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L'Europa e il futuro della politica

TRA UNIONE EUROPEA E FORMA-STATO: PENSARE IL FEDERALISMO

Giuseppe Duso

1. FEDERALISMO E CONCETTI POLITICI MODERNI. È particolarmente fruttuoso riflettere sul concetto di federalismo nel quadro dei processi che caratterizzano l'Unione Europea. In modo più determinato mi sembra che il tentativo difficile di pensare fino in fondo il federalismo trovi il suo pieno significato e la sua profonda motivazione nella consapevolezza della crisi della concettualità politica che è propria della dottrina dello Stato moderno, incentrata sul concetto di sovranità. Tale concettualità, ritengo, assieme all'intera logica complessiva che la tiene assieme, appare oggi inefficace sia per comprendere la realtà in cui viviamo, sia per operare un'efficace legittimazione dell'obbligazione politica. Che il concetto di sovranità dello Stato-nazione sia in crisi è una opinione diffusa e non incontra molte opposizioni. Ma se si è consapevoli dell'orizzonte in cui i concetti politici moderni sono tra loro connessi, allora l'affermazione qui avanzata prende un significato più ampio e forse inaspettato. La crisi appare allora coinvolgere non solo e non tanto la sfera del potere, ma anche e soprattutto i concetti che riguardano l'ambito dell'individuo e dei suoi diritti (uguaglianza e libertà su tutti), che stanno alla base del modo di pensare la democrazia e le procedure democratiche in termini costituzionali. Se i concetti di uguaglianza e di libertà non vengono assunti in modo generico, ma vengono compresi nel significato preciso che assumono nella nascita del pensiero moderno, nella funzione logica che svolgono nella costruzione del sistema politico, ci si può con meraviglia accorgere che, non solo essi non si oppongono al concetto moderno di sovranità, ma ne costituiscono, al contrario, l'indispensabile fondamento.
Il problema non è certo quello di prendere posizione contro tali concetti, né di negare la portata che essi hanno avuto nei processi storici: si tratta piuttosto di assumere, almeno per lo spazio di una riflessione, un atteggiamento diverso da quello che è usuale quando ci si riferisce a questo tipo di tematiche della sfera pratica e politica: quello cioè dello schieramento, della lotta, della proposta. Si tratta di mettere da parte le certezze salde e di interrogare concetti e valori, per vedere se non esibiscano delle difficoltà intrinseche e non vengano a costituire un blocco del pensiero ed un impedimento alla corretta cognizione dei processi che ci stanno attorno, rendendo ulteriormente difficoltoso il tentativo di trovare un orientamento per il governo di questi processi. La presente riflessione si muove dunque non sul terreno della proposta o dell'ingegneria costituzionale (a ciò mancherebbero anche le competenze specifiche), ma piuttosto su quello filosofico dell'interrogazione critica dei concetti comuni. Un'interrogazione che nasce dall'attenzione al rapporto che i concetti nati nella scienza - o filosofia - politica moderna hanno avuto con la dottrina dello Stato e la genesi delle moderne costituzioni e con il formarsi del senso comune e della modalità socialmente diffusa di riferirsi all'ambito della politica.
Il movimento della presente riflessione parte dall'individuazione schematica della difficoltà di pensare l'Unione Europea sulla base dei concetti propri delle costituzioni degli Stati sovrani e della legittimità democratica che li connota, non per suggerire la possibilità che una tale legittimità si dia finalmente anche al livello dell'Unione, intesa magari come super-Stato o nuovo livello di sovranità di tipo democratico, ma piuttosto per provare a pensare se quei concetti non abbiano delle difficoltà intrinseche e se pensare federalisticamente l'Europa non comporti anche la necessità di ripensare in modo diverso quelle realtà che si presentano oggi come Stati, mediante una forma che sembra ancora prolungare la storia di quello che è stato chiamato lo Jus publicum europaeum, ma che appare invece inadeguata nei confronti delle trasformazioni che si stanno attuando.
Non posso non indicare sin dall'inizio le difficoltà che il presente ragionamento comporta. Innanzitutto il fatto che un'analisi critica della genesi e dello sviluppo dei concetti politici moderni che appare necessaria alla presente argomentazione non può essere qui ripercorsa e appare soltanto indicata. Per questo problema non posso che rimandare a quei lavori di ricerca sui concetti politici che offrono elementi analitici, se non di dimostrazione, almeno di motivazione di quelle che qui rischiano di apparire solo delle provocazioni intellettuali1. Una ulteriore difficoltà deriva dal fatto che l'uso qui praticato del termine di federalismo si discosta da quello presente sia nel dibattito contemporaneo, anche italiano, sia nella letteratura scientifica, dove le sue normali declinazioni vanno nella direzione dello Stato federale o della federazione di Stati. Anche nella storia americana il termine federale ha spesso indicato l'elemento unificante e centrale in rapporto ai corpi collegati. Qui invece il termine vuole valorizzare la pluralità e le differenze e riferirsi ad un quadro di pensiero in cui si va al di là della concettualità propria dello Stato. Allora pensare federalisticamente significa pensare la politica in modo diverso da quello a cui il pensiero politico moderno ci ha abituato e che si muove all'interno di un mondo intellettuale i cui due poli sono costituiti dalla assolutizzazione dell'individuo e dei suoi diritti e, corrispettivamente, dalla nozione della sovranità, cioè di un potere politico irresistibile in quanto fondato razionalmente sulla volontà degli individui e teso a realizzare i loro diritti.
In tal modo il contesto di pensiero a cui si allude con il termine di federalismo è attingibile solo in quanto si mettono in questione quei concetti che stanno alla base della forma-Stato, i quali, pur apparendo universali, sono in realtà il frutto di un'epoca storica e di pensiero determinata e limitata. In tal modo è forse possibile porsi il problema della realtà nuova se si supera lo schema dei concetti moderni e si attinge una dimensione di pensiero che è precedente la storia dello jus publicum europaeum. Ciò non perché si proponga un federalismo antico o l'attualità di una realtà premoderna, ma perché volgendo lo sguardo ad un'epoca che non appare comprensibile mediante i concetti che, pur essendo particolari vengono adoperati come universalmente validi e indicanti una dimensione eterna dell'uomo e del suo agire (individuo, diritti, eguaglianza, libertà, popolo, sovranità, rappresentanza, democrazia, legittimità, potere), ci accorgiamo della parzialità di quei concetti e ci possiamo accingere a comprendere la realtà a noi contemporanea anche oltrepassandoli.

2. UNIONE EUROPEA E CRISI DELLA SOVRANITÀ. Mi pare innanzitutto utile ricordare alcune considerazioni di noti costituzionalisti sulla specificità propria dell'Unione Europea in relazione al problema di una costituzione2. La nascita delle moderne costituzioni è legata alla vicenda dello Stato e dominata dall'elemento dell'unità del soggetto politico collettivo e del potere che lo connota. Alla base delle costituzioni europee sta il lungo cammino del pensiero politico moderno e il contesto di pensiero che pone la sovranità del corpo politico, e dunque il potere, sulla base della volontà degli individui. Così come unico è il soggetto politico o la persona civile nelle dottrine giusnaturalistiche, unico - nella sua articolazione nei cosiddetti tre poteri - è il potere dello Stato ed unica è la legge a cui tutti devono ugualmente obbedienza.
Alla base dell'Unione Europea non sta un processo quale quello della costituzione, che è concettualmente anticipato e preparato dalle dottrine del patto sociale, nelle quali l'atto del contratto tra gli individui non li mantiene come soggetti politici che possono accordarsi o essere tra loro in disaccordo, che possono autonomamente decidere la legge o ad essa sottrarsi, ma piuttosto dà luogo a qualcosa di totalmente nuovo, cioè la persona civile, il soggetto collettivo con il potere politico che lo contraddistingue, la cui legittimazione comporta la scomparsa di contropoteri di singoli o di gruppi con i quali sia necessario il confronto3. I processi e i trattati che stanno alla base dell'Unione si configurano piuttosto nella forma del contratto tra soggetti diversi che si accordano e si uniscono tra loro, ma senza per questo scomparire come soggetti politici a causa dell'unità che è stata costituita. Mentre con la costituzione nasce l'unico potere del popolo che si fa Stato, nasce la sovranità dello Stato, nasce cioè la Herrschaft, per dirla con Grimm, nel senso unitario della moderna sovranità, il contratto che sta alla base dell'unione degli Stati d'Europa, implica la necessità continua del consenso dei membri, perché i contraenti non scompaiono, come avviene nella costituzione o nell'orizzonte del contratto sociale, ma rimangono piuttosto loro i signori, gli Herren del contratto. Per Grimm dunque giustamente la forma del contratto si differenzia sostanzialmente da quello della costituzione, se si prende la costituzione nel significato che ha avuto nella storia europea4.
