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L'Europa e il futuro della politica

COSTITUZIONE EUROPEA E SOVRANITA'

Claudio Rossano

E PROCESSO D'INTEGRAZIONE EUROPEA. Il dibattito sulla Costituzione dell'Unione Europea si incentra essenzialmente sul problema della possibile esistenza di Costituzioni al di fuori di organizzazioni politiche di tipo statuale. Problema questo che si collega alla ideologia del costituzionalismo secondo cui soltanto in presenza di uno Stato può aversi una vera e propria Costituzione. Ne consegue che, a seguire tale orientamento, secondo parte della dottrina l'idea di Costituzione e l'uso stesso di tale termine mal si attaglierebbe all'Unione Europea, dal momento che ad essa mancherebbero i requisiti essenziali che tradizionalmente caratterizzano le diverse forme di Stato, un potere di supremazia che solitamente viene definito col termine sovranità, un popolo unitariamente inteso ed un proprio territorio su cui incondizionatamente viene esercitato il potere sovrano.
Ciò non esclude peraltro che se si accoglie un concetto più lato di Costituzione, come complesso di principi e norme fondamentali posto alla base di una entità politica che cura gli interessi politici di una comunità, anche se non si costituisce in Stato, per l'Unione Europea potrebbe riconoscersi l'esistenza di una Costituzione o la possibilità di averla.
Va però anche considerato che secondo altri orientamenti il processo di integrazione europea sarebbe giunto oramai a tal punto da fare ritenere che l'ordinamento comunitario abbia superato la base pattizia, acquisendo, rispetto agli Stati che lo compongono, un potere di supremazia di tipo sovrano, dando così luogo ad una unione politica che può ormai fondarsi su se stessa, con una struttura federativa atipica rispetto a quelle tradizionali, alla quale quindi potrebbe attagliarsi l'idea di Costituzione nel senso della tradizione costituzionalistica.
Anche se l'argomento del superamento della base pattizia non appare di per sé rilevante, in quanto una unione politica può sussistere anche se fondata su basi pattizie, per stabilire quindi se sussiste, allo stato, una Costituzione europea e di quale tipo, occorre anzitutto chiarire quali sono le caratteristiche, quale la natura attuale, realizzatesi a seguito di un excursus storico, dell'intero sistema comunitario costituito dall'Unione Europea e dalle Comunità.

2. SOVRANITÀ STATALE O SOVRANITÀ COMUNITARIA? Orbene sembra indubbio che tanto le Comunità Europee quanto l'Unione Europea hanno soggettività internazionale, a meno di non intendere quest'ultima l'unico, nuovo soggetto di diritto internazionale rispetto alle singole Comunità. Come soggetti di diritto internazionale esse si pongono accanto agli Stati e non in loro sostituzione. Altrettanto indubbio è che l'Unione Europea costituisce una associazione politica sovranazionale formata da una unione di Stati e di popoli, venuta ad esistenza per decisione dei singoli Stati i quali appunto hanno inteso per il momento dar luogo ad una Comunità politica sovranazionale e solo a questa. In tale Comunità, secondo la disciplina del trattato dell'Unione, vengono conservate le loro identità statuali e nazionali, perché specificamente riconosciute e tutelate (art. 12).
L'interrogativo che si pone è se, in considerazione dei poteri riconosciuti alle istituzioni comunitarie e della prevalenza del diritto comunitario sui diritti nazionali, possa parlarsi di una sovranità comunitaria nei confronti dei singoli Stati. Come del resto si assume si sia verificato sul piano economico, per quanto concerne la rinuncia alle monete nazionali, anche se la rinuncia non è totale, essendovi Stati che hanno mantenuto le loro monete.

