"Società Libera Informazione" n.
1 - 3 febbraio 2000
* AGENDA
- Scuola di liberalismo, Milano
Il 14 febbraio prenderà il via, l'edizione
2000 della "Scuola di liberalismo"
realizzata in collaborazione con la Fondazione Einaudi. La serie
dei venti appuntamenti verrà aperta da una lezione di Piero Ostellino, che
parlerà su "Il liberalismo prossimo venturo". Sarà poi la volta, il
18 dello stesso mese, di Giuseppe Bozzi e
della sua relazione su "I nuovi diritti
di libertà". Il mese di febbraio presenta anche l'appuntamento con Enrico
Cisnetto, lunedì 21, su "Il capitalismo del terzo millennio". Tutti gli
incontri avranno inizio alle ore 18 e si terranno presso l'European School
of Economics, in via Edmondo de Amicis 54.
- Circolo di Roma
Prosegue la programmazione degli incontri del
circolo romano e dopo i due appuntamenti
di gennaio (che hanno visto intervenire i professori Giuseppe de
Vergottini e Angelo Maria Petroni) il 17 febbraio sarà la volta del professor
Luigi Tivelli, che parlerà sul tema "L'esigenza di politiche liberaldemocratiche".
Come nei casi precedenti, l'incontro si terrà dalle ore
21 alle ore 23 nell'ufficio romano di Società Libera in via dei Prefetti 17.
- Circolo di Bologna
Venerdì 11 Febbraio Vincenzo Olita incontra
gli aderenti al Circolo di Bologna - Via
Riva Reno, 2 ore 21,00.
* LIBRERIA
- Il catalogo della Mostra "Il Cammino
della Libertà" pp. 151 L. 49.000
Chiusi i battenti della mostra tenutasi a
Milano dal 15 ottobre al 21 novembre,
quanti non hanno potuto recarsi al Castello Sforzesco possono ora "rimediare"
grazie alla pubblicazione del catalogo. Il volume può comunque essere
di grande interesse anche per chi ha già visitato la mostra. I testi introduttivi
delle cinque sezioni di cui si componeva la mostra e, soprattutto,
le lunghe didascalie permettono infatti di ripercorrere la storia
dell'idea liberale attraverso i fatti maggiormente
significativi e gli autori più eminenti.
Il cammino della libertà, Milano, Società
Aperta Edizioni, 1999 (02-97295339 -
e-mail: fgagora@tin.it).
- Per l'infanzia
Libro per i ragazzi scritto da un docente di
economia alla Hawai Pacific University di
Honolulu, Le avventure di Jonathan Gullible è un autentico
piccolo gioiello. Riallacciandosi alla grande tradizione della
favolistica politica anglosassone (da Defoe a Swift), Ken Schoolland
racconta la storia di un giovane che a seguito di una tempesta
approda in una strana isola del Pacifico in cui il potere tutto
vieta, disciplina, livella e prescrive. Grazie allo sguardo limpido
del piccolo Jonathan, il lettore è portato a comprendere quanto
folle possa essere un sistema sociale che ricorre di continuo alla
coercizione e alla violenza. Tradotto in più di trenta lingue in tutto
il mondo, questo libro merita di essere letto da tanti giovani: affinché
non ripetano gli errori commessi dai loro nonni e dai loro padri.
Ken Schoolland, Le avventure di Jonathan Gullible, Macerata, Liberilibri,
1999 (0733-232438; ama@liberilibri.it).
- Biblioteca della Libertà (settembre-ottobre
1999, n.151)
La rivista diretta da Angelo M. Petroni
nell'ultimo numero presenta un lungo
saggio sulla mostra milanese organizzata da Società Libera e anche
un articolo di Valerio Zanone a commento delle ultime elezioni europee. Interessanti pure gli interventi di
Hurd,
Ravina e Petroni. Il numero è chiuso da
un pezzo di Maffeo Pantaleoni: una conferenza che l'economista
tenne a Venezia il 6 aprile 1900 e in cui è possibile ammirare
quanto straordinaria fosse la capacità di analisi di questo studioso
(011-5591611; einaudi1@ipsnet.it).