Anche le costituzioni delle cosiddette democrazie di massa del XX secolo sono innervate dalla logica dell'unità che è propria del nesso costituzione-sovranità. Nonostante con il termine di democrazia si voglia spesso alludere a cose assai diverse e a volte contrastanti tra loro, e tra queste anche ad una concezione pluralistica del potere, in realtà le costituzioni democratiche sono dominate dall'elemento dell'unità. Se alla base del potere stanno i singoli individui e l'espressione della loro volontà mediante il voto, il potere si presenta con un volto unitario: unico è il popolo e il suo potere, unica è la decisione che si fa legge: unica è dunque la volontà, che, presa a maggioranza, vale come volontà valida per tutto il popolo. Si può allora comprendere come diversi costituzionalisti notino la mancanza per l'Europa degli elementi tipici della legittimità democratica, che implicano l'esistenza di un unico popolo e un'unica volontà che si esprime mediante la maggioranza dei voti uguali. Invece in Europa si ha a che fare con soggetti costituiti, che non possono essere dissolti e ridotti al numero di voti (di teste o di teste votanti) che li costituiscono. Una volontà maggioritaria non può "democraticamente" cancellare volontà e realtà minoritarie che si oppongano alla volontà del soggetto comune.
Nel dibattito contemporaneo c'è certo una tendenza a pensare l'Europa come un nuovo Stato e una nuova sovranità , che si imponga sui particolarismi dei singoli Stati, e dunque, mediante una costituzione, dia luogo ai processi tipici delle costituzioni moderne e alle procedure in cui tradizionalmente consiste la legittimità democratica. Mi sembra per altro che la consapevolezza della specificità del problema vada nella direzione della fuoriuscita e del superamento della logica della moderna sovranità e non in quella della creazione di una nuova sovranità. Anche Hasso Hofmann riconosce il nesso stretto che nella storia moderna si è manifestato tra costituzione e Stato e nega che si possa dare in questo senso una costituzione unitaria europea: manca un popolo omogeneo e la situazione rivoluzionaria che richieda un potere costituente. Anch'egli ricorda che sono i membri i signori dei contratti.
Ciò che si può dare è Zusammenfassung, Ordnung, Systematisierung, e dunque una serie di accordi e di aggiustamenti, con parziali miglioramenti, e non una costituzione nel senso tradizionale del termine. Se di costituzione si vuole parlare, per questa bisognerà trovare una nuova concettualità5.
Il problema è allora non tanto quello di tenere fermi i concetti di costituzione e di legittimità democratica, per vederne la loro possibile attuazione a un livello sopra-statale, ma piuttosto quello di intendere quale pensiero sia necessario per pensare e comprendere i processi in corso, e se tale pensiero non sia utile per andare al di là della crisi della concettualità dello stato, che si manifesta ormai da molto tempo. Si tratta cioè di interrogare concetti e valori diffusi che stanno alla base delle moderne costituzioni: non tanto cioè di accettarli o negarli, sul piano della lotta politica o della proposta, ma appunto di porli ad oggetto della riflessione per comprendere. Questo può sembrare un compito non facile, perché, come si è detto, l'atteggiamento consueto nei confronti della concettualità politica è quello dello schieramento o della lotta, oppure, come avviene per concetti sedimentati nella parola democrazia, quello della comune accettazione (anche se della diversa interpretazione).
Per intendere la distinzione sopra ricordata tra contratto e costituzione e dunque per porre il problema attuale dell'Europa, e per comprendere la novità dei processi in corso, bisogna paradossalmente volgere lo sguardo indietro, e andare al di là dell'orizzonte dello jus publicum europaeum. È infatti nell'epoca dei contratti di signoria, degli Herrschaftverträge che il contratto appare lo strumento che, pur dando luogo ad una realtà nuova, nello stesso tempo, serve a ribadire la realtà politica dei soggetti contraenti, che rimangono dopo il contratto soggetti politici come lo erano prima, anche se connotati da relazioni diverse. Ho cercato in passato di mostrare la differenza tra questo modo tradizionale di intendere il contratto politico e quello, radicalmente nuovo, inaugurato dalle dottrine contrattualistiche da Hobbes in poi, in relazione al pensiero di Althusius, che mi appare assai significativo per pensare il federalismo6. Significativo non significa attuale, ma tuttavia rilevante per pensare il federalismo oggi. Non mi pare che sia fruttuoso affermare la modernità di Althusius ai fini di mostrare la fecondità del nostro rapporto con il suo pensiero: in tal modo si rischia di fraintendere il suo pensiero senza trarne alcun vantaggio. Al contrario, è proprio la sua diversità dal pensiero che sta alla base dello Stato e della costituzione che rende utile il rapporto con esso, in un momento in cui il modo moderno e consueto di intendere stato e costituzione appaiono in crisi. Non deve ingannare il fatto che nella sua Politica sono presenti molte delle parole essenziali delle moderne dottrine del contratto sociale (patto, diritto, popolo, sovranità, rappresentanza, democrazia), perché il significato di queste parole non veicola la concettualità della cosiddetta scienza politica moderna, ma si pone nel contesto di un diverso modo di pensare l'uomo e la politica. Un federalismo senza Stato dunque, che è utile per andare al di là di buona parte del dibattuto attuale sul federalismo, il quale rischia di restare contraddittoriamente prigioniero all'interno di quella concettualità che intende superare.
Come è stato ricordato da Olivier Beaud, il dibattito recente sul concetto di federazione e di federalismo, pur intendendo determinare una realtà politica diversa e opposta a quella dello Stato sovrano, rischia di avere senso solo all'interno della prospettiva della sovranità. Infatti le due configurazioni in cui si tende a pensare oggi il federalismo sono da una parte quella dello Stato federale e dall'altra quella della confederazione di Stati. Ora è proprio il concetto di sovranità che permetterebbe di distinguere le due forme: mentre la prima comporterebbe la sovranità dello Stato nei confronti dei suoi membri, la seconda richiederebbe la mancanza di sovranità della confederazione nei confronti degli Stati che, mediante essa, si unificano7. Simmetricamente, nel primo caso sono privi si sovranità i corpi che costituiscono lo Stato sovrano, mentre nel secondo mantengono la sovranità gli Stati confederati. Come si può facilmente comprendere, mediante questa distinzione oggi ricorrente, il grimaldello teorico è costituito dal concetto di sovranità, e in questo modo è sempre il concetto di Stato a costituire l'asse della riflessione giuridica e costituzionale.
Da una parte si può dire che nel caso degli Stati federali come gli Stati Uniti e la Germania, la forma Stato si è imposta sulla relativa autonomia dei territori collegati e dall'altra che, nel caso di una confederazione di Stati intesi come sovrani, ci si trova di fronte a una costruzione debole, che rischia di essere risolta in relazione alla ferrea logica della sovranità o verso il centro, e dunque verso l'Unione come nuova sovranità, o verso il basso, impedendo la formazione del nuovo a causa del mantenimento della sovranità degli Stati membri. Mi pare che questa alternativa non sia utile per intendere la natura e il destino dell'Unione Europea e contemporaneamente non permetta di comprendere in modo significativo la nozione di federalismo. Questa comporta il superamento e non la dislocazione del concetto di sovranità, e con esso di quello di Stato8.
