L'Europa e il futuro della politica
COSTITUZIONE EUROPEA E PRINCIPIO DI SOVRANITA'
Vincenzo Caianiello
Nel corso del processo di integrazione europea, diretto inizialmente soltanto ad operare sul terreno dell'economia, era inevitabile che ci si cominciasse a chiedere quale identità si dovesse attribuire alla Comunità europea una volta che l'azione dei suoi organismi andava man mano allargando i propri spazi, in un primo momento soltanto con il lambire ed in prosieguo con l'incidere in modo sempre più pervasivo su ambiti diversi dai settori economici, fino ad investire i diritti della persona ed in special modo i diritti fondamentali aventi come contenuto le libertà.
Parallelamente alla nascita ed alla affermazione di un vero e proprio diritto europeo si è perciò fatta strada l'idea di un'Europa dei diritti.
Alla costruzione del diritto europeo inteso come ordinamento autonomo dagli ordinamenti degli Stati ha dato massimo impulso l'opera della Corte comunitaria, cui in poco tempo si sono associate le Corti costituzionali dei Paesi europei ed i giudici nazionali. Nel nostro Paese la Corte costituzionale, pur muovendosi nell'ordine di idee della concezione dualistica nei rapporti tra diritto nazionale e diritto comunitario, è pervenuta su di un piano effettuale a conclusioni analoghe a quelle cui sono giunti gli Stati che si sono mossi nel quadro di un sistema monistico.
Come è noto, difatti, con la storica sentenza n.170 del 1984 (caso Granital) la Corte italiana, pur con premesse teoriche diverse si conformava alla sentenza della Corte di Lussemburgo del 9 marzo 1978 (caso Simmenthal) affermando che l'ordinamento comunitario e l'ordinamento statale, con i rispettivi processi di produzione normativa, sono distitnti e reciprocamente autonomi, ancorché coordinati tra loro.
Secondo la Corte italiana la difformità del diritto interno rispetto a quello comunitario, indipendentemente dalla successione nel tempo delle due normative, l'una o l'altra, non comporta un problema di costituzionalità - che ha presupposto lo schema della gerarchia delle fonti e quindi della violazione di una norma sovraordinata (Costituzione) da parte della norma sottordinata (legge ordinaria) - ma va risolto con il criterio della specialità. I due ordinamenti sono autonomi, entrambi producono norme aventi pari forza nel proprio ambito, per cui nel conflitto fra i due ordinamenti prevale quello competente a disciplinare la materia presa in considerazione. Tutti coloro che devono applicare una norma nel diritto interno, ed in primo luogo i giudici nazionali, ove ravvisino la difformità della norma statale rispetto a quella comunitaria, sono tenuti ad applicare quest'ultima se la materia rientra fra le competenze comunitarie.
Sulla strada da seguire per assicurare questo risultato le posizioni della dottrina non sono invero concordi, ma tutti sono convinti che l'incidenza diretta del diritto comunitario nei confronti dei cittadini degli Stati nazionali rafforzi l'idea della Comunità come vero e proprio ordinamento giuridico che proprio per essere tale la distingue dagli altri enti internazionali. Come è stato osservato (R. Monaco) esso possiede i requisiti essenziali di un ordinamento giuridico: la pluralità di soggetti, la normazione autonoma, un apparato istituzionale. Per questo suo essere un ordinamento, ulteriori caratteristiche la distinguono dagli enti e dalle unioni internazionali che come essa nascono da Trattati o accordi: l'esistenza di un organo rappresentativo, come il Parlamento europeo eletto a suffragio universale diretto; la regola, per l'adozione delle deliberazioni da parte degli organi comunitari, della maggioranza qualificata sia pur ponderata che si è via via sempre più andata sostituendo alla regola dell'unanimità e che vincola direttamente i soggetti istituzionali ed i cittadini degli Stati membri, mentre negli altri enti internazionali i destinatari dei loro atti sono soltanto gli Stati attraverso i quali in via mediata i loro effetti si producono nei confronti dei rispettivi cittadini.
Con queste premesse nei Trattati di Maastricht e di Amsterdam si delinea sempre più chiaramente il concetto di cittadinanza europea, pur restando ancora intatta, almeno da un punto di vista giuridico la concezione della sovranità degli Stati nazionali.