* LA RECENSIONE
L. FENIZI, Il secolo crudele, Bardi, Roma,
1999 pp. 372 L.35.000
Un libro decisamente originale dal punto di
vista metodologico: un sapiente miscuglio
di storia, politica e letteratura che tradisce una lunga
e laboriosa ricerca sulla violenza di massa del Novecento, secolo di estremismi
e passioni. Il viaggio inizia con una
riflessione sulla Grande guerra che resta
- a giudizio dell'Autore - un' avvenimento ancora poco compreso; forse
uno dei "più enigmatici della storia moderna". (cit. p.X). Prima
ancora che tragico inciampo, infatti, il conflitto mondiale fu un formidabile
evento culturale che cambiò radicalmente gli uomini che vi presero
parte inducendoli a trasferire nella politica " l'insegnamento della trincea:
l'abitudine alla violenza, la semplicita' delle passioni profonde,
la sottomissione dell'individuo al collettivo e l'amarezza dei
sacrifici inutili o traditi.".(cit. p.33). Fu
dunque questo micidiale miscuglio di sentimenti l'humus spirituale che
consentì ai totalitarismi di affermarsi e affossare lo Stato liberale. Seguono poi una serie di interviste
immaginarie al centro delle quali si
trovano interessantissimi dialoghi; in particolare quelli fra Ernst Jünger
e Simone Weil e fra Jean-Paul Sartre e Albert Camus. Il
confronto Sartre-Camus e' decisamente suggestivo ma e'anche il piu' duro dal
punto di vista politico poiché richiama forte l'attenzione su
quello che Julius Benda defini' il "tradimento dei chierici", cioe'
la corruzione del compito degli intellettuali nel secolo delle grandi
ideologie. Gli intellettuali - conclude
quindi l'Autore - portano sulle spalle una
gravissima responsabilità: non aver avuto il coraggio di denunciare i pericoli
insiti nelle nuove religioni secolari e aver negato che nazismo e comunismo
avessero la stessa pretesa totalitaria. Il
frutto della loro debolezza è stato un'intero secolo di crudeltà.
GIANCARLO PAGANO [pubblicata in forma più
ampia su "LIBRO APERTO" ottobre-dicembre
1999 n.19]
-
ECOFORUM
Il Forum piu' frequentato e' stato quello su
"Liberalismo e/o Democrazia" e, com'era
prevedibile, il dibattito ha evidenziato due diverse posizioni. 1.
Da un lato, coloro che ritengono il liberalismo lotta per l'inclusione
nell'agone politico di ceti prima esclusi dal godimento di
determinate liberta'. Secondo questa tesi
il liberalismo non è in contrasto con la democrazia;
anzi la democrazia stessa viene a configurarsi come il naturale
completamento del liberalismo. Quest'ultimo, se vuole pienamente
legittimarsi fra le dottrine politiche del nuovo secolo,non puo'che
impegnarsi nel difficile tentativo di conciliare liberta' e giustizia
sociale poichè la convivenza e' una dinamica assai articolata e non
puo' essere ridotta alla sola logica economica. Qui
il riferimento concettuale e' Sen, ma anche studiosi del calibro
di Einaudi, Popper e Dahrendorf. Il problema vero, nell'epoca dell'economia
globalizzata,- dicono i sostenitori di questa posizione - è
quello di trovare formule idonee in grado di coniugare la regolazione cosciente
di processi societari compositi con l'indispensabile controllo dell'attivita'
statale. 2. Dall'altro lato ci sono,
invece, coloro i quali non soltanto ritengono
la democrazia inconciliabile col liberalismo, ma vanno oltre affermando
decisamente che la democrazia e', fra i regimi politici, il
piu' pericoloso perche' il piu' subdolo; quello che mentre sostiene a
parole la libertà d'iniziativa dei singoli, di fatto poi la comprime con l'aumento
vertiginoso delle tasse e la tracotanza delle burocrazie. Sicche'
parlare di "inclusione" e' altamente fuorviante; allargare il perimetro
del potere significa irrobustire ed estendere pericolosamente la sfera
della gestione statale con tutto quel che ne consegue
in termini di riduzione delle liberta' individuali. La
questione della giustizia sociale, quindi, non può e non deve essere un'impegno
dei liberali poichè - concludono i sostenitori di questa
posizione - in nome di questa giustizia si consuma un vero e proprio
abuso: una parte della societa' sfrutta e aggredisce - tramite la
tassazione e la legislazione - un'altra parte di societa'. I
riferimenti qui, sono senz'altro le potenti tesi di Hayek e Mises.