Come si è detto il passaggio attraverso un pensiero federalistico come quello di Althusius permette di intendere come, per il passato, sia stato possibile pensare all'aggregazione di corpi politici che non perdono nell'unificazione la loro soggettività politica, senza che questo significhi che, dal momento che non si dà una entità sovrana superiore, restino allora essi stessi sovrani. È proprio il concetto di sovranità che non è pensabile in un contesto come quello di Althusius, e proprio per questo nemmeno quello di Stato: la respublica, o il regno, o la consociatio symbiotica universalis sono tutt'altra cosa, così come altra cosa è la maiestas che appartiene al popolo9. Il concetto di sovranità implica l'assolutezza e l'indipendenza della decisione e della volontà del soggetto collettivo, la mancanza di resistenza da parte dei membri di esso. Una tale indipendenza non caratterizza, nella Politica di Althusius, la massima autorità, o istanza di governo, la cui volontà è condizionata da una quantità di elementi, sia ideali (giuridici, etici, religiosi), sia empiricamente presenti (la costituzione del regno con i suoi membri, e dunque tutti i corpi, grandi e piccoli, che mantengono il diritto di resistenza e, attraverso gli organi collegiali che li rappresentano, costituiscono l'istanza più alta). Ma l'indipendenza di un potere sovrano non è caratteristica nemmeno del popolo inteso come l'insieme dei corpi consociati, perché anche questo appare condizionato dagli elementi giuridici e religiosi ed etici che costituiscono l'orizzonte complessivo in cui si colloca ed ha realtà, e dalla esistenza delle sue parti, dei corpi cioè costituiti.
In questo quadro, che precede quello dello Stato moderno, si trova la figura del contratto con una funzione di formazione di relazioni comuni e unitarie che tuttavia non annullano la soggettività politica dei contraenti. È un quadro pluralistico nel quale, proprio la specificità e la differenza dei raggruppamenti che compongono il regno richiede il riferimento ad un momento di direzione unitaria e di coordinamento, un momento di governo della pluralità, che permetta la massima utilità reciproca nel funzionamento delle parti. Ma appunto una tale istanza unitaria di governo è in rapporto politico continuo con i membri, che non sono certo i singoli individui, ma realtà associate10.
Tale quadro, preso nella sua immediatezza, non è certo attuale e richiama una realtà ancora imperiale11; ma tuttavia aiuta a liberarsi dalla necessità di pensare l'Europa mediante la concettualità statale e il concetto di sovranità, e ritrova una dimensione contrattuale che ha un significato assai diverso da quello costituente proprio del pensiero politico moderno. Ciò è utile in quanto il concetto di sovranità non appare consono ad intendere l'Unione Europea, che non è auspicabile batta le vie della formazione degli Stati moderni: si presenti cioè come unico Stato e proceda con il marchio dell'unità che è proprio delle decisioni a maggioranza, che hanno caratterizzato la forma-Stato. Non solo verrebbe annullato l'aspetto politico e partecipativo dei corpi politici membri, ma andrebbe anche persa la ricchezza delle differenze, attraverso la loro riconduzione ad una misura omogenea. Ciò costituirebbe un deficit non solo culturale, ma anche politico, in relazione alla presenza e alla partecipazione dei cittadini. Pensare federalisticamente l'Europa significa da una parte riconoscere la mancanza di autonomia e indipendenza in senso pieno degli Stati membri, e perciò della loro sovranità, la quale, anche se ribadita dalle costituzioni e dalle retoriche di legittimazione politica dei singoli paesi, non esiste tuttavia da tempo nella realtà. Dunque significa innanzitutto il riconoscimento della propria non autonomia, del bisogno dell'altro, del dialogo comune che caratterizza la nostra realtà, della necessità di affrontare insieme i problemi che ci stanno di fronte. Ciò implica coordinamento e anche una comune istanza di governo. Dall'altra però ciò non deve costituire un potere comune, con il significato tipico che potere ha nella storia del concetto di sovranità: un potere che riduca tutto all'unità e che espropri i membri dell'Unione della loro soggettività politica e della loro partecipazione. Al contrario, sono le differenze e la pluralità a dover essere riconosciute e fatte fruttare.
Ma più che continuare nel tentativo di pensare l'Europa, a partire dal problema europeo, si intende qui ritornare a riflettere sulla forma-Stato. Se è necessario un pensiero federalistico per intendere l'Europa e se è vero che appare debole e contraddittoria la nozione di federazione di Stati, e inoltre che il concetto di sovranità non ha più rapporto con la realtà dei cosiddetti Stati, non è forse vero che bisogna ripensare alle coordinate essenziali che hanno caratterizzato il concetto di Stato? Se pensare in modo federalistico comporta la negazione della sovranità, questa non va superata anche all'interno dei singoli Stati? E, ancora più radicalmente, ciò non comporta il superamento di quei concetti che stanno alla base della sovranità moderna, la quale - è bene ricordarlo - comporta il monopolio del potere e l'irresistibilità interna solo in quanto si tratta di un potere legittimato dalla volontà di tutti e dall'affermazione dei diritti degli individui. Allora è da chiedersi se superare la sovranità non comporti anche superare quella che comunemente si indica come "legittimazione democratica" e dunque il pensiero di un unico soggetto collettivo, il popolo, che prende a maggioranza decisioni che devono valere per tutti, e ciò attraverso i rappresentanti eletti in modo uguale e indifferenziato da tutti i cittadini.

3. APORIE DEI CONCETTI POLITICI MODERNI? Il tentativo di pensare federalisticamente comporta una serie di difficoltà e di rischi, in quanto la caratteristica fondamentale che caratterizza la costruzione politica moderna è quella della sicurezza e della garanzia di un ordine stabile. Tuttavia si può essere pronti a correre questi rischi se si giunge alla convinzione che i processi in atto non sono più comprensibili sulla base dei concetti che innervano la costituzione formale, e se si scoprono una serie di aporie e di contraddizioni al cuore dei concetti fondamentali attraverso i quali si pensa la democrazia e la legittimità democratica. Se si riflette sulla genesi e sulla logica propria dei concetti che dovrebbero determinare il potere in modo da avvicinarlo al cittadino, o meglio di mostrare la presenza efficace del cittadino nella formazione e nell'uso del potere si può notare che essi rischiano di avere un esito che appare opposto a quello della partecipazione e del coinvolgimento politico dei singoli.
Mi riferisco innanzitutto a un primo concetto fondamentale che caratterizza la cosiddetta "legittimità democratica", cioè quello di popolo, inteso come soggetto politico collettivo, totalità dei cittadini aventi uguali diritti, e per questo unico soggetto che può, in modo giustificato, decidere su se stesso e sulla vita dei cittadini: un popolo dunque che è grandezza politica incontrastata, soggetto sovrano, che può e deve esprimere la sua volontà come legge a cui tutti sono sottoposti. Un secondo è quello di rappresentanza politica, come modalità di espressione della volontà di questo soggetto collettivo: una rappresentanza che ha alla sua base l'espressione di volontà degli individui uguali e che costituisce un corpo che può, funzionando a maggioranza, dare forma a quella volontà. Mentre il primo concetto riguarda il modo di intendere il potere come appartenente al corpo politico nella sua totalità, il secondo sembra basarsi sul valore della individualità dei cittadini, che sono considerati uguali e dotati di uguali diritti, uguali non solo di fronte alla legge, ma anche in relazione al peso che dovrebbero avere nella sua formazione, mediante l'elezione dei rappresentanti.
Tali concetti sono nati, nel crogiolo del primo pensiero moderno, in contrapposizione tra loro, ma il loro destino è stato quello di intrecciarsi profondamente all'interno della storia delle costituzioni, in modo tale da divenire i due pilastri di una costituzione considerata democratica. Se si guarda a questa vicenda con un occhio storico-concettuale12, si può tuttavia notare che l'opposizione avviene all'interno di un piano di pensiero comune, di un modo di intendere la politica che opera una rottura nei confronti di una tradizione millenaria e che si muove in un orizzonte caratterizzato da una parte dagli individui nella loro singolarità e dall'altra dal soggetto collettivo, inevitabilmente segnato dal marchio dell'unicità.