È questo il tema di fondo della prima tornata del convegno e cioè quello che attiene alla incidenza diretta dell'Unione europea sulla sfera di ciascun individuo, senza l'intermediazione degli Stati nazionali, passando al di sopra della loro sovranità. Questa dal punto di vista giuridico continua ancora a sussistere, salvo la rinunzia a parti di essa in favore della Comunità, come è previsto, anzi, starei per dire, autorizzato nel nostro ordinamento costituzionale dall'art. 11 cost. Una disposizione, quest'ultima, con la quale noi risolviamodal punto di vista giuridico formale la dualità dei due ordinamenti che gli altri Paesi dell'Unione risolvono in modo diverso ma, comunque, con effetti simili, ma che lascia pur sempre aperto, soprattutto in sede teorica, il problema di stabilire se alla rinunzia di porzioni di sovranità da parte degli Stati nazionali corrisponda la nascita di una vera e propria sovranità ("di settore"?) in capo all'Unione europea.
Può certoapparire una contraddizione in termini la sovranità - termine con il quale, per dirla con Bodin, si esprime l'idea di Potere supremo - con la possibilità che essa possa essere scavalcata dall'esterno da organismi capaci di vincolare con immediatezza i cittadini degli Stati europei, ma, per cercare di capire il fenomeno, dobbiamo chiederci se ed in qual modo possa parlarsi di Sovranità con riferimento all'Unione europea, punto sul quale ferve il dibattito sia tra gli internazionalisti che tra i costituzionalisti, i cultori della dottrina dello Stato, gli stessi filosofi del diritto.
Ma qualora dovesse escludersi che alla rinuncia di porzioni della propria Sovranità da parte dei singoli Stati dell'Unione corrisponda, qualitativamente e quantitativamente, una pari "aggregazione" di sovranità in capo all'Unione rimarrebbe pur sempre da chiedersi se mancando essa sia appropriato parlare di Costituzione europea con lo stesso significato e la stessa forza di cui ne parliamo quando la riferiamo agli Stati nazionali, dato che almeno nel mondo occidentale, in base all'esperienza storica del costituzionalismo moderno, siamo abituati ad associare il concetto di Costituzione a quello di sovranità ed entrambi i concetti all'idea di Stato.
Come tutti sanno negli Stati nazionali la Sovranità, secondo la teoria istituzionistica degli ordinamenti, fin dal momento genetico è autoreferente ed appartiene perciò a titolo originario allo Stato per cui il Potere costituente è già esso stesso diritto legittimandosi da sé come momento autorganizzativo che dà vita alla Costituzione del corpo sociale nel quale si esprime. L'atto costitutivo delle Comunità economiche prima, della Comunità europea poi, ed infine dell'Unione europea non è originario nel senso anzidetto, ma derivato dalla sovranità degli Stati che vi hanno dato vita per cui "la loro origine e unicamente pattizia, non già sociale come invece quella delle comunità storiche"(R. Monaco).
Di conseguenza, muovendo dall'osservazione che sulla base dell'esperienza storica moderna le Costituzioni in senso forte sono il prodotto di un Potere costituente autoreferente, a partire dalla Gloriosa Rivoluzione inglese del 1688, alla Costituzione americana del 1786, alla Rivoluzione francese del 1789 ed agli eventi che seguirono a quest'ultima, tutte vicende che costituiscono il laboratorio del costituzionalismo liberale, lascia perplessi l'idea che una Costituzione intesa come espressione di Potere costituente possa provenire da una fonte pattizia intercorsa fra Stati sovrani, e che quindi sia frutto di un Potere giuridico costituito. Se la fonte è pattizia la volontà manifestata dagli autori del Patto potrebbero sempre revocarla e questa sola eventualità non attribuisce alla Costituzione che nasce in quel modo la stessa forza che hanno le Costituzioni politiche che sono il prodotto di un Potere costituente originario ed autoreferente. Siamo consapevoli che una posizione del genere potrebbe essere accusata di seguire la logica di Don Ferrante per negare l'evidenza e sostenere, che essa, non essendo né forma né materia, non può esistere anche se nella realtà dovesse imporsi con la forza e l'effettività che hanno connotato fino ad oggi le Costituzioni degli Stati sovrani, assolvendo al loro stesso ruolo e primo fra tutti a quello della tutela dei diritti umani. Quello che conta è che il lungo parlare di una Costituzione europea possa contribuire ad accelerare il processo verso il traguardo di uno Stato federale con poteri tali da garantire i diritti inviolabili del cittadino europeo, o se invece ci sia il rischio di pervenire ad un traguardo puramente apparente, il che darebbe ragione agli scettici i quali pensano che al massimo la Costituzione europea potrà avere un significato simbolico, mentre dal punto di vista della effettività in realtà sarà una Carta senza diritti.
