in particolar modo nel mondo dell’informazione, un mondo che non riesce a trasmettere valori nuovi, non riesce a essere anti-conformista, non trasmette idee e dibattiti conflittuali.
- Tutto questo nonostante la posizione dominante di Berlusconi nel mondo dei media…
Berlusconi paga una strana legge del contrappasso per l’innegabile conflitto di interessi. Le televisioni berlusconiane, infatti, non fanno anti-conformismo né divulgano una cultura liberale, come dovrebbe essere nell’interesse proprio di Berlusconi, ma sono appiattite sul conformismo imperante.
- La contrapposizione tra destra e sinistra è totale, viviamo il bipolarismo in modo radicale. Ci mancano dei valori comuni condivisi?
Sì, è vero,ma come possiamo avere dei valori comuni e una storia condivisa dopo il fascismo e la guerra fredda? Per superare due periodi storici così difficili ci vuole tempo. Ci vuole anche rispetto per l’avversario, senza quale il sistema si inceppa. Ed è quello che sta succedendo oggi.
- Si parla di Italia in declino e, di conseguenza, anche di Milano in declino, ma una città sempre meno a misura d’uomo e sempre meno la locomotiva del Paese. Condivide?
No, credo che Milano non sia in declino e la conferma viene anche da una recente indagine de “Il Sole 24 Ore”. Se declino c’è è sul fronte dell’elaborazione del proprio futuro. In passato Milano sapeva produrre in clima condiviso. Tra tutte le classi dirigenti, dai politici agli imprenditori,dal sindacato alla Chiesa,tutti concorrevano in armonia al futuro della città. Ora è più difficile. La politica non ha più la funzione di regia che aveva una volta, la borghesia è in crisi. E così si fatica a porre delle basi solide per il futuro.
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