3. SOVRANITÀ DEGLI STATI E ORDINAMENTO COMUNITARIO. Per quanto concerne la sovranità degli Stati il concetto di sovranità è da tempo in crisi e non tanto per gli attacchi portativi sul piano di una teoria generale del diritto, quanto piuttosto per l'erosione della sovranità degli Stati cui si assiste sul piano sostanziale e fattuale che la dottrina tende ad interpretare come effetto di un depotenziamento sia verso l'alto nei confronti delle organizzazioni internazionali e sovranazionali, sia verso il basso nei confronti dei gruppi sociali intermedi ed anche dei poteri locali.
Tale erosione, se si analizza a fondo il fenomeno, non riguarda la sovranità come requisito di esistenza (sia se inteso come elemento, sia come presupposto) dello Stato, quanto l'esercizio di poteri propri dello Stato. Se così non fosse saremmo di fronte alla fine dello Stato per mancanza di uno dei suoi requisiti essenziali. La sovranità statuale, come tale, è invero originaria e inesauribile e non sopporta vincoli giuridico formali posti dal diritto positivo. Gli stessi Stati definiti a sovranità limitata, quelli che sul piano politico - fattuale incontrano limiti esterni, come entità soggettive internazionali pretendono di essere considerati sovrani sul piano giuridico formale.
La circostanza che i singoli Stati europei hanno realizzato un ordinamento giuridico comune ad essi, a carattere sovranazionale, e che il diritto comunitario entra direttamente a far parte dei diritti nazionali di per sé non implica la perdita di sovranità degli Stati. Sono infatti essi che volontariamente hanno consentito e consentono l'esercizio dei poteri delle istituzioni comunitarie con effetti diretti nei loro ordinamenti ed è pur sempre ad essi che appartiene il potere costitutivo dell'Unione Europea. Sono essi che hanno approvato l'Atto Unico europeo (1986), il quale ha previsto interventi delle Comunità all'esterno, in materie come l'ambiente, la ricerca scientifica e tecnologica, e ha avuto di mira la coesione economica e sociale; che hanno quindi approvato prima il trattato di Maastricht (1992), istitutivo dell'Unione Europea e poi quello di Amsterdam (1998), con i quali si è verificato un vero salto di qualità delle competenze comunitarie, estendendole a settori come la cultura, l'istruzione, la sanità pubblica, l'industria, le reti transeuropee, la cooperazione doganale ed allo sviluppo, la realizzazione di una moneta unica, la cittadinanza europea, oltre che alla politica estera, alla difesa, alla polizia, alla diplomazia, etc.. Sono essi che hanno previsto la possibilità per l'U.E. di concludere accordi nell'ambito del cd. secondo pilastro (Pesc), relativo alla politica estera e di sicurezza comune, e del cd. terzo pilastro (GAI), relativo alla giustizia ed agli affari interni. Essi tuttavia potrebbero eventualmente anche porre in discussione l'esistenza stessa dell'Unione Europea, essendo pur sempre titolari della cd. competenza delle competenze in ordine all'U.E. e alle Comunità, che non è ancora riconosciuta alle istituzioni di tali soggetti.
Di fronte all'interrogativo, se possono l'Unione Europea e le Comunità pretendere di far valere la loro stessa esistenza nei confronti degli Stati, la risposta viene data da un lato dal principio della tassatività delle competenze, collegato a quello della sussidiarietà, e dall'altro dall'art. 48 del T.U.E. che prevede comunque la ratifica da parte di tutti gli Stati delle modifiche che vengano introdotte.
Anche il potere di decisione politica che è stato in gran parte trasferito alle istituzioni comunitarie con depotenziamento dei Parlamenti e degli Esecutivi nazionali viene esercitato da organismi che sul piano giuridico sono direttamente o mediatamente rappresentativi dei singoli Stati e dei loro popoli, con la conseguenza che Stati e popoli partecipano alle decisioni che vengono da essi adottate. Sempre sul piano giuridico formale dunque quella che viene intesa come perdita o trasferimento di sovranità da parte dei singoli Stati non è altro che un trasferimento di poteri di decisione che astrattamente potrebbe anche rientrare, ove gli Stati intendessero riassumerli, anche se ciò sul piano politico non appare verosimile. Soprattutto ove si consideri la tendenza in atto all'espansione del principio maggioritario per le decisioni in seno al Consiglio, nonché all'accrescimento dei poteri del Parlamento, con conseguente regressione dei poteri dei singoli Stati.

