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L'Europa e il futuro della politica

MERCATO E GOVERNO GLOBALE

Enrico Cisnetto

Mi tocca per ruolo il mestiere dell'osservatore, oserei dire del cronista che guarda all'economia e al potere che essa contiene e guarda ai rapporti della stessa economia con la politica e al potere della politica inteso come delega democratica. Sono d'accordo con la definizione che Pietro Barcellona ha dato di incontenibilità dell'economia, osservazione fattuale da cui si deve effettivamente partire.
Credo sia possibile distinguere oggi cinque processi epocali nell'economia ai quali bisogna fare riferimento per capire a che cosa siamo di fronte. Quello della globalizzazione finisce per essere una definizione onnicomprensiva della quale interesserà l'aspetto che riguarda il meccanismo delle imprese in senso più stretto, della produzione, del modo dello svolgersi dell'economia perché sono stati centro di una rivoluzione straordinaria dovuta al fatto che fino a un certo momento non solo gli Stati in quanto potere politico, ma anche l'organizzazione economica, i sistemi industriali e finanziari si erano modellati entro i confini degli Stati stessi. Si pensi, per esempio, al concetto di export (qualcuno produce una cosa nel proprio paese e poi si reca in altri posti a vendere quei beni e quei servizi) che oggi non esiste più, è stato sostituito dal concetto di impresa globale, cioè di produzione e di distribuzione internazionale dei propri prodotti e dei propri servizi. È chiaro quindi che all'abbattimento delle frontiere, alla universalità del mercato corrisponde una necessità di adeguamento che ha bisogno di tempi e di modi diversi per realizzarsi. Si sono già create nel meccanismo competitivo internazionale delle diversità molto significative che sono all'origine dell'egemonia atlantica. A questo processo si accompagna il fenomeno della concentrazione: negli ultimi anni, direi nell'ultimo decennio, abbiamo assistito ad una operazione straordinaria di concentrazione di aziende, di imprese e di banche, di compagnie di assicurazioni; ciò sta a significare che il metro di misura è cambiato: da un mercato nazionale si è passati al mercato globale ed è chiaro anche che la dimensione delle imprese doveva a quel punto mutare; gli standard nazionali di un tempo, anche quelli grandi delle grandi corporation americane per intenderci, diventavano troppo piccoli rispetto alla dimensione del mercato globale.
Di qui un processo di concentrazione fatto alcune volte attraverso meccanismi forzosi: le scalate ostili, le acquisizioni non regolamentate e poi, successivamente, un processo più graduale fatto di grandi accordi, di fusioni e di concentrazioni (sulle quali per altro adesso si è incominciato a fare un ragionamento sulla loro validità e sulla loro efficacia anche dal punto di vista dell'economia di scala che sono in grado di realizzare). C'è poi il processo di integrazione Europea che, naturalmente, riguarda una parte sostanzialmente importante del mercato globale, perché si sono venute a creare dal punto di vista anche valutario tre grandi aree: l'area del dollaro, dello yen, dell'euro. Integrazione europea significa, però, anche una serie di processi che si sono messi in moto nella globalizzazione continentale delle imprese dell'economie su cui poi voglio tornare i cui effetti straordinari sono poi sotto gli occhi di tutti; si pensi, in questi giorni, al caso EDF - MONTEDISON.