L'alveo comune è infatti quello del cosiddetto pensiero giusnaturalistico che inaugura la storia della scienza politica moderna. E' infatti Hobbes che comincia a pensare a un soggetto collettivo, ad una persona civile, che è formata non da parti determinate e costituite, ma dai singoli individui. Paradossalmente se si pensa all'assolutezza del potere che è propria del Leviatano e dunque alla nascita del concetto moderno di sovranità, ciò che caratterizza la posizione di Hobbes è non tanto, o non solo, il fatto che il potere sia unitario e consista nell'unione di tutte le forze - sia dunque il potere del corpo politico nel suo insieme, della persona civile - quanto piuttosto la convinzione che l'unico modo in cui è concepibile l'espressione di questa persona civile e del suo potere sia quello rappresentativo. Al sovrano si deve obbedienza perché la sua essenza è di essere persona rappresentativa: colui cioè che agisce per tutto il corpo politico e dunque, politicamente, per tutti13.
In Hobbes non abbiamo certo il pensiero delle procedure democratiche delle moderne costituzioni; tuttavia è da ricordare non solo che il sovrano è frutto del contratto sociale in cui sono gli individui ad esprimere la loro volontà, ma anche che nel Leviatano emergono alcuni elementi teorici che saranno tipici della rappresentanza politica moderna, che non è rappresentanza di parti o di corporazioni, di volontà e di corpi particolari, ma rappresentanza di tutto il popolo, cioè dell'unità politica. Ciò significa non solo che la rappresentanza è caratterizzata dall'unità, ma anche che è il modo di espressione, per Hobbes - ma questo avrà un peso enorme nello sviluppo del pensiero e della storia delle costituzioni14 - l'unico modo pensabile di espressione dell'unità politica e della volontà del soggetto collettivo. È inoltre da ricordare che il concetto di rappresentanza comporta una concezione dell'autorità che la lega ad un'unica fonte di legittimazione, cioè al processo di autorizzazione, mediante il quale tutti gli individui dichiarano di riconoscersi nella volontà e nelle azioni di colui che è stato autorizzato: si dichiarano autori delle azioni che l'autorità, per tutti, compirà. La legittimazione del potere e della sua assolutezza risiede dunque nella volontà degli individui.
L'opposizione più forte a questo concetto di rappresentanza politica è espresso da Rousseau, il quale rifiuta la possibilità che la sovranità del popolo possa essere rappresentata. Il soggetto collettivo è l'unico sovrano e non può agire che direttamente. Non importa qui ricordare le difficoltà logiche che incontra Rousseau in questo tentativo di pensare il popolo come attualmente presente e agente, difficoltà che nascono dal fatto che anche egli pensa il soggetto collettivo a partire dalla molteplicità infinita o meglio indefinita degli individui, dunque da una moltitudine che difficilmente può essere considerata soggetto di azione. Quello che qui importa sottolineare è l'effetto di dualità che si manifesta anche in un pensiero, come quello rousseauiano, che tende ad identificare nel cittadino l'unità di suddito e sovrano. Altra è infatti la volontà del sovrano, costituito da tutti i cittadini, nei confronti delle volontà particolari che tutti hanno.
Nonostante dunque i concetti di rappresentanza e popolo sovrano nascano in opposizione tra loro essi sono destinati ad intrecciarsi nelle costituzioni moderne, a partire da quella francese del 1791, nelle quali la forma politica non può essere pensata senza un corpo rappresentativo che esprima la volontà del soggetto collettivo, e la costituzione stessa non è pensata senza il concetto del soggetto che legittimamente può porla e darle corpo, cioè la grandezza costituente del popolo.
Hasso Hofmann ha ben ricordato come l'elemento dell'io individuale che si trova nell'affermazione dei diritti propria già della costituzione francese, e l'io collettivo che richiede una propria autodeterminazione, dunque il popolo o la nazione che si affermano come indipendenti e sovrani, non coincidano, e che l'autonomia privata e quella pubblica non si trovino in un rapporto di centri concentrici15. Tale mancanza di coincidenza mi sembra iscritta nei concetti che stanno alla base della costituzione e nelle costruzioni teoriche in cui si forma il modo moderno di pensare la politica. Questo dualismo è tuttavia il frutto di uno sviluppo logico che ha una sua linearità. Se l'elemento legittimante la costruzione del corpo politico è costituito dagli individui è difficile poter pensare il soggetto collettivo se non come altro nei confronti dei singoli: non come una loro somma o il risultato del loro accordo, ma come un'unità che non può essere determinata partendo dalle particolarità dei singoli.
Come ben ricorda Pufendorf, autore rilevante nella formazione e nell'assestamento della scienza politica moderna, le azioni della civitas sono altre e separate da quelle dei cittadini; non c'è mediazione o passaggio tra queste ultime e le prime. Ciò è bene evidente se si pensa alla differenza che caratterizza la rappresentanza moderna da quella feudale o cetuale. A partire dalla Rivoluzione francese il rappresentante non ha un mandato imperativo, e non è legato a nessuna volontà precedente e già formata: non rappresenta parti o partiti determinati, e nemmeno coloro che lo votano, ma tutta la nazione: in realtà dà forma alla volontà di tutta la nazione, che non esiste, come volontà unica e determinata, prima di questo prendere forma. Lascio qui da parte la riflessione sul rapporto dei complessi meccanismi che legano l'opera dei rappresentanti a quella dei cittadini, mediante processi quali quelli che caratterizzano l'opinione pubblica. Ribadisco solo il dualismo che caratterizza il concetto di rappresentanza e che sta alla base della moderna distinzione di privato e pubblico.
Nelle elezioni non avviene in realtà un passaggio di volontà dai rappresentati ai rappresentanti: non c'è, se ben si guarda all'azione che si compie mediante il voto, una trasmissione di volontà, perché con esso non si esprime nessuna volontà determinata. L'essenza del voto consiste piuttosto nella autorizzazione, mediante cui si conferisce a qualcuno il compito di esprimere per tutti la volontà del soggetto collettivo. È la promessa che ci si sottometterà all'espressione di volontà del corpo rappresentativo che prenderà la forma della legge. In tal modo abbiamo una paradossale situazione: come nel Leviatano di Hobbes, i singoli cittadini si dichiarano autori delle azioni compiute da altri: l'espressione politica che si ha con il voto coincide con la negazione di un proprio agire politico, con significato pubblico, che abbia spazio al di là e al di fuori del voto. Ma tale spoliticizzazione e dunque la costruzione di un ambito privato sono legate alla stessa logica del processo rappresentativo, secondo la quale l'azione dei rappresentanti è l'azione del popolo e di conseguenza l'esercizio rappresentativo del potere ha il significato che il potere è di tutti. Quale senso viene allora a prendere il concetto di partecipazione? E' difficile pensare di poter prendere parte a ciò che è già nostro. Non c'è dunque un effettivo passaggio di volontà dal singolo cittadino al soggetto collettivo mediante il corpo rappresentativo e lo stesso tentativo di partecipazione ed espressione di politicità da parte di raggruppamenti e associazioni può essere visto come indebito, in quanto è in collisione con il concetto politico di uguaglianza e con le procedure democratiche di formazione della volontà pubblica.
L'aporia di questa concezione della politica consiste nel fatto che tra il soggetto collettivo e il soggetto individuale vi èalterità e tuttavia uno stretto legame logico, a tal punto che non mi pare possibile che un termine possa stare senza l'altro: c'è insieme radicale diversità e tuttavia identificazione. Si pensi infatti al modo in cui si intende la libertà giuridica e l'idea, che viene da lontano, che libero è il popolo che ubbidisce alla legge che si è dato. In tale affermazione non si può non notare il dualismo fin qui ricordato. Infatti non c'è nessun popolo, inteso come soggetto collettivo che ubbidisca: coloro che ubbidiscono sono i singoli cittadini nella veste di sudditi nei confronti della legge: qui popolo indica l'insieme dei sudditi. Il popolo che dà la legge è invece il sovrano, il soggetto collettivo. Ma questo non si identifica certo con i singoli cittadini che sono sottoposti alla legge. Se si vuole trovare una mediazione tra le due grandezze si deve allora dire che il cittadino contribuisce alla formazione della legge, ma il modo di questa contribuzione, il modo formale che si manifesta nelle procedure previste dalla costituzione, consiste nell'elezione dei rappresentanti e dunque in un atto di autorizzazione come sopra si è detto, che demanda ad altri la determinazione della volontà comune16.

