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L'Europa e il futuro della politica

COSTITUZIONE EUROPEA E CARTA DEI DIRITTI

Andrea Manzella

La dimensione e il respiro sovranazionale della politica diventano per la prima volta diritto - e diritto costituzionale - in Italia e in Germania.
L'art. 11 della Costituzione italiana del 1948; l'art. 23 della Costituzione tedesca del 1949 sono i primi testi che scelgono la sovranità limitata. Le limitazioni di sovranità non sono imposte da nessuno. Sono infatti predisposte in condizioni di parità con gli altri Stati. Il costituzionalismo europeo non è ottriato ma viene dal basso della Costituzione degli Stati nazionali. Ma così, alla metà del '900, si incrina la concezione onnivora della sovranità dello Stato-nazione, che alla metà dell'800, proprio in Germania e Italia, aveva avuto la sua stagione gloriosa: sintesi di pensiero e azione.
In tal modo, quando il 9 maggio 1950 Jean Monnet inventa e Schuman propone la sovranazionalità di un'Alta Autorità, l'ambiente costituzionale europeo ha già creato due "precedenti" per l'accoglimento e il contagio.
Due precedenti giuridico-istituzionali che, si badi bene, non si basano sull'idea negativa di garanzia. L'idea, cioè, di mettere un catenaccio alle pulsioni dello statalismo nazionalista. Ma si basano su una idea di liberazione. La politica e le libertà cittadine sono affrancate dai vincoli tradizionali dell'ordinamento statuale (sovranità, territorio, popolo). E trovano uno spazio pubblico continentale di sovranità condivisa, di territorio aperto, di cittadinanza popolare comune.
In questo radicale scenario, entra in crisi la stessa tradizionale concezione di federalismo come forma di unione di Stati che dia luogo ad un Superstato. In questa crisi dello statalismo è presente, infatti, la coscienza che il punto cruciale della nuova sovranazionalità europea non è l'unione di Stati ma quella che possiamo definire unione di Costituzioni.
Viene in evidenza, insomma, che al di là degli assetti strutturali degli Stati-nazione, che possono rimanere invariati, sono gli assetti funzionali che ne mutano l'identità costituzionale. Come "Il Cavaliere inesistente" di Italo Calvino che, pur non esistendo, vinceva le sue battaglie.
La Costituzione europea non ha finora una visibilità cartista. Ma essa è ben efficace tuttavia nella sua capacità di mutamenti funzionali indotti nelle altre costituzioni. Può fondatamente dubitarsi ormai e semmai della esistenza nell'ambito dell'Unione di vere costituzioni nazionali. Dato che il funzionamento di ogni Stato membro è incomprensibile dalla semplice lettura della sua propria costituzione, se non integrata dalle norme sul funzionamento dell'Unione, cioè se non integrata dalla Costituzione europea.
È in questo ordinamento policentrico che la politica si fa più libera e le libertà più dense. Perché la politica si svincola gradualmente dai lacci delle miopi pratiche domestiche. Perché le libertà iniziano un confronto non con le formule scritte ma con le effettive pratiche di libertà in Europa, un bench-marking, anche questo invisibile, ma efficacissimo nella sua circolarità.
La rapidità con cui la Corte di giustizia di Luxembourg e il Tribunale di prima istanza e il Parlamento europeo, senza aspettare il 2004, stanno adottando sostanzialmente il nuovo parametro della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre scorso - ma non ancora formalmente dotata di valore giuridico - è la testimonianza ultima della maturazione di una "libertà degli europei". Libertà degli antichi (costruita come libertà politica sulla radicale disparità di status), libertà dei moderni (costruita sulla pienezza della cittadinanza nazionale), "libertà degli europei" (costruita sul superamento stesso del concetto di status nazionale).
Ora "pace" e "giustizia" per riprendere le finalità dell'art. 11 Cost. - con l'intensità di contenuti che queste parole implicano - non sono un dato acquisito al determinismo economico e sociale che caratterizza la contemporaneità. Al contrario questo determinismo provoca violenti e contraddittori processi di omogeneizzazione e di esclusione. E gli eccessi di potere finanziario e mediatico in essi presente, non dimensionati da frontiere, implicano che la politica si faccia carico di riequilibrio e di compensazioni. Una politica, perciò, che non può essere - a sua volta - ristretta in confini nazionali.
La sovranazionalità è, perciò, la riorganizzazione della nuova politica per tutelare gli interessi deboli, o a rischio di estinzione nella logica della globalizzazione, senza però spegnere le vitalità creative del mercato mondiale.
