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L'Europa e il futuro della politica

GLOBALIZZAZIONE E RUOLO DELL'EUROPA

Pietro Barcellona

1. "L'Europa e il futuro della politica" è un tema che permette di far convergere tutte le questioni che oggi sono sul tappeto della discussione politico-intellettuale e anche filosofica. La questione dell'Europa si può riassumere in una domanda: l'Europa rappresenta una tappa, un gradino della globalizzazione? Oppure è una resistenza alla globalizzazione? L'Europa definisce uno spazio politico nuovo rispetto allo spazio nazionale classico oppure è soltanto un "non luogo" dove transitano merci?
Carlo Galli ha dedicato allo spazio politico della globalizzazione un lungo saggio per mettere in evidenza come il mutamento della spazialità, del concetto di spazio, rappresenta una rottura di epoca, l'inizio di una "nuova epocalità spaziale". La trasformazione dello spazio implicato nell'idea di globalizzazione è distruttiva delle forme tradizionali di spazio (ma anche del diritto e della politica tradizionali) che consentivano di distinguere un interno e un esterno, un prossimo e un lontano.
Le nozioni tradizionali di spazio e di tempo sono stati gli a priori della costruzione dello Stato moderno. Il Leviatano di Hobbes è pensato a partire da un'idea di spazio e di tempo definiti, che sono il trascendentale dello Stato, l'apriori. La fine dello spazio e del tempo dello Stato è la fine dello spazio e del tempo della politica, ma più in generale possiamo anche dire dello spazio e del tempo moderni che sono misurati sull'idea di Stato.
Anche Cacciari in due saggi, intitolati "Discorsi tedeschi" (commentando a Brema nel '99 l'opera di Hannah Arendt considerata, giustamente, come una delle voci che hanno resistito alla mobilitazione della modernità verso un individualismo senza limiti), sottolinea che la globalizzazione è un fatto tecnico, economico, finanziario, che realizza l'affermazione della razionalità allo scopo (la ragione strumentale) sull'intero pianeta e pone fine a quella grande costruzione dello spirito europeo che è lo Stato nazionale. Lo spazio contemporaneo, infatti, non è più rappresentabile sulla base di uno Stato territoriale determinato.
La mobilitazione degli individui prodotta dalla globalizzazione distrugge le differenze di luogo e di ora, facendo venir meno le condizioni trascendentali dell'esperienza umana (lo spazio e il tempo). Per altro verso, la globalizzazione presuppone la sistematica riduzione della persona a "singolo", la fine dello zoòn politikòn, della "naturale" vocazione alla socializzazione. La trasformazione porta le sue conseguenze più radicali neutralizzando anche l'individuo sociale. L'individuo diventa un nulla, privo di determinazioni qualitative, e richiede alla politica di diventare servizio, ministro nel senso etimologico del termine, che in italiano significa minestra (come sottolinea Cacciari).
Cacciari sembra, tuttavia, ritenere che non sia possibile distruggere la dimensione etica del fare, che non sia possibile che la storia finisca. L'individuo non può essere risolto soltanto nelle forme di un fare produttivo, strumentale, efficace. Una siffatta riduzione dell'uomo alla dimensione privata significherebbe distruggere il linguaggio, perché la sostanza del linguaggio presuppone una relazione comunicativa interpersonale. Io parlo perché esiste il linguaggio, ma il linguaggio è sempre un parlare "con" e un "fraintendersi", non si può parlare senza essere insieme con altri. Nel meditare sul linguaggio si fa evidente come ogni identità sia anche relazione con l'altro. Nessuna identità può essere immune dal cum, dalla communitas, perché ogni identità senza communitas sarebbe sempre immatura, inconsapevole e fatta solo di paura dell'altro. La società del rischio (di cui parla, per esempio, Beck) è, infatti, una società della paura.
Ciò che più mi interessa delle riflessioni di Cacciari è l'affermazione che l'Europa è la terra del linguaggio trascendentale, inteso nel senso che il linguaggio è la trascendenza della storia pratica dell'Europa e perché il linguaggio dell'Europa si è autorappresentato sempre come connessione di molteplicità.
Il linguaggio è stato "pensato" e "vissuto" in Europa come un trascendimento del biologico, e proprio per questo è irriducibile al funzionale dell'economia e della tecnica.
C'è una poesia di Saffo che è stata tradotta in italiano e in francese. La traduzione francese è stata commentata da Castoriadis in un breve saggio che è dedicato appunto al tema del linguaggio. La poesia recita "era l'ora in cui le pleiadi si tuffano nelle isole….è l'ora della mia solitudine…", Castoriadis comincia a discutere sulla traduzione "possibile" di "ora" e la ricollega al contesto della poesia di Saffo. I poeti antichi, e non solo, guardavano il cielo e vedevano le Pleiadi che si tuffavano davvero nel mare. Rispetto a questa visione, il concetto di ora, usato da Saffo, non è il minuto, non è l'ora dell'orologio, ma una stagione del mondo, è l'epoca della vita, è il momento degli astri. L'ora dovrebbe tradursi con mille e mille parole, perché le parole degli uomini non sono segni che automaticamente hanno un significato, sono aperture di universi simbolici, dove noi abitiamo.
Il linguaggio dell'Occidente è, in questo senso (come dice Cacciari) l'identità dell'Europa; è il suo non avere un'identità rigida, il suo essere, a partire dalla storia del Mediterraneo, un luogo di accoglienza, uno spazio in cui una volta l'Europa e l'Asia si sono specchiate come due "sorelle". Nei Persiani la madre di Serse sogna la donna dorica e la donna asiatica come personificazione dei due mondi che si incontrano e confrontano: il mondo della libertà greca e quella del vincolo asiatico.