4. RIPENSARE I CONCETTI DI INDIVIDUO E LIBERTÀ? La critica al centralismo del concetto di sovranità e al carattere di unità che renderebbe difficile un pensiero della differenza e del pluralismo non è certo nuova, e si manifesta spesso in coloro che riflettono sulle difficoltà e sulle disfunzioni proprie della democrazia. Ciò che mi sembra meno diffuso è invece l'indicazione dello stretto legame che c'è concettualmente tra quei concetti che in genere si è soliti opporre a quello di sovranità e quest'ultimo, con le aporie che lo caratterizzano. Come si è ricordato, è lo stesso il piano teorico in cui la dimensione fondante dell'individuo e la sovranità si pongono, al punto che uno non è pensabile senza l'altro. È proprio per il fatto che si è preteso di pensare il corpo politico come una costruzione che nasce dal valore fondante della volontà individuale che è nato il concetto di sovranità17.
Si badi bene: non si intende certo qui mettere in questione il valore costituito dalla coscienza del singolo, o l'uguale dignità degli uomini, e nemmeno misconoscere effetti di emancipazione che una serie di concetti hanno avuto in relazione ad un mondo di differenze e gerarchie cristallizzate. Al contrario è proprio la dignità dei cittadini e l'efficacia della loro partecipazione che si vuol riuscire a pensare. A questo scopo si tratta però di individuare il significato e gli effetti precisi che una serie di concetti non universali ed eterni, ma storici e determinati, hanno avuto nel modo di intendere la società e l'agire in comune degli uomini e di capire se il loro modo di porsi e i processi costituzionali da essi innescati non manifestino alcune difficoltà intrinseche.
Nella formazione del modo moderno di pensare la politica l'affermazione nuova della centralità dell'individuo è legata ad un potente processo di neutralizzazione nei confronti delle questioni della giustizia e del bene comune che stavano prima al centro del pensiero politico, e che ricevevano una serie di risposte diverse e spesso tra loro opposte. Nella teoria si fa tabula rasa da una parte della realtà che ci circonda, e dall'altra della riflessione filosofica, del passato, considerata non scientifica. La volontà dell'individuo diviene fondante, in quanto, nello spazio vuoto che si crea mediante la teoria (si pensi al significato dello stato di natura nelle dottrine contrattualistiche, come momento di una costruzione "scientifica" che permetta di astrarre dalla realtà) essa rimane l'unico elemento a cui affidarsi: essa viene assolutizzata. Perciò solo essa può servire come legittimazione del potere e della differenza che si viene a determinare tra coloro che necessariamente esercitano il potere e la totalità di coloro che ubbidiscono.
Nel concetto di individuo si manifesta un atto di astrazione, poiché l'individuo concreto non è mai al di fuori della realtà di rapporti, di legami e, certo, anche di condizionamenti. Ciò che importa è indicare l'effetto che un tale concetto, qualora posto a fondamento della costruzione, produce: esso è non solo la base, ma anche il risultato della costruzione. In realtà non c'è un'azione che accomuni, un agire politico insieme, ma piuttosto la sfera pubblica è intesa come difesa dello spazio di libertà privata dei singoli. L'individuo, quale si presenta nelle dottrine del diritto naturale, è infatti caratterizzato non solo dall'uguaglianza (che ha un senso non generale, ma specifico nella costruzione della forma politica), ma anche dalla libertà, dal concetto nuovo di libertà - inteso come mancanza di ostacoli e indipendenza della volontà -, che solo nell'orizzonte neutralizzante che si determina nel Seicento può nascere.
Tale concetto di libertà non è opposto al vincolo costituito dalle leggi e dal potere, ma ne è anzi il fondamento. Infatti un mondo di individui indipendenti che esprimono le proprie potenzialità senza conflitto è pensabile solo in quanto essi non si scontrano né si incontrano a causa della presenza delle leggi, che sono i vincoli posti dal potere comune. Questo concetto di libertà, che assolutizza la volontà del singolo e ribadisce il valore del suo essere isolato, al di là dei rapporti che lo condizionano, è un concetto dunque che comporta il porsi di una sfera privata, che diviene fine della costruzione politica, in quanto il soggetto collettivo è inteso come garante di questa privata libertà. Solo un potere che non è di qualcuno in particolare, ma di tutto il corpo politico, un potere non commensurabile con quelli dei singoli o dei gruppi, può garantire una tale libertà e impedire la sottomissione reciproca. Questo concetto di libertà appare dunque la causa delle aporie che investono il potere e la sovranità.
Anche qui si badi bene: non si vuole certo negare la funzione di rottura che un tale concetto può avere avuto nel mettere in crisi una serie di rapporti di dipendenza personale di gerarchie cristallizzate, né mettere in ombra il valore della coscienza individuale affermatosi nell'epoca moderna. Si vuole piuttosto mettere in questione l'assolutizzazione che un tale concetto ha avuto nel momento in cui è stato neutralizzato il problema della verità e della giustizia, e ciò sulla base delle contraddizioni a cui esso dà luogo all'interno della forma politica: una volta che la volontà del singolo è posta come unico fondamento del potere, il risultato appare essere esattamente la negazione della sua dimensione politica. Ciò riguarda l'ambito teorico della scienza politica moderna e la logica dei concetti che in questa si vengono a formare. Ma ciò riguarda forse anche il quadro costituzionale, grazie al fatto che sono quei concetti che costituiscono i pilastri fondanti la costituzione.
Il concetto di individuo astratto dai rapporti caratterizza infatti il modo di intendere il cittadino nelle costituzioni e nei processi elettorali. Mentre vota il cittadino è solo e slegato da ogni rapporto con colui che è votato, così come ai una qualsiasi dimensione collettiva. E' significativo accorgersi che una tale situazione caratterizza anche quelle procedure - che secondo alcuni realizzerebbero sempre meglio lo spirito democratico - a cui può dar luogo l'utilizzo dei mezzi informatici. Democratico sarebbe il contribuire da parte del cittadino al formarsi di decisioni pubbliche nell'isolamento del suo rapporto con il computer. I concetti di individuo e di libertà qui ricordati vengono ad innervare il modo in cui si intende la rappresentanza politica e le procedure democratiche.
Solo se si è consapevoli di tali difficoltà dei concetti che usiamo per intendere la democrazia, siamo spinti ad avventurarci in un tentativo di pensare in modo federalistico, nella consapevolezza che ciò significa pensare in modo diverso la politica e l'agire dei cittadini, ed egualmente il concreto degli individui e la loro libertà. Non mi sembra perciò coerente pensare il federalismo come difesa dei diritti individuali o come una forma di liberalismo. Né mi sembra possibile pensare il federalismo come una modalità che intende i cittadini come sovrani. Questa è una immagine diffusa, non solo nella pubblica opinione, ma spesso anche nel modo di esprimersi dei teorici: è emblematica in quanto mostra come il concetto di sovranità sia radicato e con esso l'assolutizzazione della volontà. Infatti in essa non ci si pone il problema della volontà giusta o buona, ma quello della sua efficacia, del suo carattere decisivo. Naturalmente si tratta di un'immagine contraddittoria, come risulta non appena ci si interroghi se sia possibile che tutti i singoli siano sovrani e dunque dotati di una decisione efficace su ciò che si deve fare, e ciò senza opposizioni e contrasti. Appare infatti impossibile rispondere positivamente ad una tale domanda se, d'altro canto, la stessa nozione della molteplicità degli individui richiede che le loro volontà debbano essere ipotizzate come tra loro differenti. Solo il soggetto collettivo può essere sovrano, eliminando nella società la possibilità di forze ad esso contrarie, e lo può essere legittimamente e razionalmente solo sulla base della volontà e della autorizzazione dei singoli. E' curioso il fatto che anche in posizioni che si intendono come federalistiche si ritrovi l'immagine della sovranità degli individui: ciò mostra quanto sia radicato nel modo di pensare contemporaneo l'idea dell'indipendenza della volontà come unico valore.