A questo processo di integrazione si è accompagnata una rivoluzione tecnologica, già iniziata a cavallo tra gli anni '70 e gli anni '80, definita rivoluzione informatica, che oggi assume i caratteri della rivoluzione digitale, che rispetto alla prima rappresenta non solo un passo successivo in termini di evoluzione tecnologica, ma è in grado di cambiare i connotati del modo di fare di impresa in maniera assolutamente straordinaria. C'è dunque il processo che io considero più importante ai fini del rapporto tra economia e politica, quello della finanzializzazione: ciò significa che rispetto al tradizionale meccanismo di produzione di ricchezza attraverso i sistemi industriali, grazie a quella che viene definita economia reale per contrapposizione all'economia finanziaria, si è accompagnato un processo di produzione della ricchezza tutto basato sui meccanismi finanziari. Alcuni dati per capirci: ogni giorno nelle 24 ore, tenuto conto che ormai il ciclo è continuo (i mercati sono tutti collegati on-line) si muove una cifra di 4 milioni di miliardi di lire transazioni finanziarie di qualunque genere esse siano le valute, le borse azionarie, le obbligazioni, i derivati. Ciò equivale a una volta e mezzo il Prodotto Nazionale Lordo Italiano, cioè di una delle grandi potenze economiche del mondo con tutti i suoi problemi. Quindi, ogni giorno nel mondo, c'è una cifra che si sposta per transazioni finanziarie che vale una volta e mezza la ricchezza che un paese come l'Italia produce in un anno. È un potere che non ha connotati, tra l'altro in passato c'erano delle definizioni che sembravano in qualche modo voler ricollocare il denaro o per provenienze geografica o per l'origine, si pensi, per esempio, ai petrodollari, definizione degli anni '70 periodo in cui il petrolio era diventato un elemento centrale. In questo momento, questi 4 milioni di miliardi di lire non sono definibili, nel senso che non hanno origine, colore, non si sa da dove vengono, non si sa chi li mette in circuito: il meccanismo di attivazione on-line, attraverso la rivoluzione tecnologica che il mercato finanziario e le borse hanno avuto, li rende assolutamente per così dire invisibili. Se a questo si aggiunge il fatto che il 55% di queste transazioni sono fatte a Wall Street, cioè in un luogo fisico specifico, si può immaginare la forza d'urto che questa cosa ha e che non c'è mai stata nello scenario dell'economia e quindi anche nei rapporti tra l'economia e la politica. Precedentemente si è detto che la ricchezza finanziaria ha prevalso su quella reale nel periodo compreso tra il '90 e il '96; nei 6 paesi più industrializzati, il rapporto tra le due grandezze, è di 1:2 negli Stati Uniti, di 2.5:1 nel Regno Unito. Il valore delle attività finanziarie complessive riferite a Stati Uniti, UK, Giappone, Germania, Francia e Italia è passato tra il '90 e il '99 dal 210 al 360% del PIL complessivo di questi paesi. Ancora più accentuato è l'incremento dei prodotti, derivati, opzioni e future che sono quelli quotati e suop non quotati che sono passati nello stesso periodo e per il complesso di questi stessi paesi dal 40 al 340% del PIL. Se poi si considera che rispetto alla massa dei derivati si deve tener conto che ogni operazioni di tipo speculativo ne genera altre dirette alla copertura del rischio, il cui calcolo è perfino difficile: è necessario mettervi un N moltiplicatore per rendersi conto di che cosa significa in termini di valore complessivo tutto ciò.
Il mercato finanziario è per definizione quello più globale che esista, difatti mentre le imprese hanno dovuto adeguarsi al fatto che i loro mercati non erano più confinati entro gli Stati di riferimento, il mercato finanziario è ormai totalmente e per definizione un mercato globale. Allora è chiaro che questo crea degli straordinari meccanismi di rapporto con la politica. Si pensi all'agenda internazionale della politica, fatta solo ed esclusivamente sulla base delle scadenze economiche: si parla di tassi, si parla di rapporto tra le valute, si parla delle decisioni che devono prendere le banche centrali . Si pensi al potere straordinario delle banche centrali stesse: io sono convinto che l'uomo più importante del mondo in questi ultimi anni non sia stato il Presidente degli Stati Uniti, chiunque esso sia, e a qualunque partito appartenga, ma il governatore della Federeal Reserve perché, più del Presidente degli Stati Uniti, ha in mano - e mi pare che in questo scorcio di inizio dell'era Bush ce ne sia stato una riprova - le vere decisioni. Difatti mentre il governo, il congresso si attarda a vedere se ci sono le condizioni per recepire il progetto di riduzione delle tasse presentato in campagna elettorale da Bush, la politica economica e quindi la politica, le decisioni che riguardano la vita dei cittadini negli Stati Uniti, con il riflesso che esse hanno a livello globale, sono state decisamente nelle mani di Alan Greenspan ed è lui, molto più lui del Presidente degli Stati Uniti, che decide i meccanismi fondamentali. Ma Alan Greenspan non mi risulta essere stato eletto da nessun cittadino, non ha una legittimazione democratica. Per fortuna Greenspan è, secondo me, un uomo straordinario, e la sua azione finora è stata saggia e straordinariamente corretta ma, mi domando se ci sono dei contro poteri visto che la democrazia è fatta di poteri bilanciati, e di meccanismi di controllo. A questo punto veniamo anche