4. COSTITUZIONI STATALI E LIMITAZIONI DI SOVRANITÀ. Le stesse Costituzioni dei singoli Stati non sono orientate nel senso di ammettere la perdita o il trasferimento definitivo di sovranità.
La Costituzione Italiana, ad esempio, all'art. 11 col prevedere la possibilità di limitazioni di sovranità a favore di organizzazioni internazionali, peraltro sempre a condizione di parità con altri Stati, non consente affatto un trasferimento definitivo di sovranità, ma soltanto limitazioni che, dopo la loro introduzione, potrebbero anche essere eliminate.
L'art. 23 del Grundgesetz stabilisce che la Federazione può conferire poteri sovrani all'U.E. con legge ordinaria approvata dal Bundestag e con l'assenso del Bundesrat. Si tratta quindi di una delega di poteri ad istituzioni comunitarie che non costituisce una rinuncia definitiva alla sovranità statale. Così pure l'art. 88, comma 2 della Costituzione francese trasferisce soltanto competenze necessarie per la creazione dell'Unità economica e monetaria, senza riferirsi alla sovranità.
Va poi considerato che le stesse autolimitazioni da parte degli Stati sono manifestazioni della propria sovranità. Lo stesso controllo costituzionale che gli Stati si riservano sul diritto comunitario conferma che essi non hanno inteso affatto rinunciare ad essa.
La sovranità peraltro va intesa in senso funzionale con riferimento all'ambito nel quale lo Stato opera. Ciò spiega ad esempio perché, considerata nei rapporti esterni, la sovranità statale incontra a sua volta limiti e non può certamente dirsi assoluta. Le regole generali del diritto internazionale e le consuetudini generali o locali si impongono agli Stati indipendentemente dalla partecipazione alla loro formazione, come dimostra il fatto che sono osservate anche da Stati sorti o costituiti in un momento successivo.