Pensare federalisticamente significa dunque innanzitutto mettere in questione il modo in cui il concetto di individuo funziona alla base della costruzione della forma politica e della dottrina dello Stato. Ciò, come si è detto, può comportare dei rischi in relazione a quella ricerca di sicurezza e di un ordine stabile che appare uno dei fini principali di quelle costruzioni teoriche del giusnaturalismo e che si è pensato di ottenere mediante le procedure delle moderne costituzioni democratiche. Significa inoltre tentare di pensare una serie di esigenze che sembrano porsi nell'ambito della nozione di democrazia e che tuttavia non appaiono soddisfatte da quella costruzione costituzionale che si basa sui concetti sopra menzionati. Mi riferisco, oltre alla questione di una giustizia che non sia ridotta a rapporti formali, a problemi quali quelli della partecipazione, del riconoscimento delle differenze, della pluralità delle posizioni, delle minoranze intese come soggettività politiche, della necessità di un rapporto di solidarietà, della sostanzialità del rapporto con gli altri contro la possibilità di intendere la singolarità dell'individuo e del suo interesse come mondo chiuso e autonomo. Tutti questi problemi e queste esigenze possono essere affrontati forse in modo più efficace se non si rimane attestati su quei concetti che condizionano il nostro pensiero della politica, e se si tenta di pensare in modo diverso, federalistico appunto.

5. PENSARE IL FEDERALISMO OGGI. Queste poche e schematiche indicazioni non hanno il significato né dell'esito logico necessario a cui approda l'analisi critica dei concetti politici fondamentali, né della proposta di un modello di politica o di qualcosa che tenda a un modello costituzionale. Tanto meno vogliono essere l'indicazione di quello che oggi bisogna fare. Sono solo il tentativo di comprendere come sia possibile pensare la politica in modo diverso, e quali siano le difficoltà da rimuovere per tentare di uscire dalle contraddizioni sopra indicate.
In altra sede ho cercato di mostrare come, con la nascita della concettualità politica moderna e con la costruzione teorica che, partendo dall'immagine degli individui uguali e liberi approda alla costituzione della forza comune e del diritto di coazione, necessario proprio per salvaguardare e realizzare i diritti degli individui, si è tentato di dare una risposta alla originaria questione della giustizia18. I modi diversi e contrastanti di intendere quest'ultima, i dogmi morali, le diverse fedi, sono stati considerati motivo pericoloso di conflitto. La risposta moderna è stata una risposta formale, dotata di una razionalità che intende valere oggettivamente e per tutti, una risposta che si è affermata neutralizzando quella originaria domanda. Con Hobbes giusto diventa ubbidire alle leggi, e non tanto per un'immediata assolutizzazione della sfera del potere, o a causa di un preannunciantesi positivismo giuridico, ma sulla base del tentativo di superare la conflittualità delle diverse opinioni sulla giustizia e di porre il problema dell'ordine su un piano razionale e valido per tutti. Come sopra si è ricordato, l'esercizio del potere è legittimato dalla sua fondazione, che risiede nella volontà e nei diritti degli individui e nel processo di autorizzazione. Perciò non si può mitigare l'affermazione hobbesiana aggiungendo che vi deve essere obbedienza alle leggi, ma qualora queste "siano giuste", perché in tal modo si riproporrebbe la possibilità delle diverse risposte alla domanda sul giusto e dunque il problema di chi decide, mettendo in crisi contraddittoriamente la forma che tale scienza politica produce.
Un pensiero di tipo federalistico implica invece il continuo riproporsi della questione della giustizia, e ciò proprio in quanto mette in questione il meccanismo formale che caratterizza il potere moderno, cioè il concetto di sovranità. E' un pensiero che dà un significato forte al termine di governo, che deve essere riattivato. Un governo che non si risolve nell'esercizio rappresentativo del potere, secondo il quale sarebbe il popolo il vero soggetto dell'agire e del volere politici. Il principio del governo implica che la responsabilità dell'azione sia di chi governa, che ha di fronte a sé il popolo nelle sue varie organizzazioni e che deve, insieme a questo, porsi il problema di una giustizia che non dipende da un gioco di volontà, né da quella del soggetto collettivo, né da quella degli individui: è piuttosto un problema che si impone alla volontà, all'interno del quale le volontà operano cercando di volta in volta le azioni più consone. Il problema della giustizia va allora al di là del nesso libertà-potere, libertà-legge, e non appare risolto formalmente, né all'interno di un corpo politico omogeneo, né in una più ampia sfera come è quella internazionale19.
Il popolo può essere realmente e politicamente presente di fronte a chi governa se lo si concepisce in modo diverso dalla totalità degli individui uguali, perché così inteso è un'idea e non ha realtà costituzionale se non attraverso la forma rappresentativa, sia che questa risieda nel corpo rappresentativo ordinario, sia che si annidi nelle procedure necessarie a fare emergere la grandezza costituente del popolo o la sua manifestazione diretta mediante forme come quella referendaria20. Bisogna forse intenderlo come un insieme di gruppi e organizzazioni differenti e in qualche modo costituite (anche se in un modo plurimo e mobile che è consono alla società contemporanea). Ciò implica valorizzare al di là dell'uguaglianza l'elemento della differenza; sia in relazione a chi governa, le cui qualità e virtù non sono annegate nell'uguaglianza che fonda la moderna rappresentanza, sia in relazione a chi è governato. Qui non si allude alle indefinite differenze individuali, che scompaiono e sono azzerate nel rapporto individuo-soggetto collettivo, ma alle differenze determinabili che caratterizzano ogni forma di aggregazione e di raggruppamento umano21.
Se si abbandona l'idea che tutti contano in modo uguale, idea che dà luogo ad una realtà politica in cui i singoli non contano e non partecipano, forse si può meglio riconoscere la realtà che ci circonda. Ma naturalmente il problema non è quello di fotografare la realtà esistente, in cui ci sono gruppi di interesse che hanno un peso ed una influenza rilevante e fanno contare alcuni individui molto più di altri (non solo, ma togliendo a volte agli altri anche condizioni dignitose di vita), al di là delle procedure democratiche di elezione. Una tale situazione si manifesta proprio nel dualismo di sfera politica con il suo linguaggio astratto e sfera sociale, che è abbandonata allo scontro degli interessi. Si tratta invece di superare la dualità di pluralismo sociale e unità politica, secondo la quale il peso politico dei gruppi emerge surrettiziamente in un linguaggio formale della politica, che è quello del bene e della volontà del popolo. I raggruppamenti che si danno nella società, in quanto sono intesi - federalisticamente - in una dimensione politica, sono costretti a incontrarsi e scontrasi con il problema del bene complessivo del corpo comune da tutti costituito e non giocare solamente in relazione al loro peso e alla loro forza (come si può pensare in un ottica basata sul dualismo di sociale e politico).
Coloro che governano, a tutti i livelli, potrebbero avere come interlocutori, non solo nell'esercizio del governo, ma anche alla base del loro mandato, i vari raggruppamenti presenti nella realtà sociale. In tal modo i cittadini possono avere una partecipazione e una presenza politica ben diversa da quella che hanno come individui isolati, e dunque in una situazione astratta dalla realtà concreta, come è quella del voto. Certo ciò comporta una differente partecipazione da parte dei cittadini, ma appunto quello che si deve pensare è lo spazio della partecipazione effettiva. Ciò che è da negare non è certo l'uguale dignità dei cittadini: al contrario è proprio questa dignità che bisogna finalmente riconoscere, ben al di là dell'uguaglianza formale che ha una sua funzione politica nelle costituzioni. Bisogna pensare alle modalità di una partecipazione reale, che sembra implicare l'elemento della differenza.
Si può allora comprendere che due aspetti condizionanti il dibattito presente sul federalismo, si mostrano riduttivi o fuorvianti. Innanzitutto quello del legame del federalismo con l'elemento territoriale: questo ha una sua rilevanza, ma non può essere determinante. Se si pensa allo spezzettamento della sovranità, oppure ad un più ristretto rapporto tra eletti ed elettori, ma non si cambia il modo di pensare questo rapporto, la sua forma e il suo significato, non si esce dai problemi e dalle difficoltà della forma-Stato. Ugualmente la via del decentramento non è sufficiente a pensare federalisticamente, in quanto implica pur sempre la logica del centro che caratterizza la forma-Stato22, mentre il federalismo è al di là di questa logica: non implica la riduzione all'unità, ma richiede il coordinamento e la solidarietà (ciò che il termine foedus indica) dei diversi soggetti, i quali hanno in sé capacità di governo, ma non sono caratterizzati dall'indipendenza, dall'assolutezza e dalla autonomia propria del concetto di sovranità: riconoscono piuttosto la necessità dello stare assieme e si ritrovano in un orizzonte etico comune che non è risolto nella autonomia della volontà che decide la legge23.
