IL MANIFESTO LIBERALE SUL CRIMINE ORGANIZZATO
Il rapporto tra Stato e criminalità si è sviluppato
all’interno del binomio “troppo stato” - “poco stato”. Da una
parte il “troppo stato” ha contribuito ad alimentare le
organizzazioni criminali attraverso la spesa pubblica,
l’elefantiasi degli apparati burocratici e la complessità della
regolazione normativa, dall’altro il “poco stato” ne ha
sviluppato il ruolo di mediazione dei conflitti.
Il controllo penale non basta; se resta solo, fa funzioni di
supplenza alla mancanza di una efficace attività di prevenzione.
Questa dovrebbe passare per una robusta deregolazione della
presenza dello Stato nelle sue articolazioni burocratiche e
regolative, una costante e massiccia pratica della legalità,
dove dovrebbero costituire comportamenti esemplari proprio
quelli degli apparati politico- burocratici, unitamente ad una
maggiore etica della responsabilità individuale e collettiva da
parte della dirigenza del Paese nel suo insieme.
“TROPPO STATO”
Soprattutto nel mezzogiorno lo Stato è cresciuto e si è
sviluppato attraverso apparati burocratici che, a loro volta,
hanno aumentato la quantità di regolazione esistente.
La funzione manifesta è stata quella di amministrare la cosa
pubblica per elargire beni
e servizi. Quella latente è stata lo sviluppo, il mantenimento e
la sopravvivenza di Enti
ed apparati preposti a questa elargizione. Sul primo scambio tra
amministrazione e politica (consenso) se ne è innestato
progressivamente un secondo tra organizzazioni criminali
e politica.
La massiccia regolazione nella allocazione delle risorse
pubbliche ha prodotto opportunità per corruzione e frodi, così
come l’espandersi e la scarsa efficienza degli apparati
amministrativi delle Amministrazioni locali.
Il “troppo stato”, in sintesi, con costi crescenti e bassa
qualità dei servizi erogati, ha favorito ed alimentato le stesse
organizzazioni criminali.
La iper-regolazione amministrativa in tutti i settori della
spesa pubblica: concessioni edilizie, appalti, spesa sanitaria,
autorizzazioni alla creazione di attività imprenditoriali
e tante altre è centrata più sui requisiti formali e meno sugli
adempimenti sostanziali.
“POCO STATO”
Per troppo tempo lo Stato è stato complessivamente assente
nel Mezzogiorno mancando di una visione globale della questione
meridionale all’interno di un progetto nazionale di
integrazione.
L’intervento straordinario lo è stato nella spesa ma non nella
progettualità. L’incentivazione di processi di
industrializzazione attraverso un sistema di contributi a fondo
perduto ha attivato iniziative imprenditoriali senza un quadro
di riferimento, un progetto e una visione
culturale complessiva.
Le carenze della giustizia civile hanno avuto l’effetto di
ostacolare lo sviluppo e alimentare la funzione di mediazione
delle organizzazioni criminali come risolutrici di conflitti.
IL PUNTO DI EQUILIBRIO
Lo squilibrio tra “troppo stato” e “poco stato”, all’origine
della questione meridionale e della questione criminale, che a
quella si sovrappone, ha prodotto un processo di impoverimento
economico, culturale ed in molte aree delle stesse libertà
individuali.
Cultura della legalità e sviluppo economico sono snodi carenti e
ad alta criticità.
Se la criminalità pretende di rappresentare l’anti Stato, lo
Stato ha il dovere/necessità
di essere credibile in tutte le sue articolazioni. La
pervasività delle organizzazioni è indicativa e misurabile, in
molte aree del Mezzogiorno, dalla loro capacità di essere
anti Stato e nel contempo Stato sociale.
Dando per acquisito il ruolo repressivo, è indispensabile
operare sul versante del potenziamento della cultura, della
pratica della legalità e su quello dello sviluppo economico.
Queste sono le leve su cui fare perno e che vanno utilizzate con
coerente sincronismo e intelligente flessibilità in un quadro
strategico, dove ruolo e presenza
dello Stato trovino un giusto punto di equilibrio.
La lotta alla criminalità passa attraverso una revisione delle
regole politiche – amministrative, incluse quelle fiscali, tale
da rendere lo Stato non altro rispetto ai cittadini. Passa
attraverso un massiccio ridimensionamento dell’apparato
burocratico, della vischiosità procedurale, dell’organizzazione
periferica dello Stato e della sua invasività.
A parte il controllo penale necessario sulla partecipazione alle
opere da parte delle organizzazioni criminali, che andrebbe
affrontato non con la certificazione antimafia ma con modelli
flessibili capaci di individuare il rischio “infiltrazioni”, è
necessario spostare le attività della P.A. dal controllo dei
requisiti a quello sui controlli della esecuzione dell’opera.
Il contrasto al crimine presuppone sviluppo economico e
opportunità di lavoro che non si può attendere dall’intervento
statale, ma da una visione innovativa nel fare impresa e
contemporaneamente nel fare sistema da parte delle medio-grandi
realtà imprenditoriali.
Per il Mezzogiorno significa fornirsi di un lungimirante piano
complessivo di sviluppo economico che assecondi e accompagni la
naturale vocazione del territorio.
L’impegno del mondo della cultura è indispensabile per
l’efficacia di una manovra corale di contrasto che, partendo dal
basso, incida sulle coscienze e generi una mobilitazione etica,
capace di implementare meccanismi di persuasione.
L’informazione, in tutte le sue articolazioni, può e deve
svolgere una concreta azione di stimolo interpretando un
significativo ruolo propulsore.
Il contrasto al crimine non si può condurre a compartimenti
stagno,
“Un territorio, una popolazione, un’organizzazione criminale”,
significa depotenziare la rilevanza e quindi la percezione
complessiva del fenomeno che ha ormai dimensione nazionale.
Occorre dar voce ad una vigorosa ed efficace cultura del
contrasto, che miri fondamentalmente alla prevenzione e quindi
alla riduzione delle condizioni favorevoli al perpetuarsi di un
retroterra culturale tanto funzionale al crimine organizzato.
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