Lo spazio europeo, da cui abbiamo preso le mosse, può essere dunque pensato come lo spazio di una cultura aperta, non chiusa, non legata a una rigidità territoriale, a una difesa parossistica dell'etnia o della razza, ma come un'apertura, come linguaggio di un'assenza di "significati assoluti" che non sarà mai colmato da una presenza piena, di un tendere verso l'altro che non può essere saturato.
Il linguaggio dell'Europa è quello dell'utopia, della speranza di una nuova politica che sappia istituire un nuovo rapporto fra la tradizione e il futuro.
La politica che dovrà sorgere dentro la nuova Europa non potrà essere amministrazione o gestione dei conti bancari; ma progettazione degli spazi futuri, restituzione agli uomini della capacità di pensare e creare attraverso simboli; di pensare oltre lo spazio definito dalla frontiera. L'Europa può essere questo. Non l'Europa mercantile, economica e finanziaria in competizione con gli Stati Uniti, ma come la potenza che può resistere alla globalizzazione in nome di una tradizione di civiltà che non è consegnata alle singole nazioni, che può essere pensata come la Nazione Europea. La nazione europea è proprio questo contenitore simbolico di una molteplicità di risposte e perciò può diventare uno spazio politico nuovo.
Se non costruiamo lo spazio europeo, se non siamo davvero capaci di pensare l'Europa come storia, come tradizione ma anche come apertura, il destino del pianeta sarà quello della rinascita dei nazionalismi più spietati, più chiusi, e della xenofobia. E' in campo il ritorno di un radicalismo razzista pericoloso per il rifiuto di ogni possibilità di comunicazione e di apertura.
2. L'alternativa a questa catastrofe non è la difesa dei diritti umani intesi astrattamente, non è la difesa della globalizzazione economica come promessa del progresso tecnologico, ma la capacità di individuare uno spazio europeo in cui ciascuno dei popoli possa esprimere un'appartenenza culturale che sia compatibile con l'appartenenza geografica a una dimensione transnazionale.
I diritti non si possono scindere dal rapporto con un potere che li garantisce. Occorre porsi insieme ai diritti il problema della politica. Se ci si pone insieme ai diritti il problema della politica ci si deve porre il problema della forma di società. Se la società è democratica, i diritti si possono garantire nella democrazia; se sono separati dalla politica e visti, anzi, come impolitici, diventano uno strumento nelle mani di un potere arbitrario.
Voglio fare un esempio.
Man mano che si svilupperanno le conoscenze biomediche sul DNA sarà possibile acquisire informazioni sul destino e la salute di ciascuno di noi. I medici devono informare? Se per esempio mi resta un anno di vita perché il mio orologio biologico si fermerà tra un anno, devo essere informato?Potrei reclamare il mio diritto di ignorare - la cosa più terribile della condanna a morte è conoscere il giorno e l'ora in cui si muore -, ma la mia assicurazione potrebbe avere interesse a saperlo, oppure i miei figli. Chi decide come viene gestita questa informazione? Si può rischiare una tirannide sanitaria, potrebbe esserci Autorità che avranno un potere enorme su ciascuno di noi. La tirannide sanitaria è il correlato della concezione dei diritti senza politica e senza democrazia.
La politica significa che gli uomini si assumono "insieme" la responsabilità di regolare il problema dell'informazione genetica. Se mettiamo in campo soltanto i diritti individuali e non poniamo il problema del potere democratico, e quindi della forma della politica, si rischia il disastro arbitrario o il giurisdizionalismo senza garanzia.
Pensare l'Europa significa pensare, dunque, la forma democratica della nuova società che si misura coi nuovi diritti.
Infatti, negare la rilevanza di universali astratti come a priori non significa restare chiusi nel solipsismo o nell'autismo di una cultura autoreferenziale e particolare. Quella di provare a generalizzare la propria esperienza, è un'istanza interna alla cultura europea. Una massima del senso comune, dice "non fare agli altri quello che non vuoi fare a te stesso o che non vorresti che facessero a te stesso". Ma la generalizzazione delle nostre aspettative è possibile all'interno di un contesto di valori condivisi e di un comune spazio simbolico e tale spazio è impensabile senza una costituzione politica della nuova società europea.
Dahrendorf ha scritto che la Carta dei diritti non è mobilitante, perché è arretrata rispetto alle Costituzioni nazionali. L'affermazione che la Repubblica italiana è fondata sul lavoro non soltanto una questione simbolica, ma il riconoscimento che il lavoro rappresenta un titolo per la partecipazione alla vita collettiva. La Carta dei diritti è, invece, fondata sulla dignità della persona. Cos'è la dignità? La dignità potrebbe essere quella di un barbone che vive sotto i ponti di Parigi o quella di un uomo in frac al ricevimento dell'ambasciata. La dignità è sempre una relazione e non può essere separata dalla dialettica del riconoscimento.Si può costruire l'Europa soltanto producendo percorsi normativi nuovi in cui si incontrino e si riconoscono tradizioni culturali e saperi diversi. L'Europa non può essere soltanto un prodotto giuridico, ma un insieme di istituzioni politiche, sociali, culturali.
L'Europa del mondo antico esiste perché incontra l'Asia e il Mediterraneo, così come l'Europa moderna esiste quando si scopre l'America. La Nazione Europea, come la intendeva Lefebvre, è una originale coesistenza di culture diverse. Da qui occorre prendere le mosse per un nuovo ruolo dell'Europa nel mondo globalizzato.

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