Se mettere in questione il concetto di sovranità significa mettere in questione i concetti di individuo, uguaglianza e libertà, come sono stati intesi da quel pensiero politico moderno che si è sedimentato nella forma dello Stato, allora ne risulta che è anche il concetto di rappresentanza che deve essere ripensato. Esso è infatti il centro della forma politica pensata alla luce della sovranità e, come appare fin dal momento iniziale, è la vera chiave che lega insieme, provocando tuttavia effetti di scissione e dualismo, il soggetto individuale e quello collettivo. Federalismo implica una diversa concezione del soggetto individuale e di quello collettivo. Da una parte l'individuo non è inteso nella sua astrazione, ma all'interno dei concreti rapporti in cui ha la sua realtà - il rapporto con l'altro appare costitutivo dell'essere se stesso del singolo - e dall'altra il soggetto collettivo non è caratterizzato da quell'unità che implica necessariamente radicale alterità nei confronti dei membri che lo costituiscono. Ciò è possibile solo se i membri non sono gli individui, per i quali non si può dare nessuna determinazione differente (appunto uguali), ma sono quei raggruppamenti all'interno dei quali gli individui hanno realtà e partecipano. In questo caso si può pensare ad una istanza unitaria di governo, che appare l'altro elemento necessario nei confronti di una forte affermazione politica della pluralità dei soggetti. Pluralismo comporta la relazione ad un governo - coordinamento e guida - unitario, pena il darsi semplicemente dei molti diversi e non del loro accordo, ma tale istanza di governo (insisto, non di potere) non esprime il volere e il potere del popolo, ma ha di fronte a sé tutta una serie di raggruppamenti che hanno significato politico e non sociale, e che da una parte cooperano con l'istanza di governo, dall'altra la controllano e la condizionano.
Ben si comprende che tutto ciò comporta la necessità di ripensare il concetto moderno di rappresentanza politica. Non si intende qui osare proposte su nuove modalità della rappresentanza, ma solo indicare esigenze e possibilità di pensiero. Se da una parte si può ipotizzare che questa debba essere legata ai raggruppamenti nei quali gli uomini vivono ed operano, dall'altra è facile riconoscere che non può certo essere reintrodotto un modello di tipo feudale e corporativo. Il cammino della modernità ha prodotto certo una diversa società. Se si vuole rapportare il singolo alle condizioni concrete della sua vita, non si può non riconoscere la molteplicità delle cerchie e delle realtà in cui ogni cittadino vive e dei concreti rapporti in cui esprime la sua personalità e il suo agire.
Il problema non consiste tanto nel pensare corporativamente la rappresentanza, quanto piuttosto nel pensare le modalità della presenza e della valenza politica di tutti i tipi di raggruppamento in cui i cittadini si trovano a vivere e ad esprimersi. Tale pluralità concerne non solo la totalità dei cittadini, ma ogni singolo cittadino. Ci si potrebbe porre il difficile problema se sia possibile pensare costituzionalmente (nel senso più ampio e etimologico del termine) la presenza politica dei raggruppamenti esistenti nella società: di tutti i raggruppamenti, da quelli del lavoro, culturali, religiosi, del volontariato, di presenza nel territorio…ecc., che renda possibile concepire la partecipazione attiva (certo con intensità diversa e con peso diverso per i diversi individui) del singolo alla vita collettiva attraverso una serie di spazi e di occasioni diverse. Tale pluralità di espressione politica del cittadino supererebbe allora anche la limitazione che potrebbe derivare da una riduzione della partecipazione politica a cerchie di appartenenza come quella territoriale o quella lavorativa. Anche i raggruppamenti liberi e volontari, i raggruppamenti di opinione, non legati alla particolarità della vita quotidiana, potrebbero essere pensati in una loro dimensione politica permettendo l'espressione di idee e volontà a livello di problematiche ampie e mondiali. E' per altro da ricordare che se i gruppi hanno un significato politico si caricano anche di responsabilità politiche e dei problemi comuni; come sopra si è detto, anche se attraverso di essi emergono diversi interessi, essi non posso essere intesi semplicemente come gruppi di interesse, come avviene all'interno delle teorie che si basano sul ricorrente dualismo di sfera sociale e sfera politica24.

Note:

1 Alcuni di questi testi, frutto di un approccio di tipo storico-concettuale, saranno indicati di seguito.
2 Ampio è il dibattito su questo punto; mi limito a ricordare i lavori di DIETER GRIMM, e il suo agile volumetto significativamente intitolato Braucht Europa eine Verfassung? Siemens-Stiftung, München 1994.
3 Cfr. G. DUSO, Il contratto sociale nella filosofia politica moderna, Franco Angeli, Milano 19983 e anche W. KERSTING, la voce Vertrag, Gesellschaftsvertrag, Herrschaftsvertrag, in Geschichtliche Grundbegriffe, Historisches Lexikon zur politisch-sozialen Sprache in Deutschland, hrsg. O. Brunner, W. Conze, R Koselleck, Klett Cotta, Stuttgart 1972-1992, vol. VI, pp. 901-946 e il saggio La dottrina del duplice contratto nel diritto naturale tedesco, in "Filosofia politica", VIII (1994), pp. 409-437; dello stesso si veda anche Die politische Philosophie des Gesellschaftsvertrags, Darmstadt 1994.
4 GRIMM, Braucht Europa…, sp. pp. 31-32.
5 H. HOFMANN, Von der Staatssoziologie zu einer Soziologie der Verfassung, in Rechtssoziologie am Ende des 20. Jahrhunderts, hrsg. von Horst Dreier, Mohr, Tübingen 2000, sp. pp. 204-205.
6 Rimando soprattutto a Patto sociale e forma politica in Il contratto sociale, cit. sp. pp. 13-21 e a Una prima esposizione del pensiero politico di Althusius: la dottrina del patto e della costituzione del regno, "Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno", XXV (1996), pp. 65-126. Sull'interesse attuale per Althusius in chiave di un pensiero del federalismo, si tenga presente la proposta di D. J. Elazar in Exploring Federalism (1987), tr. it. Idee e forme del federalismo, Mondadori 1998, e in Althusius and Federalism as Grand Design, in G. DUSO, W. KRAWIETZ, D. WYDUCKEL (Hrsg), Konsoziation und Konsens. Grundlage des modernen Föderalismus in der politischen Theorie, Duncker & Humblot, Berlin 1997, pp. 209-218 (si veda anche l'intervista a Elazar in A. LORETONI, Interviste sull'Europa, Carocci, Roma 2000, sp. pp. 40-41); ma soprattutto TH. O. HÜGLIN, Sozietaler Föderalismus. Die politische Theorie des Johannes Althusius, De Gruyter, Berlin-New York 1991 (una discussione della proposta avanzata in questo libro si trova in in G. DUSO, Althusius e l'idea federalista, in "Quaderni Fiorentini. Per la storia del pensiero giuridico moderno", XXI (1992), pp. 611-622).
7 Cfr. tale distinzione già in R. CARRÉ DE MALBERG, Contribution à la théorie générale de l'État (1920) CNRS, Paris, , 1962, Vol. I, p. 92 : per la critica di una tale distinzione cfr. O. BEAUD, Fédéralisme et souveraineté. Notes pour une théorie constitutionelle de la fédération, "Revue du droit public", 1998, n.1, pp. 83-122, qui 90.