5. CRISI DELLA SOVRANITÀ E FORMA DI STATO. Sul piano politico le limitazioni della sovranità non si differenziano da qualsiasi altra erosione che voglia farsi dipendere dai condizionamenti che subiscono, in modo a volte decisivo oltre che rilevante, le scelte politiche statali, le quali, pur astrattamente libere nel fine, in effetti vengono a dipendere dalle più diverse circostanze di fatto, dai più diversi fattori a carattere economico, tecnico, sociale.
È noto che in proposito si è parlato di deficit della politica nella misura in cui sono andati aumentando i settori di dominio della tecnica e della economia. Paradossalmente quando lo Stato si è fatto promotore del progresso tecnologico e dell'economia ha finito per farsi condizionare nelle scelte politiche dalla tecnica e dalla economia. Mentre aumentavano dunque i suoi compiti diminuiva per converso la libertà di scelta politica. Pertanto chi era ancorato all'idea di Stato di diritto, come Stato neutrale e regolatore dall'esterno del processo sociale ed economico, ha colto in questo una tendenza che probabilmente porterebbe progressivamente alla scomparsa dello Stato.
In effetti sul piano strutturale l'ordinamento giuridico statale, pur assumendo compiti via via nuovi, ha mantenuto il criterio della istituzionalizzazione dei poteri politici attraverso l'esercizio dell'attività normativa, esecutiva e giurisdizionale, mentre i poteri dominanti nella società, come i poteri economici, sociali, religiosi, culturali e così via sono rimasti al di fuori di tale istituzionalizzazione. Ciò è avvenuto anche nei confronti della Unione Europea. Gli Stati hanno mantenuto le loro strutture giuridiche istituzionali, sia pure adattandole e modificandole in vista del progressivo mutamento delle politiche tradizionali a fronte della rilevanza sempre maggiore assunta dalla politica unitaria europea. Questo modo di porsi del diritto e dello Stato rispetto a poteri esterni corrisponde al criterio basilare del rapporto intercorrente col fattore naturale. Il diritto risulta pur sempre vincolato dalla natura e lo Stato non è che lo strumento per la mediazione tra natura e diritto.
L'irreversibilità del processo di integrazione europea non va quindi vista sul piano strettamente giuridico, bensì su quello politico. Ciò non esclude peraltro che se il condizionamento alle loro politiche interne, voluto ed accettato dagli Stati, dovesse invece ritenersi ad essi imposto in modo da escludersi anche la astratta possibilità di sottrarsi al vincolo dell'appartenenza alle Comunità e all'Unione Europea, ci si troverebbe di fronte, anche sul piano giuridico, ad una fase conclusiva e quindi irreversibile del processo integrativo, attraverso la formazione di un Soggetto superstatale europeo, con conseguente acquisizione da parte della Unione della sovranità rispetto agli Stati, i quali per converso l'avrebbero perduta.
Ad essi potrebbe tutt'al più riconoscersi un residuo di sovranità simile a quella degli Stati che compongono uno Stato federale, il cui consenso è richiesto per decisioni che riguardino la loro stessa esistenza e/o le trasformazioni che incidono sulle competenze fondamentali ed esclusive ad essi spettanti.
Allo stato peraltro si assiste ad una tensione sotterranea tra i Governi nazionali e le Istituzioni comunitarie, in particolare con la Commissione e il Parlamento. I Governi nazionali tramite il Consiglio europeo tendono a riaffermare le sovranità dei rispettivi Stati, cercando di ridimensionare i ruoli della Commissione e del Parlamento, evitando, ad esempio, che la Commissione possa assumere un ruolo decisivo nella politica estera o che il Parlamento diventi il luogo dove possa definitivamente esprimersi la sovranità del popolo europeo.
In effetti la crisi del concetto tradizionale di sovranità statale corrisponde alla crisi della forma storicamente data di Stato Nazionale, costituitosi con una organizzazione giuridica unitaria di un popolo su di un territorio. Nell'età contemporanea si assiste invero al moltiplicarsi delle interrelazioni dei vari ordinamenti giuridici che si sovrappongono a volte anche a quello dello Stato, come persona giuridica. Rispetto a siffatti ordinamenti, che sono di vario tipo, internazionali, comunitari, regionali, settoriali, etc., il ruolo dello Stato si va riducendo a quello di luogo di riferimento, di incontro e di unificazione per consentire la loro operatività nel suo interno.