solo alle istituzioni che tradizionalmente controllano i mercati: se gli stessi non sono più quelli nazionali, ma un unico grande mercato, mi domando che senso abbia che ci siano le Consob Nazionali se le imprese agiscono a livello transnazionale, se i mercati on-line fanno si che le singole borse, in quanto tali, abbiano una funzione del tutto relegata alla registrazione delle operazioni ma non hanno un vero e proprio potere di controllo, non rappresentano un vero e proprio confine, che senso abbia che invece ci siano confinate gli organismi che devono controllare le attività dei mercati e se le imprese sono transnazionali sono globali che senso abbia che ci sia una misurazione degli antitrust a livello nazionale o, faticosamente, a livello di grandi aree come si sta facendo, o si sta tentando di fare con molti errori in Europa. A me sembra per esempio che il caso delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni in Europa sia emblematico dal punto di vista della disparità tra un mercato che procede globalmente o se vogliamo, in questo caso, continentalmente e tra poteri politici che invece ragionano ed hanno anche strumenti del tutto nazionali. L'Italia per esempio ha proceduto ad un processo di privatizzazione secondo me esclusivamente finalizzato a far cassa per poter centrare gli obiettivi di Maastricht; quindi per portare la lira nell'euro ha iniziato un processo di liberalizzazione in alcuni settori e tutto questo è avvenuto in maniera completamente slegata da quello che succedeva negli altri paesi e, in particolare, nei due paesi forti dell'Europa dell'Euro e cioè la Francia e la Germania, con il risultato che in questi paesi alcuni gruppi sono rimasti pubblici e monopolisti o se hanno perso questa caratteristica, l'hanno persa solo formalmente, (è il caso in Germania nel settore dell'energia) perché in realtà hanno conservato i poteri, le caratteristiche, i privilegi. Le nostre imprese invece, si sono messe su un mercato in posizione asimmetrica rispetto a come si sono comportate quelle più grandi e più potenti con più denaro e con ancora i vecchi privilegi degli altri paesi più forti, il risultato di questo atteggiamento è la vicenda EDF -MONTEDISON a cui si risponde con un arnese di vecchia data, il decreto protezionistico, che per altro, secondo me, non avrà neanche effetti concreti ma che riporta le lancette dell'orologio a molto prima dell'avvento della logica della liberalizzazione del mercato. Forse la soluzione si sarebbe trovata facendo un ragionamento di tipo europeo,
forse bisognava mettere insieme questi processi e collegarli, tanto più dopo aver fatto la scelta della moneta unica, anche se osservo che non si sia riusciti nemmeno su un settore completamente nuovo come quello per esempio dell'UMTS, che non esisteva e che quindi non intaccava i meccanismi già consolidati e preesistenti, ma era semplicemente da negoziare in termini nuovi; eppure è successo in Europa che le licenze per i telefonini UMTS sono state quasi regalate in alcuni paesi e pagate 100 mila miliardi in Germania o 70 mila miliardi in Gran Bretagna, creando quindi delle disparità, delle asimmetrie già in partenza in un mercato che, per definizione, quello delle telecomunicazioni, non può che essere globale.
Ma, anche di fronte a questo processo di globalizzazione, ci sono dei problemi di ruolo degli organismi che tradizionalmente erano transnazionali: penso, per esempio, alla banca mondiale, al fondo monetario, all'Ocse cioè a tutti quegli strumenti ormai vecchi pensati prima del processo di globalizzazione e che si sono dimostrati assolutamente impotenti rispetto alle necessità. La risposta degli Stati è stata l'incremento come numero e come ruolo di questa sorta di governi mondiali occidentali che sono i G7, i G8, G10 a seconda del numero dei partecipanti. Summit che hanno delle agende stratosferiche, che spesso si riducono a espressioni di principio di tipo generico e che non hanno da un lato nessuna organizzazione formale espressione di rappresentanza, di consenso, democratica se non traslata attraverso il fatto che sono un'insieme di Stati che a loro volta hanno organizzazioni politiche e che, comunque, non sono in grado di rispondere al tema del governo mondiale. Intendiamoci su questo ultimo punto perché c'è una letteratura molto diversificata: c'è chi ritiene che non ci sia bisogno del governo mondiale non perché il mercato fa da sé, c'è chi sostiene, come Giuseppe Guarino ha fatto in un interessante saggio di governo, che (sostenendo che c'è una sorta di Global Governance manifestantesi per tutta una serie di segni, di regole anche non scritte) tutto sommato alla fine di governo globale mondiale si può già parlare, c'è chi invece dice, come il sottoscritto, che di governo globale non c'è nemmeno l'ombra, e ritiene anche che qualche necessità da questo punto di vista naturalmente esista, ponendosi problemi a cui è difficile dare delle risposte e a cui penso, un convegno di questo genere abbia il dovere di sottolineare di far emergere: è necessario chiedersi può essere il sistema, il classico sistema tradizionale della democrazia rappresentativa messo in relazione con la necessità di darsi delle istituzioni mondiali che siano in grado di essere il contro potere di quella economia incontenibile di cui spero di aver dato alcuni elementi di valutazione e di misurazione.

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