8 Pur condividendo l'opposizione posta da Beaud tra federazione e sovranità, anzi proprio sulla base di questa contrapposizione, non intendo la sua affermazione risoluta che la federazione si può pensare solo come federazione di Stati, e che "les unités politiques concernées aujoud'hui par le federalisme sont les États", e ancora che " Le fédéralisme et la Féderation appartiennent à l'horizon conceptuel de la pensée politique et juridique de la Modernité" (p. 99). La difficoltà proviene dalla contemporanea constatazione che "l'État est caracterisé par la notion de souveraineté qui est, et demeure, son critère juridique essentiel" (p. 89). Mi sembra allora che ciò che è da superare per pensare federalisticamente l'Europa sia, in prospettiva, quello di superare con la nozione di sovranità anche quella di Stato, nel preciso significato concettuale che il termine ha avuto nella storia moderna degli stati nazionali. Per questo compito mi pare particolarmente efficace andare oltre il quadro concettuale della modernità (e della sovranità, della forma-Stato), guardando ad un federalismo come quello althusiano che appartiene ad un orizzonte di pensiero diverso. Per questa via la riflessione sul federalismo si viene a trovare su di un piano assai diverso da quello che caratterizza la trattazione della federazione da parte di Schmitt nella sua Dottrina della costituzione, in quanto tale trattazione è dominata dai concetti di Stato, sovranità, costituzione; se è vero che il pensiero schmittiano costituisce un passaggio fondamentale per intendere la logica dei concetti moderni (rimando per ciò a Teologia politica e logica dei concetti politici moderni in Carl Schmitt, in La logica del potere. Storia concettuale come filosofia politica, Laterza, Roma-Bari 1999, cit., pp. 137 ss.), esso non appare tuttavia risolutivo in relazione al problema del presente, che consiste proprio nel superamento della concettualità politica moderna.
9 Non solo la maiestas è tutt'altra cosa dalla sovranità moderna e dal potere politico, ma che la concettualità che nasce con la sovranità moderna tende all'azzeramento e alla destituzione di ogni valore di tutto ciò che, nel pensiero althusiano caratterizza la maiestas populi: ho cercato di mostrare tale affermazione nel recente La maiestas populi chez Althusius et la souveraineté moderne, in Naissance et affirmation de la souveraineté à l'époque moderne, atti del colloquio italo-francese tenuto a Parigi i1 4 novembre 2000, di prossima pubblicazione.
10 Diversità e pluralismo, come bene mostra Althusius nella sua Politica, richiedono una guida unitaria, un governo, come dopo si dirà, che è tutt'altra cosa da quella espressione della volontà di tutti come soggetto politico unico che si dà nel nesso sovranità-rappresentanza.
11 Sarebbe tuttavia fruttuoso pensare al modo in cui pluralità ed unità giocano nel quadro di questo impero, che non è quello della globalizzazione contemporanea. Si tenga presente su questa M. HARDT e A. NEGRI, EMPIRE, University Press, Cambridge (Mass.), Harward 2000 e C. GALLI, Spazi politici, Il Mulino, Bologna 2001.
12 Per le modalità e il significato di una analisi storico-concettuale e per la sua dimensione critica e filosofica rimando al I capitolo di G. DUSO, La logica del potere, cit. A questo volume rimando per intendere l'orizzonte della presente riflessione e alcune delle analisi che chiariscono e motivano, quanto qui viene detto: per il problema della concettualità con cui è, anche costituzionalmente, pensata la democrazia, si veda spec. il cap. VII.
13 Sull'opposizione e sul piano unitario del pensiero di Hobbes e di Rousseau si vedano i due saggi di A. Biral dai titoli significativi "Hobbes: la società senza governo" e "Rousseau: la società senza sovrano", in Il contratto sociale, cit. (ora anche in A. BIRAL, Storia e critica della filosofia politica moderna, Franco Angeli, Milano 1999).
14 Per la forza che eserciterà la concezione hobbesiana sulla rappresentanza e insieme per le trasformazioni e complicazioni che essa trova nella filosofia moderna fino all'affermarsi storico della rappresentanza unitaria del popolo che avviene con la costituzione francese del '91, rimando al mio Genesi e logica della rappresentanza moderna, in "Fundamentos", IV (2002).
15 Cfr. H. HOFMANN, La carta dei diritti europea, la sovranità nazionale e la costituzione europea, contenuto in questo stesso volume.
16 In relazione ai processi complessi che caratterizzano le moderne costituzioni e le democrazie di massa l'indicazione di tale aporia è certo schematica. Si tratta di attraversare i problemi del controllo dell'esercizio del potere, della periodicità delle elezioni, del vincolo all'azione dei rappresentanti da parte dell'opinione pubblica, dei modi di formazione di quest'ultima, del dislocarsi dei centri decisionali nei confronti di quelli, formalmente politici, costituiti dal parlamento e dal governo, dell'influenza politica dei gruppi di interesse ecc. Mi sembra tuttavia che una tale aporia si manifesti ancora al fondo del modo di intendere il rapporto tra cittadino ed esercizio del potere che è proprio delle costituzioni statali.
17 Per intendere la rilevanza di questo legame nel pensiero moderno e lo sviluppo e le trasformazioni del concetto di potere, rimando alla ricerca collettanea contenuta in Il potere. Per la storia della filosofia politica moderna, a cura di G. Duso, Carocci, Roma 1999.
18 Si veda su ciò il numero 1 del 2001 di "Filosofia politica", dedicato alla interrogazione critica della riduzione della giustizia al nesso diritto-potere proprio della forma politica moderna: si vedano soprattutto i saggi di H. Hofamann e di P. Grossi
20 Sulla radicale differenza tra la nozione di governo e il concetto che è sedimentato nel termine di potere, concetto che non mi sembra universale ed eterno, ma solo moderno, si veda Fine del governo e nascita del potere, in Logica del potere cit.
21 Che forme di consultazione diretta implichino elementi tipici della rappresentanza, per consentire di avere come risultato "la volontà del popolo", che, si ricordi, è ancora determinata dall'unicità, è bene spiegato da H. DREIER, Il principio di democrazia della costituzione tedesca, in Democrazia, diritti, costituzione, a cura di G. Gozzi, Il Mulino, Bologna 1997, p. 28 (che rimanda a H. HOFMANN - H. DREIER, Repräsentation, Mehrheitsprinzip und Minderheitenschutz, in H. P. SCHNEIDER - W. ZEH (hrsg), Parlamentsrecht und Parlamentspraxis, de Gruyter, Berlin - New York 1989, § 5, nr. 17, pp. 172-173).
22 Non è un caso che in una concezione fondante il modo moderno di pensare la politica, come quella di Rousseau, non sia la molteplicità delle differenze degli individui ad impedire l'unica volontà comune: al contrario a questa unica volontà quelle infinite differenze sono funzionali: sono le differenze determinate e limitate dei gruppi e delle associazioni a minare la logica unitaria e generale dello Stato ("Se quando il popolo, informato a sufficienza, delibera, i cittadini non avessero alcuna comunicazione tra loro, dal gran numero delle piccole differenze risulterebbe sempre la volontà generale e la deliberazione sarebbe sempre buona". Ma quando si formano delle consorterie, delle associazioni particolari"( J.J.ROUSSEAU, Il contratto sociale, Libro II, cap. III, in Scritti politici, ed. Laterza, Bari 1994, vol. II, p. 105.
23 Inutile ripetere anche qui che non si intende dare giudizi su ciò che è da fare, problema che implica la responsabilità della proposta politica e richiede comprensione di ciò che è meglio nella situazione in cui ci si trova, problema che non è risolubile con modelli più o meno razionali.
24 Il valore dell'autonomia e della libertà risiede nella necessità di superare la meccanica e incosciente dipendenza da una norma esterna, o da una forza che ci sovrasta, e ciò è una conquista che porta in luce la natura dello spirito umano, ma, come appare in Kant, la libertà non è riducibile al libero arbitrio, neppure se si tratta del soggetto collettivo che si dà la legge dipendendo unicamente dalla sua volontà. Da questo punto di vista è da superare l'idea che la volontà del popolo, in quanto tale, cioè frutto della decisione a maggioranza, sia sempre buona. La volontà dipende dalla ragione, e questa ci pone un compito comune, che sempre si ripropone e richiede sempre nuove soluzione che siano adatte alla concreta situazioni.
25 Un tentativo in questa direzione in cui il principio di sussidiarietà non viene giocato mediante le categorie di pubblico e privato (in questo caso si rimarrebbe all'interno della concettualità di cui si vuole qui denunciare la crisi) si può ravvisare nel recentissimo G. COTTURRI, Potere sussidiario. Sussidiarietà e federalismo in Europa e in Italia, Carocci, Roma, 2001.

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