6. CITTADINANZA EUROPEA E POPOLI DELL'UNIONE EUROPEA. Il processo di integrazione europea riguarda ovviamente anche la formazione di un popolo europeo, inteso unitariamente, sì da dar luogo ad una unità politica. Siffatto popolo, allo stato, non può dirsi ancora esistente sul piano giuridico, in quanto a fronte delle istituzioni comunitarie si presentano i singoli popoli dei singoli Stati. La rappresentanza politica diretta del Parlamento europeo è invero una rappresentanza di singoli popoli (art. 189), anche se poi all'interno dell'istituzione parlamentare si verifica una fusione politica tra i rappresentanti e le decisioni prese sono comuni a tutti.
Anche il riconoscimento di una cittadinanza europea ai singoli cittadini dei singoli Stati non rappresenta il suggello dell'esistenza di un popolo europeo.
La cittadinanza europea si sostanzia nell'attribuzione a livello europeo di uno status che riassume tutte le singole posizioni giuridiche soggettive, positive e negative, conferite dall'Unione. Ciò comporta per tali posizioni giuridiche un rapporto diretto con le istituzioni comunitarie e non più attraverso la intermediazione dei singoli Stati, mentre permane comunque, come fondamentale e prioritaria, la cittadinanza nazionale.
La cittadinanza europea si pone invero come complementare a quella dei singoli stati (art.17). Essa dipende dalle regole e dai criteri con cui essi conferiscono le rispettive cittadinanze nel loro interno. Si aggiunge quindi a quella singola nazionale. Non sembra pertanto appropriato sostenere che la completa. E ciò riflette in effetti la sovranità degli Stati, che l'Unione non intende attaccare.
Sotto tale profilo può dirsi che l'Unione non intende (o quanto meno non ancora) assicurare l'esistenza di una identità nazionale europea. I trattati dell'Unione (art. 6,3F) prevedono appunto, come si è detto, il permanere della identità nazionali degli Stati membri, assicurando in tal modo il riconoscimento di un pluralismo nazionale.
Del resto nel momento in cui la cittadinanza europea viene riconosciuta a coloro che sono cittadini dei singoli Stati dell'Unione Europea, ciò significa riconoscere l'essenzialità dei singoli popoli e degli Stati di cui essi fanno parte per la costituzione dell'U.E. E poiché nei regimi democratici ai popoli dei singoli Stati e per essi ai rispettivi Stati pertiene la sovranità, fin tanto che non si sarà formato un unico vero popolo europeo, sia sul piano giuridico, che su quello politico, con la costituzione di una entità di tipo statuale, non potrà ancora parlarsi di una sovranità vera e propria di tale soggetto in luogo di quella dei singoli Stati che compongono l'Unione.

7. LA COSTITUZIONE DELL'UNIONE EUROPEA. L'esclusione per l'Unione Europea dei caratteri tipici di un ordinamento statualistico, unitamente alla circostanza che l'ordinamento comunitario incontra il limite dei principi fondamentali posti dalle Costituzioni degli Stati membri e che comunque esso viene mediato dalle fonti costituzionali interne indubbiamente porta ad escludere che possa porsi il problema del riconoscimento dell'esistenza o della formazione di una Costituzione di tipo statuale.
Ciò tuttavia non esclude di per sé che possa parlarsi di una Costituzione dell'Unione come ordinamento politico unitario. Ad escluderne l'esistenza attualmente non potrebbero essere addotti argomenti come il tentativo fallito di introdurre una formale Costituzione europea, attraverso il progetto redatto nel 1994 dal Parlamento europeo. Oppure, per l'Italia, l'approvazione del referendum di indirizzo svoltosi a seguito della L. Cost. 3/4/1989 n. 2, che aveva ad oggetto proprio il mandato al Parlamento europeo di redigere un progetto di Costituzione da sottoporre alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri delle Comunità o altre analoghe iniziative di altri Stati.
Una Costituzione invero può sussistere anche se non scritta o se è desumibile da una pluralità di fonti.

8. LE FONTI DELLA COSTITUZIONE EUROPEA. Indubbiamente a fondamento dell'Unione Europea vi sono normative che nel loro complesso hanno il valore di fonti costitutive. Accanto ai principi fondamentali sussiste una specifica tutela giurisdizionale che li garantisce. I trattati vengono infatti tutelati nei confronti degli Stati membri e la garanzia si estende ai loro cittadini. Vi è una carta dei diritti (art. 6,F) del T.U.E., cui si affianca la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Anche se alla nuova Carta dei diritti fondamentali approvata dal Parlamento europeo il 14/11/2000 non si è voluto riconoscere dal Consiglio europeo convocato a Nizza nelle riunioni del 7 e 8 Dicembre 2000 un significato giuridico impositivo, ma soltanto politico,per cui non la si è inserita nei trattati, ciò non esclude che il suo valore possa invece assumere progressivamente rilevanza anche sul piano giuridico, ove i suoi principi diventino diritto operante nella prassi delle istituzioni e in particolare ad opera dei giudici. È noto peraltro, sul piano storico, che spesso il valore soltanto politico di accordi, intese, proclamazioni di principi raggiunge effetti vincolanti ben più intensi di quanto possano ottenere gli stessi se inseriti in documenti con giuridica rilevanza.

