L'Europa e il futuro della politica
L'IDEA D'EUROPA, IDEA DI LIBERTA'
Tullio D'Aponte
Proprio negli anni in cui la costruzione europea, con l'Atto Unico di Maastricht, assumeva concretezza ben diversa da quella, invero labile, del difficile decennio Settanta, la ricca Danimarca testimoniava attraverso un assai discusso referendum la propria ostilità a quegli accordi aprendo, di fatto, un dibattito intenso e tormentato sul destino dell'idea stessa d'Europa. Ricordo, ancora con disappunto, le argomentazioni egoistiche, e parimenti miopi, di quanti, e non erano pochi, temevano l'impianto di un meccanismo i cui effetti, imprevisti sul lungo periodo, venivano interpretati, tout-court, come freno allo sviluppo corrente delle più forti economie nord-europee.
contesto, non vi è dubbio, se Francia e Germania avessero intrapreso la strada di un più cauto europeismo e si fossero lasciate condurre a rimorchio dagli euroinsofferenti danesi e britannici, quasi certamente, oggi non avremmo l'unità monetaria, per non parlare di qualsivoglia barlume di futura integrazione politica. Non era quella, come acutamente scriveva Jean Daniel, "L'Europa che sognava Schumann" e, tuttavia, l'ineludibilità del processo di coesione europea, pur non sottovalutando difficoltà economiche ed insofferenze nazionalistiche, ha finito per imporsi determinando quelle condizioni di convergenza che tutti conosciamo; quegli ampliamenti e quelle nuove richieste di adesione che, meglio di ogni aggettivo, esprimono il concreto successo e la forza stessa dell'idea europeista.
di egoismi miopi, indubbiamente, può apparire scelta quasi d'obbligo per chi, dalla periferia meno sviluppata, osserva politiche economiche fortemente improntate a criteri mercantilistici di supremazia finanziaria e di esasperata competizione incentrata su parametri definiti dal grado di accelerazione imposta dall'evoluzione tecnologica degli apparati produttivi.
a, a differenza di quanti, allora, come oggi, collocano i problemi dell'integrazione comunitaria in una dimensione che non riesce a prescindere dai connotati economicistici del processo stesso di convergenza delle singole economie regionali, a me sembra che la vera, la più rilevante questione su cui poggia l'essenza della costruzione europea sia da ricercarsi tra i grandi temi dello sviluppo civile e politico delle democrazie europee.
qualche anno prima di lasciarci Francesco Compagna dalle pagine del suo Nord e Sud scriveva:
" ... Io direi che questa Europa è meglio di niente. Ma aggiungerei che è un'Europa insoddisfacente: anche e magari perché è un'Europa che segna il passo ... ".
" ... Il problema che si pone è di correre tutti a far sì che l'Europa che c'è risulti meno insoddisfacente di quanto oggi non risulti... direi, che il problema consiste oggi nell'introdurre più elementi di democrazia, e anzitutto di sovranazionalità, nella costruzione dell'Europa".
In buona misura, dopo che nell'ultimo ventennio un clima diverso si è instaurato, larga parte dell'insoddisfazione di allora può ritenersi archiviata; tuttavia, se è ormai consapevolezza comune che il riallineamento delle economie meno evolute costituisce un interesse preminente degli stessi paesi più sviluppati, è sul piano della cultura dell'integrazione e della propensione ad accettare la logica del multietnismo e dell'accoglienza che continua a destare preoccupazione.
Io non vorrei annoiare l'uditorio ma, se solo rapidamente scorro dati e previsioni di natura demografica, quali emergono dai più accreditati osservatori specializzati, non posso non rilevare come quell'insofferenza per le "nostre" "fanterie del lavoro" che nella fase dello sviluppo europeo ad alta intensità di forza-lavoro tanto ci addolorò, quanto valse benessere e ricchezza ai nostri stessi partner europei, non può più riproporsi nei confronti di quanti, dal sud del mondo si affannano nella ricerca di un'ospitalità che l'Europa ha tutta la convenienza ad offrire.