L'Unione europea sperimenta questa nuova politica partendo da una precisa premessa di comprensione del valore del libero mercato: visione intrinsecamente modernizzatrice del nuovo potere pubblico europeo. Dai Trattati di Roma in poi, la spinta integrazionista ha infatti una duplice faccia. All'interno, il superamento delle barriere fra gli ordinamenti giuridici dei singoli Stati membri. All'esterno, una politica che rinuncia gradualmente al tradizionale armamentario di contenimento amministrativo delle tendenze del libero mercato - direi allo stesso linguaggio amministrativo verso il mercato - per adottare procedure e forme istituzionali quanto più possibili compatibili con la logica e l'autonomia dello sviluppo economico. E proprio per questo politica più idonea a contrastare posizioni (è il caso della tutela antimonopolista) vincoli (è il caso delle quattro libertà) abusi (è il caso della "clausola sociale" che contrassegna la politica commerciale esterna dell'Unione). Il punto culminante di questa nuova concezione della politica e delle sue procedure è il Consiglio europeo di Lisbona del 23-24 marzo 2000 con il progetto decennale volto a fare dell'Europa l'economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo.
La legittimazione della sovranazionalità dell'Unione è fondata, dunque, originariamente, su un nucleo di diritti di libertà. Libertà di impresa contro le pratiche monopolistiche. Libertà di circolazione di persone, capitali, merci e servizi. Libertà dalle coazioni sul lavoro presso i partners commerciali dell'Unione, con l'affermazione di un singolare diritto di"ingerenza sociale e umanitaria".
In questo senso, ha una sua verità conclusiva la ormai famosa affermazione del Consiglio europeo di Colonia del 3-4 giugno 1999: "la tutela dei diritti fondamentali costituisce un principio fondatore dell'Unione europea…il presupposto indispensabile della sua legittimità".
Attenzione, però. A quel momento, i 50 anni di integrazione registrano anche un radicale mutamento nella politica dei diritti nella Costituzione europea. I diritti su cui si fonda il primo nucleo costituzionale dell'Unione sono, come si è detto, diritti "funzionali" al mercato. La tutela delle quattro libertà e della libera concorrenza sono affidate ai poteri e alla politica sovranazionale dell'Unione perché possa funzionare un mercato unico sempre più libero da ostacoli interni ed esterni.
Siamo pur sempre nella logica di una Unione economica. Non per niente le Corti costituzionali di Germania e di Italia si preoccupano di tutelare, con clausola riservataria, i diritti fondamentali come controlimite alle limitazioni di sovranità derivanti dall'integrazione.
Ma presto si manifesta una duplice spinta che riconduce l'Unione nei contorni esatti del disegno politico originario, da sempre sotteso al progetto economico. È la spinta concorrente:
- da un lato di un allargamento delle competenze dell'Unione, fino a farla diventare organizzazione di competenze generali, sia pure di diversa intensità;
- dall'altro, di una giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione che, prendendo per parametro le tradizioni costituzionali degli Stati membri, in materia di diritti fondamentali, le traduce in principi generali di diritto comunitario (come poi codificherà l'art. 6 del Trattato dell'Unione).
La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, è frutto, certo, di un'accelerazione di tempi, sotto l'effetto dell'ultima guerra balcanica. Ma è anche e soprattutto effetto di questo lungo processo di costituzionalizzazione dell'Unione, processo fondato su una politica di tutela dei diritti fondamentali in due direzioni:
- la garanzia sovranazionale dei diritti fondamentali nei confronti del nuovo potere pubblico sovranazionale europeo, con misure giurisdizionali.
- la garanzia sopranazionale, circolare, del rispetto dei diritti fondamentali all'interno dei singoli ordinamenti giuridici degli Stati membri, con misure politiche.
Nell'un caso e nell'altro si tratta di garanzie perfette, perché sanzionate. Dalle diverse misure a disposizione della Corte di Giustizia nel primo caso. Dalle misure di sospensione dei diritti comunitari dallo Stato responsabile della violazione dei diritti fondamentali (art. 7 Trattato) nel secondo caso. È il diritto di ingerenza politica codificato nel Trattato.
La proclamazione della Carta di Nizza, con la coabitazione (e la contaminazione) - in un unico testo - di diritti di antica e nuova generazione e, soprattutto, di diritti civili e politici e diritti sociali produce quattro effetti.
Fa coincidere esattamente i confini della giurisprudenza della Corte con quelli altrimenti indefinibili di una Unione politica. Fa capire che ampliamento significa unificazione (allineando i confini geografici dell'Unione ai confini di comune accettazione di una civiltà basata sui diritti fondamentali.
Fa superare di fatto la concezione riservataria dei controlimiti delle Corti tedesca e italiana, salvo che per la tutela delle specificità culturali nazionali.
Fa compiere all'Unione il passaggio sostanziale da una Unione di diritto ad Unione costituzionale.
Per la prima volta, una regione multistatale del mondo arriva a questa qualificazione. L'unica duratura invenzione istituzionale europea del '900 si pone così a modello per il resto del mondo. La questione di una Carta costituzionale europea conserva un forte valore di simbolo politico. Ma nella realtà dei fatti la costituzione sopranazionale europea esiste già. La sua problematica storia non è però finita. Anzi, è appena cominciata. Il futuro della politica è dentro di essa, ed anche la maniera nuova e entusiasmante di studiare la scienza della politica.

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