L'interrogativo di fondo è dunque di sapere se si potrà parlare di una Costituzione europea vera e propria solo quando sia espressione di una organizzazione politica caratterizzata da qualcosa di molto simile a quella che relativamente agli Stati nazionali siamo abituati a considerare la sovranità, oppure se potremo considerare tale anche una Carta di diritti che sia espressione di una entità politica di fonte pattizia e quindi non originaria, bensì derivata dall'incontro di Sovranità che continuano a risiedere altrove, la quale possa servire da volano per la nascita di uno Stato federale caratterizzato da una sovranità propria, che abbia come punto di riferimento il Popolo ed il cittadino europeo.
In proposito ci sembra utile il paragone con la vicenda della moneta unica, l'Euro, muovendo dalla considerazione che fino ad un certo punto si era creduto che quello di battere moneta fosse espressione della Sovranità, anche se intesa con significati diversi a seconda delle varie epoche storiche, ma intesa nella sostanza come Potere supremo di una organizzazione politica su di un territorio. Se fossimo rimasti ancorati a questa concezione non avremmo avuto (ancora?) la moneta unica ed il processo di integrazione europea avrebbe certamente segnato ancor più il passo.
La vicenda si è sviluppata invece in modo diverso, come tutti sappiamo, perché si è dato corso all' unificazione della moneta europea senza essere certi che essa potesse avere la stessa forza e la stessa credibilità che è stata propria delle monete nazionali.
La debolezza dell'euro manifestatasi in questi primi anni di vita rispetto alla divisa americana e la sua incapacità a fungere nel mercato internazionale da mezzo di scambio alternativo al dollaro, secondo molti dipende proprio dal fatto di non avere alle spalle uno Stato sovrano che ne garantisca la credibilità, ma si è parimenti convinti che l'istituzione dell'euro abbia comunque segnato un punto di non ritorno, rendendo quanto meno irreversibile il processo di unificazione, nonché ad innescare un circolo virtuoso, nella consapevolezza che l'unica strada per uscire dal guado è quella di andare avanti. Sarebbe difatti disastroso, non solo per i Paesi che dovessero ritirarsi dalla moneta unica ma per l'intero sistema monetario del mondo occidentale, tornare alle monete nazionali, una volta che l'economia europea e mondiale si è già assestata intorno al sistema monetario unico. Questo punto di non ritorno rende irreversibile il processo di integrazione ed avvicina la meta di uno Stato federale avente caratteristiche analoghe a quella Sovranità che finora è stato patrimonio esclusivo degli Stati nazionali.
Trasponendo le stesse considerazioni al tema dei diritti umani - che trovano espressione puntuale nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea solennemente proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 - sappiamo che in questa occasione ci si è fermati ad una tappa meramente enunciativa, rinviando al 2004 la decisione sul se essa debba assumere il valore di Costituzione. Insomma, per i diritti fondamentali non si è avuta (ancora?) la forza di fare quello che si è fatto per la moneta unica, forse nel timore che il darle il valore di Costituzione avrebbe significato fin da ora una implicita affermazione di sovranità che ci avrebbe condotto a pochi passi dalla nascita di uno Stato federale: e di questo non tutti i Governi europei sono (ancora ?) convinti.
Il futuro dirà se questa battuta di arresto in omaggio alla sovranità degli Stati nazionali possa definitivamente far ritenere chiusa la partita, mentre sarebbe stato meglio dar vita subito, sia pur con una fonte pattizia, ad una Costituzione vera e propria avente come funzione essenziale la tutela dei diritti fondamentali di tutti i cittadini dell'Unione, in vista dell'ingresso in essa di quei Paesi solo da poco restituiti alla democrazia ed alla libertà.
|
|