Infatti, anche se non sfugge come si registrino incrementi demografici significativi proprio nelle aree che, tutto sommato, restano periferiche è parimenti vero che in queste regioni la base demografica a mala pena raggiunge il 15% della popolazione complessiva europea.
Per tanto, il semplice ragionamento ci porta a concludere che se la popolazione maggiormente "fertile" corrisponde a meno di 1/8 del totale, le prospettive future non sono, in nessun caso, di consistente accrescimento della popolazione comunitaria, anche perché non può non riflettere sul fatto che i modelli demografici a basso tasso di natalità, dai quali derivano saldi naturali negativi, non tarderanno a diffondersi anche nelle regioni in cui, attualmente e, ancora, nel breve periodo, il comportamento demografico si esplica in termini di più elevata fecondità.
Questa considerazione comporta che, anche nelle regioni periferiche meridionali, in un arco di tempo misurato dallo svolgersi di una sola generazione, si dovrebbe registrare prima un freno del saldo naturale positivo e, di seguito, un generalizzato calo demografico.
In definitiva, ciò che si vuole sostenere è che lo schema concettuale marxiano della sovrappopolazione relativa che, attualmente e nell'immediato prossimo futuro, caratterizzerà ancora il nostro Mezzogiorno come altre regioni periferiche, con il suo carico di popolazione eccedente rispetto alle risorse produttive globali installate nell'area, non dovrebbe permanere a lungo, almeno in base alla prevedibile dinamica della componente demografica.
Sono ben consapevole che si tratta di un'approssimazione per più versi eccessiva e che la transizione, nel concreto, non è né semplice, né di breve durata : fenomeni complessi come la progressiva femminilizzazione, l'innalzamento dell'età pensionistica, le trasformazioni qualitative delle componenti occupazionali, e, per l'appunto, flussi migratori extracomunitari più o meno legali, complicheranno non poco il mercato del lavoro comunitario e la relativa regionalizzazione.
Quanto volevo evidenziare, tuttavia, è che pur se si volesse prescindere dal tema delle "libertà" e dall'enfatizzazione della vocazione "democratica" della costruzione europea, le dinamiche di sviluppo dell'area sempre più con chiarezza mostrano come la convergenza economica non sarà più solo ed esclusivamente un problema delle aree periferiche ma, paradossalmente, se non interverranno elementi nuovi, rischierà di diventare un problema delle stesse aree forti.
In altri termini, di fronte a carenze di forza-lavoro, sia nella componente altamente qualificata, sia nelle pur sempre necessarie "fanterie", la parificazione degli standards di sviluppo delle regioni comunitarie potrebbe compiersi attraverso un abbassamento dei livelli superiori, ovverosia attraverso l'avanzamento consentito alle regioni periferiche da un sostanziale arresto dello sviluppo economico delle regioni più evolute.
Naturalmente, nessun governo, nessun gruppo imprenditoriale, nessun cittadino europeo è disposto a subire un tale arretramento.
La "libera circolazione" delle risorse umane, dei capitali, delle tecnologie, nonché di qualsiasi "bene economico" non ha senso, né prospettive, se non si fonda su una "libera circolazione" delle idee e sull'autonomia e sul confronto tra le culture: in uno sulle libertà democratiche.
A titolo personale, come studioso di problemi di pianificazione del territorio, sono molto grato al Collega ed Amico Agostino Carrino dell'intelligente intuizione di organizzare in questa sede accademica il dibattito che le Vostre Relazioni alimenteranno. Ma, ancor più, a nome di tutta la Facoltà di Scienze Politiche della Federico II, docenti e studenti, Vi ringraziano per il contributo di riflessione che ci offrite e dell'attenzione che, ancora, in futuro, mi auguro, ci consentirà di confrontare opinioni, acquisizioni di pensiero e idealità reciproche.
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