9. IL PRETESO DEFICIT DEMOCRATICO NELL'UNIONE EUROPEA. Altro argomento che viene addotto per negare la possibilità di una Costituzione europea è il deficit democratico delle Istituzioni comunitarie unitamente alla mancanza di legittimazione democratica che avrebbe siffatta Costituzione, intendendo come tale la non riconducibilità della stessa ad un Popolo europeo, unitariamente inteso, che non sia la mera somma dei singoli popoli.
La tesi che esclude che possa parlarsi di Costituzione, quando essa non sia democratica, nel senso di avere una legittimazione riconducibile al popolo, è smentita però sul piano storico e giuridico, dal momento che la realtà è stata rappresentata dalla esistenza di Costituzioni di Stati che non sono riconosciuti come democratici. A parte ciò va considerato che lo stesso concetto di democrazia non è univoco.
Per quanto concerne il cd. deficit democratico delle istituzioni comunitarie, a ben guardare esso riguarderebbe il continuum Parlamento - Commissione - Consiglio, nel cui circuito verrebbe ad interrompersi la catena di legittimazione che dovrebbe provenire dal popolo europeo (che si assume non esista ancora), unico sovrano che sarebbe abilitato a conferire legittimazione democratica alle istituzioni.
Anche tale argomento non sembra condivisibile. Anzitutto il Parlamento Europeo è un organismo direttamente legittimato da tutti i cittadini degli Stati dell'Unione Europea. Sotto tale profilo non può sostenersi che non è legittimato democraticamente perché la rappresentatività riguarda i popoli dei singoli Stati. Una cosa è invero la rappresentanza politica altra la legittimazione democratica. Questa è data semplicemente dalla elezione diretta da parte dei singoli cittadini degli Stati membri dei parlamentari che confluiscono in un assemblea che decide unitariamente. Le decisioni di tale istituzione, nella sintesi politica, vanno imputate al Parlamento Europeo nella sua unità. Si realizza così una volontà comune che è espressione di sovranità proveniente da tutti i popoli dell'Unione.

10. LEGITTIMAZIONE DEMOCRATICA E RAPPRESENTATIVITÀ DELLE ISTITUZIONI COMUNITARIE. Per quanto riguarda poi i processi decisionali dell'Unione essi sono pur sempre condizionati nel Consiglio da Governi ai quali non può disconoscersi una legittimazione democratica, sia pure mediata da singoli popoli dell'Unione. In tal senso si è espresso, ad esempio, il BverfG.
Anche se si prende in considerazione l'espansione del principio maggioritario in seno al Consiglio, la quale comporta una interruzione parziale del circuito democratico con i parlamenti nazionali, essa può dirsi bilanciata dall'intervento assicurato al Parlamento, anche se è complementare, nel potere di decisione che spetta al Consiglio.
La Corte europea dei diritti dell'uomo (sentenza 18/2/1999 - Mattheus (UK)) ha peraltro riconosciuto che il Parlamento Europeo, dopo le modifiche introdotte dal Trattato di Maastricht, può considerarsi legislatore nel senso dell'art. 3 del 1° Protocollo aggiuntivo alla C.E.D.U., cioè come legislatore democratico legittimato nel quadro di un procedimento legislativo al quale partecipano la Commissione (con potere d'iniziativa) e il Consiglio.

11. VERSO UNA COSTITUZIONE FORMALE DELL'UNIONE EUROPEA. In conclusione, pur non potendosi ammettere l'esistenza di una Costituzione europea, come Costituzione di un Superstato europeo, deve ritenersi sussistente, in quanto desumibile da una pluralità di fonti tra di loro collegate, una Costituzione europea come Costituzione dell'Ordinamento politico comunitario. E nulla esclude che essa possa trovare la sua forma solenne in un testo organico contenente gli stessi principi fondamentali dell'Unione, oltre che il catalogo dei diritti e dei doveri dell'uomo e del cittadino europeo.

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