* COMITATO SCIENTIFICO
Riportiamo l'interessante articolo del Prof.
Angelo M. Petroni apparso la scorsa
settimana sul "Sole 24 Ore".
- Religione e Globalizzazione
Tra le tante questioni che la globalizzazione
economica pone alla riflessione dello
scienziato sociale vi è quella dei rapporti con le morali e
le mentalità religiose prevalenti nei Paesi industrializzati. Nel suo aspetto
più diretto la questione prende la forma di una domanda: se la globalizzazione
sia favorita oppure - come più generalmente si ritiene - sia ostacolata
dalle morali e dalle mentalità religiose, e semmai da quali specificamente. Vi sono pochi dubbi che la globalizzazione
dei mercati non è un fenomeno esogeno
rispetto all'economia capitalistica, ma ne costituisce l'esito dei meccanismi
gemelli di differenziazione e di espansione dei mercati, dei prodotti
e dei modi di produzione. L'apertura dei settori industriali e finanziari
dei principali Paesi del mondo era altissima alla vigilia della prima
guerra mondiale, e si dovranno attendere gli anni Ottanta per ritornare
ai livelli di allora. Porsi il problema
del rapporto tra religione e globalizzazione sembrerebbe
quindi in grande misura ripercorrere l'antica questione di Max Weber,
sulle radici protestanti del capitalismo e - di converso - sulla sua sostanziale
estraneità rispetto allo spirito del cattolicesimo. La
questione, come si sa, non ha avuto mai una soluzione, né sul piano storiografico
né su quello teorico. Ma senz'altro dai tempi di Weber molto è cambiato
nel quadro di riferimento teorico. Paesi fondamentalmente cattolici
come la Francia, la Spagna e l'Italia hanno avuto uno sviluppo notevole
del capitalismo. Paesi crocianamente "fuori dalla storia" come il Giappone, la Corea, Taiwan, Hong Kong, Singapore,
hanno avuto anch'essi un formidabile
sviluppo capitalistico. La questione weberiana perde quindi la sua
rilevanza teorica, nel momento in cui si è dimostrato che il capitalismo può
nascere e svilupparsi in società non soltanto non protestanti, ma addirittura
non cristiane. La Centesimus annus ha
introdotto indubbiamente un mutamento nella concezione
cattolica del capitalismo e del mercato. Ma anche dopo questa enciclica
sarebbe difficile credere che la Chiesa cattolica abbia accettato il
principio mondano e moderno della separazione tra morale ed economia. Non
l'ha accettato, e sarebbe francamente difficile che possa mai farlo. Questo
significa che la Chiesa ha riconosciuto una sfera di autonomia all'economia
di mercato intesa come "regno dei mezzi", ma questa - al pari di
ogni forma sociale ed istituzione opera dell'uomo - rimane gerarchicamente
(ed anche ontologicamente) subordinata al "regno dei fini" stabilito
ed ordinato dalla morale e dal magistero. L'economia
è quindi soggetta al giudizio della morale. E non può allora stupire
che, mutando rapidamente e profondamente i mezzi, la Chiesa si preoccupi
di giudicare se quelli nuovi siano conformi ai fini moralmente buoni.
Non potrà neanche stupire che la Chiesa si sia voluta esprimere in fatto
di mobilità dei capitali finanziari, di riallocazione degli investimenti
diretti, di regolamentazione del mercato del lavoro. I suoi costanti
richiami affinchè la globalizzazione non aumenti la ricchezza generale
a scapito però delle condizioni di una parte dei lavoratori e della
popolazione in generale, tanto dei Paesi poveri come di quelli ricchi, sono
anch'essi perfettamente comprensibili. Per
chi ritiene che il libero commercio porti sempre e comunque ad un miglioramento
delle condizioni di vita di tutti, e che il supposto peggioramento
delle condizioni di vita nei Paesi che iniziano ad industrializzarsi
e ad aprirsi al commercio internazionale sia soltanto un retaggio
della vecchia falsità storica sostenuta da Marx riguardo all'Inghilterra,
i pronunciamenti della Chiesa non pongono né problemi né offrono
materia di riflessione sostanziale. Del tutto diversa è ovviamente la
situazione se si condividono le posizioni del protezionismo in tutte le sue
sfumature, da quello tradizionale nazionalistico a quello dei "blocchi regionali"
di Jacques Delors. Per costoro il giudizio sui fini dato dalla Chiesa
si traduce immediatamente in un giudizio negativo sui mezzi - ovvero sulla
globalizzazione - perchè non esisterebbe differenziazione ed estensione
dei mercati, dei prodotti e dei modi di produzione che non risulterebbe
in un peggioramento delle condizioni della parte "più debole" dei
popoli. E' improbabile che la Chiesa
cattolica vorrà mai portare le sue analisi della
realtà economica e sociale del capitalismo e della globalizzazione sino
al punto da prefigurare una relazione biunivoca tra regno dei mezzi e regno
dei fini. Ciò è tipico della dottrina sociale della Chiesa, e non solo
di quella sociale. La stessa questione si pose all'epoca della Rerum novarum,
e diede luogo ad una annotazione ironica rimasta poi famosa: "Mater
magistra,
piace alla sinistra / Mater maestra, piace alla destra / E a guardar
bene dentro, piace anche al centro". Tuttavia
non si vede alcuna ragione per cui la Chiesa dovrebbe avere una opposizione
specifica nei confronti della creazione di un mercato mondiale, e
di istituzioni politiche che oltrepassino il dominio della sovranità degli Stati
nazionali. Gli Stati nazionali si sono ovunque formati contro l'universalismo
della Chiesa cattolica. "L'Europa dall'Atlantico agli Urali" non
fu certo uno slogan d'occasione degli inizi del pontificato di Giovanni Paolo II. Esso si poneva invece come ideale chiusura di un ciclo storico che
era
iniziato con l'alba degli Stati nazionali europei. "Muoio con il Papa e con
l'Europa" fu il lamento di Joseph de Maistre sul letto di morte. Se
si tiene tutto questo in considerazione, e non si bada poi troppo alle
dichiarazioni ed ai documenti papali ed episcopali che hanno così spesso
carattere occasionale, chiaramente funzionali alla cattura del consenso
delle masse del Terzo mondo, è difficile pensare ad una Chiesa cattolica
che non saprà cogliere nella globalizzazione economica, con il suo potenziale
di stravolgimento degli steccati nazionali, e la creazione di uno spazio
di interazione culturale, "spirituale", straordinariamente ampio, un'occasione
formidabile di diffusione del proprio messaggio evangelico e sociale,
preferendo invece contrastarla nel nome di inesistenti o remoti pericoli
per il benessere della parte più debole dell'umanità.
IL FRAMMENTO
"....la complessità, che non esclude il
limite e la contraddizione, reintroduce
alcune forme di incertezza produttiva e implica l'unificazione
di concetti apparentemente inconcialibili" da:
V. De Angelis, La logica della complessità, B. Mondadori, Milano,
1966 p.42
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